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Generi e stili della moderna gastronomia 
Per concludere questo capitolo sulla semiotica del gusto 
vorrei cercare di riprendere e allargare a questo campo il 
ragionamento fatto da Floch sulle ideologie pubblicitarie. 
Marrone, parlando di questo autore, sottolinea come sia 
necessario distinguere generi e stili. Parlando di cucina: una 
cosa è il «genere» culinario, altra cosa «lo stile» personale 
che ogni cuoco, così come ogni pubblicitario, adopera nel 
costruire la propria declinazione e l’esperienza gustativa di 
cui si fa enunciatore (Marrone 2001; Floch 1992). 
Un altro interessante punto di vista è come i diversi generi 
e stili possano essere usati per classificare tutti gli elementi 
del mix di comunicazione che, nel nostro caso, diventano: 
la struttura del ristorante, il menù, i servizi per 
l’apparecchiatura, la carta dei vini, il servizio in sala.
Sarebbe importante perciò capire se un genere enunciativo 
possa portare alla coerenza di ogni elemento nella 
manifestazione per raggiungere un discorso culinario che 
restituisca un’unità di senso compiuto. In questo capitolo ho 
già cercato di spiegare per quali ragioni la cucina sia un 
grande e importante fenomeno semiotico, comunicativo e di 
significazione, all’interno del quale ruota una dimensione 
enunciativa. Un tipo di cucina, come una pubblicità, può 
avere come scopo principale una funzione rappresentativa, 
tesa a dar luce alle proprietà e ai gusti delle materie prime, 
con un effetto di oggettivazione, oppure può far leva su una 
funzione costruttiva che metta in secondo piano le materie 
prime utilizzate, per esaltare un’idea o un discorso 
(Marrone, Mangano 2013). 
Il quadrato semiotico di Floch ci permette di arricchire 
queste due posizioni, derivanti l’una da un tipo di linguaggio 
referenziale, l’altra da uno strutturalista, con le posizioni 
intermedie dei subcontrari: la prima volta a mostrare e far 
vivere la sostanza del piatto, per come viene percepita dai 
sensi, l’altra che porta invece alla scomparsa vera e propria 
della materia prima, che viene elaborata per costruire 
qualcos’altro da sé, instaurando una strettissima relazione 
con il destinatario di questo «gioco» di mascheramento. 
Possiamo quindi proporre un quadrato semiotico che, a 
partire dalle ideologie pubblicitarie proposte da Floch e dal 
discorso sui generi di marca di Marrone, vada a indagare 
quale possano essere i «generi culinari» che danno origine 
a differenti idee sul gusto. Cercherò in seguito di inscrivere 
in questo quadrato che vorrei rendere il più possibile 
dinamico, continuativo e definito nelle sue infinite maglie 
intermedie, un «mapping» utile a descrivere ulteriori 
sfaccettature del discorso. Infine, con il solo scopo 
esemplificativo, collocherò all’interno di questo strumento
alcuni dei più importanti e premiati chef del mondo (the 
world’s best 50 reastaurant) e le loro filosofie di cucina per 
delineare, a grandi linee, le principali tendenze culinarie dei 
maestri della ristorazione dei nostri tempi più recenti 
(2013). 
Ovviamente in cucine così complesse sarà ancora più 
evidente ciò che Jakobson (1966) ha detto sui testi 
comunicativi. Le dimensioni discorsive (pragmatica, 
passionale, cognitiva ed estetica) saranno tutte presenti 
all’interno di un enunciato; è perciò sbagliato pensare alle 
posizioni del quadrato come esclusive, ma lo scopo è quello 
di individuare l’intento comunicativo dominante che uno 
chef, proveniente da una certa cultura, società, percorso 
individuale e professionale, vuole esprimere. Capire gli 
obiettivi comunicativi principali di una cultura culinaria è 
utile ad inquadrarla in relazione alle altre e ritrovare i 
significati profondi che la muovono. Ogni cultura per 
Lotman si definisce proprio in base ai discorsi e ai valori che 
pone come dominanti (1985). Partire da questi valori è utile 
per risalire in superficie attraverso un percorso generativo 
che si manifesterà nell’espressione culinaria.
Fi 
g. 26 Ipotesi di quadrato semiotico sui «generi culinari», sul 
modello di J. M. Floch 1992 
Fig. 27 Ipotesi di quadrato semiotico iscritto nel mapping sui 
«generi culinari», unendo il mapping semiotico di A. Semprini 
1997 e il quadrato semiotico di J. M. Floch 1992
La cucina referenziale potrebbe essere definita 
oggettivante perché vuole mostrarci il piatto nella sua 
essenza, dimostrandoci cosa «sanno» e possono fare le 
materie prime che lo compongono. Queste vengono 
esaltate nella loro essenza, restando sempre naturali senza 
essere trasformate o mascherate da processi come la 
liofilizzazione. 
Tipico della cucina tradizionale, potremmo ritrovare in ogni 
occorrenza caratteristiche consolidate, isotopie radicate e 
prevedibili, realizzate a regola d’arte. Gli elementi saranno 
sensorialmente percepibili sul piano dell’espressione e 
rimanderanno ad una dimensione culturale e sociale. Ma il 
messaggio non sarà di tipo poetico o emozionale, ma di 
valori pratici. Il cuoco enunciatore sarà praticamente 
assente nel processo di enunciazione, delegando ad una 
terza persona il ruolo di narratore. Diventerà piuttosto un 
fotografo reporter di una realtà. La cucina è qui un’arte 
pragmatica che userà per lo più materie prime «di qualità», 
sane, naturali, sicure, affidabili, salutari, nutritive, digeribili, 
leggere, equilibrate nel piatto, ecosostenibili, biologiche, a 
chilometro zero. La forma di vita che questo chef evoca è 
quella di una persona immersa nella sua quotidianità, nel 
proprio contesto d’uso. 
