1. 004 005
TEIERA ARARE (1700)
Designer sconosciuto
Vari fabbricanti,
dal 1700 a oggi
Iwachu, dal 1914 a oggi
FORBICI ZHANG
XIAOQUAN (1663)
Zhang Xiaoquan
(1643-1683 circa)
Hangzhou Zhang
Xiaoquan,
dal 1663 a oggi
Non è necessario aver visitato
il Giappone per riconoscere
la Teiera Arare: l’onnipresente
teiera di uso quotidiano ha elevato
a standard internazionale il suo
caratteristico design funzionale.
Realizzata in ghisa, la teiera Arare
– che in giapponese significa
“grandine” – prende nome
dalla tradizionale decorazione
bugnata che ne ricopre la superficie
superiore e l’orlo esterno del
coperchio. La diffusione dell’Arare
risale al Giappone del XVIII secolo,
quando gli intellettuali giapponesi
adottarono il metodo Sencha
per la cerimonia del tè in segno
di rivolta simbolica contro la più
sontuosa cerimonia Chanoya
privilegiata dalle classi dominanti.
Quando il metodo Sencha invitò
ad assaporare in maggior misura
il piacere della cerimonia del tè,
il mercato si aprì a una teiera meno
costosa. Il modello Arare –
evoluzione della precedente tetsubin,
o “teiera” – apparve dunque
in questo periodo e si affermò
definitivamente nella sua forma
attuale nel 1914. Lo stabilimento
più famoso di produzione
dell’Arare, l’Iwachu di Morioka
con oltre cento anni di storia,
è oggi la più grande e importante
fabbrica di utensili in ghisa per
la cucina. Tuttora in produzione,
il modello è esportato in notevoli
quantità nel mondo intero.
In Cina il marchio Zhang Xiaoquan
è una componente fondamentale
della cultura nazionale.
La fabbrica di forbici Hangzhou
Zhang Xiaoquan è in attività
da oltre 300 anni e produce oggi
120 modelli per 360 esigenze
specifiche. Le forbici originali
sono uno splendido esempio
di design semplice e funzionale:
sono leggere, comode
da maneggiare e molto robuste.
Nel 1956, nei suoi scritti sulla
ricostruzione socialista
dell’industria artigianale,
il Presidente Mao citò in modo
esplicito le forbici Zhang Xiaoquan
per il loro contributo alla nazione,
suggerendo di svilupparne
la produzione. Con un congruo
aiuto governativo, l’azienda iniziò
quindi a dotarsi di stabilimenti
più grandi e rimase a gestione
statale dal 1958 al 2000,
quando si trasformò in società
per azioni. La Zhang Xiaoquan
figura sempre ai primi posti
nella classifica nazionale delle
fabbriche di prodotti di qualità
e le vendite delle sue forbici
per la casa rappresentano
il 40% dell’intero mercato
cinese delle forbici.
2. 012 013
SPILLA DA BALIA
(1849)
Walter Hunt (1785-1869)
Vari fabbricanti,
dal 1849 a oggi
MOLLETTA
PER I PANNI (1850)
Designer sconosciuto
Vari fabbricanti,
dal 1850 a oggi
Talvolta accade che un design
sia talmente ordinario e comune
da sembrare senza tempo.
È il caso della spilla da balia,
progettata dal newyorchese
Walter Hunt. Forse insoddisfatto
dalla scarsa robustezza
e dalla pericolosità degli spilli,
Hunt utilizzò un filo di ottone
di 20 cm di lunghezza: a un capo
formò una spirale che fungeva
da molla, e all’altro aggiunse un
semplice fermaglio. La domanda
di brevetto da lui presentata
nel 1849 includeva varianti della
cosiddetta Dress-Pin, alcune con
spirali tonde semplici, ellittiche
e piatte. Hunt descrisse la sua
Dress-Pin in questi termini:
“È decorativa e al tempo stesso
più sicura e duratura di qualsiasi
altro spillo a fermaglio utilizzato
finora, non essendoci alcun
giunto che possa rompersi
o perno che possa staccarsi
come in altri modelli”.
A Hunt sono andati il prestigio
e la fama storica per aver
progettato la spilla da balia,
ma di fatto egli non ne ricavò
molto: si dice che dopo
aver ricevuto il brevetto per
la sua invenzione, il 10 aprile 1849,
lo vendette a un amico per la
misera somma di 400 dollari…
Sarebbe bello poter attribuire
ogni oggetto alla creatività
di un singolo individuo, ma molti
articoli diffusi sono anonimi e
hanno origini piuttosto banali.
Il merito dell’invenzione della
molletta per i panni è spesso
attribuito agli Shakers, setta
religiosa fondata negli Stati Uniti
nel 1772 da Ann Lee e nota
per i suoi manufatti dallo stile
essenziale. La loro molletta
era un semplice pezzo di legno
con una fenditura nel mezzo.
Tra il 1852 e il 1887 l’Ufficio
Brevetti degli Stati Uniti concesse
altrettanti brevetti a ben 146 tipi
di mollette, anche se sembra
che la maggior parte di esse
si basasse sul medesimo principio
della molletta a due rebbi degli
Shakers. La molletta classica
qui riprodotta, inventata nel 1853
da D.M. Smith di Springfield
nel Vermont, è formata da due
barrette di legno saldamente
agganciate da una molla d’acciaio.
Nel 1944 Mario Maccaferri
ne produsse una resistente
versione in plastica. Il design
della molletta per i panni è stato
immortalato nel 1976 dall’artista
Claes Oldenburg, che con la sua
Clothespin ne realizzò una
di proporzioni gigantesche,
installata ai piedi del Centre
Square di Philadelphia.
