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L’IO NON È PADRONE IN CASA
          PROPRIA

     Breve dramma in un solo atto
Dentro un’aula di tribunale. Il giudice apre il processo
battendo il martello

-GIUDICE:
“Siamo qui riuniti per celebrare il processo contro Ego
Dell’omo responsabile, a quanto risulta dall’accusa, di
omicidio del padre Genesio e della madre Norma. La parola
all’accusa per spiegarci il movente del duplice delitto e
produrre le prove del reato compiuto.”
-ACCUSA:
“Grazie Vostro Onore! Signori e signore qui presenti, vi
prego di guardare in volto l’imputato. Guardatelo bene, ma
non fatevi trarre in inganno. Dietro quel viso apparentemente
normale, quei lineamenti regolari, in cui ognuno potrebbe
riconoscersi o riconoscere una persona perbene, si cela una
personalità malata e pericolosa, capace di atti orrendi come
l’uccisione del padre e della madre, un padre e una madre
devoti che lo hanno allevato prendendosi amorevolmente
cura di lui, provvedendo ai suoi bisogni. Il loro unico
“difetto”, se lo vogliamo chiamare così, è stato quello di non
essersi piegati ai capricci di un figlio sempre più esigente,
che tiranneggiava la sua famiglia con le sue richieste sempre
più insistenti e irragionevoli. Questo individuo, infatti,
pretendeva di vivere una vita nell’eccesso, contando, allo
stesso tempo, sulla comprensione e sull’appoggio della sua
famiglia. Da questa semplice ragione è nato quel conflitto
insanabile che ha portato all’esito fatale: l’assassinio del
padre e della madre da parte dell’imputato!”
-GIUDICE:
“La parola alla difesa!”
-DIFESA:
“Signore e signori, l’accusa vi ha invitato a guardare bene in
faccia l’imputato. Lo farò anche io, ma per dirvi che in quel
viso forse vi potrete riconoscere perché siete uomini e donne
che hanno vissuto storie simili a quella dell’imputato, anche
se la forza delle vostre passioni forse era differente e anche
l’esito della storia, per vostra fortuna, è stato differente (in
aula si rumoreggia). Certo, capisco che si cerchi di non
vedere il proprio volto riflesso in quello di colui che
giudichiamo un assassino. Se, però, ascolterete senza
pregiudizi, oltre a riconoscervi nel suo viso, vi potrete
riconoscere anche nella sua storia. Per questo ora lascio la
parola all’imputato!”
-IMPUTATO:
“Signori e signore, Vostro Onore, in questo volto, prima di
tutto, vedrete i lineamenti induriti dalla sofferenza, una
maschera scolpita nella pietra. Sono i segni visibili di quella
anestesia dell’anima che in genere chiamiamo depressione. Il
mio temperamento, fin dall’infanzia, è stato incline alla
malinconia, quasi presagisse il suo destino…
Sono cresciuto, un po’ come tutti, cercando di soddisfare le
aspettative dei propri genitori e di plasmarmi sui loro
desideri. Per quanto facessi, però, la mia sensazione era,
comunque, di essere al di sotto delle loro aspettative,
inadeguato. Inconsapevolmente, almeno credo, ho maturato
questa malsana convinzione: se non sono abbastanza “bravo,
buono e bello” per essere amato così come sono, proverò ad
essere un figlio “perfetto”. Fu così che imboccai la strada
della finzione e della sofferenza. Purtroppo, o per fortuna, la
perfezione non è nelle possibilità dell’uomo, ma solo una
fantasia che cerca di compensare la percezione della propria
fragilità. La messa in scena del “figlio perfetto” era
costantemente minacciata di naufragio: un normale
insuccesso era sufficiente per mandare all’aria la finzione e
far cadere la maschera. La fragilità, allora, rimaneva nuda e
subentrava l’aggressività, con cui cercavo di conquistare
l’altro, non più con la seduzione della “perfezione”, ma con il
potere della rabbia. Questo tentativo era condannato allo
scacco: il mio bisogno d’amore respingeva gli altri…E allora,
nel vuoto della solitudine, l’aggressività si rivolgeva contro
di me. Così, il pendolo della mia vita ha preso ad oscillare tra
onnipotenza e impotenza, tra eccitazione ed apatia, incapace
di rispondere alla fondamentale domanda “Perché nella mia
vita non c’è amore?”
