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INTRODUZIONE
Principi generali di Tossicologia forense
La Tossicologia è la scienza che studia le sostanze che sviluppano azione tossica sull’organismo, applicando metodi
specifici di indagine sulla loro natura e con criteri di valutazione sperimentale e biologico-statistica della tossicità. La
Tossicologia forense riguarda l’ambito della diagnosi di avvelenamento ed è caratterizzata dai caratteri distintivi
dell’ambito applicativo, del metodo analitico e del momento interpretativo.
Gli ambiti di applicazione della tossicologia forense vanno dalla sperimentazione dei farmaci al controllo delle reazioni
avverse o al controllo delle reazioni collaterali (Medical malpractice), al controllo del loro abuso, con particolare
riguardo a quello delle sostanze stupefacenti; allo studio delle sostanze che manifestano spiccata azione sull’uomo, ma
per le quali non è noto o applicato un regime di impiego terapeutico; allo studio dell’impatto di sostanze tossiche e
nocive sull’uomo per causa ambientale (ecotossicologia) o lavorativa; allo studio e al controllo del doping sportivo;
all’esame delle evenienze di accidente suicidio omicidio causate o concausate da sostanze tossico nocive e stupefacenti.
Dalle limitazioni iniziali alle esigenze della perizia giudiziaria in casi di sospetto veneficio, la Tossicologia forense è
oggi estesa a tutto il campo delle Leggi che tutelano la salute individuale e collettiva. Sempre il C.P. in caso di omicidio
e lesioni personali gravissime prevede una aggravante specifica per l’uso di sostanze tossiche o nocive, in quanto le
modalità operative per raggiungere lo scopo delittuoso rendono evidente la premeditazione, così come rendono vana,
contestualmente, ogni possibile azione di difesa della vittima, in quanto la sostanza tossica o nociva, caratterizzata dalla
proprietà di agire negativamente sulla salute a bassa concentrazione (veleno), è facilmente occultabile (azione
“subdola”). Il metodo analitico si caratterizza come del tutto peculiare, in quanto i risultati provengono da più indagini
sullo stesso materiale oggetto di indagine condotte secondo principi e logiche diverse sia per metodo che per
strumentazione, e ciascuna idonea a caratterizzare aspetti e proprietà diverse di una specie molecolare. I risultati delle
singole indagini contribuiscono a formare quello che viene definito il dato di laboratorio, con carattere di elemento di
prova.
La diagnosi di avvelenamento è un criterio integrato, facendo capo a quello anamnestico-circostanziale, a quello
anatomo-patologico, a quello chimicotossicologico. La diagnosi deve risolvere quesiti che, in ordine di metodo,
riguardano gli aspetti cronologici del fatto in esame e della sostanza identificata, del metabolismo della stessa della via
di somministrazione, di eventuali fenomeni di accumulo, delle alterazioni trasformative del cadavere.
Si definisce tossico o veleno ogni elemento o composto chimico il quale, introdotto nell’organismo per adatta via,
agisce con meccanismo chimico o biochimico causando uno stato peggiorativo delle condizioni precedenti, malattia o
morte.
La proprietà tossica di una sostanza è legata a vari fattori, quali la solubilità (in acqua, o nei lipidi), la via di ingresso, la
via metabolica e di eliminazione, la possibilità di creare depositi in aree bersaglio.
Il termine veleno indica che la sostanza tossica agisce a piccole dosi, diversamente da altre sostanze che divengono
tossiche solo se somministrate ad alte dosi e per modalità idonee.
Anticamente il veleno veniva distinto in venenum bonum e malum, nel senso di distinguere fra una sostanza tossica solo
ad appropriate dosi, e sostanza generalmente letifera: la distinzione non aveva un carattere prevalentemente
quantitativo, mentre l’aspetto qualitativo veniva ad essere rappresentato dai criteri di idoneità e successivamente dai
criteri del giudizio integrato medico legale, a posteriori.
Quindi è più corretto parlare di avvelenamento che di veleno, con riferimento a fattori condizionanti piuttosto che
univocamente determinati dal punto di vista della struttura chimica.

Farmacocinetica, farmacodinamica l’interpretazione dei risultati
Al fine di interpretare i risultati di una indagine tossicologica, è necessario conoscere la disposizione del farmaco ed il
suo metabolismo. La conoscenza degli aspetti anatomici e fisiologici che ne determina l’assorbimento, la distribuzione e
l’eliminazione, unitamente alla comprensione del metabolismo farmacologico permetterà di rispondere a tali questioni
con una certa attendibilità.
L’inizio, la durata e l’intensità di azione di un farmaco dopo somministrazione sono controllati dalla concentrazione
raggiunta dal farmaco nel suo sito d’azione.
La farmacocinetica consiste nella valutazione matematica di questi processi che si correla alla dose somministrata, alla
concentrazione ematica ed alla risposta farmacologica. La maggior parte dei farmaci somministrati per via intravenosa o
per via orale daranno curve ematiche (o plasmatiche) del tipo tempo/concentrazione. In seguito alla somministrazione
intravenosa, si verifica un rapido decremento della concentrazione del farmaco a livello plasmatico precocemente (fase
alfa) allorché la distribuzione è il processo più importante, seguito da una quota più lenta e costante di riduzione della
fase di eliminazione (fase beta). Dopo somministrazione orale, le concentrazioni plasmatiche aumentano all’inizio
quando il farmaco viene assorbito e poi si riducono quando l’eliminazione diviene il processo più importante.
I meccanismi di assorbimento sono descrivibili in termini di diffusione passiva (attraverso un canale o poro di
membrana idrofilo), diffusione facilitata di sostanze apolari (attraverso la parte lipoproteica della membrana), trasporto
attivo (contro gradiente di concentrazione, mediante l’attivazione di pompe specifiche ATP dipendenti). Tre sono i
fattori che regolano il trasporto: il flusso ematico al sito di assorbimento, la superficie totale di assorbimento, il tempo di
contatto con questa del farmaco; il primo risulta inoltre dipendente dalla possibilità o meno di un trasporto mediato da
proteine plasmatiche specifiche, a sua volta dipendente da eventuali fenomeni di competizione fra farmaci per il legame
disponibile sulla molecola del trasportatore.
Effetto del pH: molti farmaci sono basi deboli, o acidi deboli, potendo entrambi cedere un protone H +; gli acidi
formano quindi un anione carico, nel caso di una base si libera invece la base libera, non carica. Dato che il passaggio
transmembrana è legato al fatto che la molecola non sia dissociata, nel caso degli acidi passeranno le forme indissociate
(protonate), e viceversa nel caso delle basi queste passeranno solo dopo la cessione di H +. Per questo la concentrazione
di un farmaco è data dal rapporto fra la forma indissociata e quella dissociata a livello del sito di azione farmacologica,
e anche dal pH in quel punto e dalla forza di dissociazione (pKa) del farmaco (più basso il suo valore, più forte la
caratteristica acida della molecola).
Il sistema tradizionale per descrivere l’assorbimento di un farmaco è l’ipotesi della ripartizione in funzione del pH. Tale
ipotesi riguarda il passaggio del farmaco nel sangue per diffusione passiva di molecole non ionizzate attraverso la
barriera lipidica delle cellule intestinali ed all’interno del sangue. I fattori che controllano il rilascio di un farmaco da
una preparazione farmaceutica sono comunque complessi poichè la parete gastrointestinale non è una membrana
lipidica semplice ma piuttosto uno strato di cellule. Un farmaco acido viene assorbito nello stomaco ad un pH di circa 2
se non è ionizzato; diffonde passivamente attraverso la barriera semplice all’interno dei capillari ed è portato dal plasma
ad un pH di 7,4. Qui si ionizza ed è perciò incapace di tornare allo stomaco poichè c’è un netto gradiente di
concentrazione dallo stomaco al plasma, della quota non ionizzata. I farmaci basici sono quindi scarsamente assorbiti
nello stomaco, essendo la maggior parte assorbiti nel tratto superiore dell’intestino tenue (pH 5-7), nel tratto inferiore
(pH 7-8 8) e del colon (pH 7-8). Tuttavia, si può talora verificare anche un assorbimento della quota ionizzata, in
funzione del tempo di permanenza assoluta e prolungata nel tratto gastrointestinale per tutta la sua lunghezza.
L’avvelenamento in questi casi può essere trattato efficacemente con la pronta somministrazione di un assorbente orale
che prevenga l’ulteriore assorbimento del farmaco. La conoscenza del flusso ematico delle differenti parti del tratto
gastroenterico e del pH dei suoi contenuti è perciò importante. L’ assorbimento è possibile lungo tutto il tratto
gastroenterico, dallo stomaco al retto, sebbene il sito più importante sia la parte superiore dell’intestino tenue. Questo
possiede un’elevata peristalsi, un’ampia area di superficie, un alto flusso ematico ed un pH ottimale per l’assorbimento
della maggior parte dei farmaci, che risultano tutti notevolmente assorbiti. L’assorbimento dipende generalmente in
larga misura dall’ampia differenza nella concentrazione del farmaco tra il tratto gastroenterico ed il sangue.
L’ assorbimento di un farmaco dal suo sito di somministrazione all’interno della circolazione sistemica è noto col
termine di biodisponibilità (assoluta o sistemica). La biodisponibilità è semplicemente la frazione della dose del
farmaco, la quale è assorbita intatta da qualunque determinata via, confrontata con la somministrazione intravenosa che
dà un equivalente di assorbimento del 100%.
Dopo che il farmaco è stato assorbito, cioè dopo che è passato dal tratto gastrointestinale attraverso il fegato ed
all’interno del circolo sistemico, viene distribuito in tutto il corpo. La distribuzione dipende da un certo numero di
fattori. Questi includono il flusso ematico ai tessuti, il coefficiente di ripartizione del farmaco tra sangue e tessuti, il
grado di ionizzazione del farmaco al pH plasmatico, il peso molecolare del farmaco e l’estensione del legame tra tessuto
e proteine plasmatiche.
Una piena descrizione della distribuzione del farmaco può essere resa completa se è basata sulla conoscenza della
perfusione tissutale e sulla ripartizione del farmaco dal plasma ai tessuti o se è basata su un’analisi cinetica delle curve
concentrazione plasmatica-tempo. Uno dei più importanti parametri descrittivi che è probabilmente il più interessante
per il tossicologo è il volume di distribuzione (Va), ovvero la quantità di farmaco nell’organismo divisa per la
concentrazione plasmatica dopo che si è stabilito l’equilibrio di distribuzione.

Droghe
Il termine deriva probabilmente droog, termine con il quale gli olandesi definivano il trasporto di prodotti vegetali
essiccati via mare dall’Oriente; in Fitognosia il termine droga definisce l’insieme di elementi cellulari di un vegetale,
nei quali, all’interno dei vacuoli, siano presenti sostanze del metabolismo secondario, dotate di effetto sulle funzioni
fisiologiche dell’uomo.
L’uomo conosce fin da tempi immemorabili le modalità d’uso e gli effetti delle sostanze stupefacenti naturali; le forme
di espressione artistica che hanno cantato i tempi della tradizione primordiale sulle rive del mediterraneo, ad esempio il
bellissimo tema del sacrificio nella tradizione dionisiaca cretese, hanno posto in netto rilievo la presenza dei derivati
dell’oppio e di altre piante.
All’uso collettivo regolato dal rituale e indirizzato alla celebrazione metafisica di una precedente età, poi corrotta, di
intimo contatto fra umanità e divino, si è sostituito quello del singolo individuo, uso svincolato da ogni rito,
quest’ultimo 10 inteso come atto che nella ripetizione approvata da procedure di consenso trovava motivo per motivare
e celebrare una tradizione di concetti metafisici, non esprimibili o riservati.
La separazione fra rito e uso individuale ha posto in essere nuovi riti, occasioni e realtà contro cui viene a formarsi una
reazione di censura o del tutto repressiva per quanto attiene il meccanismo di controllo sociale affidato alle leggi,
ovvero il comportamento assuntivo di “droghe”.
Il passaggio successivo dalla disponibilità di sostanze naturali a quelle di semisintesi o addirittura di completa sintesi,
ha fatto esplodere il quadro del comportamento legato all’abuso in una miriade di comportamenti, ciascuno dei quali ha
creato situazioni diverse non solo sul piano farmacologico e tossicologico e in ultima analisi individuale, ma anche sul
piano dei comportamenti generalizzati, del commercio clandestino, delle problematiche connesse con l’accertamento e
il recupero da stati di abuso o dipendenza, del controllo sociale in termini di politica criminale.
L’interesse sull’azione delle sostanze nasce quindi dal fatto che le sostanze attive sul sistema nervoso centrale
dell’uomo hanno potere di influire profondamente non solo sui processi mentali, ma anche su molti aspetti del
comportamento individuale, e, considerando la vastità del fenomeno, di ampie fasce di collettività, osservando
soprattutto che l’abuso e la dipendenza interessano fasce peculiari e ristrette di età giovanile.
La multiformità del problema si riflette e si motiva anche nella ricerca e nell’ impiego di nuovi farmaci, capaci di
modificare selettivamente le risposte di aree cerebrali selezionabili, o di modulare la risposta comportamentale nella sua
interezza. In particolare gli antidolorifici e gli ansiolitici e antidepressivi di recente acquisizione hanno riproposto con
forza un problema di farmacodipendenza, prima storicamente limitato all’ambito di applicazione dei barbiturici, di
conseguenze incalcolabili, quando l’abuso si configuri a ponte di situazioni collocabili sia nell’ambito dell’approccio
agli stupefacenti che ai farmaci (politossicodipendenza). La farmacologia moderna studiando la sintesi di un farmaco, e
quindi nel nostro caso di una sostanza psicoattiva, definisce gli effetti osservati in base alle modalità di introduzione, di
assorbimento all’interno dell’organismo, di distribuzione, di azione e sito d’azione, di eliminazione. Da questo punto in
avanti definiamo come principio attivo di una sostanza quella parte alla quale si deve l’azione farmacologica
propriamente detta, caratterizza da costanza di azione, 11 variando questa solo in funzione della dose o per via della
sensibilità individuale. La disponibilità delle sostanze pure, sia ottenute per via sintetica che estrattiva (naturale e
semisintetica) ha cambiato le modalità d’uso delle sostanze stesse consentendo ulteriori vie di somministrazione.
Nel caso degli stupefacenti la via di introduzione può’ essere multiforme, ovvero a seconda dello stato fisico e della
solubilità dello stupefacente si possono avere varie fattispecie, fra le quali anche quella inalatoria, per l’assunzione di
sostanze volatili a carattere aromatico (derivati nitrici, “popper”, idrocarburi leggeri, solventi di resine e colle) o
addirittura di composti allo stato di polvere, sia stupefacenti o non, in origine confezionati a norma F.U.
La dipendenza da farmaci e da droghe produce una vasta gamma di figure di danno per gli assuntori, che vanno dall’
AIDS alle epatiti, agli stati nutrizionali carenti, ai disordini mentali, con ricaduta rilevante non solo sui costi socio
sanitari del fenomeno sulla collettività ma anche sulla capacità di controllo dell’ aumento delle forme di criminalità
organizzata.

