Lo scopo di questo lavoro si esplica nella volontà di comprendere quali siano i valori e le idee che muovono i principali trend artistici, culturali e sociali del gusto.
Un tipo di cucina, come una pubblicità, può avere come scopo principale una funzione rappresentativa, tesa a dar luce alle proprietà e ai gusti delle materie prime, con un effetto di oggettivazione, oppure può far leva su una funzione costruttiva che metta in secondo piano le materie prime utilizzate, per esaltare un’idea o un discorso.
Entrambe però queste strategie contribuiranno a costruire un discorso, una comunicazione…
C'è lo Chef che esprime maggiormente una vocazione a rappresentare e testimoniare (è un fotografo reporter realista della realtà, non la snatura, non mette un punto di vista, non vuole aggiungere la propria componente emotiva).
C'è invece lo Chef che vuole dire la sua riempiendo il piatto di punti di vista e emozioni nuove.
E’ comunque necessario costruire una coerenza all’interno di tutti gli elementi del Marketing Mix, una sinestesia, una narrazione che includa un ragionamento su ogni dettaglio: la struttura del ristorante, il menù, l’apparecchiatura, la carta dei vini, il servizio in sala, la musica di sottofondo, gli odori, il calore, il design e le scelte artistiche...
Capire gli obiettivi comunicativi principali di una cultura culinaria è utile ad inquadrarla in relazione alle altre e ritrovare i significati profondi che la muovono. Ogni cultura per Lotman si definisce proprio in base ai discorsi e ai valori che pone come dominanti.
Gioia Barberi, SEO Copywriter, Web editor – “Il Metaverso e la Comunicazione ...
Tendenze e Stili della moderna gastronomia: come comunicano i migliori Chef del Mondo!
1. Generi e stili della moderna gastronomia
Per concludere questo capitolo sulla semiotica del gusto
vorrei cercare di riprendere e allargare a questo campo il
ragionamento fatto da Floch sulle ideologie pubblicitarie.
Marrone, parlando di questo autore, sottolinea come sia
necessario distinguere generi e stili. Parlando di cucina: una
cosa è il «genere» culinario, altra cosa «lo stile» personale
che ogni cuoco, così come ogni pubblicitario, adopera nel
costruire la propria declinazione e l’esperienza gustativa di
cui si fa enunciatore (Marrone 2001; Floch 1992).
Un altro interessante punto di vista è come i diversi generi
e stili possano essere usati per classificare tutti gli elementi
del mix di comunicazione che, nel nostro caso, diventano:
la struttura del ristorante, il menù, i servizi per
l’apparecchiatura, la carta dei vini, il servizio in sala.
2. Sarebbe importante perciò capire se un genere enunciativo
possa portare alla coerenza di ogni elemento nella
manifestazione per raggiungere un discorso culinario che
restituisca un’unità di senso compiuto. In questo capitolo ho
già cercato di spiegare per quali ragioni la cucina sia un
grande e importante fenomeno semiotico, comunicativo e di
significazione, all’interno del quale ruota una dimensione
enunciativa. Un tipo di cucina, come una pubblicità, può
avere come scopo principale una funzione rappresentativa,
tesa a dar luce alle proprietà e ai gusti delle materie prime,
con un effetto di oggettivazione, oppure può far leva su una
funzione costruttiva che metta in secondo piano le materie
prime utilizzate, per esaltare un’idea o un discorso
(Marrone, Mangano 2013).
Il quadrato semiotico di Floch ci permette di arricchire
queste due posizioni, derivanti l’una da un tipo di linguaggio
referenziale, l’altra da uno strutturalista, con le posizioni
intermedie dei subcontrari: la prima volta a mostrare e far
vivere la sostanza del piatto, per come viene percepita dai
sensi, l’altra che porta invece alla scomparsa vera e propria
della materia prima, che viene elaborata per costruire
qualcos’altro da sé, instaurando una strettissima relazione
con il destinatario di questo «gioco» di mascheramento.
Possiamo quindi proporre un quadrato semiotico che, a
partire dalle ideologie pubblicitarie proposte da Floch e dal
discorso sui generi di marca di Marrone, vada a indagare
quale possano essere i «generi culinari» che danno origine
a differenti idee sul gusto. Cercherò in seguito di inscrivere
in questo quadrato che vorrei rendere il più possibile
dinamico, continuativo e definito nelle sue infinite maglie
intermedie, un «mapping» utile a descrivere ulteriori
sfaccettature del discorso. Infine, con il solo scopo
esemplificativo, collocherò all’interno di questo strumento
3. alcuni dei più importanti e premiati chef del mondo (the
world’s best 50 reastaurant) e le loro filosofie di cucina per
delineare, a grandi linee, le principali tendenze culinarie dei
maestri della ristorazione dei nostri tempi più recenti
(2013).