GIUDICE:
“Mi sembra si stia dilungando troppo nel racconto della
cornice dei fatti, venga al punto. Ha ucciso o no i suoi
genitori?”
IMPUTATO:
“Vede giudice, non sto tergiversando, sto cercando
faticosamente di spiegare le mie ragioni…”
GIUDICE:
“Questo, però, non è un confessionale! Noi giudichiamo solo
i fatti…”
DIFESA:
“Mi oppongo Vostro Onore, l’imputato deve sentirsi libero di
sviluppare il proprio racconto come ritiene più opportuno.
Possiamo forse conoscere il motivo delle nostre azioni,
tracciando una linea netta tra il sentire e i comportamenti che
ne conseguono?”
GIUDICE:
“Obbiezione accolta! L’imputato continui con la sua
deposizione.”
IMPUTATO:
“Mi creda, non ho intenzione di mentire. Anzi, il motivo
della mia tragedia deriva proprio dalla volontà di uscire dalla
finzione.”
GIUDICE:
“Cosa intende dire?”
 IMPUTATO:
“Intendo dire che io, come tanti, ho iniziato presto a
“recitare” la mia vita seguendo un copione scritto da altri. È
un copione che si costruisce con il gioco delle
aspettative…L’altro si aspetta che tu ti comporti in un certo
modo e se non lo fai otterrai la sua disapprovazione; così se
tu vuoi vivere in pace e amato da tutti dovrai iniziare a
recitare una parte, quella parte che gli altri hanno scelto per
te. I problemi nascono se provi ad uscire dal gioco, provi ad
essere te stesso, ad esprimere i tuoi desideri e a dargli
forma…”
ACCUSA:
“Vostro Onore, l’imputato ci sta portando in lungo e in largo
nei meandri della sua anima perversa, senza affrontare il
punto. È tempo che risponda in modo chiaro e diretto alla
domanda: Signor Ego Dell’Omo ha ucciso suo padre e sua
madre?”
GIUDICE:
“Accolgo l’obbiezione dell’accusa. Imputato risponda alla
domanda che gli è stata rivolta.”
IMPUTATO:
“Si! Ho ucciso i miei genitori, ma per legittima difesa!”
Espressioni di sorpresa e di disapprovazione in aula.
GIUDICE:
“Se ho capito bene, lei ammette di aver compiuto il reato, ma
cerca di giustificarlo con la legittima difesa. Vuole forse
ottenere uno sconto di pena?”
IMPUTATO:
“No, purtroppo, io la pena la sto già scontando ed è la pena
che infligge la colpa! Vede, Vostro Onore, al capolinea della
depressione ci sono solo due possibilità: o morire per mano
del genitore o ucciderlo. Una parte di me ha scelto la seconda
strada!”
GIUDICE:
“Di cosa parla? Vuole forse dire che due poveri vecchi erano
per lei così pericolosi da temere per la propria vita?”
IMPUTATO:
“Si, in un certo senso la scelta era tra me e loro, una scelta
dolorosa: vivere la mia vita per come la sentivo o vivere la
vita per come loro volevano che fosse! In ogni caso questa
scelta avrebbe comportato la perdita di qualcosa
d’importante, anzi un prezzo altissimo: la mia vita o l’affetto
dei miei genitori! ”
GIUDICE:
“Vuole spiegarci cosa intende?”
IMPUTATO:
“Ho già ammesso la mia colpa e non imploro il perdono.
Proverò, quindi, solo a spiegare cosa è successo davvero!”
GIUDICE:
“Continui, ma la prego di parlarci di fatti, noi giudichiamo
solo i fatti!”
DIFESA:
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punto di vista, dirci quali passioni o motivi lo hanno spinto ad
agire. Solo dopo potrete giudicare con cognizione di causa!”
GIUDICE:
“Obbiezione legittima. Dal momento che l’imputato mostra
di voler collaborare alla ricostruzione dei fatti, la corte decide
di lasciare all’imputato lo spazio necessario per discutere le
sue motivazioni!”