Terminologia
Abuso autosomministrazione ripetuta o episodica di sostanze psicoattive; danno a causa degli effetti farmacologici o
per le conseguenze economiche e sociali dell’uso.
Addiction modalità compulsiva nell’uso di stupefacenti; il termine pone l’accento sull’aspetto quantitativo del
comportamento, a differenza di abuse che indica invece quello qualitativo.
Astinenza gruppo di sintomi di vario tipo e gravità per cessazione o riduzione dell’uso di una sostanza psicoattiva
assunta ripetutamente, la sindrome è in genere accompagnata da disturbi clinicamente obiettivabili, è un indicatore di
dipendenza insieme ai fattori comportamentali e cognitivi che si sviluppano o modificano per uso di sostanze
farmacologicamente attive.
co-dipendenza stimoli all’uso e abuso indotti dal comportamento di soggetti dediti all’uso di stupefacenti.
Craving desiderio incoercibile di sostanza psicoattiva e dei suoi effetti
Dipendenza la condizione di bisogno applicata a sostanza psicoattiva, necessità di ripeterle dosi onde evitare malessere
fisico e psichico, uso ripetuto (cronico) con compulsione 14 all’abuso, perdita di controllo nell’uso della sostanza, la
dipendenza fisica si riferisce alla tolleranza e ai sintomi della sindrome di astinenza.
dipendenza crociata capacità di una sostanza di sopprimere le manifestazioni della sindrome di astinenza da un’altra
sostanza e mantenere quindi lo stato di dipendenza fisica.
Intossicazione condizione che segue la somministrazione di una sostanza psicoattiva provocando disturbi a livello di
coscienza, cognizione, percezione, giudizio, affettività, comportamento o altre funzioni psicofisiologiche. Spesso una
sostanza è assunta per raggiungere il grado desiderato di intossicazione. Intossicazione acuta è una intossicazione di
significato clinico che include complicazioni mediche (fisiche). Intossicazione cronica si riferisce all’uso regolare e
corrente di assumere una sostanza a livello di intossicazione.
Overdose uso di una sostanza in quantità tali da produrre gravi effetti negativi, fisici o mentali.
Poliabuso uso di più di una sostanza, spesso contemporaneamente o in stretta successione, per potenziare o bilanciare
gli effetti di un’ altra sostanza.
Tolleranza necessità di aumento della dose o posologia per avere lo stesso effetto conosciuto, causa l’attivazione delle
vie metaboliche.
tolleranza crociata sviluppo di tolleranza a una sostanza diversa, cui l’individuo non è stato precedentemente esposto,
come risultato dell’assunzione acuta o cronica di una sostanza.

La diagnosi di tossicodipendenza
La diagnosi di tossicodipendenza (TD) riveste un ruolo chiave nell’attivare tutto l’insieme delle procedure di controllo,
cura e riabilitazione del soggetto assuntore di sostanze stupefacenti, e, più in generale, della filosofia di lavoro per gli
aspetti di prevenzione, controllo e repressione dell’abuso su scala nazionale, dovendo chiarire quale sia stato il
meccanismo considerato volta volta il più idoneo a raggiungere l’obiettivo del migliore approccio con la figura del
tossicodipendente, una lettura storica mostra con evidenza come gli insuccessi registrati, sia pur diversificati sul piano
qualitativo che quantitativo, riconoscano un comune denominatore, ovvero il momento della formulazione della
diagnosi di TD. Base metodologica per un corretta formulazione della TD è ovviamente la definizione delle figure del
consumatore occasionale, abituale e dipendente, in considerazione della capacità o meno delle singole sostanze
stupefacenti di generare tolleranza e di indurre dipendenza psichica e/o fisica. Grande importanza riveste inoltre la
tipologia del consumo, che può’ essere legata anche alla diversità ambientale e socio culturale, nonché alla variegazione
dei rapporti interpersonali e sociali e al ricordo di disturbi dovuti all’uso di droghe. In questo contesto anche la scelta
della sostanza stupefacente riveste un ruolo nell’indirizzare l’ iter d’uso della droga e dei meccanismi di passaggio fra
una forma e l’altra di abuso o di tossicodipendenza vera e propria.
La diagnosi di TD non puo’ e non deve essere esclusivamente legata, per deduzione, all’esito di una procedura analitica,
sia pur sofisticata; ma richiede un approccio integrato di metodologie e di procedure di tipo clinico oltre che analitico,
integrate nel contesto di una accurata indagine storica e del comportamento. Allo stato attuale solo l’indagine
tossicologica su capello sembra poter fornire utili e soprattutto sicuri elementi sulla storia di abuso nel tempo di
sostanze stupefacenti, ma rimane ancora senza risposta la domanda circa lo stato e il grado di TD.
Per quanto riguarda lo stato di TD è ancora possibile ottenere buone informazioni con un procedimento a posteriori,
identificando la presenza o meno di stupefacenti capaci di indurre dipendenza fisica, e fra tutti l’eroina, ma la
quantificazione del grado di TD sfugge alle necessità del Legislatore quanto all’esame del clinico, nè le procedure di
laboratorio possono essere utilmente interrogate al proposito. Il problema della mancanza di una soluzione al problema
non è infatti di ordine tecnico, bensì metodologico, ovvero qualora un soggetto sviluppi una forma di dipendenza fisica,
per es. da oppiacei, tale forma non presenta una correlazione strettamente lineare nei confronti della quantità di
stupefacente da assumere. Questa caratteristica farmacologica ha minato alle fondamenta ogni tentativo di elaborazione
di tests per la qualificazione del “bisogno” di stupefacenti del tipo oppioide, a fronte invece della indicazione legislativa
di differenziare l’intervento repressivo in funzione appunto di parametri esattamente determinati di sostanze
stupefacenti (la dose media massima giornaliera), poi successivamente emendata da referendum abrogativo (abolizione
art.72 T.U.309/1990).
Per quanto attiene l’ indagine sullo stato di TD è anche da segnalare come l’ indagine di laboratorio offra da un lato una
notevole quantità di informazioni, ma dall’ altro non possa da sola esaurire il problema della validazione della TD
quanto alla problematica del fabbisogno individuale di stupefacenti: l’ analisi quantitativa del campione biologico non è
praticabile per tutte le sostanze di interesse tossicologico, ovvero i limiti di sensibilità non sono gli stessi per ogni
famiglia di composti, inoltre non tutte le vie metaboliche di una sostanza sono conosciute. Puo’ infatti essere detto con
certezza, al momento delle attuali conoscenze, che i livelli quantitativi di una sostanza determinata nelle urine non
possono essere utilizzati per misurare l’ influenza di una sostanza stupefacente sul comportamento. Tale situazione
mette quindi in seria difficoltà l’ operatore che affronti il problema dell’ accertamento dello stato di tossicodipendenza
ai sensi delle procedure diagnostiche e medico-legali previste dalla Legge.
Le TD possono essere inquadrate in quattro tipi inerenti il disturbo: area del disturbo di adattamento e delle reazioni,
nevrosi, border-line e psicosi, area sociopatica; la distinzione ha un significato preciso dal punto di vista della
nosografia psichiatrica. Il disturbo sottostante tuttavia non è caratterizzato tanto dal sintomo quanto dalla struttura della
personalità e del carattere. Ciò che svolge la funzione di sintomo è quindi la TD stessa, un comportamento sintomatico
al servizio del conflitto psichico e dei relativi meccanismi di difesa rendendone meno evidenti le caratteristiche
specifiche. L’importanza di una accurata indagine psicopatologica e una divisione metodologica di tipi risulta evidente
in termini di terapia quanto di ricerca, stante la necessità di collegare variabili altrimenti non significative con tipi
diversi di organizzazione psicologica, ad es. nel caso delle indagini sui fattori di rischio nel periodo della scolarità o
della vita familiare. Il collegamento fra fattori di rischio e tipologia attira l’attenzione sul problema della prevenzione
circoscrivendo l’area di applicazione degli interventi programmati per la sua riduzione.