Ovviamente in cucine così complesse sarà ancora più
evidente ciò che Jakobson (1966) ha detto sui testi
comunicativi. Le dimensioni discorsive (pragmatica,
passionale, cognitiva ed estetica) saranno tutte presenti
all’interno di un enunciato; è perciò sbagliato pensare alle
posizioni del quadrato come esclusive, ma lo scopo è quello
di individuare l’intento comunicativo dominante che uno
chef, proveniente da una certa cultura, società, percorso
individuale e professionale, vuole esprimere. Capire gli
obiettivi comunicativi principali di una cultura culinaria è
utile ad inquadrarla in relazione alle altre e ritrovare i
significati profondi che la muovono. Ogni cultura per
Lotman si definisce proprio in base ai discorsi e ai valori che
pone come dominanti (1985). Partire da questi valori è utile
per risalire in superficie attraverso un percorso generativo
che si manifesterà nell’espressione culinaria.
4. Fi
g. 26 Ipotesi di quadrato semiotico sui «generi culinari», sul
modello di J. M. Floch 1992
Fig. 27 Ipotesi di quadrato semiotico iscritto nel mapping sui
«generi culinari», unendo il mapping semiotico di A. Semprini
1997 e il quadrato semiotico di J. M. Floch 1992
5. La cucina referenziale potrebbe essere definita
oggettivante perché vuole mostrarci il piatto nella sua
essenza, dimostrandoci cosa «sanno» e possono fare le
materie prime che lo compongono. Queste vengono
esaltate nella loro essenza, restando sempre naturali senza
essere trasformate o mascherate da processi come la
liofilizzazione.
Tipico della cucina tradizionale, potremmo ritrovare in ogni
occorrenza caratteristiche consolidate, isotopie radicate e
prevedibili, realizzate a regola d’arte. Gli elementi saranno
sensorialmente percepibili sul piano dell’espressione e
rimanderanno ad una dimensione culturale e sociale. Ma il
messaggio non sarà di tipo poetico o emozionale, ma di
valori pratici. Il cuoco enunciatore sarà praticamente
assente nel processo di enunciazione, delegando ad una
terza persona il ruolo di narratore. Diventerà piuttosto un
fotografo reporter di una realtà. La cucina è qui un’arte
pragmatica che userà per lo più materie prime «di qualità»,
sane, naturali, sicure, affidabili, salutari, nutritive, digeribili,
leggere, equilibrate nel piatto, ecosostenibili, biologiche, a
chilometro zero. La forma di vita che questo chef evoca è
quella di una persona immersa nella sua quotidianità, nel
proprio contesto d’uso.
Questa cucina neo-realista crea un’esperienza gustativa
tesa a trasportare l’enunciatario in un mondo fatto di
situazioni reali e valori concreti che costui può riconoscere
come propri. Saranno ben descritti i piatti già dal menù
(magari anche in maniera iperbolica), evitando effetti
sorpresa, costruzioni complesse, o dispersioni in profondità;
le articolazioni spazio-temporali non verranno mai forzate e
l’attorializzazione degli alimenti cercherà di essere lineare
6. nel proporre una fruizione chiara che farà leva sul concetto
comunicativo espresso (Marrone 2007; Floch 2006;
Landowsky 2000; Manetti 2006; ).
Si afferma nella cucina referenziale, tramite il processo di
implicazione (non y implica x), la cucina sostanziale.
Altrettanto concreta nel vivere immersa nelle materie e
nell’essenza degli ingredienti, ha però una forte tendenza al
dinamismo e all’innovazione nel cercare di costruire
un’esperienza polisensoriale.
Lo chef cercherà quindi in primo luogo di esaltare la
piacevolezza dell’assaggio, gratificare l’occhio attraverso
un’estetica raffinata e riempire tutti gli altri sensi per far
vivere fino in fondo il piatto. Ritroviamo in quest’ambiente
la «nouvelle cuisine» e l’influenza dello chef Bocuse, che si
7. contrappongono alla «cuisine classique» per la volontà di
stimolare tutte le percezioni e principalmente gratificare la
vista. E’ il mondo delle qualità materiche, della fisicità, dei
sensi, del corpo che vive un’esperienza tutt’altro che
onirica o immaginaria. Al centro del piatto non ci sono idee,
costruzioni, valori, ma consistenze, colori, odori, sapori,
luci, materie e suoni. Il corpo propriocettivo scopre tutto
ciò, mettendosi in relazione con quell’oggetto e facendolo
percepisce se stesso. Per realizzarlo lo chef avrà bisogno di
materie prime particolarmente evocative dal punto di vista
delle sensazioni che richiamano. Il piatto sensibile e le
materie prime scelte sono il vero eroe di questa esperienza
di degustazione. Lo chef, che prima ancora è esploratore e
biologo (alla ricerca di piante e aromi particolari) delega alla
sua creazione il compito prima di dividere e frammentare,
poi di ricongiungere l’individuo fisico con il mondo naturale
o culturale e quindi con se stesso.