IMPUTATO:
“In primo luogo, vorrei dire che chi vi parla è, almeno in
parte, innocente… (in aula si sente un crescente vociare)
Colui che ha ucciso i miei genitori lo conosco, è un mio
coinquilino: sapete la nostra casa ha diversi appartamenti e
lui occupa uno di questi. Sarà lui, se volete, a raccontarvi
come sono andate le cose. Io in un certo senso sono stato solo
un testimone!”
Il giudice confuso e spazientito per le dichiarazioni
dell’imputato.
GIUDICE:
“Il suo dire e non dire mette a dura prova i miei nervi! Lei se
ho capito bene sta chiamando in causa, per i reati commessi,
il suo coinquilino? È per caso qui tra il pubblico?”
IMPUTATO:
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GIUDICE:
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testimoni.
GIUDICE:
“La prego di dirci innanzitutto le sue generalità, in quali
rapporti si trova con l’imputato e il grado del suo
coinvolgimento nelle tristi vicende che siamo chiamati a
giudicare.”
COIMPUTATO:
“Signori e signore, mi chiamo Eros Dell’omo e ho sempre
abitato nella stessa casa di Ego Dell’omo. Per questo conosco
l’imputato da una vita, anche se lui, da un certo momento in
poi, ha iniziato ad evitarmi. Da bambini, fino all’adolescenza,
eravamo sempre insieme: ridevamo come pazzi… Poi giorno
dopo giorno ha iniziato a prendere le distanze, diventando
freddo e distaccato, come se si stesse trasformando in
qualcuno che non riconoscevo più. Ero disperato nel vederlo
cambiare così, come se il mio amico del cuore, quello con cui
ridevo, con cui piangevo, con cui tremavo, fosse morto. Non
mi rassegnavo, ma non sapevo neanche dove e come trovare
un perché di quanto accadeva.
Poi, un giorno, parlando con il padre Genesio, iniziai a
capire: “Da quando ti frequenta il mio ragazzo ha iniziato a
prendere una cattiva strada, in giro tutto il giorno a perdere
tempo, a fare strani discorsi. La tua amicizia è malsana per
Ego. Non aggiungo altro... Se vuoi che le cose non vadano a
finir male, non farti più vedere!” Era evidentemente una
minaccia… Provai a chiedergli spiegazioni, ma non ci fu
verso di sapere qualcosa di più. Io ed Ego Dell’omo stavamo
spesso insieme, magari solo ad ascoltare musica e a bere
qualcosa. Certe volte, quando si faceva tardi, capitava che
rimanesse a dormire nel mio appartamento. Insomma, cose
normali per ragazzi della nostra età. Il padre, evidentemente,
tutto questo non lo tollerava. In verità, non solo il
padre…sicuramente anche la madre non vedeva di buon
occhio la nostra amicizia: mi guardava sempre in modo
strano, come per cercare di leggere in fondo alla mia anima e
trovare conferme a chissà quale sospetto.
Così ho iniziato ad odiarli: loro erano l’ostacolo per la nostra
amicizia! Giorno dopo giorno il mio odio diventava sempre
più freddo e calcolato, fingevo la solita cordialità, ma in
realtà pensavo solo a come sbarazzarmi di loro…”
GIUDICE:
“Intende dire che progettava il loro omicidio?”
COIMPUTATO:
“Si, più o meno è così!”
(Rumori dall’aula)
GIUDICE:
“Silenzio, per favore! Facciamo parlare il teste!”
COIMPUTATO:
“L’idea di eliminare questo intralcio al nostro rapporto
diventò un chiodo fisso. Un giorno presi coraggio e ne parlai
anche a lui che, in un primo tempo, ebbe una reazione
rabbiosa: “Sei pazzo! Ti rendi conto di cosa mi stai
chiedendo di fare?”. Si, certo, mi rendevo conto, così come
mi rendevo conto che quei genitori giorno dopo giorno
stavano annullando la vitalità del mio amico, piegandolo ai
loro desideri, sacrificandolo in nome del loro ideale di figlio:
dottore in legge, sposato con una brava donna, tanti figli…”
GIUDICE:
“Mi sembra che queste aspettative verso i figli siano piuttosto
comuni. La natura del vostro rapporto, però, mi sembra
eccedere la semplice amicizia. Vuole chiarire meglio questo
punto?”