L’esame tossicologico delle sostanze stupefacenti
Le indagini svolte ai sensi del T.U. 309/90 hanno contribuito alla formazione di una notevole mole di informazione sul
fenomeno droga, nel senso che il coordinamento delle procedure analitiche e di Polizia effettuato dalle Prefetture ha
offerto un notevole e originale contributo alla conoscenza di un fenomeno che ad oggi veniva ad inscriversi nell’ ambito
delle competenze delle Procure della Repubblica. Le indagini di laboratorio disposte dalla A.G. per via chimica
rivestono un ruolo cardine nella documentazione e nel monitoraggio non solo degli aspetti qualitativi del fenomeno, ma
anche di quelli quantitativi, in tal senso basti ricordare l’ importanza della percentuale di principio attivo dei narcotici
per la valutazione del rischio di intravenous narcotism negli eroinodipendenti. L’ esame chimico affiancato da quello
microscopico delle sostanze sequestrate è risultato nella nostra esperienza di fondamentale importanza al fine di
determinare l’ambito geografico di provenienza dello stupefacente, le vie di importazione, le procedure di adulterazione
prima della sua vendita “in strada”. Un sistema informatico di trattamento dei dati di laboratorio con un database basato
su algoritmi di intelligenza artificiale ci ha permesso di collegare tutti i risultati delle indagini di laboratorio all’interno
di un disegno-mappa fedele delle caratteristiche di mercato che influenzano la tipologia di disponibilità degli
stupefacenti. Da un punto di vista operativo la raccolta dei dati potrebbe permettere quindi una maggiore incisività nelle
operazioni di controllo e repressione del narcotraffico, individuando linee di tendenza nel trasporto e nella distribuzione
dei narcotici.
La strategia di lotta alle tossicodipendenze e al narcotraffico rende evidente la necessità di impiego di una banca dati
informatica qualora si debba eseguire il monitoraggio di una situazione allargata, quale il mercato clandestino di
stupefacenti. Una organizzazione di dati in costante aggiornamento può infatti non solo descrivere ma anche analizzare,
come andamento di probabilità, le linee di sviluppo del fenomeno “droga”; e l’efficienza e quindi il successo
dell’operazione, se pur limitata dall’impiego di database relazionali, farà comunque pensare ad un comportamento
“intelligente”, soprattutto se la performance sarà legata all’impiego di strutture di rete, e quindi al metodo, piuttosto che
alle caratteristiche costruttiva dei computer.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha varato nel 1991 un Documento Strategico, strettamente legato alla
Dichiarazione Politica e Programma d’Azione Globale adottati dall’Assemblea Generale della XVII Sessione Speciale
delle Nazioni Unite (23 febbraio 1990), e rivolto ai problemi del traffico e dell’uso di sostanze stupefacenti.
In particolare, nella Dichiarazione della I° Conferenza pan-europea, al punto XVII° (Prevenzione, trattamento,
riabilitazione e reinserimento sociale) :”... attribuiamo un’ importanza particolare alle iniziative prese per favorire una
migliore conoscenza dei fattori che sottendono alla domanda di droga...” e nel documento del C.E.L.A.D. del 14
dicembre 1990 del Consiglio delle Comunità Europee, punto 5 della premessa (Misure di lotta alla droga) :”...creazione
di un Osservatorio europeo sul fenomeno droga, non soltanto riguardo agli aspetti sociali e sanitari, ma anche agli altri
aspetti connessi con la droga, inclusi il traffico e la repressione”, e al punto 6 dello stesso documento :”... il C.E.L.A.D.
riconosce la necessità di disporre di dati statistici corretti e comparabili sul traffico di droga nella Comunità e negli stati
Membri”. Risulta quindi evidente una doppia metodologia di ricerca di dati, una intesa alla repertazione di singole
informazioni (tipo di sostanza, ambiente d’uso), mentre la seconda, tesa alla formulazione di un profilo dei motivi che
spingono all’ assunzione di stupefacenti, delinea un problema di proporzioni ben più vaste. Non solo si tratta cioè di
elaborare un profilo a posteriori delle tendenze di mercato ma anche dell’ assuntore, (con il rischio di indurre frequenti
stereotipi dato che non sarà mai possibile organizzare la raccolta di tutti i dati relativi alla domanda di stupefacenti),
ovvero di costruire un modello di consumo plurimodale, (date le valenze eterogenee dei dati da raccogliere: biologici,
farmacologici, sociali, psicologici, ecc.); tale compito esula dalle tecniche statistiche per introdurre la tematica delle
procedure informatiche volte alla previsione, ovvero ai sistemi esperti (se non all’ intelligenza artificiale).
A seguito delle iniziative di Legge disposte dal TU 309/1990, (artt. 10 e 11), alla Direzione Centrale per i Servizi
Antidroga sono demandati i compiti di mantenere e sviluppare i rapporti con i corrispondenti servizi delle Polizie estere,
nonchè la creazione di uffici di intelligence antidroga al di fuori del territorio italiano. Le notizie disponibili
nell’Annuale Nazionale sull’attività antidroga del Ministero dell’Interno circa il tipo delle sostanze stupefacenti presenti
nel mercato clandestino, pongono in evidenze il ruolo informativo svolto dai laboratori di Tossicologia forense.
Un database relazionale permette di seguire in tempo reale le più piccole modificazioni nell’ambito del consumo di
narcotici in Bologna, e se la cosa è indubbiamente utile a fini di controllo del narcotraffico, e quindi a scopo di indagine
criminalistica, è indubbio come il programma sia utile anche per monitorare la situazione sanitaria.
E’ infatti evidente come la tipologia delle sostanze di abuso influenzi anche non solo i comportamenti degli assuntori,
ma anche il loro stato di salute. Per uscire da un periodo di approccio empirico al problema, potrebbe essere utile
affiancare i dati relativi alle moderne acquisizioni sugli effetti degli stupefacenti a quelli relativi alla loro diffusione.
Ci siamo proposti di valutare quali elementi fra i costituenti delle droghe da stradapotessero essere campionati a due
distinti scopi:
uno medico, teso alla valutazione del rischio sanitario delle preparazioni di droga da strada; la ricerca è stata mirata alla
evidenziazione di sostanze di accompagnamento del principio attivo (eroina) per le quali si potesse supporre un ruolo
nella etiopatogenesi della morte da intravenous narcotism da oppiacei. uno criminalistico, per la ricerca di indicatori
utili alla comparazione di partite diverse di stupefacenti, ma eventualmente riconducibili, sulla base di somiglianze di
costituenti in tracce, a precise linee di fabbricazione clandestina e di trasporto in Italia. La ricerca di tali sostanze di
accompagnamento può risultare utile al Magistrato che abbia come problema quello della comparazione di partite
diverse di droga, a fini penali, ma utile anche all’azione investigativa in tema di linee e rotte di narcotraffico, nelle quali
i processi di lavorazione e trasporto possono lasciare traccia di sé nella varia tipologia delle sostanze di
accompagnamento (precursori di semisintesi, parti botaniche dell’oppio di origine, tracce di cessione di materiali di
imballaggio per il trasporto, ecc). uno informatico, per la costruzione di una mappa relazionale che tenesse conto di
tutte le variabili, analitiche e di mercato.
L’analisi in microscopia elettronica in scansione delle street drugs
Il termine è applicabile prevalentemente alle preparazioni iniettabili di stupefacenti, e quindi di oppiacei (eroina), del
mercato clandestino.
Per quanto riguarda l’eroina, il contenuto in principio attivo oscilla tra il 2 e il 15%, la rimanente quota in peso, almeno
nel nostro Paese, è costituita da zuccheri, derivati alimentari (latte in polvere, liofili di the e preparati da radici e spezie),
e sostanze di accompagnamento, ovvero quelle residue della preparazione della sostanza stupefacente nelle fasi iniziali
risentono delle caratteristiche etnobotaniche delle zone di produzione e di raffinazione preliminare.
Nelle quote “non stupefacenti” delle street drugs per uso i.v. appaiono infatti, in aggiunta alle sostanze da taglio,
elementi di origine esogena, prive di azione propriamente “stupefacente” che, soprattutto riguardo alla induzione di
affezioni settiche ( quelle del miocardio, ad esempio, sono di frequente repertazione) è possibile ipotizzare che possano
giocare un ruolo rilevante anche sul piano antigenico.
Mentre infatti la patologia delle tossicodipendenze da uso i.v. della sostanza viene di norma definita come “aspecifica”,
ma comunque caratterizzata da aspetti infettivi legati alla pratica iniettoria, poco è noto sugli agenti che etiologicamente
possano essere considerati, almeno in parte e con ruolo concausale, responsabili della genesi di tale evento. In generale,
il quadro è quello di una morte conseguente a un fatto tossico diretto.
L’ interpretazione medica dei dati tossicologici deve considerare: patologie preesistenti, fattori di predisposizione
genetica, età, stato di tolleranza, interazioni con altri farmaci e stupefacenti, condizioni di stato metatossico con
insorgente astinenza o di condizioni esterne (paratossiche) che possano influenzare la tossicità di una sostanza. Il quadro
in generale è quello di una morte conseguente a un fatto tossico diretto, considerazione che valorizza al massimo il
ruolo della Tossicologia forense nella ricostruzione medico-legale dell’evento.
Il residuo delle preparazioni da strada è stato osservato in microscopia ottica (polarizzazione e contrasto di fase) ed
elettronica in scansione (SEM). La valutazione “morfologica” di tale residuo repertato si è giovata delle tecniche
proprie della fitognosia; tale metodologia permette infatti di poter spesso pervenire ad una classificazione botanica a
partire dagli elementi vegetali rinvenibili in polveri e preparazioni galeniche.
Per l’identificazione delle parti vegetali possono essere utilizzate le tavole per fitognosia “Chromatographische und
mikroskopische Analyse von Drogen” di Egon Stahl e l’atlante “ Powdered vegetable drugs ” di B.P.Jackson e D.W.
Snowdon.
E’ da notare che tutto il materiale visibile con questo metodo in scansione elettronica è capace per intero di attraversare
l’ago sia di una siringa normale che da insulina, stessa considerazione può essere condotta a proposito del ruolo dei filtri
da sigaretta impiegati spesso per l’iniezione delle preparazioni più torbide (per la presenza di basi non salificate o
diluenti insolubili). Il risultato è che ciò che viene mostrato nel presente lavoro sperimentale entra nel torrente ematico
per via venosa. Anche se alcuni elementi non sono chiaramente “leggibili” quanto alla loro natura, tuttavia l’immagine
d’insieme consente di effettuare una “comparazione” (numero di frammenti, tipo di azione meccanica di frantumazione,
ecc.), utile per affiancare il giudizio da questa emergente al risultato dell’indagine analitica. Più complesso quindi
l’obiettivo di poter arrivare al riconoscimento dell’ origine geografica e del periodo di maturazione, anche in
considerazione che il materiale in sequestro, e giunto all’osservazione, ha subito ripetuti “passaggi” e rimaneggiamenti.
Ma le osservazioni di alcuni casi “fortunati” permettono di sviluppare un cauto ottimismo sulla possibilità di ottenere
informazioni non solo sulla natura delle sostanze che accompagnano le preparazioni di stupefacenti da strada, ma anche
sulla provenienza, se pur approssimativa, se non della area geografica di crescita del residuo, almeno dell’ambiente
criminale in cui questo è stato utilizzato per costruire le preparazioni di droga destinate al mercato minuto. Il materiale
estraneo risulta spesso contaminato da frammenti metallici, fra i quali risulta prevalente l’alluminio, forse derivante da
operazioni di imballaggio artigianale dell’oppio, per mascherarne le caratteristiche organolettiche all’olfatto dei cani
anti droga. A tale scopo viene usato ad es. il metilisobutilchetone per annullare la presenza dell’haschis, mentre per la
cocaina sono previste operazioni più complesse di salificazione che permettono di imbibire con la droga abiti, valige,
libri, ecc.
Un raffronto fra le patologie riscontrate e i risultati dell’indagine chimico tossicologica permetteva di poter confermare
in buona sostanza quanto già evidenziato da altri Ricercatori che avevano affrontato il problema di evidenziare
eventuali quadri caratteristici sul piano della sezione cadaverica e dell’indagine microscopica nell’ambito dei decessi da
droga per assunzione endovenosa . A questo punto appare evidente come la frequenza dei reperti insolubili nelle
preparazioni di droga da assumersi per via endovenosa apra un fronte di interesse per quello che potrebbe essere un
ruolo di attivazione antigenica legato alla natura di tale materiale, considerando che già per i pollini e le spore è noto
quanto possa essere rilevante la carica antigenica sulla anormale espressività del sistema immunitario.
Riportiamo di seguito alcuni esempi di osservazioni sperimentali da noi condotte sul residuo insolubile in acqua e alcoli
di preparazioni di eroina da strada. SEM Philips serie 500, metallizzazione Au/Pd; l’ingrandimento è riportato alla base
di ciascun fotogramma.

Foto 1: da sn a dx e dall’alto in basso: drusa di ossalato di calcio, frammento di epidermide di dicotiledone sottoposto
ad azione di frammentazione con frullatore, stoma di foglia di Menta piperita, stomi di dicotiledone.
Foto 2: da sn a dx e dall’alto in basso: frammenti dilacerati di epidermide foliare di dicotiledone, frammento di vasi di
conduzione legnosi di radice di Zinziberacea, estremo cefalico di Anopheles, tricomi della pagina foliare superiore di
piante aromatiche xerofitiche.
Il database relazionale
E’ stato utilizzato come base dell’applicativo il sistema Access II Microsoft, modificato secondo la necessità di operare
con dati di laboratorio, notizie di generica e di specifica, diagrammi e fotografie. Il sistema applicativo da noi elaborato
permette di ottenere in tempo reale qualsiasi rappresentazione di connessioni fra variabili, siano esse alfanumeriche che
grafiche, sotto forma di grafico di correlazione o grafico di andamento. Di seguito mostriamo l’apertura seriata delle
varie “pagine” del database di laboratorio, attive anche sull’evidenziazione di alcune operazioni automatiche connesse a
variabili fisse di ingresso (dati di laboratorio).
LA RIDUZIONE DEL DANNO
“La Riduzione del danno è una politica sociale che privilegia lo scopo di diminuire gli effetti negativi del consumo di
droga. E’ una politica radicata in un modello scientifico di tutela della salute pubblica che attinge profondamente da
una cultura di tipo umanitario e libertario” (Russel Newcombe, Direttore della Drugs and HIV monitoring Unit LIverpool)
Riduzione del danno significa impegnarsi a eliminare o ridurre sensibilmente i danneggiamenti causati all’organismo
nelle persone che fanno continuo uso di sostanze stupefacenti illegali, dalle modalità di consumo di queste ultime,
nonché i danni causati dalle sostanze da taglio usate dai rivenditori di droga del mercato nero e/o da altre cause
indirettamente collegate. Questo principio generale deve in ogni caso tenere conto delle leggi riguardo gli stupefacenti in
vigore nel paese dove si svolge l’intervento, come si deve tener conto del fatto che oltre ai consumatori di droghe,
indirettamente anche la società in generale trae un beneficio. Riduzione del danno significa ridurre tutti gli azzardi
causati dall’uso di sostanze stupefacenti illegali, collegati ad esse direttamente o indirettamente. Nel corso di questi
ultimi anni si è assistito ad una massiccia politica di liberalizzazione, soprattutto a livello europeo (Olanda, Svizzera)
accompagnata però da una lettura più critica dei risultati ottenuti con tali sperimentazioni di liberalizzazione e
legalizzazione di sostanze stupefacenti. Potrebbe essere a questo proposito utile andare a leggere la relazione molto
critica del Ministrero olandese sugli effetti dei coffe shop e dei centri di distribuzione delle droghe erroneamente ritenute
leggere (cannabis, marijuana, hashish): si mette in luce come queste realtà abbiano segnato un incremento del mercato
legale ma anche illegale. In italia nel campo degli interventi contro la tossicodipendenza la politica della “riduzione del
danno” occupa una posizione primaria e costituisce un elemento fondamentale. La presenza di valide politiche di
riduzione del danno contribuisce ad evitare ai tossicodipendenti una vasta serie di problemi,fra i quali la diffusione del
contagio delle infezione da HIV, nonchè l’arresto o la carcerazione.
Le pratiche della riduzione del danno offrono anche dei benefici alla collettività se queste sono attuate con efficacia.
Nella filosofia della riduzione del danno le unità mobili (attivate e ordinate secondo distinti piani e progetti da parte
delle Regioni) sono uno strumento di avvicinamento delle persone tossicodipendenti “in strada”; gli “operatori di strada”
- che lavorano sulle unità mobili - forniscono informazioni sui mezzi a disposizione per ridurre i rischi, offrono
profilattici, siringhe monouso e altro materiale di prevenzione. Offrono supporto e facilitazione di accesso ai servizi e ai
programmi di cura e riabilitazione. Fungono da mediatori sociali con il fine di modificare la percezione sociale nei
confronti del consumatore-tossicodipendente, offrendo consulenza per informare, sensibilizzare, e possibilmente
prevenire.