3. 014 015
TACCUINO MOLESKINE
(1850 CIRCA)
Designer sconosciuto
Fabbrica anonima
(Tours), dal 1850 circa
al 1985
Modo & Modo,
dal 1998 a oggi
SEDIA A SDRAIO
PIEGHEVOLE
IN TESSUTO (1850)
Designer sconosciuto
Vari fabbricanti,
dagli anni ’50 dell’800
a oggi
I Taccuini Moleskine sono libretti
d’appunti ricoperti di tela cerata,
evoluzione di un mitizzato
articolo vecchio di due secoli.
Primo produttore di tali taccuini
fu una piccola azienda a gestione
familiare di Tours, in Francia,
che chiuse l’attività nel 1985.
Rilanciato dall’azienda italiana
Modo & Modo nel 1998, l’articolo
ha beneficiato di una notevole
campagna pubblicitaria, facente
leva sull’alone letterario e artistico
dell’originale: sarebbe infatti
“il leggendario taccuino utilizzato
da Hemingway, Picasso
e Chatwin”. Il modello standard
misura 14 x 9 cm e contiene
pagine in carta leggera, priva
di acidi. Il nome deriva dalla grafia
francese di mole skin, la “pelle
di talpa” alla quale somiglia
la sua copertina in tela cerata.
Spariti i taccuini francesi originali,
il termine moleskine divenne
una sorta di brand generico.
Fu poi il governo italiano
a permettere a Modo & Modo
di rimettere in circolazione
legalmente il prodotto, di elevarlo
di status concedendo la maiuscola
all’iniziale e di sfruttarne
la leggenda. Oggi questo
nome mitico compare sugli oltre
tre milioni di taccuini e prodotti
esclusivi di cartoleria che
si vendono ogni anno.
Non ci sono dubbi sull’origine
nautica della sedia a sdraio
pieghevole in tessuto, usata
inizialmente sui ponti delle navi
da crociera. È evidente infatti
l’influenza dell’amaca, il
tradizionale giaciglio salva-spazio
destinato ai marinai, mentre
la seduta in stoffa, spesso di tela
e solitamente a strisce dalle tinte
accese, trae ispirazione dalle vele:
le file di sedie a sdraio aperte
evocano una piccola flotta di
barche in movimento, con la stoffa
gonfia e svolazzante per la brezza.
Oltre che dall’evidente richiamo
al mare e alle spiagge, il design
è dettato dalla praticità marittima.
Sedia da esterni, la sdraio
è un oggetto stagionale e quando
è inutilizzata, durante il maltempo
o i mesi più freddi, può essere
chiusa e riposta senza occupare
troppo spazio, comodità non
indifferente sia sottocoperta
sia nella rimessa in giardino.
Il caso ha voluto che sembrasse
progettata di proposito per il relax:
data l’evidente impossibilità a
starvi seduti con la schiena eretta,
chi la occupa vi si deve adagiare.
Per tutte queste sue origini
solo apparentemente oziose
e per la sua praticità, la sdraio
in tessuto è un prodotto
irrinunciabile, che fa risparmiare
fatica ed è ideale per ottimizzare
il riposo.
4. 018 019
SEDIA N. 14 (1859)
Michael Thonet
(1796-1871)
Gebrüder Thonet,
dal 1859 a oggi
SERRATURA
A CILINDRO YALE
(1861)
Linus Yale Jr. (1821-1868)
Yale, dal 1862 a oggi
Nessun nome, soltanto
un numero, un articolo senza
pretese nel vasto assortimento
di Michael Thonet e Figli, ebanisti
di professione. Ma la piccola
e anonima N. 14 è una presenza
imprescindibile nella storia
dell’arredamento. Disegnata
da Thonet nel 1859, questa sedia
si distinse subito non tanto
per la forma quanto per la sua
fabbricazione: negli anni ’50
dell’800 Michael Thonet era stato
il precursore di un procedimento
col quale si potevano arcuare col
vapore listelli e aste di legno. Il suo
metodo permise una grande libertà
in termini di tempo e di lavoro
artigianale, generando versioni
semplificate dello stile del periodo,
senza contare la possibilità
di produrre mobili in serie
da spedire smontati e assemblare
a destinazione contenendo i costi.
La Sedia N. 14 e le seguenti
anticiparono di oltre 50 anni i temi
e i principi del Modernismo.
Alla morte di Michael, nel 1871,
la Gebrüder Thonet era diventata
la fabbrica di mobili più grande
del mondo. Il fascino formale
e concettuale della N. 14, con ogni
probabilità la sedia di maggior
fama commerciale mai prodotta,
dura nel tempo: ancora oggi
testimonia l’alta tecnologia del XIX
secolo pur mantenendo immutata
la sua fresca ed elegante utilità.
Figlio di un fabbro, Linus Yale Jr.
inventò serrature basate
su un principio in uso ancora
oggi. Creò la prima nel 1851 e,
con il piglio di un direttore di circo
equestre, la chiamò l’“Infallibile
Magica Serratura Yale”. Si trattava
di un congegno privo di molle
e di tutte quelle componenti
che di solito tendono a cedere.
In seguito Yale inventò anche
un dispositivo antiscasso,
arrivando a sostenere che fosse
addirittura a prova di polvere
da sparo. Il secondo modello
da lui inventato, l’“Infallibile
Sicura Serratura Yale”, era
una versione perfezionata
della precedente.