Questa cucina neo-realista crea un’esperienza gustativa 
tesa a trasportare l’enunciatario in un mondo fatto di 
situazioni reali e valori concreti che costui può riconoscere 
come propri. Saranno ben descritti i piatti già dal menù 
(magari anche in maniera iperbolica), evitando effetti 
sorpresa, costruzioni complesse, o dispersioni in profondità; 
le articolazioni spazio-temporali non verranno mai forzate e 
l’attorializzazione degli alimenti cercherà di essere lineare
nel proporre una fruizione chiara che farà leva sul concetto 
comunicativo espresso (Marrone 2007; Floch 2006; 
Landowsky 2000; Manetti 2006; ). 
Si afferma nella cucina referenziale, tramite il processo di 
implicazione (non y implica x), la cucina sostanziale. 
Altrettanto concreta nel vivere immersa nelle materie e 
nell’essenza degli ingredienti, ha però una forte tendenza al 
dinamismo e all’innovazione nel cercare di costruire 
un’esperienza polisensoriale. 
Lo chef cercherà quindi in primo luogo di esaltare la 
piacevolezza dell’assaggio, gratificare l’occhio attraverso 
un’estetica raffinata e riempire tutti gli altri sensi per far 
vivere fino in fondo il piatto. Ritroviamo in quest’ambiente 
la «nouvelle cuisine» e l’influenza dello chef Bocuse, che si
contrappongono alla «cuisine classique» per la volontà di 
stimolare tutte le percezioni e principalmente gratificare la 
vista. E’ il mondo delle qualità materiche, della fisicità, dei 
sensi, del corpo che vive un’esperienza tutt’altro che 
onirica o immaginaria. Al centro del piatto non ci sono idee, 
costruzioni, valori, ma consistenze, colori, odori, sapori, 
luci, materie e suoni. Il corpo propriocettivo scopre tutto 
ciò, mettendosi in relazione con quell’oggetto e facendolo 
percepisce se stesso. Per realizzarlo lo chef avrà bisogno di 
materie prime particolarmente evocative dal punto di vista 
delle sensazioni che richiamano. Il piatto sensibile e le 
materie prime scelte sono il vero eroe di questa esperienza 
di degustazione. Lo chef, che prima ancora è esploratore e 
biologo (alla ricerca di piante e aromi particolari) delega alla 
sua creazione il compito prima di dividere e frammentare, 
poi di ricongiungere l’individuo fisico con il mondo naturale 
o culturale e quindi con se stesso.
Negare il regno dei bricoleur che si basa sul pensiero 
concreto, sensibile, corporeo, che è già presente nel 
significato e nella funzione delle cose, significa entrare nel 
regno degli chef ingegneri. 
Grignaffini in questo senso parla di cucina concettuale. 
L’ingegnere è l’artista che progetta il suo piatto a tavolino; 
per lui le materie e le creazioni hanno senso solo se è lui a 
darglielo. Non si tratta quindi di trasformare, 
risemantizzare, attualizzare, modificare, ma piuttosto 
costruire qualcosa che vada ad esplorare nuove frontiere, 
concezioni, idee di gusto. Siamo nell’ambito della 
dinamicità, dell’esplorazione, della rivoluzione che parte 
dalla mente. La tendenza è quella alla realizzazione di se 
stessi, al tentativo di piegare la vita alle proprie esigenze
celebrali. Questi geni della creazione si muovono tra logica 
pura, matematica e delirio creativo e poetico. Lo stesso 
Bottura, chef pluristellato del ristorante «Osteria 
francescana» di Modena, ha come scopo quello di guardare 
in maniera critica alle tradizioni per poi cercare di superarle 
e rivoluzionarne i sapori. 
Fig.28 “L’agnello di Dio” dello chef simbolista e avanguardista Mas 
simo Bottura. 
Questo avverrà negando ogni praticità e concretezza, creando 
enigmi da risolvere all’interno del piatto, fili da districare, 
labirinti da sciogliere, giochi di mascheramento, investigazioni 
da compiere. Se questa cucina ha una filosofia prettamente 
egoriferita, non possiamo dire però che non attribuisca un 
ruolo fondamentale al destinatario. Questi è parte attiva di 
questo processo fatto dall’esperienza non più solo gustativa, 
ma soprattutto cognitiva. La sanzione finale che il piatto 
enunciatore decreterà sarà quella di un «saper fare», essere 
stati in grado di trovare «il bandolo della matassa». Non 
mancano in questo gioco di trucchi e indizi alcuni richiami, 
citazioni colte e metalinguaggi, di fronte ai quali l’enunciatario 
deve compiere un altrettanto difficile sforzo cognitivo di 
completamento, di preparazione preliminare sull’idea di cucina 
dello chef, di completamento interattivo laddove viene
chiamato in carico. Il valore di questa «cucina obliqua» sta nel 
fatto che chi la sperimenta deve riuscire a coglierne le sottili 
vene intellettuali assumendone una prospettiva e un punto di 
vista inusuale. È questo il regno della gastronomia molecolare 
di Ferren Adrià, chef basco considerato il capostipite del 
genere, e del suo desiderio di provocare, sorprendere e 
deliziare con contrasti continui di sapori, temperature e colori. 