Detenzione, clandestinità
I detenuti e gli internati hanno diritto, al pari dei cittadini in stato di libertà, alla erogazione delle prestazioni di
prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, efficaci ed appropriate, sulla base degli obiettivi generali e speciali di salute
e dei livelli essenziali e uniformi di assistenza individuati nel Piano sanitario nazionale, nei piani sanitari regionali e in
quelli locali (DM 22 giugno 99, n.230).
E’ noto che il carcere, per molti aspetti, è causa di rischi aggiuntivi per la salute fisica e psichica dei tossicodipendenti
detenuti, che costituiscono circa il 30% della popolazione carceraria. I programmi da sviluppare devono garantire la
salute del tossicodipendente detenuto e assicurare, contemporaneamente, la tutela complessiva della salute all’interno
delle strutture carcerarie, in un’ottica che concili le strategie più tipicamente terapeutiche con quelle di prevenzione e di
riduzione del danno. Tra gli obbiettivi di assistenza da garantire primariamente vanno indicati in modo particolare:
- l’immediata presa in carico dei detenuti da parte del SERT competente sull’istituto penitenziario, al fine di evitare
inutili sindromi astinenziali ed ulteriori momenti di sofferenza del tossicodipendente, assicurando la necessaria
continuità assistenziale;
- l’implementazione di specifiche attività di prevenzione, informazione ed educazione alla salute mirate alla riduzione
del rischio di patologie correlate all’uso di droghe;
- la predisposizione di programmi terapeutici personalizzati, predisposti a partire da un’accurata valutazione
multidisciplinare dei bisogni del detenuto, in particolare per quanto riguarda i trattamenti farmacologici (metadone
ecc.), anche di mantenimento;
- la disponibilità di trattamenti farmacologici sostitutivi tenendo conto del principio della continuità terapeutica,( in
particolare per le persone che entrano in carcere già in trattamento), concordati e condivisi con il tossicodipendente
detenuto.
Un commento a questo punto si impone per fare un po’ di chiarezza, se possibile, e avanzare alcune necessarie critiche.
Chiarezza perché spesso viene confusa una iniziativa disposta dalle regioni con una precisa norma di legge: a ben
guardare nel TU 309/90 viene data necessaria enfasi alle cosidette politiche di prevenzione primaria e secondaria, ma in
assenza di disposizioni precise o di linee guida, pertanto le iniziative sul territorio possono essere estremamente
diversificate, e in alcune aree del tutto assenti.
Una critica si impne invece sul piano etico deontologico: una politica di riduzione del danno che non tenga conto della
complessità dell’intero stato di tossicodipendenza esita in un atto medico parziale, mirato ad un aspetto di malattia e non
alla globalità delle problematiche del soggetto tossicodipendente, e questo non è eticamente accettabile. La frase
“riduzione del danno” ha pertanto un margine di ambiguità, perché non affronta il danno nella sua interezza, ma solo
uno o alcuni degli eventi di danno che esitano dalla condizione di tossicodipendenza.
IMPUTABILITA’ E TOSSICODIPENDENZE
Imputabilità e colpevolezza
Nel nostro ordinamento la colpevolezza significa colpevolezza per un fatto, lesivo di un bene penalmente protetto,
mentre per il soggetto agente occorre che sia certo che sia imputabile, ovvero che possa essere dichiarato penalmente
responsabile. Perché un soggetto possa essere colpito con la sanzione della pena non basta quindi che abbia
commesso con dolo o colpa tale fatto lesivo di un interesse protetto né che la sua azione risulti non giustificata da
alcuna esimente (antigiuridicità), ma è necessario che tutto il comportamento sia diretto contro la norma stabilita a
partire dalla certezza della condizione di imputabilità.
Al centro di un lungo dibattito, tuttora esistente, è stata la questione relativa ai rapporti intercorrenti tra imputabilità
e colpevolezza. L’art. 85 CP recita:” Nessuno può essere punito per un fatto previsto dalla legge come reato se al
momento in cui lo ha commesso non era imputabile; è imputabile colui che ha la capacità di intendere e volere”. Lo
scopo giuridico-formale della non imputabilità è quello di consentire l’esenzione da pena di certe categorie di
soggetti: se la si definisce uno status soggettivo necessario per l’irrogazione della pena, la non punibilità del soggetto,
pur in presenza di un reato completo di tutti i suoi elementi, dipenderà dalla assenza di una condizione soggettiva di
punibilità.
Sui rapporti tra imputabilità e colpevolezza, la giurisprudenza è stata oscillante. In un primo tempo, la Corte
Costituzionale ha affermato che “soltanto chi è capace di intendere e di volere può in concreto determinarsi in modo
penalmente rilevante nella coscienza e nella volontà della condotta”. Successivamente la posizione della Suprema
Corte si è evoluta nella opposta direzione. Essa ha infatti riconosciuto che imputabilità e colpevolezza sono ‘due
concetti ontologicamente distinti’, e che “l’indagine sul dolo non è preclusa dalla incapacità di intendere e di volere
del soggetto, perché l’imputabilità non è presupposto della colpevolezza”, occorrendo accertare, anche nel caso di
imputato infermo di mente, se il fatto commesso sia colposo, doloso, o preterintenzionale, sempre riguardo allo stato
di mente dell’agente.
La Suprema Corte, in una delle sue formulazioni più analitiche, ha così definito la capacità di intendere e di
volere:l’idoneità del soggetto a rappresentarsi l’evento conseguenza diretta ed immediata della propria attività, a
riconoscere e valutare gli effetti della propria condotta, ad autodeterminarsi nella selezione dei molteplici motivi che
esercitano nella sua coscienza una particolare spinta o una qualsiasi inibizione dirette l’una a concentrare (l’altra a
paralizzare), l’impulso dell’azione.
Le cause che escludono e diminuiscono l’imputabilità
Nel nostro sistema penale le cause che escludono o diminuiscono l’imputabilità appartengono a due specie:

1. le alterazioni patologiche, dovute ad infermità di mente o anche correlate all’azione
dell’alcool o a quella di sostanze stupefacenti (vizio di mente, totale, con esclusione
dell’imputabilità, e parziale, con riduzione della stessa ai fini della pena);
2. l’immaturità fisiologica o parafisiologica, dipendenti rispettivamente dalla minore età e dal
sordomutismo.
Secondo l’art. 88 c.p., circa il vizio totale di mente, recita: “non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il
fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità di intendere e di volere”. La diversa
formulazione di tale articolo rispetto alla disciplina prevista dal codice Zanardelli all’art. 46 rispondeva ad un
preciso intento: quello di riconoscere che il vizio, totale o parziale, di mente possa dipendere anche da infermità
fisica, purché questa abbia effetto sulla capacità di intendere e di volere.
Nel caso particolare della necessità di determinare una eventuale motivazione di non imputabilità nel caso di condotta
sotto l’influenza dell’alcool o stupefacenti occorre ricordare alcuni punti basilari, soprattutto importanti per capire la
ratio della norma giuridica.
Il Legislatore ha infatti previsto di escludere l’imputabilità qualora le condizioni di ubriachezza si siano verificate,
legandosi al fatto delittuoso, per fatto fortuito, o per costrizione da parte di terzi, mentre in caso di ubriachezza
volontaria ma colposa non si prevedono variazioni. Negli altri casi (ubriachezza abituale o preordinata al fine di
commettere un reato) viene addirittura applicata un’aggravante di pena, sulla base del concetto che essendo noti gli
effetti dell’alcool, un soggetto dovrebbe essere in grado di autodeterminarsi sul piano della responsabilità delle
proprie azioni, in modo da prevenire gli eccessi di una intossicazione acuta. Qualora però l’uso dell’alcool abbia
determinato uno stato di malattia cronico, si torna alla previsione di una diminuzione del profilo di responsabilità,
poiché lo stato di malattia impedisce, limita e talora nega del tutto la possibilità di autodeterminazione.
Come si vede l’accertamento dell’imputabilità ai fini della responsabilità si lega strettamente al concetto di possibilità
di autodeterminazione, cioè in definitiva al primitivo concetto di capacità di intendere e volere dell’art. 88 (vizio
totale) e 89 (vizio parziale).
Il vizio parziale di mente non esclude del tutto l’imputabilità, comportando quindi la sola diminuzione di pena, in
aggiunta alla quale può essere applicata (in caso di soggetto ritenuto pericoloso) la misura di sicurezza
dell’assegnazione ad una casa di cura e custodia (art. 219 c.p.). Si ha quindi il cumulo della pena con la misura di
sicurezza, con precedenza nella esecuzione della pena restrittiva, fatta salva la facoltà del giudice di disporre che il
ricovero in una casa di cura e custodia venga eseguito prima che sia iniziata l’esecuzione della pena.
L’uso di stupefacenti, legato al problema delle conseguenze dell’uso di alcolici e trattato negli artt. 91-95 CP pone
maggiori problemi sul piano interpretativo. Se da una parte non è agevole distinguere fra consumo “abituale” e
“cronico” di alcolici, a meno di non impiegare un distinguo centrato sulle conseguenze psicopatologiche della
condizione di alcolismo cronico, dall’altra, per gli stupefacenti, il distinguo pone problemi di analisi critica e
differenziale drammatici, poiché l’intossicazione cronica, se vogliamo legarla al concetto di dipendenza, non presenta
sempre segni e sintomi nosograficamente utili per una costruzione di un quadro clinico di “cronicità nell’uso di
stupefacenti”.
Le prospettive di riforma in tema di imputabilità
La problematica sin qui brevemente riassunta si inserisce nel più vasto problema riguardante la crisi di identità che la
nozione di imputabilità sta attraversando. È opportuno allora fare riferimento alle prospettive di riforma elaborate
nello “Schema di delega legislativa per l’emanazione di un nuovo codice penale”.
Sulla prima fondamentale questione circa la impossibilità di identificare e definire la nozione di infermità, il Progetto
di legge-delega per il nuovo codice penale fornisce un tentativo di soluzione. L’art. 34 del Progetto in riferimento alla
imputabilità ed ai casi di esclusione di essa così dispone:

1. escludere l’imputabilità nei casi in cui, al momento della condotta, il soggetto:
1. era minore degli anni 14 ovvero, se maggiore degli anni 14 e minore degli anni 18,
non aveva la capacità di intendere e di volere;
2. era per infermità o per altra anomalia o cronica intossicazione da alcool o sostanze
stupefacenti, in tale stato di mente da escludere la capacità di intendere e di volere;
3. era, per ubriachezza o per l’azione di sostanze stupefacenti derivata da caso fortuito
o forza maggiore, in tale stato di mente da escludere la capacità di intendere e di
volere;
4. era, per altra causa, in tale stato di mente da escludere la capacità di intendere e di
volere.
A questo punto ci troviamo di fronte a numerose ricerche che ci possono configurare l’arduo compito del medico
legale in materia di imputabilità sotto l’uso di sostanze stupefacenti, dal momento che tutte le discipline coinvolte
nell’argomento non possono fornire risposte certe in senso assoluto.
Ci accingiamo quindi ad una sintesi che ci conduca verso una conclusione o meglio che ci conduca a far suonare a
nostra volta un campanello di allarme nel modo più sensato possibile.
Abbiamo visto le difficoltà del Codice Penale da un punto di vista dottrinale per il permanere di una visione “dura”
circa il concetto di punibilità del soggetto, che delinquendo ha agito liberamente, senza l’intervento di fattori
extravolontari come i condizionamenti endogeni ed esogeni, (che porterebbero ad una maggior individualizzazione
della pena), rischiando così di determinare una superficiale valutazione sulla personalità dell’agente e soprattutto di
‘deresponsabilizzare’ la società sulle cause sociali della criminalità e sulla ricerca dei mezzi di prevenzione.
A ciò possiamo anche aggiungere come il disturbo mentale non sia solo malattia, bensì un’entità più complessa che
può intendersi come la risultante di una condizione sistemica nella quale concorrono fattori genetici, le esperienze
maturate, gli stress, il tipo di ambiente, i meccanismi psicodinamici, la capacità di reazione. Dunque una visione
plurifattoriale integrata della malattia mentale che non può sempre rispondere al quesito postogli dal giudice in sede di
perizia.
Siamo quindi giunti all’oggetto principale della domanda, su quale sia la realtà del medico legale qualora gli si chieda
una perizia esauriente sulla reversibilità o irreversibilità di una tossicodipendenza, quindi sullo stato di intendere e di
volere dell’imputato, ovvero se si stia trattando di un caso di abitualità o di cronicità dell’intossicazione.Allo stato
attuale sono state fatte numerose ricerche sugli effetti degli stupefacenti ma allo stesso tempo non si è ancora in grado
di esprimere una diagnosi di certezza per la complessità del problema.
La ricerca scientifica si trova a un bivio: da una parte l’indagine degli endocrinologi, che mostra alterazioni, ma
reversibili, nel profilo dell’espressione genica e della regolazione dei secondi messaggeri, dall’altra l’evidenza
sperimentale di danno neuronale accertata al momento solo nell’animale da esperimento, sia piccolo mammifero che
più recentemente anche primate, dalla quale emerge un danno irreversibile a carico del cilindrasse (accorciamento) a
livello delle fibre arciformi, accompagnato da un aumento della densità delle sinapsi dendritiche, qualora il problema
investa il ruolo dinamico degli inibitori della ricaptazione, soprattutto dopaminergici.
A ponte fra le due evidenze si colloca il lavoro dei clinici, fra i quali in particolare in Italia il gruppo diretto dal Prof.
Schifano, (Padova), che pone l’accento su una documentata diminuzione della memoria a breve termine e un aumento
dell’aggressività anche nelle fasi libere dall’assunzione di MDMA.
Difficile, se non al momento impossibile, creare un collegamento fra l’evidenza clinica e quella sperimentale in vitro e
in vivo, nel senso che non è lecito assumere una identità morfofunzionale fra SNC nei mammiferi in generale rispetto
all’uomo, data la peculiare struttura in quest’ultimo della fiunzione coscienza.
La presenza di comorbidità psichiatrica condiziona l’inizio, il decorso clinico, la compliance al trattamento e la
prognosi del disturbo da uso di sostanze. In termini generali si può affermare che molti pazienti tossicodipendenti
presentano comorbidità psichiatrica, con una elevata presenza di disturbi di personalità. Soprattutto i pazienti con
comorbidità per disturbo borderline o antisociale di personalità manifestano una scarsa risposta al trattamento e un
elevato rischio di suicidio. E’ stato evidenziato che i tossicodipendenti senza comorbidità psichiatrica seguono ogni
tipo di trattamento, mentre i pazienti con comorbidità hanno maggiori difficoltà. E’ importante stabilire la cronologia
dello sviluppo dei sintomi, se i sintomi sono presenti nelle fasi drug-free, e l’impatto di ciascun disturbo sulla
presentazione, il decorso clinico e la risposta terapeutica. La probabilità che un paziente abbia comorbidità
psichiatrica è maggiore se c’è una chiara storia di segni e sintomi psichiatrici precedenti l’uso di sostanze o durante
le fasi drug-free e se c’è familiarità psichiatrica positiva.
Oltre a questo, ci si pone da più parti il problema se l’abitudine al consumo, a partire da quella alcolica (alcolismo
problematico) all’assunzione di sostanze stupefacenti o soprattutto eccitanti e allucinogene possa nel tempo
configurare una condizione di indebolimento, come già anticipato dalle osservazioni cliniche relative ai disturbi
dell’affettività e della memoria. Se così fosse, non potremmo uscire da una prospettiva di malattia in senso medico
legale, dovendo quindi indicare al legislatore che simili condizioni non possono ricadere nell’aggravante destinata dal
Codice Penale a colui il quale scientemente e liberamente si ponga nelle condizioni di diminuire le proprie capacità
critiche con l’assunzione di alcool o sostanze stupefacenti.
Anche la teoria dell’attaccamento potrebbe fornire dati interessanti per una spiegazione dei fenomeni assuntivi ma con
intervallo libero. Nonostante la saltuarietà sarebbe dunque soggiacente una condizione psicologica per la quale la
sostanze di volta in volta assunta funge da sostitutivo rispetto all’esperienza, come dire ripolarizza la frattura negli stili
adattativi dell’attaccamento indirizzandoli ad un sostituto. In questo caso l’intervallo libero non sarebbe connotabile in
termini di libertà.
A tutto ciò va aggiunto che le nuove ricerche sugli stati di coscienza mettono sempre più in evidenza come questa
debba essere intesa in senso più approfondito, ovvero in termini di complessità e di relazioni fra le singole attività
cerebrali, piuttosto che come un “unicum”. Sia dal punto di vista evoluzionistico (Edelmann) con l’ipotesi del rinforzo
sia dal punto di vista antipositivistico (teoria dei sistemi) è ormai evidente che la memoria, funzione alla base dei
comportamenti, sia da intendersi come funzione dinamica e non come “banca dati” statica. Con la conseguenza che
anche i comportamenti risulterebbero modulati, o indotti, o favoriti verso certe direzioni in base alle acquisizioni
esperienziali. Ciò pone un grosso limite operativo al concetto di libera determinazione, e apre alla possibilità che
alcune sostanze, soprattutto metossianfetamine e allucinogeni, possano modificare permenentemente assetti funzionali
dell’organizzazione di gruppi neuronali, senza che si debba invocare una condizione di malattia intesa come evidente
scadimento delle condizioni cognitive o presenza di segni clinici obiettivabili secondo la nosografia psichiatrica
accreditata. Si tratta di effetti molto più “sottili”, quindi, ma è importante sottolineare come sia comunque un
meccanismo indotto dall’uso di certe sostanze a indurli, e a mantenerli in atto, come se fossero (e in realtà nel tempo lo
sono) modificazioni del rapportarsi con la realtà esterna e con la propriocezione.
Tutto depone quindi per una valutazione in termini di malattia per situazioni che clinicamente possono anche essere
scarsamente connotabili quanto a segni, ma che al loro interno ospitano condizioni di peggioramento fisico e di
disturbo dell’affettività che nel tempo possono emergere anche ad una dimensione autonoma (aggressività, disturbi
compulsivi e della memoria a breve termine, deficit in generale cognitivi)
Pertanto il quadro generale sembra orientato, alla luce delle acquisizioni scientifiche recenti, verso una ipotesi di
malattia da leggersi in senso esteso, e non ridotto alla sola evidenza clinica di condizioni patologiche emergenti
ancorchè croniche.
LEGISLAZIONE
Definire che cosa si intenda per sostanza stupefacente è così problematico che, nella maggior parte dei casi, ci si limita
a soffermarsi sulle caratteristiche distintive delle singole sostanze definite come stupefacenti, rimandando la loro
individuazione alle tabelle di legge nazionali ed internazionali in cui queste sostanze sono elencate. Tali tabelle sono
peraltro sempre aperte al successivo inserimento di nuove sostanze assunte a scopo voluttuario, provenienti sia dalla
ricerca farmacologica ufficiale, sia dal mondo tecnologico clandestino.
Questo difficile problema definitorio è stato affrontato nel corso della “Convenzione Internazionale sulla disciplina e
controllo delle sostanze psicotrope” tenutasi a Vienna nel 1971, poi ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge
n.385 del 25 marzo 1989. Ne è scaturito che, affinché una sostanza possa essere inserita negli elenchi internazionali
degli stupefacenti, occorre che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) abbia constatato che tale sostanza sia in
grado di provocare:
1.
2.
3.

a) uno stato di dipendenza e
b) uno stimolo o una depressione del sistema nervoso centrale, che dia luogo ad allucinazioni o a disordini della
funzione motrice e della facoltà di giudizio e/o del comportamento e/o della percezione e/o dell’umore; oppure
che tale sostanza possa dare luogo a degli abusi ed a difetti nocivi comparabili a quelli di una delle sostanze incluse
nelle tabelle I, II, III, IV e
che esistano ragioni sufficienti per ritenere che tale sostanza possa dare luogo ad abusi tali da costituire un
problema di salute pubblica ed un problema sociale tali da giustificare il fatto che la stessa sostanza venga posta
sotto il controllo internazionale”.

Uno degli elementi fondamentali di questa definizione è il concetto di dipendenza, la quale si può manifestare in ambito
psichico, ma anche in ambito fisico: il quadro di dipendenza assume connotati peculiari a seconda della sostanza
protagonista dell’abuso.
L’OMS definisce la dipendenza psichica come “un sentimento di bisogno assoluto e la tendenza psicologica che
richiede una somministrazione periodica o continuativa della droga per produrre l’effetto desiderato o per evitare
disagio”.
La dipendenza fisica, invece, è caratterizzata dal fatto che l’interruzione della periodica assunzione di una sostanze
stupefacente, oltre al disagio psicologico, provoca la cosiddetta “crisi di astinenza”, cioè una serie di disturbi fisici,
clinicamente obiettivabili, dovuti ad un alterato stato fisiologico collegato ad una acquisita esigenza biochimica
dell’organismo.
È importante sottolineare che non è corretto definire l’assuntore di sostanze stupefacenti come tossicodipendente, in
quanto che la tossicodipendenza si instaura dopo una prolungata e frequente assunzione a scopo voluttuario della
sostanza protagonista dell’abuso. Questa frequente e reiterata assunzione può anche indurre tolleranza, che consiste
nella necessità di aumentare la dose, o posologia, per ottenere lo stesso effetto conosciuto in precedenza, a causa
dell’attivazione delle vie metaboliche.
Storia della legislazione sugli stupefacenti.
Le leggi che disciplinano la materia degli stupefacenti hanno subito ben tre riforme dalla seconda metà degli anni ’50,
quattro considerando anche le importanti modifiche intervenute a seguito del referendum abrogativo, del 1993, delle
norme che riguardano il consumo non terapeutico delle sostanze stupefacenti.
Tutte queste riforme hanno portato, a partire dalla Legge n.1041 del 1954, ad una collocazione extra-codicistica della
materia, la quale si è infine voluta disciplinare in tutti i suoi diversi aspetti con l’adozione di un corpo normativo unico e
coordinato: il vigente “Testo unico in materia di stupefacenti”.
Quanto sopra scritto sottolinea il sempre maggiore impatto medico, sociale e sanitario, ancora più che giuridico, del
problema inerente all’assunzione, alla detenzione, allo spaccio ed al traffico di sostanze stupefacenti. È poi importante
sottolineare come su questo tema ci siano sempre state forti contrapposizioni ideologiche e culturali, soprattutto
riguardo al consumo voluttuario, da qui l’importanza di fornire dei parametri sempre più sottratti alla discrezionalità di
giudizio dei singoli Magistrati, almeno per ciò che riguarda l’uso personale.
Le prime normative internazionali riguardarono esclusivamente l’oppio ed i suoi derivati; la Conferenza Internazionale
dell’Aja (23 gennaio 1912) promulgò la prima Convenzione Internazionale dell’oppio, in vigore in Italia dal 1922. La
prima legge italiana in tema di stupefacenti fu la Legge n.396 del 18 febbraio 1923, estesa anche alla cocaina. La legge
non poneva l’accento tanto sulla circolazione delle sostanze oggetto di controllo quanto sul commercio, proibendone la
vendita e la produzione ai non autorizzati. Solo con l’entrata in vigore del Codice Penale del 1931 si pervenne ad una
rassegna più organica della materia, integrandosi il concetto di agevolazione dolosa dell’uso di stupefacenti ed il
concetto di reato contravvenzionale per comportamenti legati all’alterazione psichica indotta da sostanze stupefacenti.
La novità consisteva soprattutto nell’abbandono della categoria concettuale di “sostanze velenose” per gli stupefacenti,
con l’equiparazione alle patologie ed alle sindromi alcool correlate. Nel 1954 l’intera materia venne sottoposta a
revisione, senza operare distinzione tra venditore e consumatore; tale misura appariva sorretta dal convincimento che il
fenomeno dell’abuso, ancora di scarsa rilevanza, potesse essere contenuto con misure repressive di ordine
esclusivamente penale. Il rapido aggravarsi del fenomeno rese in seguito necessaria una ulteriore disamina dell’intera
struttura legislativa in tema di controllo e repressione dell’uso e del traffico di stupefacenti, soprattutto in ordine al
problema del trattamento medico e riabilitativo di sempre maggiori fasce di età giovanili coinvolte nel fenomeno della
tossicodipendenza. La Legge n.685 del 1975 ha introdotto infatti esplicitamente il tema non solo della riabilitazione, ma
anche quello della prevenzione, aprendo la strada alla lettura in chiave medica, sociale e sanitaria del fenomeno
tossicodipendenza. Nella legge, oltre alle sostanze stupefacenti, erano comprese anche le psicotrope (anfetaminici,
barbiturici, ansiolitici), divisi in sei tabelle delle quali le prime quattro raccoglievano sostanze che comportavano una
sanzione penale se detenute in assenza di indicazione, o per uso non terapeutico. L’uso non terapeutico veniva inoltre
valutato in termini di quantità (concetto di “modica dose”) per differenziare il semplice consumo dallo spaccio, soggetti
a pene differenziate in gravità, sia quindi secondo il criterio qualitativo (art.71, pericolosità della sostanza, tabella di
appartenenza) sia secondo quello quantitativo (art.72; art.80: in caso di modica quantità non punibilità, e art.98 relativo
ai trattamenti di riabilitazione). Con la Convenzione Unica di New York, ratificata in Italia con la Legge n.412 del 5
giugno 1974, per la prima volta si è posto a livello internazionale il problema non solo delle sostanze da sottoporre a
controllo, ma anche dell’utilizzatore: l’art.38 è infatti dedicato al trattamento degli assuntori di stupefacenti, soprattutto
al fine della riabilitazione, unitamente alla definizione delle pene per la detenzione illegale di stupefacenti.
Il Testo Unico 309/1990.
Il dibattito si è mantenuto acceso fino all’entrata in vigore della Legge n.162 del 1990, armonizzata con altri decreti in
materia di stupefacenti nel Testo Unico (T.U.) del Decreto del Presidente della Repubblica (D.P.R.) 309 del 1990. Uno
degli aspetti più significativi è quello della volontà di una più stretta collaborazione a livello internazionale nella lotta al
narcotraffico ed ai suoi presupposti sociali ed economici. Importanti in tal senso sono le disposizioni sull’attività di
Polizia Giudiziaria (acquisto simulato e ritardo nella trasmissione della notizia criminis a fini di indagine). Nei confronti
del consumatore l’atteggiamento del Legislatore è cambiato nuovamente, prevedendo comunque una punibilità per
quella che prima era considerata “modica quantità”, sia pure in termini solo amministrativi (sanzioni del Prefetto) e con
valenza di controllo per l’inserimento dei soggetti in un circuito Sanitario, prevedendo altresì una divisione delle
sostanze oggetto d’abuso in quattro tabelle, aggiornate soprattutto dal fatto che per ogni sostanza viene indicato un
valore quantitativo (la “dose media massima giornaliera” - art.75), prima lasciato alla libera discrezionalità del
Magistrato al momento della valutazione circa la modicità o meno di un quantitativo in sequestro. Si è riaffermato il
divieto all’uso di stupefacenti e il Giudice non può fare eseguire un trattamento di recupero per via obbligatoria, ma
solo con il consenso dell’interessato, il quale può godere, in caso affermativo, della sospensione della pena detentiva,
purché questa non sia superiore ai tre anni.
Il periodo post-referendario
La materia ha subito una ulteriore modificazione a seguito della parziale abrogazione referendaria attuata con il D.P.R.
(Decreto del Presidente della Repubblica) n.171 del 5 giugno 1993: con tale modifica termina il periodo che potremmo
definire della presunzione, basata dapprima, con la Legge 685/’75, sul concetto di “modica quantità”, e poi, con la
Legge 162/’90, sulla “dose media giornaliera” (riferita però ad un individuo medio), per aprirsi un nuovo periodo esente
da presunzioni: allo stato attuale la detenzione per uso personale di stupefacenti di qualsiasi natura ed in qualunque
quantità è penalmente irrilevante e realizza un mero illecito amministrativo: ne consegue che, sul piano sanzionatorio,
ogni condotta di importazione, acquisto o detenzione di sostanze stupefacenti, ai fini di uso personale, è assoggettabile
al solo procedimento amministrativo di competenza prefettizia.
In sostanza, dall’esito del referendum è derivato un fondamentale mutamento nella disciplina “repressiva” degli
stupefacenti, a causa del superamento del principio del divieto dell’uso personale e del concetto di “dose media
giornaliera” che, nella formulazione originaria del D.P.R.309/1990, era utilizzato per determinare il discrimine
quantitativo tra illecito penale (art.73) ed illecito amministrativo (art.75).
Permane il divieto della detenzione per uso personale non terapeutico (in caso contrario la Corte Costituzionale non
avrebbe ammesso il referendum, dati gli obblighi dell’Italia a seguito della ratifica della Convenzione O.N.U. di Vienna
del 20 dicembre del 1988 , il cui tema centrale è la lotta ad oltranza al narcotraffico, anche grazie all’intensificarsi delle
sinergie tra gli organi di polizia dei singoli Stati aderenti all’organizzazione, in una visione globale del fenomeno a
livello internazionale), comprendente sanzioni amministrative comminate dal Prefetto ex art.75, mentre sono decadute
le sospensioni e le prescrizioni comminate dalla Autorità Giudiziaria ex art.76 e dal Prefetto ex art.72 del T.U. 309/90.
In merito al problema circa l’attività attribuibile a piccole quantità di sostanza stupefacente, possono essere condotte le
seguenti considerazioni:
-