Negli anni ’60 dell’800 Yale ideò
la Monitor Bank, la prima serratura
da banca con combinazione, e la
Double Dial Bank Lock. Più avanti
si dedicò alla rielaborazione di un
meccanismo noto già agli antichi
Egizi (oggi detto pin-tumbler),
da cui prese spunto per la serratura
a cilindro da lui brevettata.
Nel 1868, insieme a Henry Towne,
Yale fondò la Yale Lock
Manufacturing Company, ma
morì appena tre mesi dopo l’inizio
dei lavori di costruzione dello
stabilimento. Nel 1879, alla
produzione di serrature si aggiunse
quella di lucchetti e paranchi a
catena, e Yale divenne il maggiore
fabbricante di serrature al mondo.
5. 020 021
MACINAPEPE
PEUGEOT (1874)
Jean-Frédéric Peugeot
(1770-1822)
Jean-Pierre Peugeot
(1768-1852)
Peugeot, dal 1874 a oggi
PORTATOAST (1878)
Christopher Dresser
(1834-1904)
Hukin & Heath,
dal 1881 al 1883
Alessi, dal 1991 a oggi
Nel 1810 i fratelli Peugeot
convertirono il mulino di
famiglia situato nella Francia
orientale in un’acciaieria,
e nel 1818 ricevettero la licenza
per la produzione di utensili,
divenendo dal 1874 il principale
produttore di macinapepe
al mondo. Fra gli 80 modelli
commercializzati dall’azienda,
per un totale di 2 milioni di pezzi
all’anno, il macinapepe più
popolare rimane il Provence,
prodotto sin dal 1874 e alto
17,5 cm. Se in apparenza il
modello è tradizionale, il suo
semplice disegno e l’innovazione
tecnica ne trascendono lo stile.
Il meccanismo regolabile
brevettato sfrutta una duplice
fila di denti a spirale che
incanalano e convogliano
i grani di pepe, prima
rompendoli e poi macinandoli.
L’acciaio temperato garantisce
l’affidabilità e la durabilità
che hanno reso famosi questi
macinini. Nel 1850 la Peugeot
elesse come suo simbolo
il leone, le cui possenti
mandibole alludono alla forza
di un meccanismo praticamente
indistruttibile.
Sebbene molto simile agli oggetti
realizzati in Germania dal Bauhaus,
questo portatoast fu progettato
dal designer britannico Christopher
Dresser più di 40 anni prima
dell’apertura della scuola tedesca.
Agli albori del XX secolo il suo
lavoro fu esaltato dai modernisti,
ma anche se Dresser aveva spesso
disegnato oggetti dall’estetica
minimalista, ricorrendo a semplici
forme geometriche, egli non fu
mai fautore di uno stile particolare
di design o di una rigida dottrina.
Nei suoi oggetti d’argento si
concentrò su un uso parsimonioso
del materiale, lasciando disadorna
la maggior parte delle superfici.
Nel portatoast questa sua
economia stilistica è assai evidente:
dieci rebbi cilindrici conficcati
su un piatto oblungo. Quattro
ne fuoriescono per formare i piedi,
mentre i sei restanti sembrano
piantati come chiodi, dettaglio
probabilmente ispirato dai chiodi
a vista degli oggetti giapponesi di
metallo. Il manico a “T” è anch’esso
un motivo giapponese ripreso in
molti progetti di Dresser. Nel 1876
fu il primo designer europeo a
visitare il Giappone. Inizialmente
realizzato in argento dalla Hukin
& Heath, azienda britannica per la
quale Dresser aveva lavorato molti
anni, il pezzo è stato riproposto
da Alessi nel 1991 nella versione
in acciaio inox lucido.
6. 022 023
CAVATAPPI WAITER’S
FRIEND (1882)
Karlf F.A.Wienke
Vari fabbricanti,
dal 1882 a oggi
COLTELLI WÜSTHOF
CLASSIC (1886)
Ed Wüsthof
Dreizackwerk KG
Ed Wüsthof
Dreizackwerk KG,
dal 1886 a oggi
Brevettato a Rostock in Germania
nel 1882, il design originale del
modello di Karl F. A. Wienke
è rimasto pressoché immutato
da allora. Insuperabile per il suo
mix di semplicità, praticità e
prezzo abbordabile, il cavatappi
a leva singola è ancora prodotto in
serie in tutto il mondo. Il Waiter’s
o Butler’s Friend (l’“amico del
cameriere” o “del maggiordomo”)
fu così chiamato perché tascabile
(11,5 cm) e facilmente richiudibile.
Il modello originale prevedeva
una leva manuale in acciaio con
tre appendici retrattili: un coltello
per tagliare il sigillo di stagnola
sul tappo, un cavatappi a elica
in metallo e un perno per afferrare
l’orlo del collo della bottiglia.
Molte aziende tedesche
produssero il Waiter’s Friend,
tra cui Eduard Becker di Solingen.
Malgrado il successo di modelli
rivali, il cavatappi di Wienke
continua a incontrare il favore
di fini esperti di vino e dei
camerieri. Sul mercato è ormai
disponibile tutta una pletora
di cavatappi simili – dalle versioni
più economiche in acciaio
ai modelli più elaborati con manici
di plastica rigida Abs, lame
micro-seghettate in acciaio inox,
viti a cinque giri ricoperte
da teflon – ma tutti ricorrono
al design e alle funzioni
del modello brevettato da Wienke.
Il design del coltello Wüsthof
Classic è rimasto pressoché
immutato da quando apparve
per la prima volta nel 1886.