Il cliente ideale del suo precedente ristorante El Bulli «non vie 
ne per mangiare, ma per provare un’esperienza» (Adrià 2009), 
che lui stesso ha architettato nel suo laboratorio di Barcellona 
«El Taller». 
Fig. 29 Laboratorio creativo “El Taller” di Barcellona guidato da 
Ferran Adrià
Negante la cucina sostanziale, contraria a quella 
referenziale e implicata dalla cucina obliqua, è infine la 
gastronomia mitica. Questa rappresenta l’arte di 
costruire un’esperienza emozionale gastronomica: si 
prefigge di trasportare il cliente in un mondo immaginario 
che gli permetta di riconoscere la propria identità, storia, 
ma anche di condividere sogni e desideri. L’astrattezza e la 
massima virtualità da una parte, la sinestesia che trasforma 
la materialità dell’esperienza corporea in viaggio mentale, 
in mood, ma anche la tendenza al controllo (possiamo 
ritrovare qui gran parte della «cucina del ritorno») 
dall’altra. Il piatto diventa un pretesto per far rivivere un 
mondo fatto di sogni e ambizioni che lo chef può 
condividere con il suo pubblico traghettandolo, attraverso i 
sapori, verso un percorso passionale canonico. Come per
seguire una sirena costui si sgancerà dall’istanza 
enunciativa spazio-temporale, dall’ àncora fornita dal 
proprio corpo fisico, per abbandonarsi ai piaceri della 
mente, delle sensazioni, dell’amore per la famiglia o per 
l’innamorato. Le rime, l’enfasi, lo stupore che ammanta, il 
mistero che avvolge tutto, a differenza della cucina 
referenziale, sono improntati a dare al piatto ciò che 
fisicamente non possiede, per riempirlo di valore aggiunto, 
di passione. 
Abbiamo finora parlato di generi culinari che racchiudono 
alcuni tratti comuni, insiemi valoriali, operazioni di 
produzione che portano alla costruzione di ideali sociali di 
cucina. Se questi delimitano degli ambiti, delle cornici 
comunicative entro cui spaziare, è proprio a partire da essi 
che ogni grande chef muove per ridisegnare e ritagliarsi un 
proprio stile discorsivo e riuscire così ad esprimere se 
stesso mettendosi in relazione con un pubblico che apprezzi 
e riconosca quella particolare sensibilità.
Esponente straordinario della cucina referenziale è per 
esempio lo chef svedese Magnus Nilsson del ristorante 
Fäviken Magasinet. Facente parte della generazione dei 
giovani chef che la critica internazionale ha ribattezzato 
come «l’onda del nord», lui definisce la sua cucina come 
«Rektun food» (cibo vero), fortemente radicata alla sua 
terra, alle tecniche naturali di conservazione e artigianato 
alimentare, alla natura e ai prodotti che offre. Il rispetto 
degli ingredienti nella loro forma base, spesso frutto di una 
ricerca e di una caccia che compie lo stesso cuoco nei 
boschi delle lande sperdute e rigide a nord di Stoccolma, si 
aggiunge alle conoscenze tecniche straordinarie, utili per 
massimizzare il potenziale delle materie prime.
L’autore di questa cucina artigianale e rurale, rifiuta tutto 
ciò che è folklore o moda, sostenendo sempre e solo il 
prodotto, rispettato nei suoi tempi e spazi, mai sottomesso 
alle leggi del mercato o alle esigenze umane. Le mani 
diventano quindi lo strumento d’arte di questa cucina 
iperrealista che manipola ingredienti «salvati dalle 
intemperie» (scrive lo stesso chef) per metterne in luce 
l’essenza pura; mani quindi che si sostituiscono appunto 
alle siringhe, tipiche della cucina molecolare.
Fig. 30 Capesante “Ur skalet i elden” (dal guscio nel fuoco) dello 
Chef svedese Magnus Nilsson del ristorante Fäviken Magasinet: 
legna di betulla per creare la brace, rami di ginepro fresco e 
muschio sono le basi per creare questa apparentemente semplice 
ricetta naturale di cucina referenziale. 
Fig. 31 Fäviken Magasinet, 12 esclusivi coperti nei boschi remoti del 
Nord della Svezia 
Ferren Adrià, padre della cucina d’avanguardia creativa, usa un 
approccio opposto a quello dello chef svedese. La sua arte
celebrale rispecchia i temi della cucina obliqua nell’utilizzo di 
tecniche ricercatissime e innovative di laboratorio che 
muovono allo scopo di scomporre il piatto nei singoli elementi 
per poi riassemblarlo attraverso nuovi stampi creativi. I 
paragoni con il cubismo non tardano ad arrivare, chiaramente, 
e con questi gli sviluppi di nuove tecniche (frutto di importanti 
investimenti nella ricerca) che creano mondo nuovi. Gli 
strumenti utilizzati sono principalmente quelli della chimica e 
della fisica, mentre il prodotto, smaterializzato, deve proiettare 
il pubblico in mondi diversi e pieni di magia ad ogni portata. 