-

-

l’efficacia di una qualunque sostanza sull’uomo è misurabile secondo due distinti ordini di grandezza: uno a livello
molecolare (anche una sola molecola di sostanza svolge, purché chimicamente non degradata, la sua azione
specifica, limitatamente ad una sola cellula) ed uno a livello sistemico (numerose molecole agenti su un insieme
cellulare, ovvero un tessuto od un organo in senso sia anatomico, sia funzionale). In questo secondo caso,
all’azione sistemica si accompagnano sia la percezione soggettiva dell’effetto, sia la sua obiettivazione clinica da
parte di un Sanitario.
Sotto il profilo medico legale tale distinzione è importante, perché se le sostanze stupefacenti fossero definibili
come tali solo in base alla induzione di uno stato di stupefazione (soggettivamente percepibile e/o clinicamente
obiettivabile) si perverrebbe alla antinomia di una esclusione dei prodotti stupefacenti e psicotropi dalle Tabelle di
Legge, in quanto che non attivi sull’uomo solo da un punto di vista quantitativo, mentre il Legislatore non separa
l’aspetto di valutazione quantitativo da quello qualitativo, ovvero l’essere un certo prodotto “di per sé”
stupefacente.
Il concetto di “dose drogante” (nato da una sentenza della Corte di Cassazione all’epoca della Legge 685/1975,
utile in tale epoca per favorire il Magistrato nel decidere in merito al concetto di “modica quantità”) è stranamente
rimasto non cassato quando la nuova normativa, raccolta nel T.U. del D.P.R.309/1990, prevedeva limiti quantitativi
ben precisi, ed anche successivamente agli esiti della abrogazione referendaria. Pertanto, il limite di 12 mg circa per
l’eroina viene spesso inteso come la quantità sotto la quale non può aversi effetto di stupefazione.

Un dibattito prolungato con i Magistrati aveva portato come conclusione la non applicabilità di questo limite inferiore,
in quanto veniva a perdersi il concetto di “stupefacente” sul piano qualitativo, ed inoltre si ingenerava confusione tra
effetto stupefacente, eclatante e ben apprezzabile, ed azione biologica, magari sommessa e inavvertita soggettivamente,
ma comunque presente.
Allo stato attuale, quindi, viene riaffermato il divieto dell’uso personale di stupefacenti, (ex art.72 comma II) ma la
detenzione di questi, sempre che non si configurino altri reati, come ad es. lo spaccio o la cessione, costituisce non più
reato ma illecito amministrativo; il procedimento può essere sospeso se l’interessato volontariamente si sottopone ad un
programma terapeutico presso una struttura pubblica (medico di base, SerT) o privata (comunità terapeutica).
Lo Stato, quindi, sembra assumere una posizione sempre più di neutralità rispetto al fenomeno dell’uso personale di
stupefacenti, ed il connesso giudizio di disvalore è sempre più attenuato.
N.B. Stato di intossicazione acuta per assunzione di stupefacenti. Oltre al materiale possesso della sostanza
stupefacente nel momento dell’accertamento, è sanzionabile anche l’individuo colto in stato di over-dose, stato che
comunque deve sempre venire appurato dal referto medico; in tale condizione si ha nell’organismo umano la materiale
presenza, in forma ancora attiva, della sostanza assunta e, tenendo conto che ciò presuppone un rapporto diretto ed
esclusivo, accertabile in via diagnostica, tra la persona e la sostanza stessa, questa condizione viene ricondotta alla
fattispecie della detenzione.
È stata così rivista l’impostazione pre-referendaria secondo cui la detenzione doveva essere interpretata in senso
letterale, circoscrivendone l’accezione ai casi di possesso materiale della sostanza nel momento dell’accertamento:
questo nuova atteggiamento si propone di rivalutare la finalità più propriamente sociale delle disposizioni, che
tendono a consentire, in via prioritaria, la cura, la riabilitazione ed il reinserimento del tossicodipendente.
Con il decreto del 14 settembre 1999 la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per gli Affari Sociali ha
istituito l’Osservatorio permanente per la verifica dell’andamento del fenomeno delle droghe e delle tossicodipendenze
(Gazzetta Ufficiale n.258 del 3.11.1999); tale Osservatorio si propone di divenire un polo di informazione e di
aggiornamento sulle droghe e sulle tossicodipendenze, ai fini della interpretazione scientifica del fenomeno, anche
nelle interreazioni di ordine sociale e culturale, nonché si prefigge un ruolo di proposta di strategie di intervento e di
metodologie per la valutazione della loro efficacia.
L’Osservatorio permanente mira a:
a)

curare la raccolta, la elaborazione e la interpretazione di dati ed informazioni statistico epidemiologiche e di
documentazione sul consumo, l'abuso, lo spaccio ed il traffico di stupefacenti e sostanze psicotrope;
b) costituire un supporto tecnico e scientifico per:
la elaborazione delle politiche di contrasto al consumo, all'abuso, allo spaccio ed al traffico di stupefacenti e
sostanze psicotrope;
il soddisfacimento delle esigenze informative e di documentazione delle amministrazioni pubbliche centrali,
territoriali e locali, e delle organizzazioni del privato sociale operanti nel campo della prevenzione, dei trattamenti e
del recupero degli stati di uso e abuso di droghe;
c) curare i rapporti con le istituzioni europee ed extraeuropee che operano nel settore, al fine di un sistematico
interscambio di informazioni e di documentazione.
L’Osservatorio e' funzionalmente inserito nella competente Unita' organica del Dipartimento ed e' articolato in tre
settori:
1.

2.

3.

il settore "statistico epidemiologico", il quale cura la raccolta, la elaborazione e l'analisi dei dati relativi al consumo
ed all'abuso degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope, attivando un sistema informativo automatizzato; inoltre
coordina e svolge ricerche specifiche su aspetti statistico epidemiologici del consumo e abuso di stupefacenti e
sostanze psicotrope.
Il settore della "riduzione della domanda", il quale cura la raccolta della documentazione e la elaborazione dei dati
relativi alle attività di amministrazioni pubbliche centrali, territoriali e locali e del privato sociale impegnati nelle
attività di prevenzione, trattamento e riabilitazione delle tossicodipendenze; nonché del consumo, abuso, spaccio e
traffico di stupefacenti e sostanze psicotrope; cura il coordinamento delle attività di ricerca nel settore; cura il
rapporto tra le diverse reti di operatori presenti sul territorio nazionale; cura la produzione, la distribuzione e la
messa a disposizione di documentazione e bibliografia specifica del settore.
Il "punto focale nazionale", il quale cura il collegamento con l'Osservatorio europeo sulle tossicodipendenze di
Lisbona (OEDT), ne recepisce le indicazioni sulle attività da svolgere sul territorio nazionale, diffonde il materiale,
le raccomandazioni, le pubblicazioni, i risultati delle ricerche; cura la raccolta e la elaborazione dei dati statistico
epidemiologici ai fini della predisposizione del Rapporto annuale nazionale per l'Osservatorio di Lisbona; propone
all'Osservatorio di Lisbona le indicazioni e gli elementi provenienti da esperienze nazionali; cura l'attività di
sviluppo delle rete informativa relativa al "Progetto Reitox".

Accertamenti in assenza di tossicodipendenza (art.125 del D.P.R.309/90).
In base agli interventi preventivi, curativi e riabilitativi a cui si fa riferimento al titolo XI del testo unico in materia di
stupefacenti (D.P.R.309/90), è effettuabile una serie di accertamenti a carico “di lavoratori destinati a mansioni che
comportano rischi per la sicurezza, la incolumità e la salute di terzi”, al fine di evitare che soggetti che fanno uso di
stupefacenti vengano utilizzati per determinate tipologie lavorative, ad esclusiva tutela di quei diritti e di quegli interessi
dei terzi cui fa riferimento la norma.
Tale disposizione non specifica in concreto quali siano tali mansioni, rinviando per la loro determinazione ad un decreto
del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, di concerto con il Ministero della Sanità.
Si precisa invece che gli accertamenti previsti devono venire effettuati periodicamente a cura di strutture pubbliche
nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale ed a spese del datore di lavoro.
In caso di accertamento dello stato di tossicodipendenza nel corso del rapporto di lavoro, il datore di lavoro è tenuto a
far cessare il lavoratore dall’espletamento della mansione a rischio. Nel caso in cui, invece, l’accertamento di
tossicodipendenza anticipi l’assunzione del soggetto, non viene fornita alcuna indicazione; tuttavia, quando
l’assunzione sia relativa ad una mansione che comporta i rischi indicati dalla norma, è da ritenere che il datore di lavoro
non possa assumere il lavoratore tossicodipendente.
In caso di inosservanza delle precedenti prescrizioni, ne deriva l’inflizione di una sanzione penale, oltre che di una
sanzione pecuniaria in forma di ammenda.
Guida sotto l’influenza di sostanze stupefacenti (art.187 del Nuovo Codice della Strada).
1.
2.

3.
4.
5.

È vietato guidare in condizioni di alterazione fisica e psichica correlata con l’uso di sostanze stupefacenti o
psicotrope.
In caso di incidente, o quando si ha ragionevolmente motivo di ritenere che il conducente del veicolo si trovi sotto
l’effetto conseguente all’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, gli agenti di Polizia Stradale fatti salvi gli
ulteriori obblighi previsti dalla legge, hanno facoltà di accompagnare il conducente presso una struttura pubblica
per il prelievo di liquidi biologici. Lo stato di alterazione fisica e psichica viene accertato con le modalità stabilite
con decreto del Ministro della Sanità, di concerto con i Ministri dell’Interno e dei Lavori Pubblici. Copia del referto
Sanitario, qualora l’accertamento risulti positivo, deve essere tempestivamente trasmessa, a cura dell’organo di
Polizia che ha proceduto agli accertamenti, al Prefetto del luogo in cui è stata commessa la violazione, per gli
eventuali provvedimenti del caso.
Sulla base della certificazione rilasciata dalla sopraddetta struttura pubblica, il Prefetto ordina che il guidatore sia
sottoposto a visita medica e, in via cautelativa, può disporre la sospensione della patente di guida fino all’esito
dell’esame di controllo che, comunque, deve avvenire nel termine indicato dal regolamento.
Si applicano le disposizioni dei commi 2 e 3 dell’art.186.
In caso di rifiuto dell’accertamento di cui al comma 2, il conducente viene punito, salvo che il fatto costituisca un
reato più grave, con l’arresto fino ad un mese e con un’ammenda da Lire cinquecentomila a Lire due milioni.