Disegnata e prodotta dalla
Wüsthof di Solingen in Germania,
la serie Classic è stata creata
sia per cuochi professionisti
sia per uso domestico ed è diffusa
in tutto il mondo. La bellezza
e il successo del suo design
sono dovuti all’abbinamento
di semplicità di forme e facilità
di uso, alti standard artigianali
ed elevata qualità dei materiali.
Lanciata agli inizi della
Rivoluzione Industriale,
la gamma di coltelli Wüsthof
Classic è forgiata con un sistema
particolare che evita che la lama
si allenti o si stacchi dal manico.
Il codolo, infatti, è visibile
nella sua interezza e dalla lama
arriva al centro del manico.
Non occorrono stampigliature,
saldature o giunti e si eliminano
così le criticità di forma e di
produzione del coltello.
La triplice caratteristica
rivettatura lungo il manico
costituisce un metodo semplice
per garantire una tenuta salda
e sicura delle tre parti che
lo compongono. I coltelli Wüsthof
Classic devono la loro duratura
popolarità alla natura minimale
e poco pretenziosa della forma
e dei materiali.
7. 026 027
COLTELLINO
DELL’ESERCITO
SVIZZERO (1891)
Karl Elsener (1860–1918)
Victorinox,
dal 1891 a oggi
Il famoso design di questo coltello
fu creato per i militari. La croce
elvetica campeggia oggi su un
utensile multifunzionale e di
qualità superiore. Karl Elsener
iniziò la sua attività come
coltellinaio e nel 1891 rifornì
l’esercito svizzero con il suo
primo ordine. In seguito fondò
l’Associazione dei maestri
coltellinai svizzeri, 25 in tutto,
per facilitare il processo produttivo
con la condivisione delle risorse.
Il coltello da soldato non riscosse
però il successo auspicato
e a Elsener rimasero pesanti debiti
da saldare. Senza darsi per vinto,
continuò a cercare di risolvere
il problema del peso e della
funzionalità limitata, e nel 1897
registrò un nuovo modello,
favorevolmente accolto sia
dall’esercito svizzero sia
dal mercato. Il coltello così
riprogettato aveva un profilo
più elegante di quello originale
e soltanto due molle per sei
utensili. Elsener diede alla sua
azienda in espansione il nome
di sua madre, Victoria, e nel 1921
aggiunse al marchio esistente la
dicitura internazionale dell’acciaio
inox: Victorinox. Oggi questo
marchio vanta un assortimento
di circa 100 prodotti che
condividono i medesimi ideali
originari di qualità del design
e funzionalità.
TAPPO MECCANICO
HUTTER (1893)
Karl Hutter
Vari fabbricanti,
dal 1893 circa a oggi
Inventato da Charles de Quillfeldt,
il tappo meccanico Lightning
Stopper rivoluzionò l’industria
dell’imbottigliamento della birra
e delle bibite gassate, che fino
ad allora in genere aveva utilizzato
tappi di sughero. Il primo tentativo
di creare un tappo per questo tipo
di bevande fu quello di Henry
William Putnam, che nel 1859
inventò una guarnizione di filo
metallico da fissare sulla sommità
del tappo per trattenerlo. Charles de
Quillfeldt aggiunse una guarnizione
di gomma attorno al tappo di
sughero, la quale, penetrando
nel collo, sigillava la bottiglia.
La più significativa miglioria al
brevetto originale di Quillfeldt arrivò
nel 1893, quando Karl Hutter ideò
un tappino in porcellana provvisto
di una guarnizione di gomma.
Oltre a essere estremamente facile
da aprire e chiudere, lo swing top
di Hutter permise di correggere
la forma delle bottiglie, alle quali
non serviva più un collo lungo
per proteggere il tappo di sughero.
Negli anni ’20, il Tappo Meccanico
Hutter era ormai stato superato
da quello a corona, un semplice
tappo metallico con un bordo
corrugato, ma aveva lasciato un
segno indelebile nell’immaginario
collettivo. Un modello di Tappo
Meccanico Hutter è ancora usato
dal fabbricante di birra olandese
Grolsch, che lo adottò nel 1897.
8. 028 029
SEDIA BLOEMENWERF
(1895)
Henry van de Velde
(1863-1957)
Société Henry
van de Velde,
dal 1895 al 1900
Van de Velde,
dal 1900 al 1903
Adelta, dal 2002 a oggi
Henry van de Velde fu deriso
quando nel 1895 inaugurò la sua
casa Bloemenwerf nel sobborgo
Uccle di Bruxelles. In verità,
essa esprimeva un nuovo ideale
di abitazione intesa come opera
d’arte integrata, che prefigurava
le imprese della Wiener Werkstätte
e costituiva un precoce segnale
dell’Art Nouveau. Finanziato
dalla ricca suocera, nei primi
anni ’90 dell’800 l’ex pittore
si rivolse alle arti decorative
e applicate. Il suo ideale
si scontrava sia con la bassa
qualità della produzione in serie,
sia con l’imperante tendenza
alle decorazioni superflue.
Il design dei suoi mobili era
dunque improntato a una
prospettiva razionale: la credenza
e l’elemento centrale del tavolo
da pranzo presentavano piastre
in ottone per evitare che i piatti
caldi ne segnassero le superfici.
Le sedie in faggio richiamavano
invece sensazioni di armonia
e comfort, in linea con il design
rustico inglese del XVIII secolo,
ma proponendo anche un balzo
verso la contemporaneità.
Fondata nel 1895, la Société
Henry van de Velde gli valse
una grande reputazione. La sedia
Bloemenwerf fu riesumata nel
2002, quando l’azienda tedesca
Adelta lanciò una serie di undici
riproduzioni Van de Velde.