L’interazione, la comunicazione sul cibo e sulla vita, la 
riflessione, il gioco dinamico e attivo è ciò a cui il cliente non 
può non partecipare. 
Riprendendo gli archetipi elaborati da Y&Rchetypes, saremmo 
così passati da un guerriero-guardiano della natura svedese a 
un mago-creativo basco.
Nella prossima tappa, a cavallo tra i generi citati, troviamo 
il massimo esponente della cucina brasiliana: Alex Atala, 
capace di portare in cucina la biodiversità dell’Amazzonia 
per svelare alimenti fin’ora inesplorati, contribuendo alla 
ricchezza culturale, sociale di alcune zone produttrici 
(fornendo una nuova fonte di reddito) e naturale. La sua 
cucina potrebbe essere sintetizzata dal tipo di cottura che 
usa prevalentemente: la putrefazione (stadio intermedio tra 
crudità e cottura secondo Lévi-Strauss). 
Stare a metà strada tra queste due cotture significa 
attingere dalla natura, dal locale, dall’indigeno che non è 
stato contaminato dalla modernità, che non ha bisogno di 
ingredienti di lusso, per poi lavorarli con tecniche moderne 
ed estrarne tutto il potere seduttivo. Allo stesso tempo 
significa stare a metà strada anche tra una cucina 
referenziale per alcuni aspetti materiali e sociali e una 
obliqua, costruendo un ponte tra un mondo di sapori e gusti 
inesplorati e una cultura moderna occidentale che ha 
bisogno di nuovi elementi per arricchirsi e continuare a 
crescere.
Fig. 33 Crema di barbabietola refrigerata, mandarino, priprioca, 
foglie dell’Amazzonia con calamari freddi; ingredienti della 
tradizio-ne come la priprioca ed esplorazione di luoghi vergini al 
servizi di una cucina innovativa e divertente. Tutto questo al 
D.O.M di San Paolo, Brasile di Alex Atala.
Lo chef sostanziale per eccellenza non poteva che essere il 
maestro giapponese Narisawa, famoso per le sue creazioni 
polisensoriali, gli accostamenti tra opposti gustativi (dolce e 
salato) e l’estetica avvolgente. Anche la sua filosofia è una 
sintesi straordinaria tra il mondo tradizionale orientale, 
svincolato dalle pesanti restrizioni, ma riempito di tempi, 
colori, silenzi propri e la cucina d’autore europea.
I temi della natura (terra, acqua, fuoco, foreste e carbone) 
ed il rapporto con le materie prime e le stagioni, 
trasportano l’individuo in un mondo bello e malinconico. I 
sensi, che vengono esaltati uno per uno, permettono di far 
rivivere nel piatto la natura delle cose che l’uomo stesso ha 
ucciso per poi riassorbirne la forza vitale, promuovendo così 
anche il concetto di sostenibilità. 
Fig 34. Uno spettacolo di gusto. Il "Suzuki" è una spigola di mare 
con cavolo, asari e vongole avvolta in un sacchetto e aperta di 
fronte agli occhi del cliente, lasciando sprigionare il calore e 
profumo intenso; un minuto di spiegazione approfondita da parte 
del personale e voilà, la magia dei sensi è servita.
Tra un esploratore carioca e un saggio samurai della cucina 
della percezione, potremmo collocare uno chef bistronomo 
spagnolo, Azpitarte, maestro culinario in un locale 
minimalista Parigino. Diversamente dagli altri grandi chef 
stellati come lui, il suo progetto è certamente meno 
ampolloso, viene ricercato l’impatto immediato del gusto e 
della creatività, al cui servizio troviamo materie prime 
sceltissime. Tecnica, precisione ed essenzialità, idee
complesse rese con semplicità e chiarezza sono le carte 
vincenti di questo laboratorio creativo, tutto teso a far 
innamorare il proprio pubblico già dal primo sguardo. Ciò 
che ricrea l’autore in quasi ogni piatto è un viaggio, uno 
schema passionale tipico della tradizione folkloristica, ma 
allo stesso tempo anticonformista rispetto all’attuale 
modello prevalente. Due sapori principali, due schemi 
valoriali, che prima si scontrano dando vita ad una 
battaglia, ad un’esplorazione dinamica e contrastante, per 
poi ritrovarsi, capirsi, innamorarsi dentro la mente 
dell’assaggiatore e infine venire sanzionati nell’unione tipica 
del matrimonio. È una cucina che fa sognare e per questo 
innamorare del suo romanticismo (altro archetipo 
jungiano), connotandosi principalmente come mitica. 
Fig. 35 «Agnello bietole e shizo» (ingrediente giapponese): 
questa una delle creazioni di Iñaki Aizpitarte chef «bistronomo» 
de Le Chateaubriand Paris, France
Padre autorevole (ultimo archetipo) della cucina nordica è il 
pluripremiato «chef vichingo» Redzepi. Amante della 
propria terra cerca di farla rivivere in ogni portata; anzi, 
nella scelta del piatto stesso che diventa un contenitore o 
«ciotola» trovata nell’artigianato locale dei luoghi stessi dai 
quali provengono le materie prime. Da una cultura quindi 
che viene da lontano, fatta di coltivazioni naturali e 
genuine, freschezza (anzi freddo, visto che stiamo parlando 
della Scandinavia), aria pungente, messe al servizio di un 
talento raffinato e un’anima volta alla sperimentazione. 