N.B. Si pone un problema operativo molto importante, in quanto che le Forze di Polizia, nell’accertamento del reato di
guida sotto l’effetto di stupefacenti, debbono sottoporre il soggetto al prelievo di sostanze biologiche, poiché non
esistono metodiche non invasive per la documentazione dell’assunzione delle stesse; tale prelievo non può essere
effettuato senza il consenso dell’interessato.
Per ciò che riguarda la guida in stato di ebbrezza da alcolici, il problema è stato risolto con l’introduzione
dell’etilometro quale strumento per effettuare la misurazione dell’alcoolemia. Nel caso della intossicazione da sostanze
stupefacenti, invece, il problema è ancora aperto.
Detenzione lecita di sostanze stupefacenti: impiego terapeutico (art.43 del D.P.R.309/90).
“È consentito l’impiego terapeutico di preparati medicinali a base di sostanze stupefacenti psicotrope, debitamente prescritti
secondo le necessità di cura in relazione alle particolari condizioni patologiche del soggetto.”
Fuori ed oltre la prescrizione medica, la detenzione per finalità terapeutica risulta illecita e, quindi, perseguibile
amministrativamente.
È da sottolineare che la prescrizione per uso terapeutico non può riguardare cocaina e anfetamine. Può riguardare,
invece, la morfina, però a dosi tali da non indurre dipendenza, o i barbiturici in ambito anestesiologico, oppure il
metadone come farmaco sostitutivo nel trattamento della tossicodipendenza da eroina e morfina.
Ai fini della illiceità della detenzione è irrilevante il fatto che la prescrizione rechi irregolarità formali o non rispetti le necessità
della cura, ovviamente al di là delle ipotesi di concorso nel delitto di prescrizione abusiva per uso non terapeutico, punito
dall’art.83 del D.P.R.309/90; si rientra invece nell’ipotesi penale qualora il soggetto detenga quantità eccedenti quelle prescritte
per uso terapeutico.
Oltre che per l’uso terapeutico, che riveste la quasi totalità di impiego legittimo degli stupefacenti, è consentito il loro utilizzo
per scopi di ricerca o per perizie giudiziarie.
La prescrizione di sostanze stupefacenti.
La prescrizione delle sostanze stupefacenti inserite nelle Tabelle I, II e III è assoggettata a norme molto restrittive e
costituisce la prescrizione speciale (prevista dall’art. 6 del decreto legge n.539 del 30 dicembre 1992).
In tale decreto si stabilisce che la prescrizione avvenga su di un ricettario apposito a madre-figlia; questo ricettario è
predisposto dal Ministero della Sanità e distribuito, a richiesta dei medici chirurghi e dei veterinari, tramite i rispettivi ordini
professionali. Al momento del ritiro il Sanitario è tenuto a firmare, in apposito spazio, tutti i duecento moduli di cui è composto
il ricettario: la sottoscrizione all’atto del ritiro servirà di confronto con quella apposta al momento della prescrizione. Sulla
ricetta devono essere indicati con mezzo indelebile: cognome, nome e residenza dell’ammalato (ovvero del proprietario
dell’animale ammalato).
La dose prescritta va segnata in lettere, così pure la “indicazione dei modi e dei tempi di somministrazione” (ovvero la via di
somministrazione e la posologia). Va inoltre riportata la data di prescrizione e la firma del prescrittore che, come sottolineato in
precedenza, deve corrispondere a quella apposta al momento del ritiro del ricettario.
Ogni ricetta può contenere la prescrizione di un solo tipo di medicinale, inoltre sono previste limitazioni quantitative nella
prescrizione in relazione alla dose giornaliera prevista. In particolare, la prescrizione ad uso umano deve essere limitata “ad una
sola preparazione o ad un dosaggio per cura di durata non superiore ad otto giorni” (art.43, III comma).
In pratica il medico è tenuto a prescrivere, nel caso di specialità medicinali (che non sono sconfezionabili!), la confezione di
dimensioni minori tra quelle presenti sul mercato, oppure un numero di confezioni che, pur contenenti complessivamente una
quantità superiore alle necessità di otto giorni di cura, eccedano nella misura minore possibile rispetto alle quantità da
somministrare.
Il farmacista ha l’obbligo di accertare che la ricetta sia stata redatta in modo conforme alle disposizioni sopra descritte: il
mancato rispetto, da parte del medico, delle norme sulla prescrizione comporta l’obbligo per il farmacista di non consegnare
quanto prescritto. Soltanto in situazioni di vero stato di necessità (art. 54 del codice penale) il farmacista, sotto la propria
responsabilità, può assumere un atteggiamento diverso; si tratta tuttavia di situazioni eccezionali che si possono verificare
soltanto in ambiti territoriali particolarmente disagiati ed in circostanze di emergenza.
Il Sanitario ha l’obbligo di conservare la documentazione relativa alla movimentazione delle sostanze stupefacenti e psicotrope
relative alle prime cinque tabelle: tale documentazione consiste in tutta la documentazione giustificativa e nel registro di carico
e scarico stupefacenti, che va vidimato e firmato in ogni sua pagina dall’Autorità Sanitaria. Su questo registro devono essere
annotati, per ogni somministrazione, oltre il cognome, il nome e la residenza dell’ammalato, la data di somministrazione, la
denominazione e la quantità della preparazione somministrata, la diagnosi e la sintomatologia. Ciascuna pagina del registro è
intestata ad una sola preparazione e deve essere osservato un ordine numerico progressivo unico delle operazioni di carico e
scarico. Ogni anno, dalla data del rilascio, i registri devono essere sottoposti al controllo ed alla vidimazione dell’Autorità
Sanitaria locale. Gli ambulatori dei medici chirurghi e veterinari devono conservare i registri di entrata e uscita per due anni.
In caso di perdita, smarrimento o sottrazione dei registri o di loro parti, o dei loro documenti giustificativi, tutte le persone
responsabili devono presentare denuncia scritta alla più vicina autorità di Pubblica Sicurezza e darne comunicazione al
Ministero della Sanità.
La sanzioni previste per la non ottemperanza alle norme previste per la tenuta e la conservazione dei registri di entrata e uscita,
per la trasmissione dei dati e la denuncia per perdita, smarrimento o sottrazione dei registri e/o documentazione inerente,
consistono nell’arresto fino a due anni o nell’ammenda da tre a cinquanta milioni di lire.
La prescrizione abusiva di sostanze stupefacenti (art.83 del D.P.R.309/90)
Non è punita la prescrizione erronea per indicazione o posologia.
Si tratta di una responsabilità per dolo, costituito dalla consapevolezza e dalla volontà di prescrivere una sostanza
stupefacente per uso “non terapeutico”.
Le sostanze comprese nelle Tabelle I, II e III, seppur utilizzate in medicina nella comune pratica clinica nei confronti di
soggetti portatori di particolari affezioni o patologie, sono soggette a modalità particolari nella loro prescrizione da
parte del medico, così da evitare o contenere fenomeni di “mercato grigio”, cioè il passaggio di stupefacenti attraverso
formali modalità lecite nel mercato clandestino, o di prescrizione troppo inaccorta da parte dei medici.
Meno rigide sono le modalità di prescrizione per le sostanze contenute nella Tabella IV, pur collegate alla sanzione
penale e/o amministrativa, poiché in questa Tabella sono inclusi farmaci di largo impiego in patologie estremamente
frequenti e tali da determinare anche il trattamento farmacologico cronico (per es. l’epilessia e l’uso dei barbiturici). In
questo caso sembra che abbiano prevalso esigenze di carattere terapeutico su quelle di contenimento dell’illecito.

Commenti per il Medico
Tralasciando il discorso sulla prevenzione, peraltro di estrema importanza, da un punto di vista pratico il medico si è
sempre trovato di fronte due opzioni terapeutiche: la terapia sostitutiva che, a seguito della somministrazione controllata
di dosi a scalare di farmaci sostitutivi (metadone per la tossicodipendenza da eroina, in primis), si propone di eliminare
totalmente, con il tempo, l’uso degli stupefacenti; e la terapia di mantenimento, molto contestata e, come vedremo, ai
limiti della legalità, che, invece di proporsi come obiettivo la guarigione del tossicodipendente, si ripropone la sola cura
del tossicodipendente, così da ottenere una “riduzione del danno” (grazie alla somministrazione in dosi e modalità
controllate di farmaci sostitutivi in dosi non a scalare). Naturalmente ambedue le opzioni terapeutiche prevedono un
concomitante sostegno psicologico del paziente stesso.
La legge n.685 del 22 dicembre 1975 formulava e regolamentava, per la prima volta in Italia, l’intervento
farmacologico riabilitativo della tossicodipendenza con farmaci stupefacenti sostitutivi. I decreti attuativi del 1978 e del
1980, indicavano i farmaci da utilizzare (metadone sciroppo e morfina in via sperimentale) e le strutture competenti per
la loro utilizzazione e per la organizzazione del programma terapeutico.
Il medico curante aveva la possibilità di partecipare a tale intervento terapeutico, ma solo come attività integrativa e di
supporto.
Con un decreto del 1985 si revocava la possibilità di utilizzazione, anche a livello sperimentale, della morfina nella
disassuefazione da oppiacei.
La legge n.162 del 26 giugno 1990, seguita dal decreto del Ministero della Sanità n.445 del 19 dicembre 1990, ribadiva
il riconoscimento del metadone sciroppo come unico farmaco utilizzabile come sostitutivo e affermava che il
trattamento doveva rientrare in un ampio programma di recupero psicologico, sociale e riabilitativo.
Tale intervento era diretto a soggetti in cui fosse dimostrata la dipendenza fisica e nei quali altre terapie fossero risultate
inefficaci. Le strutture deputate al trattamento erano individuate nei centri pubblici per le tossicodipendenze.
Il D.M.445 del 1990 non prevedeva alcun ruolo per il medico curante o per altre figure professionali di fiducia del
soggetto, che non erano di fatto coinvolte nella organizzazione e nella concreta esecuzione del progetto riabilitativo.
Dopo il referendum del 1993, per quanto concerne gli obblighi del Medico, questi non ha più il dovere di inoltrare al
SerT (Servizio Pubblico per le Tossicodipendenze) la scheda sanitaria del proprio assistito dedito all’uso di sostanze
stupefacenti: tale scheda sanitaria prevedeva un sistema di codifica atto a tutelare, qualora richiesto, il diritto
all’anonimato del paziente stesso, e doveva venire conservata dal Sanitario.
È stato anche eliminato l’obbligo di analoga segnalazione per il Medico che comunque si fosse trovato ad assistere
persone sotto l’azione di sostanze stupefacenti.
Poiché a seguito del referendum abrogativo del 15 aprile 1993 non era più compito del Ministero della Sanità stabilire,
mediante decreto, i limiti e le modalità di impiego dei farmaci sostitutivi, da allora è divenuto possibile per qualunque
medico utilizzare dei farmaci sostitutivi nella terapia della tossicodipendenza.
È venuta meno anche la previsione dell’uso del solo metadone sciroppo come farmaco sostitutivo, quindi potevano
essere impiegati prodotti diversi, purché la loro utilizzazione avesse una giustificazione terapeutica nel trattamento della
tossicodipendenza.
Dal referendum in poi, quindi, spettava allo stesso medico, sulla base delle proprie esperienze e conoscenze, scegliere il
farmaco più adatto ed opportuno per la terapia di ciascun paziente, indipendentemente da quanto riferito in sede di
registrazione del farmaco. Tuttavia il decreto legge n.291 del 27 maggio 1996, avente per tema “Disposizioni urgenti in
materia di sperimentazione ed utilizzazione di medicinali”, ha inteso regolare la materia in modo più rigoroso, limitando
di fatto tale “libertà” e prevedendo modalità molto dettagliate che il medico deve seguire per utilizzare farmaci in
condizioni patologiche non rientranti tra le indicazioni previste nel decreto di registrazione.
Tale decreto, più volte reiterato e ora definitivamente decaduto, è stato tramutato in un disegno di legge non ancora
approvato.
Ai fini pratici, l’attuale barriera per il medico nella terapia della tossicodipendenza è rappresentata dall’insieme dei
presidi utilizzabili legittimamente, in quanto preparazioni disponibili, e dai limiti relativi alla prescrizione abusiva
(art.83 D.P.R. 309/90). È opportuno sottolineare che la previsione delittuosa dell’art.83 si riferisce alle sostanze
contenute nelle Tabelle I, II, III e IV dell’articolo 14 del D.P.R.309/90, non alla eventuale utilizzazione di sostanze
stupefacenti incluse nelle Tabelle V o VI.
Il fatto che ora il medico curante non sia più obbligato a mettere in contatto il paziente con il SerT è un aspetto
sicuramente negativo, perché in tal modo si perde l’opportunità da parte del SerT di “agganciare” il tossicodipendente
stesso. Per quanto concerne in specifico il ruolo del Sanitario nella gestione del paziente tossicodipendente nella attuale
legislazione sugli stupefacenti, va sottolineato come allo stato attuale esista un vero e proprio vuoto normativo, a
seguito del quale il Medico viene lasciato praticamente solo.

La terapia con farmaci sostitutivi.
Vero limite posto dal già citato art.83 (relativo alla prescrizione abusiva di sostanze stupefacenti) risiede nel labile
confine tra illecito e prescrizione terapeutica per ciò che concerne non il trattamento a scalare, ma la terapia di
mantenimento. Infatti, la prescrizione di farmaci stupefacenti costante nel tempo, cioè non organizzata al fine di
giungere ad una disassuefazione, che ottenga come unico risultato il mantenimento dell’abuso come alternativa
legittima di approvvigionamento rispetto alle normali vie di acquisizione clandestina, configura una vera e propria
“cessione”, come tale perseguibile per legge.
Non è facile gestire questa alternativa mantenimento-disassuefazione, in quanto che la tossicodipendenza è
caratterizzata da frequenti ricadute, che possono giustificare un intervento a scalare ripetuto nel tempo.
Una circolare del Ministero della Sanità (n.20 del 1994) prevede, tuttavia, delle linee guida per la terapia della
dipendenza da oppiacei con farmaci sostitutivi, citando il trattamento di mantenimento con il metadone come uno dei
possibili interventi terapeutici nei confronti della tossicodipendenza, ma lo regola in maniera specifica, prevedendo le
modalità operative, le raccomandazioni da seguire e gli strumenti da utilizzare per il controllo e la valutazione della sua
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Testo pierini2006