COIMPUTATO:
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GIUDICE:
“Provo ad essere più esplicito: la natura dei suoi sentimenti
verso l’imputato mi sembra eccedere la semplice amicizia e
sconfinare nell’amore morboso, nell’omosessualità!”
COIMPUTATO:
“Non vorrei sconvolgere le categorie con cui dà ordine al
mondo, ma entrambi abbiamo abitualmente rapporti sessuali
con donne!”
GIUDICE:
“Lasciamo allora da parte le categorie e vediamo di
ricostruire quanto ha affermato davanti a questa corte. Lei ha
detto di frequentare da sempre l’imputato e di avere stretto
con lui una relazione di tale intensità che, di fronte
all’ostacolo rappresentato dai genitori dell’imputato, non ha
esitato a pianificare un omicidio.”
COIMPUTATO:
“Si, questa ricostruzione risponde al vero. La nostra amicizia
era talmente forte che io non riuscivo a sopportare il distacco
imposto dai suoi genitori!”
ACCUSA:
“Il quadro ora è chiaro. I due avevano un rapporto
omosessuale morboso che i genitori cercavano di contrastare.
Questo è il motivo per cui questi pervertiti hanno architettato
il loro piano criminale. Ora che è chiaro il movente, chiedo ai
due imputati di non esitare oltre nella ricostruzione dei fatti!”
GIUDICE:
“Accolgo le osservazioni dell’accusa. Perciò invito gli
imputati a ricostruire nel dettaglio i fatti riguardanti
l’assassinio dei due poveri malcapitati. Ego Dell’omo può
confermare quanto detto da Eros Dell’Omo?”
(con qualche titubanza)
IMPUTATO:
“È difficile spiegare…Il mio rapporto con Eros è sempre
stato ambivalente: da una parte, ero attratto da lui, mi portava
verso una dimensione della vita fatta di desideri, passioni
forti; ma, allo stesso tempo, lo temevo così come si teme il
mare in tempesta. Temevo di perdermi, con lui, nelle correnti
incontrollabili della vita… Così, pian piano, ho cercato di
mettere sempre più distanza tra noi, di assecondare il volere
dei miei genitori, mettendo in scena il copione del “figlio
perfetto”. Allontanarmi da lui significava mettere a tacere le
mie paure, ma anche chiudersi al mondo, quella chiusura che
è all’origine dell’ anestesia dell’anima di cui vi ho già
parlato. Il giorno in cui venne a parlarmi del suo piano per
uccidere i miei genitori, in un primo momento ebbi una
reazione rabbiosa e lo cacciai via. Ma le sue parole
echeggiavano nella mia mente come il canto delle sirene: non
riuscivo a farle tacere. Alla fine, dopo un incontro
tempestoso, decidemmo il piano d’azione: a notte inoltrata,
avrei aperto la porta d’ingresso, Eros sarebbe arrivato e
insieme avremmo sorpreso i miei genitori nel sonno, facendo
ricadere poi le colpe su qualche malvivente…Le cose più o
meno andarono così, anche se io al momento di infliggere i
colpi mortali... (scoppia a piangere)”
GIUDICE:
“Lei Eros Dell’omo concorda con la versione dei fatti fornita
da Ego Dell’omo?”
COIMPUTATO:
“Si! Quello che dice Ego Dell’omo risponde al vero. Al
momento dell’azione lui sbiancò in viso, accasciandosi al
suolo impotente. Fui io ad infliggere i colpi mortali!”


Il pubblico sorpreso rumoreggia. Alcuni si alzano in piedi
urlando “Assassino, assassino!”.


GIUDICE:
“Con l’ammissione delle vostre colpe il processo è arrivato al
termine. La Corte dichiara Eros Dell’omo colpevole di
omicidio doloso: dovrà scontare una pena di trenta anni di
carcere. Ego Dell’omo è colpevole, invece, di omicidio
colposo e dovrà scontare una pena di cinque anni di
carcere!La seduta è tolta.”