GRAFFETTA (1899)
Johan Vaaler (1866-1910)
Vari fabbricanti,
dal 1899 a oggi
La graffetta è una di quelle
invenzioni a tecnologia zero
che dimostrano quanto le idee più
semplici siano spesso le migliori.
L’odierna graffetta è stata
affinata alle dimensioni ottimali
(un filo di metallo lungo 9,85 cm
del diametro di 0,08 cm), per
una giusta tensione tra solidità
e flessibilità. Opera del norvegese
Johan Valer, fu creata nel 1899.
Nel 1900 l’inventore americano
Cornelius Brosnan aveva
depositato un brevetto per il
modello Konaclip. Fu l’azienda
inglese Gem Manufacturing a
disegnare la prima graffetta a
forma di doppio ovale che
conosciamo: si differenzia
dall’originale di Vaaler perché
l’altro angolo arrotondato
protegge ulteriormente la carta
da possibili graffi del metallo.
In seguito proliferarono altri
modelli: “a forma di gufo”,
“ideale” (per un numero maggiore
di fogli di carta), “antiscivolo”…
La Norvegia è ancora oggi la casa
spirituale della graffetta e lo
dimostra un episodio storico:
durante la Seconda guerra
mondiale, quando le forze
di occupazione naziste vietarono
ai norvegesi di indossare qualsiasi
tipo di spilla che richiamasse
l’immagine del loro re, i norvegesi
iniziarono a portare a mo’ di spilla
proprio le graffette.
9. 032 033
SEDIA DALLO
SCHIENALE A SCALA
PER LA HILL HOUSE
(1902)
Charles Rennie
Mackintosh (1868–1928)
Cassina, dal 1973 a oggi
Charles Rennie Mackintosh è stato
uno dei più importanti protagonisti
inglesi del design del XX secolo.
Dopo essersi diplomato alla
Scuola d’Arte di Glasgow, si vide
commissionare dall’editore Walter
Blackie una casa (The Hill House)
a Helensburgh, in Scozia.
Blackie era rimasto affascinato
dall’approccio di Mackintosh,
secondo cui la progettazione di un
edificio andava affidata a un unico
designer, dall’architettura fino alle
posate e alle maniglie delle porte.
Fu per la camera da letto di Blackie
che Mackintosh ideò la Ladder
Back Chair (“Sedia dallo schienale
a scala”). Prendendo le distanze
dal naturalismo floreale dell’Art
Nouveau, Mackintosh adottò
una geometria astratta ispirata
ai motivi decorativi rettilinei
del design giapponese. Volendo
bilanciare gli opposti, disegnò
una struttura di legno di frassino
scuro come l’ebano in aperto
contrasto con il muro bianco
alle spalle. L’altezza della sedia,
apparentemente eccessiva,
era in realtà studiata apposta
per far risaltare le caratteristiche
spaziali della stanza.
Per Mackintosh, gli effetti visivi di
una struttura integrata contavano
più della qualità dell’esecuzione
artigianale e della genuinità
dei materiali propugnate dai suoi
contemporanei dell’Arts & Crafts.
LAMPADA FORTUNY
MODA (1903)
Mariano Fortuny
y Madrazo (1871-1949)
Pallucco Italia,
dal 1985 a oggi
Con questo progetto Mariano
Fortuny y Madrazo sperimentò
la lampadina elettrica di recente
invenzione. Talvolta accade che
tecnologia, scienza e materiali
si sposino con gli interessi e le
idee di un designer, dando vita
a un oggetto ingegnoso: è questo
il caso della Lampada Fortuny
Moda. Le intuizioni dell’artista
su come la luce potesse
trasformare il palcoscenico
lo portarono a esplorare
l’illuminazione indiretta degli
interni. Riflettendo la luce per
mezzo della stoffa, riuscì a creare
qualsiasi tipo di atmosfera.
Fortuny y Madrazo brevettò il suo
sistema di illuminazione indiretta
per il palcoscenico nel 1901,
per poi perfezionarlo e brevettare
nel 1903 la Fortuny Moda.
Fu probabilmente il treppiede
della macchina fotografica
a influenzare il disegno della
sua base, con la gamba centrale
regolabile e la testa rotante.
Il paralume, ribaltabile, è invece
una semplice inversione dei
paralumi tipici dell’epoca.
La genialità di Fortuny y Madrazo
sta tutta nella combinazione
di questi elementi in un’unica
forma sempre attuale. Da un
punto di vista concettuale, la
lampada era in anticipo sui tempi,
e ancora oggi colpisce per la sua
personalità assolutamente unica.
10. 040 041
POLTRONA KUBUS
(1910)
Josef Hoffmann
(1870-1956)
Franz Wittmann
Möbelwerkstätten,
dal 1973 a oggi
Guardando la Kubus si stenta
a credere che sia stata prodotta
prima del 1910, anno in cui fu
esposta a Buenos Aires. Il suo
designer, Josef Hoffmann, ebbe
un ruolo fondamentale nel dar
vita al Modernismo viennese:
co-fondò la Wiener Werkstätte
nel 1903 con l’intento di salvare
le arti decorative dalla svalutazione
estetica indotta dalla produzione
in serie. Hoffmann era stato
influenzato dall’idea di “opera
artistica integrale” di Otto
Wagner, secondo cui l’architetto
poteva essere coinvolto in tutti
gli aspetti del design. La poltrona
è un blocco di poliuretano fissato
a un telaio di legno e rivestito
in pelle nera. Il trapuntato quadrato,
regolare e austero, è la firma di
Hoffmann, la cui forma preferita
era appunto il cubo. La Wiener
Werkstätte intendeva portare un
buon design in ogni ambito della
vita quotidiana, pur scontrandosi
con il suo impegno per un design
realizzato interamente a mano
e con la sua vocazione alla
sperimentazione artistica.