8. Negare il regno dei bricoleur che si basa sul pensiero
concreto, sensibile, corporeo, che è già presente nel
significato e nella funzione delle cose, significa entrare nel
regno degli chef ingegneri.
Grignaffini in questo senso parla di cucina concettuale.
L’ingegnere è l’artista che progetta il suo piatto a tavolino;
per lui le materie e le creazioni hanno senso solo se è lui a
darglielo. Non si tratta quindi di trasformare,
risemantizzare, attualizzare, modificare, ma piuttosto
costruire qualcosa che vada ad esplorare nuove frontiere,
concezioni, idee di gusto. Siamo nell’ambito della
dinamicità, dell’esplorazione, della rivoluzione che parte
dalla mente. La tendenza è quella alla realizzazione di se
stessi, al tentativo di piegare la vita alle proprie esigenze
9. celebrali. Questi geni della creazione si muovono tra logica
pura, matematica e delirio creativo e poetico. Lo stesso
Bottura, chef pluristellato del ristorante «Osteria
francescana» di Modena, ha come scopo quello di guardare
in maniera critica alle tradizioni per poi cercare di superarle
e rivoluzionarne i sapori.
Fig.28 “L’agnello di Dio” dello chef simbolista e avanguardista Mas
simo Bottura.
Questo avverrà negando ogni praticità e concretezza, creando
enigmi da risolvere all’interno del piatto, fili da districare,
labirinti da sciogliere, giochi di mascheramento, investigazioni
da compiere. Se questa cucina ha una filosofia prettamente
egoriferita, non possiamo dire però che non attribuisca un
ruolo fondamentale al destinatario. Questi è parte attiva di
questo processo fatto dall’esperienza non più solo gustativa,
ma soprattutto cognitiva. La sanzione finale che il piatto
enunciatore decreterà sarà quella di un «saper fare», essere
stati in grado di trovare «il bandolo della matassa». Non
mancano in questo gioco di trucchi e indizi alcuni richiami,
citazioni colte e metalinguaggi, di fronte ai quali l’enunciatario
deve compiere un altrettanto difficile sforzo cognitivo di
completamento, di preparazione preliminare sull’idea di cucina
dello chef, di completamento interattivo laddove viene
10. chiamato in carico. Il valore di questa «cucina obliqua» sta nel
fatto che chi la sperimenta deve riuscire a coglierne le sottili
vene intellettuali assumendone una prospettiva e un punto di
vista inusuale. È questo il regno della gastronomia molecolare
di Ferren Adrià, chef basco considerato il capostipite del
genere, e del suo desiderio di provocare, sorprendere e
deliziare con contrasti continui di sapori, temperature e colori.
Il cliente ideale del suo precedente ristorante El Bulli «non vie
ne per mangiare, ma per provare un’esperienza» (Adrià 2009),
che lui stesso ha architettato nel suo laboratorio di Barcellona
«El Taller».
Fig. 29 Laboratorio creativo “El Taller” di Barcellona guidato da
Ferran Adrià
11. Negante la cucina sostanziale, contraria a quella
referenziale e implicata dalla cucina obliqua, è infine la
gastronomia mitica. Questa rappresenta l’arte di
costruire un’esperienza emozionale gastronomica: si
prefigge di trasportare il cliente in un mondo immaginario
che gli permetta di riconoscere la propria identità, storia,
ma anche di condividere sogni e desideri. L’astrattezza e la
massima virtualità da una parte, la sinestesia che trasforma
la materialità dell’esperienza corporea in viaggio mentale,
in mood, ma anche la tendenza al controllo (possiamo
ritrovare qui gran parte della «cucina del ritorno»)
dall’altra. Il piatto diventa un pretesto per far rivivere un
mondo fatto di sogni e ambizioni che lo chef può
condividere con il suo pubblico traghettandolo, attraverso i
sapori, verso un percorso passionale canonico. Come per
12. seguire una sirena costui si sgancerà dall’istanza
enunciativa spazio-temporale, dall’ àncora fornita dal
proprio corpo fisico, per abbandonarsi ai piaceri della
mente, delle sensazioni, dell’amore per la famiglia o per
l’innamorato. Le rime, l’enfasi, lo stupore che ammanta, il
mistero che avvolge tutto, a differenza della cucina
referenziale, sono improntati a dare al piatto ciò che
fisicamente non possiede, per riempirlo di valore aggiunto,
di passione.