Il giudice batte il suo martello.

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L’io non è padrone in casa propria

  • 1. L’IO NON È PADRONE IN CASA PROPRIA Breve dramma in un solo atto
  • 2. Dentro un’aula di tribunale. Il giudice apre il processo battendo il martello -GIUDICE: “Siamo qui riuniti per celebrare il processo contro Ego Dell’omo responsabile, a quanto risulta dall’accusa, di omicidio del padre Genesio e della madre Norma. La parola all’accusa per spiegarci il movente del duplice delitto e produrre le prove del reato compiuto.” -ACCUSA: “Grazie Vostro Onore! Signori e signore qui presenti, vi prego di guardare in volto l’imputato. Guardatelo bene, ma non fatevi trarre in inganno. Dietro quel viso apparentemente normale, quei lineamenti regolari, in cui ognuno potrebbe riconoscersi o riconoscere una persona perbene, si cela una personalità malata e pericolosa, capace di atti orrendi come l’uccisione del padre e della madre, un padre e una madre devoti che lo hanno allevato prendendosi amorevolmente cura di lui, provvedendo ai suoi bisogni. Il loro unico “difetto”, se lo vogliamo chiamare così, è stato quello di non essersi piegati ai capricci di un figlio sempre più esigente, che tiranneggiava la sua famiglia con le sue richieste sempre più insistenti e irragionevoli. Questo individuo, infatti, pretendeva di vivere una vita nell’eccesso, contando, allo stesso tempo, sulla comprensione e sull’appoggio della sua famiglia. Da questa semplice ragione è nato quel conflitto insanabile che ha portato all’esito fatale: l’assassinio del padre e della madre da parte dell’imputato!”
  • 3. -GIUDICE: “La parola alla difesa!” -DIFESA: “Signore e signori, l’accusa vi ha invitato a guardare bene in faccia l’imputato. Lo farò anche io, ma per dirvi che in quel viso forse vi potrete riconoscere perché siete uomini e donne che hanno vissuto storie simili a quella dell’imputato, anche se la forza delle vostre passioni forse era differente e anche l’esito della storia, per vostra fortuna, è stato differente (in aula si rumoreggia). Certo, capisco che si cerchi di non vedere il proprio volto riflesso in quello di colui che giudichiamo un assassino. Se, però, ascolterete senza pregiudizi, oltre a riconoscervi nel suo viso, vi potrete riconoscere anche nella sua storia. Per questo ora lascio la parola all’imputato!” -IMPUTATO: “Signori e signore, Vostro Onore, in questo volto, prima di tutto, vedrete i lineamenti induriti dalla sofferenza, una maschera scolpita nella pietra. Sono i segni visibili di quella anestesia dell’anima che in genere chiamiamo depressione. Il mio temperamento, fin dall’infanzia, è stato incline alla malinconia, quasi presagisse il suo destino… Sono cresciuto, un po’ come tutti, cercando di soddisfare le aspettative dei propri genitori e di plasmarmi sui loro desideri. Per quanto facessi, però, la mia sensazione era, comunque, di essere al di sotto delle loro aspettative, inadeguato. Inconsapevolmente, almeno credo, ho maturato questa malsana convinzione: se non sono abbastanza “bravo,