I progetti si rivelarono per forza
di cose cari ed esclusivi, ma
anticiparono il Modernismo.
Nel 1969 la fondazione Josef
Hoffmann concesse alla Franz
Wittmann Möbelwerkstätten
il diritto esclusivo di rimettere
in produzione la Poltrona Kubus.
MOLLA FERMACARTE
(1911)
Louis E. Baltzley
(1895-1946)
LEB Manufacturing, 1911
Vari fabbricanti,
fino a oggi
La molla fermacarte, inventata
da Louis E. Baltzley nel 1911,
presenta un design semplice
ma originale, ideale per tenere
insieme fogli di carta non rilegati.
L’ispirazione per questo elegante
oggetto gli venne dal padre Edwin,
scrittore prolifico: il sistema in uso
all’epoca per tenere in ordine
i fogli manoscritti consisteva
nel praticarvi fori ai margini
e nel cucirli con ago e filo. In caso
di aggiunta o di rimozione di
qualche pagina, però, occorreva
rifare l’intera rilegatura.
Con la molla fermacarte Louis
trovò la soluzione perfetta
per ovviare a questo problema.
Sulla base nera, in metallo robusto
ma flessibile, fissò tramite
cerniere due stanghette mobili
di metallo. Ripiegate all’indietro,
le stanghette esercitano una forte
azione di leva che spalanca
la base, mentre una volta chiuse
sul davanti permettono
di mantenere saldamente fermi
i fogli di carta in essa inseriti.
Baltzley iniziò a produrre
il fermacarte nella sua azienda,
la LEB Manufacturing, e più tardi
ne concesse la licenza ad altre.
Tra il 1915 e il 1932 modificò
il design originale almeno cinque
volte, senza immaginare che
il suo fermacarte sarebbe stato
reperibile in tutti i posti di lavoro
ancora il millennio dopo.
11. 042 043
POLTRONA E DIVANO
CHESTER (1912)
Designer sconosciuto
Poltrona Frau, dal 1912
al 1960, dal 1962 a oggi
Vari fabbricanti,
dal 1912 a oggi
La Poltrona e il Divano Chester
si ispirano alle classiche poltrone
dei club inglesi e delle case di
campagna dell’età edoardiana.
Il loro design, scevro di qualsiasi
fronzolo o materiale superfluo,
si concentra sul tessuto, sulla
struttura e sulla realizzazione.
Il rivestimento in pelle si modula
in una serie di pieghe o plissé
sulle estremità dei braccioli
tondeggianti e sporgenti, per
creare il marchio di fabbrica della
linea, mentre lo schienale e i
braccioli impunturati a mano
danno vita al motivo Chesterfield
romboidale. Un sistema di
sospensioni con molle in acciaio,
collegate a strisce di juta, interviene
a formare la struttura e a plasmare
il rivestimento in crine di cavallo
sagomato a mano per un corretto
assorbimento del peso e una
ridotta mobilità della seduta.
Ne risulta un divano armonizzato
perfettamente con il corpo.
L’estrema attenzione portata
al dettaglio assicura da sempre
la perennità al design Chester:
ogni suo elemento – dalla solida
struttura in legno di faggio
stagionato ai cuscini di piuma
d’oca, alle pelli tagliate con la
lama del pellettiere – è creato
con amorevole artigianalità.
E così il Chester continua a essere
il modello di Poltrona Frau
più famoso al mondo.
SERVIZIO DI BICCHIERI
SERIE B (1912)
Josef Hoffmann
(1870-1956)
Lobmeyr, dal 1914 a oggi
Dal 1910, Hoffmann intrattenne
una lunga collaborazione con la
J&L Lobmeyr e l’azienda viennese,
insieme al suo direttore Stefan
Rath, si attestò come uno dei più
entusiasti sostenitori delle forme
austere del designer. La Serie B fu
tra i primi frutti di quella proficua
partnership e tuttora è prodotta.
Nella sua modernità e purezza di
forme, nel ricorso al bianco e nero,
il design di questo servizio
racchiude lo stile di Hoffmann e
della Wiener Werkstätte, fondata
nel 1903 dallo stesso designer
e da Koloman Moser come
cooperativa di arti applicate.
Al pari di altri design nati dal
tandem Hoffmann-Lobmeyr,
la Serie B è in cristallo soffiato,
decorata con bronzite nera e
smerigliata: questa tecnica,
messa a punto un paio di anni
prima in Boemia, permetteva
di rivestire il vetro con uno strato
di bronzite sul quale andava
in seguito applicato il motivo
a vernice. La parte eccedente
di bronzite non ricoperta dalla
vernice era poi rimossa con un
acido, al fine di conferire alla
decorazione una lucentezza
metallica. Lobmeyr godette
di altissima reputazione e i suoi
prodotti entrarono a far parte
già negli anni ’20 delle collezioni
del MoMA di New York e del V&A
di Londra.
12. 044 045
CERNIERA LAMPO
(1913)
Gideon Sundback
(1880-1954)
Hookless Fastener
(Talon), dal 1913 a oggi
Vari fabbricanti,
dagli anni ’30 del ’900
a oggi
La lampo fu inventata come
“chiusura a ganci” da Whitcomb
Judson: brevettato nel 1893,
questo sistema per allacciare
le scarpe comprendeva due file
parallele di gancetti metallici
dall’aspetto sgraziato; in seguito,
un immigrato svedese di nome
Gideon Sundback perfezionò il
design di Judson portando a dieci
il numero di “denti” per ogni inch
(2,54 cm) e ideando un metodo
per produrre in serie il suo
hookless fastener. Nel 1923
la BF Goodrich decise di integrare
la cerniera nelle sue galosce.