Abbiamo finora parlato di generi culinari che racchiudono
alcuni tratti comuni, insiemi valoriali, operazioni di
produzione che portano alla costruzione di ideali sociali di
cucina. Se questi delimitano degli ambiti, delle cornici
comunicative entro cui spaziare, è proprio a partire da essi
che ogni grande chef muove per ridisegnare e ritagliarsi un
proprio stile discorsivo e riuscire così ad esprimere se
stesso mettendosi in relazione con un pubblico che apprezzi
e riconosca quella particolare sensibilità.
13. Esponente straordinario della cucina referenziale è per
esempio lo chef svedese Magnus Nilsson del ristorante
Fäviken Magasinet. Facente parte della generazione dei
giovani chef che la critica internazionale ha ribattezzato
come «l’onda del nord», lui definisce la sua cucina come
«Rektun food» (cibo vero), fortemente radicata alla sua
terra, alle tecniche naturali di conservazione e artigianato
alimentare, alla natura e ai prodotti che offre. Il rispetto
degli ingredienti nella loro forma base, spesso frutto di una
ricerca e di una caccia che compie lo stesso cuoco nei
boschi delle lande sperdute e rigide a nord di Stoccolma, si
aggiunge alle conoscenze tecniche straordinarie, utili per
massimizzare il potenziale delle materie prime.
14. L’autore di questa cucina artigianale e rurale, rifiuta tutto
ciò che è folklore o moda, sostenendo sempre e solo il
prodotto, rispettato nei suoi tempi e spazi, mai sottomesso
alle leggi del mercato o alle esigenze umane. Le mani
diventano quindi lo strumento d’arte di questa cucina
iperrealista che manipola ingredienti «salvati dalle
intemperie» (scrive lo stesso chef) per metterne in luce
l’essenza pura; mani quindi che si sostituiscono appunto
alle siringhe, tipiche della cucina molecolare.
15. Fig. 30 Capesante “Ur skalet i elden” (dal guscio nel fuoco) dello
Chef svedese Magnus Nilsson del ristorante Fäviken Magasinet:
legna di betulla per creare la brace, rami di ginepro fresco e
muschio sono le basi per creare questa apparentemente semplice
ricetta naturale di cucina referenziale.
Fig. 31 Fäviken Magasinet, 12 esclusivi coperti nei boschi remoti del
Nord della Svezia
Ferren Adrià, padre della cucina d’avanguardia creativa, usa un
approccio opposto a quello dello chef svedese. La sua arte
16. celebrale rispecchia i temi della cucina obliqua nell’utilizzo di
tecniche ricercatissime e innovative di laboratorio che
muovono allo scopo di scomporre il piatto nei singoli elementi
per poi riassemblarlo attraverso nuovi stampi creativi. I
paragoni con il cubismo non tardano ad arrivare, chiaramente,
e con questi gli sviluppi di nuove tecniche (frutto di importanti
investimenti nella ricerca) che creano mondo nuovi. Gli
strumenti utilizzati sono principalmente quelli della chimica e
della fisica, mentre il prodotto, smaterializzato, deve proiettare
il pubblico in mondi diversi e pieni di magia ad ogni portata.
L’interazione, la comunicazione sul cibo e sulla vita, la
riflessione, il gioco dinamico e attivo è ciò a cui il cliente non
può non partecipare.
Riprendendo gli archetipi elaborati da Y&Rchetypes, saremmo
così passati da un guerriero-guardiano della natura svedese a
un mago-creativo basco.
17. Nella prossima tappa, a cavallo tra i generi citati, troviamo
il massimo esponente della cucina brasiliana: Alex Atala,
capace di portare in cucina la biodiversità dell’Amazzonia
per svelare alimenti fin’ora inesplorati, contribuendo alla
ricchezza culturale, sociale di alcune zone produttrici
(fornendo una nuova fonte di reddito) e naturale. La sua
cucina potrebbe essere sintetizzata dal tipo di cottura che
usa prevalentemente: la putrefazione (stadio intermedio tra
crudità e cottura secondo Lévi-Strauss).