  • 4. buono e bello” per essere amato così come sono, proverò ad essere un figlio “perfetto”. Fu così che imboccai la strada della finzione e della sofferenza. Purtroppo, o per fortuna, la perfezione non è nelle possibilità dell’uomo, ma solo una fantasia che cerca di compensare la percezione della propria fragilità. La messa in scena del “figlio perfetto” era costantemente minacciata di naufragio: un normale insuccesso era sufficiente per mandare all’aria la finzione e far cadere la maschera. La fragilità, allora, rimaneva nuda e subentrava l’aggressività, con cui cercavo di conquistare l’altro, non più con la seduzione della “perfezione”, ma con il potere della rabbia. Questo tentativo era condannato allo scacco: il mio bisogno d’amore respingeva gli altri…E allora, nel vuoto della solitudine, l’aggressività si rivolgeva contro di me. Così, il pendolo della mia vita ha preso ad oscillare tra onnipotenza e impotenza, tra eccitazione ed apatia, incapace di rispondere alla fondamentale domanda “Perché nella mia vita non c’è amore?” GIUDICE: “Mi sembra si stia dilungando troppo nel racconto della cornice dei fatti, venga al punto. Ha ucciso o no i suoi genitori?” IMPUTATO: “Vede giudice, non sto tergiversando, sto cercando faticosamente di spiegare le mie ragioni…”
  • 5. GIUDICE: “Questo, però, non è un confessionale! Noi giudichiamo solo i fatti…” DIFESA: “Mi oppongo Vostro Onore, l’imputato deve sentirsi libero di sviluppare il proprio racconto come ritiene più opportuno. Possiamo forse conoscere il motivo delle nostre azioni, tracciando una linea netta tra il sentire e i comportamenti che ne conseguono?” GIUDICE: “Obbiezione accolta! L’imputato continui con la sua deposizione.” IMPUTATO: “Mi creda, non ho intenzione di mentire. Anzi, il motivo della mia tragedia deriva proprio dalla volontà di uscire dalla finzione.” GIUDICE: “Cosa intende dire?” IMPUTATO: “Intendo dire che io, come tanti, ho iniziato presto a “recitare” la mia vita seguendo un copione scritto da altri. È un copione che si costruisce con il gioco delle aspettative…L’altro si aspetta che tu ti comporti in un certo modo e se non lo fai otterrai la sua disapprovazione; così se tu vuoi vivere in pace e amato da tutti dovrai iniziare a recitare una parte, quella parte che gli altri hanno scelto per te. I problemi nascono se provi ad uscire dal gioco, provi ad
  • 6. essere te stesso, ad esprimere i tuoi desideri e a dargli forma…” ACCUSA: “Vostro Onore, l’imputato ci sta portando in lungo e in largo nei meandri della sua anima perversa, senza affrontare il punto. È tempo che risponda in modo chiaro e diretto alla domanda: Signor Ego Dell’Omo ha ucciso suo padre e sua madre?” GIUDICE: “Accolgo l’obbiezione dell’accusa. Imputato risponda alla domanda che gli è stata rivolta.” IMPUTATO: “Si! Ho ucciso i miei genitori, ma per legittima difesa!” Espressioni di sorpresa e di disapprovazione in aula. GIUDICE: “Se ho capito bene, lei ammette di aver compiuto il reato, ma cerca di giustificarlo con la legittima difesa. Vuole forse ottenere uno sconto di pena?” IMPUTATO: “No, purtroppo, io la pena la sto già scontando ed è la pena che infligge la colpa! Vede, Vostro Onore, al capolinea della depressione ci sono solo due possibilità: o morire per mano del genitore o ucciderlo. Una parte di me ha scelto la seconda strada!” GIUDICE: “Di cosa parla? Vuole forse dire che due poveri vecchi erano per lei così pericolosi da temere per la propria vita?”