Un addetto al marketing della
stessa ditta suggerì di chiamare
la cerniera zipper, per la velocità
del suo utilizzo e per il rumore
che si faceva chiudendola.
La zip si fece così strada nel
campo dell’abbigliamento
a partire dagli anni ’30, dapprima
nei vestiti per bambini, e poi nei
pantaloni maschili, fino alla sua
odierna onnipresenza globale.
Di fatto, la zip è ormai ben più
di un semplice sistema per
allacciare un indumento.
Svariati capi di abbigliamento,
come quelli da motociclismo
o quelli punk degli anni ’70
di Malcolm McLaren e Vivienne
Westwood, sarebbero
inconcepibili senza le loro
numerose zip, per lo più
decorative.
LAPIS DIXON
TICONDEROGA (1913)
Dixon Ticonderoga
Dixon Ticonderoga,
dal 1913 a oggi
Nel 1860 la maggior parte
delle persone scriveva ancora
con penna e calamaio. Nel 1872
la Joseph Dixon Crucible Company
realizzava oltre 86 000 lapis
al giorno e nel 1892 ne aveva
già prodotti oltre 30 milioni.
Anche se non fu Dixon a
inventare il lapis, né a idearne
la tipica struttura ottagonale
in legno con cuore di grafite,
a questo versatile strumento
di scrittura, pulito e utile, viene
associato il suo nome perché
egli ne avviò la produzione in
serie, assicurandone al contempo
l’eccellente fattura. Joseph Dixon
(1799-1869), che aveva realizzato
i suoi primi lapis nel 1829, a fine
’800 era già diventato il leader
del settore. L’ingegnoso design
delle sue apparecchiature
includeva una macchina che
lavorava il legno sfornando 132
matite al minuto. L’elevata
qualità delle matite Dixon
ne garantisce lo status
di oggetto senza tempo.
Il nome “Ticonderoga”
fu aggiunto nel 1913 su una
ghiera in ottone (oggi in plastica
verde) con due strisce gialle,
divenute il marchio distintivo
del lapis che ancora oggi usiamo
comunemente.
13. 046 047
APRISCATOLE
ORIGINALE SIEGER
(1913)
Gustav Kracht
Sieger (ex August
Reutershan),
dal 1913 a oggi
L’Apriscatole Sieger è il perfetto
esempio di oggetto funzionale
che mantiene immutato
nel tempo il proprio fascino.
Da quando fu inventato nel 1913,
il Sieger – che in tedesco significa
“vincitore” – non è cambiato poi
di molto. Per aprire le scatolette
di latta prima della Prima guerra
mondiale si ricorreva a un utensile
sottile a forma di gancio. Il Sieger
trasformò radicalmente questa
operazione, diventando subito
popolare. Oggi il suo meccanismo,
una superficie lucida e nichelata,
prevede uno strato in plastica,
ma lama, ruote portanti e
dispositivo per sollevare i coperchi
sono in acciaio temperato.
L’utensile ha dimensioni ridotte:
15 cm di lunghezza, 5 di larghezza,
un manico largo appena 2,2 cm
per un peso di soli 86 grammi.
L’apriscatole divenne l’articolo
di punta dell’August Reutershan
Company, fondata nel 1864 a
Solingen, e al modello originale
presto se ne affiancarono di nuovi:
l’Eminent nel 1949, il Gigant
nel 1952, lo Zangen-Sieger
nel 1961, e nel 1964 Der große
Sieger, una versione da parete.
L’originale continua a essere
ancora oggi un best-seller
internazionale, tanto che
la August Reutershan ha deciso
di cambiare il proprio nome
in Sieger.
CASSETTA
STATUNITENSE
DELLA POSTA (1915)
Roy J. Joroleman
Post Office
Department,
dal 1915 a oggi
La Cassetta di Roy Joroleman
nacque per standardizzare la
consegna della posta nelle strade
rurali americane, iniziata nel 1896.
A quei tempi le cassette postali
erano fatte in casa, con recipienti
di fortuna fissati a un paletto.
Nel 1901 il Servizio Postale
degli Stati Uniti incaricò una
commissione di esaminare vari
progetti, e alla fine scelse
come standard di riferimento
la cassetta a tunnel di Roy
Jeroleman. Adottato nel 1915,
il progetto non venne brevettato
per incoraggiare la concorrenza.
Nel 1928 fu approvata una
cassetta più grande, la N. 2 Size
Box, in grado di alloggiare anche
pacchetti, e da allora entrambi
i modelli sono rimasti in
produzione. Il loro semplice
design non si discosta molto
da quello dei loro predecessori.
Pur aumentando di dimensioni
per alloggiare sia lettere sia
giornali, rimanevano infatti
contenitori di latta, anche se
presentavano un lato appiattito,
un’estremità apribile a cerniera
e l’asticella che segnalava la
presenza di posta in partenza
o in arrivo. Il design funzionale
permise di produrla a prezzi
competitivi. Nel mondo digitale
odierno, la cassetta della posta
a tunnel annuncia a buon diritto
i messaggi di posta elettronica.