L’omaggio delle sue creazioni è alla terra e al mare, madri 
dei frutti che lo chef serve. Autore di una cucina mitica, 
vuole riportarci alle origini, in quei paesaggi, quelle 
tradizioni e quei suoli.
Fig.36 «Asparagi e abete rosso»: creazione con firma di René 
Redzepi. L'uomo dietro il menu del Noma di Copenaghen in una 
delle più semplici ed evocative ricette del suo ristorante. 
Quadrato semiotico iscritto nel mapping dei 
principali stili culinari
Tendenze e Stili della moderna gastronomia: come comunicano i migliori Chef del Mondo!

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Gioia Barberi, SEO Copywriter, Web editor – “Il Metaverso e la Comunicazione ...
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Tendenze e Stili della moderna gastronomia: come comunicano i migliori Chef del Mondo!

  • 1. Generi e stili della moderna gastronomia Per concludere questo capitolo sulla semiotica del gusto vorrei cercare di riprendere e allargare a questo campo il ragionamento fatto da Floch sulle ideologie pubblicitarie. Marrone, parlando di questo autore, sottolinea come sia necessario distinguere generi e stili. Parlando di cucina: una cosa è il «genere» culinario, altra cosa «lo stile» personale che ogni cuoco, così come ogni pubblicitario, adopera nel costruire la propria declinazione e l’esperienza gustativa di cui si fa enunciatore (Marrone 2001; Floch 1992). Un altro interessante punto di vista è come i diversi generi e stili possano essere usati per classificare tutti gli elementi del mix di comunicazione che, nel nostro caso, diventano: la struttura del ristorante, il menù, i servizi per l’apparecchiatura, la carta dei vini, il servizio in sala.
  • 2. Sarebbe importante perciò capire se un genere enunciativo possa portare alla coerenza di ogni elemento nella manifestazione per raggiungere un discorso culinario che restituisca un’unità di senso compiuto. In questo capitolo ho già cercato di spiegare per quali ragioni la cucina sia un grande e importante fenomeno semiotico, comunicativo e di significazione, all’interno del quale ruota una dimensione enunciativa. Un tipo di cucina, come una pubblicità, può avere come scopo principale una funzione rappresentativa, tesa a dar luce alle proprietà e ai gusti delle materie prime, con un effetto di oggettivazione, oppure può far leva su una funzione costruttiva che metta in secondo piano le materie prime utilizzate, per esaltare un’idea o un discorso (Marrone, Mangano 2013). Il quadrato semiotico di Floch ci permette di arricchire queste due posizioni, derivanti l’una da un tipo di linguaggio referenziale, l’altra da uno strutturalista, con le posizioni intermedie dei subcontrari: la prima volta a mostrare e far vivere la sostanza del piatto, per come viene percepita dai sensi, l’altra che porta invece alla scomparsa vera e propria della materia prima, che viene elaborata per costruire qualcos’altro da sé, instaurando una strettissima relazione con il destinatario di questo «gioco» di mascheramento. Possiamo quindi proporre un quadrato semiotico che, a partire dalle ideologie pubblicitarie proposte da Floch e dal discorso sui generi di marca di Marrone, vada a indagare quale possano essere i «generi culinari» che danno origine a differenti idee sul gusto. Cercherò in seguito di inscrivere in questo quadrato che vorrei rendere il più possibile dinamico, continuativo e definito nelle sue infinite maglie intermedie, un «mapping» utile a descrivere ulteriori sfaccettature del discorso. Infine, con il solo scopo esemplificativo, collocherò all’interno di questo strumento
  • 3. alcuni dei più importanti e premiati chef del mondo (the world’s best 50 reastaurant) e le loro filosofie di cucina per delineare, a grandi linee, le principali tendenze culinarie dei maestri della ristorazione dei nostri tempi più recenti (2013). Ovviamente in cucine così complesse sarà ancora più evidente ciò che Jakobson (1966) ha detto sui testi comunicativi. Le dimensioni discorsive (pragmatica, passionale, cognitiva ed estetica) saranno tutte presenti all’interno di un enunciato; è perciò sbagliato pensare alle posizioni del quadrato come esclusive, ma lo scopo è quello di individuare l’intento comunicativo dominante che uno chef, proveniente da una certa cultura, società, percorso individuale e professionale, vuole esprimere. Capire gli obiettivi comunicativi principali di una cultura culinaria è utile ad inquadrarla in relazione alle altre e ritrovare i significati profondi che la muovono. Ogni cultura per Lotman si definisce proprio in base ai discorsi e ai valori che pone come dominanti (1985). Partire da questi valori è utile per risalire in superficie attraverso un percorso generativo che si manifesterà nell’espressione culinaria.