  • 7. IMPUTATO: “Si, in un certo senso la scelta era tra me e loro, una scelta dolorosa: vivere la mia vita per come la sentivo o vivere la vita per come loro volevano che fosse! In ogni caso questa scelta avrebbe comportato la perdita di qualcosa d’importante, anzi un prezzo altissimo: la mia vita o l’affetto dei miei genitori! ” GIUDICE: “Vuole spiegarci cosa intende?” IMPUTATO: “Ho già ammesso la mia colpa e non imploro il perdono. Proverò, quindi, solo a spiegare cosa è successo davvero!” GIUDICE: “Continui, ma la prego di parlarci di fatti, noi giudichiamo solo i fatti!” DIFESA: “Vostro Onore. Chiedo che all’imputato venga lasciato tutto lo spazio di cui ha bisogno, per raccontarci le vicende dal suo punto di vista, dirci quali passioni o motivi lo hanno spinto ad agire. Solo dopo potrete giudicare con cognizione di causa!” GIUDICE: “Obbiezione legittima. Dal momento che l’imputato mostra di voler collaborare alla ricostruzione dei fatti, la corte decide di lasciare all’imputato lo spazio necessario per discutere le sue motivazioni!” IMPUTATO: “In primo luogo, vorrei dire che chi vi parla è, almeno in parte, innocente… (in aula si sente un crescente vociare)
  • 8. Colui che ha ucciso i miei genitori lo conosco, è un mio coinquilino: sapete la nostra casa ha diversi appartamenti e lui occupa uno di questi. Sarà lui, se volete, a raccontarvi come sono andate le cose. Io in un certo senso sono stato solo un testimone!” Il giudice confuso e spazientito per le dichiarazioni dell’imputato. GIUDICE: “Il suo dire e non dire mette a dura prova i miei nervi! Lei se ho capito bene sta chiamando in causa, per i reati commessi, il suo coinquilino? È per caso qui tra il pubblico?” IMPUTATO: “Si è seduto lì!” GIUDICE: “La prego si avvicini per fare la sua deposizione!” La persona interpellata si alza e va a sedersi nel banco dei testimoni. GIUDICE: “La prego di dirci innanzitutto le sue generalità, in quali rapporti si trova con l’imputato e il grado del suo coinvolgimento nelle tristi vicende che siamo chiamati a giudicare.” COIMPUTATO: “Signori e signore, mi chiamo Eros Dell’omo e ho sempre abitato nella stessa casa di Ego Dell’omo. Per questo conosco l’imputato da una vita, anche se lui, da un certo momento in poi, ha iniziato ad evitarmi. Da bambini, fino all’adolescenza, eravamo sempre insieme: ridevamo come pazzi… Poi giorno
  • 9. dopo giorno ha iniziato a prendere le distanze, diventando freddo e distaccato, come se si stesse trasformando in qualcuno che non riconoscevo più. Ero disperato nel vederlo cambiare così, come se il mio amico del cuore, quello con cui ridevo, con cui piangevo, con cui tremavo, fosse morto. Non mi rassegnavo, ma non sapevo neanche dove e come trovare un perché di quanto accadeva. Poi, un giorno, parlando con il padre Genesio, iniziai a capire: “Da quando ti frequenta il mio ragazzo ha iniziato a prendere una cattiva strada, in giro tutto il giorno a perdere tempo, a fare strani discorsi. La tua amicizia è malsana per Ego. Non aggiungo altro... Se vuoi che le cose non vadano a finir male, non farti più vedere!” Era evidentemente una minaccia… Provai a chiedergli spiegazioni, ma non ci fu verso di sapere qualcosa di più. Io ed Ego Dell’omo stavamo spesso insieme, magari solo ad ascoltare musica e a bere qualcosa. Certe volte, quando si faceva tardi, capitava che rimanesse a dormire nel mio appartamento. Insomma, cose normali per ragazzi della nostra età. Il padre, evidentemente, tutto questo non lo tollerava. In verità, non solo il padre…sicuramente anche la madre non vedeva di buon occhio la nostra amicizia: mi guardava sempre in modo strano, come per cercare di leggere in fondo alla mia anima e trovare conferme a chissà quale sospetto. Così ho iniziato ad odiarli: loro erano l’ostacolo per la nostra amicizia! Giorno dopo giorno il mio odio diventava sempre più freddo e calcolato, fingevo la solita cordialità, ma in realtà pensavo solo a come sbarazzarmi di loro…”
  • 10. GIUDICE: “Intende dire che progettava il loro omicidio?” COIMPUTATO: “Si, più o meno è così!” (Rumori dall’aula) GIUDICE: “Silenzio, per favore! Facciamo parlare il teste!” COIMPUTATO: “L’idea di eliminare questo intralcio al nostro rapporto diventò un chiodo fisso. Un giorno presi coraggio e ne parlai anche a lui che, in un primo tempo, ebbe una reazione rabbiosa: “Sei pazzo! Ti rendi conto di cosa mi stai chiedendo di fare?”. Si, certo, mi rendevo conto, così come mi rendevo conto che quei genitori giorno dopo giorno stavano annullando la vitalità del mio amico, piegandolo ai loro desideri, sacrificandolo in nome del loro ideale di figlio: dottore in legge, sposato con una brava donna, tanti figli…” GIUDICE: “Mi sembra che queste aspettative verso i figli siano piuttosto comuni. La natura del vostro rapporto, però, mi sembra eccedere la semplice amicizia. Vuole chiarire meglio questo punto?” COIMPUTATO: “Cosa sta insinuando?”