14. 048 049
BORRACCIA LAKEN
CLÁSICA (1916)
Gregorio Montesinos
(1880-1943)
Laken, dal 1916 a oggi
Al primo posto nell’elenco
dell’attrezzatura necessaria
per una spedizione che si rispetti
c’è la Borraccia Laken. Il designer
spagnolo Gregorio Montesinos
aveva intuito le potenzialità
dell’alluminio (robustezza,
leggerezza e proprietà
antiossidanti) mentre lavorava
in Francia. Di ritorno in Spagna
nel 1912, fondò la Laken a Murcia
e iniziò a realizzare contenitori
d’acqua economici, in alternativa
alle pesanti borracce in ceramica
e vetro. Progettata per le forze
armate, la sua Clásica era fatta
al 99,7 % in alluminio puro.
Un rivestimento esterno
in feltro o cotone mantiene
fresca l’acqua, protegge
la bottiglia da possibili rotture
e può anche essere imbevuto
a sua volta, per raffreddare
ulteriormente l’acqua tramite
il processo di evaporazione.
Alta 18,5 cm, la Clásica è
disponibile in due formati,
quello con diametro 13,8 cm
e quello con diametro 8,2.
Resistente alle temperature
estreme, la borraccia Laken
ha accompagnato tante
spedizioni al Polo Nord,
in Antartide, nel Sahara e in
Amazzonia, ed è tuttora il
modello preferito dagli eserciti.
La Laken rimane l’azienda leader
del settore.
OROLOGIO DA POLSO
TANK (1917)
Louis Cartier (1875-1942)
Cartier, dal 1919 a oggi
La prima collezione di orologi
da polso Cartier risalente al 1885
era destinata esclusivamente
al mercato femminile. Tra gli
uomini l’oggetto riuscì ad
affermarsi soltanto durante
la Grande guerra, quando se ne
comprese l’inestimabile praticità:
che si fosse intenti a guidare
un’auto o a pilotare un aereo,
l’orologio da polso permetteva
di leggere l’ora quando sarebbe
stato impossibile estrarre
dal taschino la classica cipolla.
Di solito quest’ultima era
squadrata, smussata negli angoli,
oppure tonda, rettangolare,
esagonale o ottagonale.
Con la sua cassa rettangolare,
ispirata a quella dei blindati della
Prima guerra, visti dall’alto il Tank
rivoluzionò quel contesto.
I suoi lati rappresentano i cingoli
rigidi che, estendendosi oltre
la cassa, fungono da fibbia
alla quale attaccare il cinturino.
Il Tank, ideato nel 1917, fu lanciato
soltanto nel 1919, conquistando
un successo folgorante. Questo
modello continua a essere
prodotto ai giorni nostri, anche
se con un meccanismo al quarzo.
Per certi aspetti, il Tank è vittima
della sua stessa fama, giacché
detiene lo sfortunato primato
di orologio da polso più imitato
di tutti i tempi.
15. 052 053
CARAFFA N. 432 (1920)
Johan Rohde (1856-1935)
Georg Jensen,
dal 1925 a oggi
Dopo aver commissionato
alcuni oggetti per uso personale
all’argentiere Georg Jensen
di Copenaghen, il pittore
e litografo Johan Rohde si vide
da lui assumere a tempo pieno
in veste di designer. Iniziata
nel 1906, la collaborazione fra
i due artisti portò alla creazione
di diversi pezzi d’argento di ottima
fattura, spesso caratterizzati
da linee curve. Se i servizi da tè,
le ciotole e i candelieri disegnati
da Rohde erano decorati con
intricati motivi di fiori, frutta
e animali, la sorprendente
semplicità e il design funzionale
della Caraffa N. 432, del 1920,
annunciavano invece l’avvento
dello stile essenziale e sobrio
degli anni ’30, tanto che, ritenuta
troppo all’avanguardia per piacere
alla clientela, essa entrò
in produzione soltanto nel 1925.
Originariamente in argento,
nelle versioni successive il manico
applicato era d’avorio, per un
lusso maggiore. Soltanto poche
manifatture di argentieri danesi
– tra cui l’eccezionale laboratorio
di Georg Jensen – si sforzarono
di mantenere alta la tradizione
artigianale. Ancora oggi, molti
progetti firmati da Rohde
continuano a essere prodotti
dalla Georg Jensen, che dal 1985
appartiene alla Royal
Copenhagen.
FIASCHETTA DA
WHISKY (ANNI ’20)
Designer sconosciuto
Vari fabbricanti,
dagli anni ’20 a oggi
Le fiaschette per contenere
whisky o liquori erano accessori
popolari fin dal XVIII secolo,
ma le trasformazioni del tessuto
sociale negli anni ’20 e l’avvento
del Proibizionismo negli Stati Uniti
ne mutarono e ampliarono
l’utilizzo. Prima di allora, erano
solitamente d’argento, ideate
per essere portate in tasca
e tenute con una mano sola.
La maggior parte era dotata
di un tappo a cerniera con sistema
di chiusura a baionetta, mentre
altre avevano un bicchierino
rimovibile o un tappo svitabile
assicurato a una catenella.
Le dimensioni variavano da 0,03
a 1,14 litri, e le forme si adattavano
ai contorni del corpo. Per lo più
erano relativamente disadorne
ma, a seconda degli stili
dell’epoca, alcune presentavano
incisioni o forme che ritraevano
animali o oggetti particolari.
Tali fiaschette sono le più
ricercate dagli odierni collezionisti.
La versione più in voga negli
anni ’20 era un modello sottile
che poteva essere fatto scivolare
con discrezione nella tasca
posteriore dei calzoni o nella
borsetta, o addirittura fissato alla
giarrettiera. Grazie alla semplicità
di realizzazione, la Fiaschetta
da tasca da due pezzi con tappo
svitabile divenne ben presto
un elegante standard.