Stare a metà strada tra queste due cotture significa
attingere dalla natura, dal locale, dall’indigeno che non è
stato contaminato dalla modernità, che non ha bisogno di
ingredienti di lusso, per poi lavorarli con tecniche moderne
ed estrarne tutto il potere seduttivo. Allo stesso tempo
significa stare a metà strada anche tra una cucina
referenziale per alcuni aspetti materiali e sociali e una
obliqua, costruendo un ponte tra un mondo di sapori e gusti
inesplorati e una cultura moderna occidentale che ha
bisogno di nuovi elementi per arricchirsi e continuare a
crescere.
18. Fig. 33 Crema di barbabietola refrigerata, mandarino, priprioca,
foglie dell’Amazzonia con calamari freddi; ingredienti della
tradizio-ne come la priprioca ed esplorazione di luoghi vergini al
servizi di una cucina innovativa e divertente. Tutto questo al
D.O.M di San Paolo, Brasile di Alex Atala.
19. Lo chef sostanziale per eccellenza non poteva che essere il
maestro giapponese Narisawa, famoso per le sue creazioni
polisensoriali, gli accostamenti tra opposti gustativi (dolce e
salato) e l’estetica avvolgente. Anche la sua filosofia è una
sintesi straordinaria tra il mondo tradizionale orientale,
svincolato dalle pesanti restrizioni, ma riempito di tempi,
colori, silenzi propri e la cucina d’autore europea.
20. I temi della natura (terra, acqua, fuoco, foreste e carbone)
ed il rapporto con le materie prime e le stagioni,
trasportano l’individuo in un mondo bello e malinconico. I
sensi, che vengono esaltati uno per uno, permettono di far
rivivere nel piatto la natura delle cose che l’uomo stesso ha
ucciso per poi riassorbirne la forza vitale, promuovendo così
anche il concetto di sostenibilità.
Fig 34. Uno spettacolo di gusto. Il "Suzuki" è una spigola di mare
con cavolo, asari e vongole avvolta in un sacchetto e aperta di
fronte agli occhi del cliente, lasciando sprigionare il calore e
profumo intenso; un minuto di spiegazione approfondita da parte
del personale e voilà, la magia dei sensi è servita.
21. Tra un esploratore carioca e un saggio samurai della cucina
della percezione, potremmo collocare uno chef bistronomo
spagnolo, Azpitarte, maestro culinario in un locale
minimalista Parigino. Diversamente dagli altri grandi chef
stellati come lui, il suo progetto è certamente meno
ampolloso, viene ricercato l’impatto immediato del gusto e
della creatività, al cui servizio troviamo materie prime
sceltissime. Tecnica, precisione ed essenzialità, idee
22. complesse rese con semplicità e chiarezza sono le carte
vincenti di questo laboratorio creativo, tutto teso a far
innamorare il proprio pubblico già dal primo sguardo. Ciò
che ricrea l’autore in quasi ogni piatto è un viaggio, uno
schema passionale tipico della tradizione folkloristica, ma
allo stesso tempo anticonformista rispetto all’attuale
modello prevalente. Due sapori principali, due schemi
valoriali, che prima si scontrano dando vita ad una
battaglia, ad un’esplorazione dinamica e contrastante, per
poi ritrovarsi, capirsi, innamorarsi dentro la mente
dell’assaggiatore e infine venire sanzionati nell’unione tipica
del matrimonio. È una cucina che fa sognare e per questo
innamorare del suo romanticismo (altro archetipo
jungiano), connotandosi principalmente come mitica.
Fig. 35 «Agnello bietole e shizo» (ingrediente giapponese):
questa una delle creazioni di Iñaki Aizpitarte chef «bistronomo»
de Le Chateaubriand Paris, France
23. Padre autorevole (ultimo archetipo) della cucina nordica è il
pluripremiato «chef vichingo» Redzepi. Amante della
propria terra cerca di farla rivivere in ogni portata; anzi,
nella scelta del piatto stesso che diventa un contenitore o
«ciotola» trovata nell’artigianato locale dei luoghi stessi dai
quali provengono le materie prime. Da una cultura quindi
che viene da lontano, fatta di coltivazioni naturali e
genuine, freschezza (anzi freddo, visto che stiamo parlando
della Scandinavia), aria pungente, messe al servizio di un
talento raffinato e un’anima volta alla sperimentazione.
L’omaggio delle sue creazioni è alla terra e al mare, madri
dei frutti che lo chef serve. Autore di una cucina mitica,
vuole riportarci alle origini, in quei paesaggi, quelle
tradizioni e quei suoli.
24. Fig.36 «Asparagi e abete rosso»: creazione con firma di René
Redzepi. L'uomo dietro il menu del Noma di Copenaghen in una
delle più semplici ed evocative ricette del suo ristorante.
Quadrato semiotico iscritto nel mapping dei
principali stili culinari