  • 11. GIUDICE: “Provo ad essere più esplicito: la natura dei suoi sentimenti verso l’imputato mi sembra eccedere la semplice amicizia e sconfinare nell’amore morboso, nell’omosessualità!” COIMPUTATO: “Non vorrei sconvolgere le categorie con cui dà ordine al mondo, ma entrambi abbiamo abitualmente rapporti sessuali con donne!” GIUDICE: “Lasciamo allora da parte le categorie e vediamo di ricostruire quanto ha affermato davanti a questa corte. Lei ha detto di frequentare da sempre l’imputato e di avere stretto con lui una relazione di tale intensità che, di fronte all’ostacolo rappresentato dai genitori dell’imputato, non ha esitato a pianificare un omicidio.” COIMPUTATO: “Si, questa ricostruzione risponde al vero. La nostra amicizia era talmente forte che io non riuscivo a sopportare il distacco imposto dai suoi genitori!” ACCUSA: “Il quadro ora è chiaro. I due avevano un rapporto omosessuale morboso che i genitori cercavano di contrastare. Questo è il motivo per cui questi pervertiti hanno architettato il loro piano criminale. Ora che è chiaro il movente, chiedo ai due imputati di non esitare oltre nella ricostruzione dei fatti!” GIUDICE: “Accolgo le osservazioni dell’accusa. Perciò invito gli imputati a ricostruire nel dettaglio i fatti riguardanti
  • 12. l’assassinio dei due poveri malcapitati. Ego Dell’omo può confermare quanto detto da Eros Dell’Omo?” (con qualche titubanza) IMPUTATO: “È difficile spiegare…Il mio rapporto con Eros è sempre stato ambivalente: da una parte, ero attratto da lui, mi portava verso una dimensione della vita fatta di desideri, passioni forti; ma, allo stesso tempo, lo temevo così come si teme il mare in tempesta. Temevo di perdermi, con lui, nelle correnti incontrollabili della vita… Così, pian piano, ho cercato di mettere sempre più distanza tra noi, di assecondare il volere dei miei genitori, mettendo in scena il copione del “figlio perfetto”. Allontanarmi da lui significava mettere a tacere le mie paure, ma anche chiudersi al mondo, quella chiusura che è all’origine dell’ anestesia dell’anima di cui vi ho già parlato. Il giorno in cui venne a parlarmi del suo piano per uccidere i miei genitori, in un primo momento ebbi una reazione rabbiosa e lo cacciai via. Ma le sue parole echeggiavano nella mia mente come il canto delle sirene: non riuscivo a farle tacere. Alla fine, dopo un incontro tempestoso, decidemmo il piano d’azione: a notte inoltrata, avrei aperto la porta d’ingresso, Eros sarebbe arrivato e insieme avremmo sorpreso i miei genitori nel sonno, facendo ricadere poi le colpe su qualche malvivente…Le cose più o meno andarono così, anche se io al momento di infliggere i colpi mortali... (scoppia a piangere)”
  • 13. GIUDICE: “Lei Eros Dell’omo concorda con la versione dei fatti fornita da Ego Dell’omo?” COIMPUTATO: “Si! Quello che dice Ego Dell’omo risponde al vero. Al momento dell’azione lui sbiancò in viso, accasciandosi al suolo impotente. Fui io ad infliggere i colpi mortali!” Il pubblico sorpreso rumoreggia. Alcuni si alzano in piedi urlando “Assassino, assassino!”. GIUDICE: “Con l’ammissione delle vostre colpe il processo è arrivato al termine. La Corte dichiara Eros Dell’omo colpevole di omicidio doloso: dovrà scontare una pena di trenta anni di carcere. Ego Dell’omo è colpevole, invece, di omicidio colposo e dovrà scontare una pena di cinque anni di carcere!La seduta è tolta.” Il giudice batte il suo martello.