  • 4. Fi g. 26 Ipotesi di quadrato semiotico sui «generi culinari», sul modello di J. M. Floch 1992 Fig. 27 Ipotesi di quadrato semiotico iscritto nel mapping sui «generi culinari», unendo il mapping semiotico di A. Semprini 1997 e il quadrato semiotico di J. M. Floch 1992
  • 5. La cucina referenziale potrebbe essere definita oggettivante perché vuole mostrarci il piatto nella sua essenza, dimostrandoci cosa «sanno» e possono fare le materie prime che lo compongono. Queste vengono esaltate nella loro essenza, restando sempre naturali senza essere trasformate o mascherate da processi come la liofilizzazione. Tipico della cucina tradizionale, potremmo ritrovare in ogni occorrenza caratteristiche consolidate, isotopie radicate e prevedibili, realizzate a regola d’arte. Gli elementi saranno sensorialmente percepibili sul piano dell’espressione e rimanderanno ad una dimensione culturale e sociale. Ma il messaggio non sarà di tipo poetico o emozionale, ma di valori pratici. Il cuoco enunciatore sarà praticamente assente nel processo di enunciazione, delegando ad una terza persona il ruolo di narratore. Diventerà piuttosto un fotografo reporter di una realtà. La cucina è qui un’arte pragmatica che userà per lo più materie prime «di qualità», sane, naturali, sicure, affidabili, salutari, nutritive, digeribili, leggere, equilibrate nel piatto, ecosostenibili, biologiche, a chilometro zero. La forma di vita che questo chef evoca è quella di una persona immersa nella sua quotidianità, nel proprio contesto d’uso. Questa cucina neo-realista crea un’esperienza gustativa tesa a trasportare l’enunciatario in un mondo fatto di situazioni reali e valori concreti che costui può riconoscere come propri. Saranno ben descritti i piatti già dal menù (magari anche in maniera iperbolica), evitando effetti sorpresa, costruzioni complesse, o dispersioni in profondità; le articolazioni spazio-temporali non verranno mai forzate e l’attorializzazione degli alimenti cercherà di essere lineare
  • 6. nel proporre una fruizione chiara che farà leva sul concetto comunicativo espresso (Marrone 2007; Floch 2006; Landowsky 2000; Manetti 2006; ). Si afferma nella cucina referenziale, tramite il processo di implicazione (non y implica x), la cucina sostanziale. Altrettanto concreta nel vivere immersa nelle materie e nell’essenza degli ingredienti, ha però una forte tendenza al dinamismo e all’innovazione nel cercare di costruire un’esperienza polisensoriale. Lo chef cercherà quindi in primo luogo di esaltare la piacevolezza dell’assaggio, gratificare l’occhio attraverso un’estetica raffinata e riempire tutti gli altri sensi per far vivere fino in fondo il piatto. Ritroviamo in quest’ambiente la «nouvelle cuisine» e l’influenza dello chef Bocuse, che si
  • 7. contrappongono alla «cuisine classique» per la volontà di stimolare tutte le percezioni e principalmente gratificare la vista. E’ il mondo delle qualità materiche, della fisicità, dei sensi, del corpo che vive un’esperienza tutt’altro che onirica o immaginaria. Al centro del piatto non ci sono idee, costruzioni, valori, ma consistenze, colori, odori, sapori, luci, materie e suoni. Il corpo propriocettivo scopre tutto ciò, mettendosi in relazione con quell’oggetto e facendolo percepisce se stesso. Per realizzarlo lo chef avrà bisogno di materie prime particolarmente evocative dal punto di vista delle sensazioni che richiamano. Il piatto sensibile e le materie prime scelte sono il vero eroe di questa esperienza di degustazione. Lo chef, che prima ancora è esploratore e biologo (alla ricerca di piante e aromi particolari) delega alla sua creazione il compito prima di dividere e frammentare, poi di ricongiungere l’individuo fisico con il mondo naturale o culturale e quindi con se stesso.
  • 8. Negare il regno dei bricoleur che si basa sul pensiero concreto, sensibile, corporeo, che è già presente nel significato e nella funzione delle cose, significa entrare nel regno degli chef ingegneri. Grignaffini in questo senso parla di cucina concettuale. L’ingegnere è l’artista che progetta il suo piatto a tavolino; per lui le materie e le creazioni hanno senso solo se è lui a darglielo. Non si tratta quindi di trasformare, risemantizzare, attualizzare, modificare, ma piuttosto costruire qualcosa che vada ad esplorare nuove frontiere, concezioni, idee di gusto. Siamo nell’ambito della dinamicità, dell’esplorazione, della rivoluzione che parte dalla mente. La tendenza è quella alla realizzazione di se stessi, al tentativo di piegare la vita alle proprie esigenze
  • 9. celebrali. Questi geni della creazione si muovono tra logica pura, matematica e delirio creativo e poetico. Lo stesso Bottura, chef pluristellato del ristorante «Osteria francescana» di Modena, ha come scopo quello di guardare in maniera critica alle tradizioni per poi cercare di superarle e rivoluzionarne i sapori. Fig.28 “L’agnello di Dio” dello chef simbolista e avanguardista Mas simo Bottura. Questo avverrà negando ogni praticità e concretezza, creando enigmi da risolvere all’interno del piatto, fili da districare, labirinti da sciogliere, giochi di mascheramento, investigazioni da compiere. Se questa cucina ha una filosofia prettamente egoriferita, non possiamo dire però che non attribuisca un ruolo fondamentale al destinatario. Questi è parte attiva di questo processo fatto dall’esperienza non più solo gustativa, ma soprattutto cognitiva. La sanzione finale che il piatto enunciatore decreterà sarà quella di un «saper fare», essere stati in grado di trovare «il bandolo della matassa». Non mancano in questo gioco di trucchi e indizi alcuni richiami, citazioni colte e metalinguaggi, di fronte ai quali l’enunciatario deve compiere un altrettanto difficile sforzo cognitivo di completamento, di preparazione preliminare sull’idea di cucina dello chef, di completamento interattivo laddove viene
  • 10. chiamato in carico. Il valore di questa «cucina obliqua» sta nel fatto che chi la sperimenta deve riuscire a coglierne le sottili vene intellettuali assumendone una prospettiva e un punto di vista inusuale. È questo il regno della gastronomia molecolare di Ferren Adrià, chef basco considerato il capostipite del genere, e del suo desiderio di provocare, sorprendere e deliziare con contrasti continui di sapori, temperature e colori. Il cliente ideale del suo precedente ristorante El Bulli «non vie ne per mangiare, ma per provare un’esperienza» (Adrià 2009), che lui stesso ha architettato nel suo laboratorio di Barcellona «El Taller». Fig. 29 Laboratorio creativo “El Taller” di Barcellona guidato da Ferran Adrià
  • 11. Negante la cucina sostanziale, contraria a quella referenziale e implicata dalla cucina obliqua, è infine la gastronomia mitica. Questa rappresenta l’arte di costruire un’esperienza emozionale gastronomica: si prefigge di trasportare il cliente in un mondo immaginario che gli permetta di riconoscere la propria identità, storia, ma anche di condividere sogni e desideri. L’astrattezza e la massima virtualità da una parte, la sinestesia che trasforma la materialità dell’esperienza corporea in viaggio mentale, in mood, ma anche la tendenza al controllo (possiamo ritrovare qui gran parte della «cucina del ritorno») dall’altra. Il piatto diventa un pretesto per far rivivere un mondo fatto di sogni e ambizioni che lo chef può condividere con il suo pubblico traghettandolo, attraverso i sapori, verso un percorso passionale canonico. Come per
  • 12. seguire una sirena costui si sgancerà dall’istanza enunciativa spazio-temporale, dall’ àncora fornita dal proprio corpo fisico, per abbandonarsi ai piaceri della mente, delle sensazioni, dell’amore per la famiglia o per l’innamorato. Le rime, l’enfasi, lo stupore che ammanta, il mistero che avvolge tutto, a differenza della cucina referenziale, sono improntati a dare al piatto ciò che fisicamente non possiede, per riempirlo di valore aggiunto, di passione. Abbiamo finora parlato di generi culinari che racchiudono alcuni tratti comuni, insiemi valoriali, operazioni di produzione che portano alla costruzione di ideali sociali di cucina. Se questi delimitano degli ambiti, delle cornici comunicative entro cui spaziare, è proprio a partire da essi che ogni grande chef muove per ridisegnare e ritagliarsi un proprio stile discorsivo e riuscire così ad esprimere se stesso mettendosi in relazione con un pubblico che apprezzi e riconosca quella particolare sensibilità.
  • 13. Esponente straordinario della cucina referenziale è per esempio lo chef svedese Magnus Nilsson del ristorante Fäviken Magasinet. Facente parte della generazione dei giovani chef che la critica internazionale ha ribattezzato come «l’onda del nord», lui definisce la sua cucina come «Rektun food» (cibo vero), fortemente radicata alla sua terra, alle tecniche naturali di conservazione e artigianato alimentare, alla natura e ai prodotti che offre. Il rispetto degli ingredienti nella loro forma base, spesso frutto di una ricerca e di una caccia che compie lo stesso cuoco nei boschi delle lande sperdute e rigide a nord di Stoccolma, si aggiunge alle conoscenze tecniche straordinarie, utili per massimizzare il potenziale delle materie prime.
  • 14. L’autore di questa cucina artigianale e rurale, rifiuta tutto ciò che è folklore o moda, sostenendo sempre e solo il prodotto, rispettato nei suoi tempi e spazi, mai sottomesso alle leggi del mercato o alle esigenze umane. Le mani diventano quindi lo strumento d’arte di questa cucina iperrealista che manipola ingredienti «salvati dalle intemperie» (scrive lo stesso chef) per metterne in luce l’essenza pura; mani quindi che si sostituiscono appunto alle siringhe, tipiche della cucina molecolare.
  • 15. Fig. 30 Capesante “Ur skalet i elden” (dal guscio nel fuoco) dello Chef svedese Magnus Nilsson del ristorante Fäviken Magasinet: legna di betulla per creare la brace, rami di ginepro fresco e muschio sono le basi per creare questa apparentemente semplice ricetta naturale di cucina referenziale. Fig. 31 Fäviken Magasinet, 12 esclusivi coperti nei boschi remoti del Nord della Svezia Ferren Adrià, padre della cucina d’avanguardia creativa, usa un approccio opposto a quello dello chef svedese. La sua arte
  • 16. celebrale rispecchia i temi della cucina obliqua nell’utilizzo di tecniche ricercatissime e innovative di laboratorio che muovono allo scopo di scomporre il piatto nei singoli elementi per poi riassemblarlo attraverso nuovi stampi creativi. I paragoni con il cubismo non tardano ad arrivare, chiaramente, e con questi gli sviluppi di nuove tecniche (frutto di importanti investimenti nella ricerca) che creano mondo nuovi. Gli strumenti utilizzati sono principalmente quelli della chimica e della fisica, mentre il prodotto, smaterializzato, deve proiettare il pubblico in mondi diversi e pieni di magia ad ogni portata. L’interazione, la comunicazione sul cibo e sulla vita, la riflessione, il gioco dinamico e attivo è ciò a cui il cliente non può non partecipare. Riprendendo gli archetipi elaborati da Y&Rchetypes, saremmo così passati da un guerriero-guardiano della natura svedese a un mago-creativo basco.
  • 17. Nella prossima tappa, a cavallo tra i generi citati, troviamo il massimo esponente della cucina brasiliana: Alex Atala, capace di portare in cucina la biodiversità dell’Amazzonia per svelare alimenti fin’ora inesplorati, contribuendo alla ricchezza culturale, sociale di alcune zone produttrici (fornendo una nuova fonte di reddito) e naturale. La sua cucina potrebbe essere sintetizzata dal tipo di cottura che usa prevalentemente: la putrefazione (stadio intermedio tra crudità e cottura secondo Lévi-Strauss). Stare a metà strada tra queste due cotture significa attingere dalla natura, dal locale, dall’indigeno che non è stato contaminato dalla modernità, che non ha bisogno di ingredienti di lusso, per poi lavorarli con tecniche moderne ed estrarne tutto il potere seduttivo. Allo stesso tempo significa stare a metà strada anche tra una cucina referenziale per alcuni aspetti materiali e sociali e una obliqua, costruendo un ponte tra un mondo di sapori e gusti inesplorati e una cultura moderna occidentale che ha bisogno di nuovi elementi per arricchirsi e continuare a crescere.
  • 18. Fig. 33 Crema di barbabietola refrigerata, mandarino, priprioca, foglie dell’Amazzonia con calamari freddi; ingredienti della tradizio-ne come la priprioca ed esplorazione di luoghi vergini al servizi di una cucina innovativa e divertente. Tutto questo al D.O.M di San Paolo, Brasile di Alex Atala.
  • 19. Lo chef sostanziale per eccellenza non poteva che essere il maestro giapponese Narisawa, famoso per le sue creazioni polisensoriali, gli accostamenti tra opposti gustativi (dolce e salato) e l’estetica avvolgente. Anche la sua filosofia è una sintesi straordinaria tra il mondo tradizionale orientale, svincolato dalle pesanti restrizioni, ma riempito di tempi, colori, silenzi propri e la cucina d’autore europea.
  • 20. I temi della natura (terra, acqua, fuoco, foreste e carbone) ed il rapporto con le materie prime e le stagioni, trasportano l’individuo in un mondo bello e malinconico. I sensi, che vengono esaltati uno per uno, permettono di far rivivere nel piatto la natura delle cose che l’uomo stesso ha ucciso per poi riassorbirne la forza vitale, promuovendo così anche il concetto di sostenibilità. Fig 34. Uno spettacolo di gusto. Il "Suzuki" è una spigola di mare con cavolo, asari e vongole avvolta in un sacchetto e aperta di fronte agli occhi del cliente, lasciando sprigionare il calore e profumo intenso; un minuto di spiegazione approfondita da parte del personale e voilà, la magia dei sensi è servita.
  • 21. Tra un esploratore carioca e un saggio samurai della cucina della percezione, potremmo collocare uno chef bistronomo spagnolo, Azpitarte, maestro culinario in un locale minimalista Parigino. Diversamente dagli altri grandi chef stellati come lui, il suo progetto è certamente meno ampolloso, viene ricercato l’impatto immediato del gusto e della creatività, al cui servizio troviamo materie prime sceltissime. Tecnica, precisione ed essenzialità, idee
  • 22. complesse rese con semplicità e chiarezza sono le carte vincenti di questo laboratorio creativo, tutto teso a far innamorare il proprio pubblico già dal primo sguardo. Ciò che ricrea l’autore in quasi ogni piatto è un viaggio, uno schema passionale tipico della tradizione folkloristica, ma allo stesso tempo anticonformista rispetto all’attuale modello prevalente. Due sapori principali, due schemi valoriali, che prima si scontrano dando vita ad una battaglia, ad un’esplorazione dinamica e contrastante, per poi ritrovarsi, capirsi, innamorarsi dentro la mente dell’assaggiatore e infine venire sanzionati nell’unione tipica del matrimonio. È una cucina che fa sognare e per questo innamorare del suo romanticismo (altro archetipo jungiano), connotandosi principalmente come mitica. Fig. 35 «Agnello bietole e shizo» (ingrediente giapponese): questa una delle creazioni di Iñaki Aizpitarte chef «bistronomo» de Le Chateaubriand Paris, France
  • 23. Padre autorevole (ultimo archetipo) della cucina nordica è il pluripremiato «chef vichingo» Redzepi. Amante della propria terra cerca di farla rivivere in ogni portata; anzi, nella scelta del piatto stesso che diventa un contenitore o «ciotola» trovata nell’artigianato locale dei luoghi stessi dai quali provengono le materie prime. Da una cultura quindi che viene da lontano, fatta di coltivazioni naturali e genuine, freschezza (anzi freddo, visto che stiamo parlando della Scandinavia), aria pungente, messe al servizio di un talento raffinato e un’anima volta alla sperimentazione. L’omaggio delle sue creazioni è alla terra e al mare, madri dei frutti che lo chef serve. Autore di una cucina mitica, vuole riportarci alle origini, in quei paesaggi, quelle tradizioni e quei suoli.
  • 24. Fig.36 «Asparagi e abete rosso»: creazione con firma di René Redzepi. L'uomo dietro il menu del Noma di Copenaghen in una delle più semplici ed evocative ricette del suo ristorante. Quadrato semiotico iscritto nel mapping dei principali stili culinari