  • 1. INTRODUZIONE Principi generali di Tossicologia forense La Tossicologia è la scienza che studia le sostanze che sviluppano azione tossica sull’organismo, applicando metodi specifici di indagine sulla loro natura e con criteri di valutazione sperimentale e biologico-statistica della tossicità. La Tossicologia forense riguarda l’ambito della diagnosi di avvelenamento ed è caratterizzata dai caratteri distintivi dell’ambito applicativo, del metodo analitico e del momento interpretativo. Gli ambiti di applicazione della tossicologia forense vanno dalla sperimentazione dei farmaci al controllo delle reazioni avverse o al controllo delle reazioni collaterali (Medical malpractice), al controllo del loro abuso, con particolare riguardo a quello delle sostanze stupefacenti; allo studio delle sostanze che manifestano spiccata azione sull’uomo, ma per le quali non è noto o applicato un regime di impiego terapeutico; allo studio dell’impatto di sostanze tossiche e nocive sull’uomo per causa ambientale (ecotossicologia) o lavorativa; allo studio e al controllo del doping sportivo; all’esame delle evenienze di accidente suicidio omicidio causate o concausate da sostanze tossico nocive e stupefacenti. Dalle limitazioni iniziali alle esigenze della perizia giudiziaria in casi di sospetto veneficio, la Tossicologia forense è oggi estesa a tutto il campo delle Leggi che tutelano la salute individuale e collettiva. Sempre il C.P. in caso di omicidio e lesioni personali gravissime prevede una aggravante specifica per l’uso di sostanze tossiche o nocive, in quanto le modalità operative per raggiungere lo scopo delittuoso rendono evidente la premeditazione, così come rendono vana, contestualmente, ogni possibile azione di difesa della vittima, in quanto la sostanza tossica o nociva, caratterizzata dalla proprietà di agire negativamente sulla salute a bassa concentrazione (veleno), è facilmente occultabile (azione “subdola”). Il metodo analitico si caratterizza come del tutto peculiare, in quanto i risultati provengono da più indagini sullo stesso materiale oggetto di indagine condotte secondo principi e logiche diverse sia per metodo che per strumentazione, e ciascuna idonea a caratterizzare aspetti e proprietà diverse di una specie molecolare. I risultati delle singole indagini contribuiscono a formare quello che viene definito il dato di laboratorio, con carattere di elemento di prova. La diagnosi di avvelenamento è un criterio integrato, facendo capo a quello anamnestico-circostanziale, a quello anatomo-patologico, a quello chimicotossicologico. La diagnosi deve risolvere quesiti che, in ordine di metodo, riguardano gli aspetti cronologici del fatto in esame e della sostanza identificata, del metabolismo della stessa della via di somministrazione, di eventuali fenomeni di accumulo, delle alterazioni trasformative del cadavere. Si definisce tossico o veleno ogni elemento o composto chimico il quale, introdotto nell’organismo per adatta via, agisce con meccanismo chimico o biochimico causando uno stato peggiorativo delle condizioni precedenti, malattia o morte. La proprietà tossica di una sostanza è legata a vari fattori, quali la solubilità (in acqua, o nei lipidi), la via di ingresso, la via metabolica e di eliminazione, la possibilità di creare depositi in aree bersaglio. Il termine veleno indica che la sostanza tossica agisce a piccole dosi, diversamente da altre sostanze che divengono tossiche solo se somministrate ad alte dosi e per modalità idonee. Anticamente il veleno veniva distinto in venenum bonum e malum, nel senso di distinguere fra una sostanza tossica solo ad appropriate dosi, e sostanza generalmente letifera: la distinzione non aveva un carattere prevalentemente quantitativo, mentre l’aspetto qualitativo veniva ad essere rappresentato dai criteri di idoneità e successivamente dai criteri del giudizio integrato medico legale, a posteriori. Quindi è più corretto parlare di avvelenamento che di veleno, con riferimento a fattori condizionanti piuttosto che univocamente determinati dal punto di vista della struttura chimica. Farmacocinetica, farmacodinamica l’interpretazione dei risultati Al fine di interpretare i risultati di una indagine tossicologica, è necessario conoscere la disposizione del farmaco ed il suo metabolismo. La conoscenza degli aspetti anatomici e fisiologici che ne determina l’assorbimento, la distribuzione e l’eliminazione, unitamente alla comprensione del metabolismo farmacologico permetterà di rispondere a tali questioni con una certa attendibilità. L’inizio, la durata e l’intensità di azione di un farmaco dopo somministrazione sono controllati dalla concentrazione raggiunta dal farmaco nel suo sito d’azione. La farmacocinetica consiste nella valutazione matematica di questi processi che si correla alla dose somministrata, alla concentrazione ematica ed alla risposta farmacologica. La maggior parte dei farmaci somministrati per via intravenosa o
  • 2. per via orale daranno curve ematiche (o plasmatiche) del tipo tempo/concentrazione. In seguito alla somministrazione intravenosa, si verifica un rapido decremento della concentrazione del farmaco a livello plasmatico precocemente (fase alfa) allorché la distribuzione è il processo più importante, seguito da una quota più lenta e costante di riduzione della fase di eliminazione (fase beta). Dopo somministrazione orale, le concentrazioni plasmatiche aumentano all’inizio quando il farmaco viene assorbito e poi si riducono quando l’eliminazione diviene il processo più importante. I meccanismi di assorbimento sono descrivibili in termini di diffusione passiva (attraverso un canale o poro di membrana idrofilo), diffusione facilitata di sostanze apolari (attraverso la parte lipoproteica della membrana), trasporto attivo (contro gradiente di concentrazione, mediante l’attivazione di pompe specifiche ATP dipendenti). Tre sono i fattori che regolano il trasporto: il flusso ematico al sito di assorbimento, la superficie totale di assorbimento, il tempo di contatto con questa del farmaco; il primo risulta inoltre dipendente dalla possibilità o meno di un trasporto mediato da proteine plasmatiche specifiche, a sua volta dipendente da eventuali fenomeni di competizione fra farmaci per il legame disponibile sulla molecola del trasportatore. Effetto del pH: molti farmaci sono basi deboli, o acidi deboli, potendo entrambi cedere un protone H +; gli acidi formano quindi un anione carico, nel caso di una base si libera invece la base libera, non carica. Dato che il passaggio transmembrana è legato al fatto che la molecola non sia dissociata, nel caso degli acidi passeranno le forme indissociate (protonate), e viceversa nel caso delle basi queste passeranno solo dopo la cessione di H +. Per questo la concentrazione di un farmaco è data dal rapporto fra la forma indissociata e quella dissociata a livello del sito di azione farmacologica, e anche dal pH in quel punto e dalla forza di dissociazione (pKa) del farmaco (più basso il suo valore, più forte la caratteristica acida della molecola). Il sistema tradizionale per descrivere l’assorbimento di un farmaco è l’ipotesi della ripartizione in funzione del pH. Tale ipotesi riguarda il passaggio del farmaco nel sangue per diffusione passiva di molecole non ionizzate attraverso la barriera lipidica delle cellule intestinali ed all’interno del sangue. I fattori che controllano il rilascio di un farmaco da una preparazione farmaceutica sono comunque complessi poichè la parete gastrointestinale non è una membrana lipidica semplice ma piuttosto uno strato di cellule. Un farmaco acido viene assorbito nello stomaco ad un pH di circa 2 se non è ionizzato; diffonde passivamente attraverso la barriera semplice all’interno dei capillari ed è portato dal plasma ad un pH di 7,4. Qui si ionizza ed è perciò incapace di tornare allo stomaco poichè c’è un netto gradiente di concentrazione dallo stomaco al plasma, della quota non ionizzata. I farmaci basici sono quindi scarsamente assorbiti nello stomaco, essendo la maggior parte assorbiti nel tratto superiore dell’intestino tenue (pH 5-7), nel tratto inferiore (pH 7-8 8) e del colon (pH 7-8). Tuttavia, si può talora verificare anche un assorbimento della quota ionizzata, in funzione del tempo di permanenza assoluta e prolungata nel tratto gastrointestinale per tutta la sua lunghezza. L’avvelenamento in questi casi può essere trattato efficacemente con la pronta somministrazione di un assorbente orale che prevenga l’ulteriore assorbimento del farmaco. La conoscenza del flusso ematico delle differenti parti del tratto gastroenterico e del pH dei suoi contenuti è perciò importante. L’ assorbimento è possibile lungo tutto il tratto gastroenterico, dallo stomaco al retto, sebbene il sito più importante sia la parte superiore dell’intestino tenue. Questo possiede un’elevata peristalsi, un’ampia area di superficie, un alto flusso ematico ed un pH ottimale per l’assorbimento della maggior parte dei farmaci, che risultano tutti notevolmente assorbiti. L’assorbimento dipende generalmente in larga misura dall’ampia differenza nella concentrazione del farmaco tra il tratto gastroenterico ed il sangue. L’ assorbimento di un farmaco dal suo sito di somministrazione all’interno della circolazione sistemica è noto col termine di biodisponibilità (assoluta o sistemica). La biodisponibilità è semplicemente la frazione della dose del farmaco, la quale è assorbita intatta da qualunque determinata via, confrontata con la somministrazione intravenosa che dà un equivalente di assorbimento del 100%. Dopo che il farmaco è stato assorbito, cioè dopo che è passato dal tratto gastrointestinale attraverso il fegato ed all’interno del circolo sistemico, viene distribuito in tutto il corpo. La distribuzione dipende da un certo numero di fattori. Questi includono il flusso ematico ai tessuti, il coefficiente di ripartizione del farmaco tra sangue e tessuti, il grado di ionizzazione del farmaco al pH plasmatico, il peso molecolare del farmaco e l’estensione del legame tra tessuto e proteine plasmatiche. Una piena descrizione della distribuzione del farmaco può essere resa completa se è basata sulla conoscenza della perfusione tissutale e sulla ripartizione del farmaco dal plasma ai tessuti o se è basata su un’analisi cinetica delle curve concentrazione plasmatica-tempo. Uno dei più importanti parametri descrittivi che è probabilmente il più interessante per il tossicologo è il volume di distribuzione (Va), ovvero la quantità di farmaco nell’organismo divisa per la concentrazione plasmatica dopo che si è stabilito l’equilibrio di distribuzione. Droghe Il termine deriva probabilmente droog, termine con il quale gli olandesi definivano il trasporto di prodotti vegetali essiccati via mare dall’Oriente; in Fitognosia il termine droga definisce l’insieme di elementi cellulari di un vegetale, nei quali, all’interno dei vacuoli, siano presenti sostanze del metabolismo secondario, dotate di effetto sulle funzioni fisiologiche dell’uomo.
  • 3. L’uomo conosce fin da tempi immemorabili le modalità d’uso e gli effetti delle sostanze stupefacenti naturali; le forme di espressione artistica che hanno cantato i tempi della tradizione primordiale sulle rive del mediterraneo, ad esempio il bellissimo tema del sacrificio nella tradizione dionisiaca cretese, hanno posto in netto rilievo la presenza dei derivati dell’oppio e di altre piante. All’uso collettivo regolato dal rituale e indirizzato alla celebrazione metafisica di una precedente età, poi corrotta, di intimo contatto fra umanità e divino, si è sostituito quello del singolo individuo, uso svincolato da ogni rito, quest’ultimo 10 inteso come atto che nella ripetizione approvata da procedure di consenso trovava motivo per motivare e celebrare una tradizione di concetti metafisici, non esprimibili o riservati. La separazione fra rito e uso individuale ha posto in essere nuovi riti, occasioni e realtà contro cui viene a formarsi una reazione di censura o del tutto repressiva per quanto attiene il meccanismo di controllo sociale affidato alle leggi, ovvero il comportamento assuntivo di “droghe”. Il passaggio successivo dalla disponibilità di sostanze naturali a quelle di semisintesi o addirittura di completa sintesi, ha fatto esplodere il quadro del comportamento legato all’abuso in una miriade di comportamenti, ciascuno dei quali ha creato situazioni diverse non solo sul piano farmacologico e tossicologico e in ultima analisi individuale, ma anche sul piano dei comportamenti generalizzati, del commercio clandestino, delle problematiche connesse con l’accertamento e il recupero da stati di abuso o dipendenza, del controllo sociale in termini di politica criminale. L’interesse sull’azione delle sostanze nasce quindi dal fatto che le sostanze attive sul sistema nervoso centrale dell’uomo hanno potere di influire profondamente non solo sui processi mentali, ma anche su molti aspetti del comportamento individuale, e, considerando la vastità del fenomeno, di ampie fasce di collettività, osservando soprattutto che l’abuso e la dipendenza interessano fasce peculiari e ristrette di età giovanile. La multiformità del problema si riflette e si motiva anche nella ricerca e nell’ impiego di nuovi farmaci, capaci di modificare selettivamente le risposte di aree cerebrali selezionabili, o di modulare la risposta comportamentale nella sua interezza. In particolare gli antidolorifici e gli ansiolitici e antidepressivi di recente acquisizione hanno riproposto con forza un problema di farmacodipendenza, prima storicamente limitato all’ambito di applicazione dei barbiturici, di conseguenze incalcolabili, quando l’abuso si configuri a ponte di situazioni collocabili sia nell’ambito dell’approccio agli stupefacenti che ai farmaci (politossicodipendenza). La farmacologia moderna studiando la sintesi di un farmaco, e quindi nel nostro caso di una sostanza psicoattiva, definisce gli effetti osservati in base alle modalità di introduzione, di assorbimento all’interno dell’organismo, di distribuzione, di azione e sito d’azione, di eliminazione. Da questo punto in avanti definiamo come principio attivo di una sostanza quella parte alla quale si deve l’azione farmacologica propriamente detta, caratterizza da costanza di azione, 11 variando questa solo in funzione della dose o per via della sensibilità individuale. La disponibilità delle sostanze pure, sia ottenute per via sintetica che estrattiva (naturale e semisintetica) ha cambiato le modalità d’uso delle sostanze stesse consentendo ulteriori vie di somministrazione. Nel caso degli stupefacenti la via di introduzione può’ essere multiforme, ovvero a seconda dello stato fisico e della solubilità dello stupefacente si possono avere varie fattispecie, fra le quali anche quella inalatoria, per l’assunzione di sostanze volatili a carattere aromatico (derivati nitrici, “popper”, idrocarburi leggeri, solventi di resine e colle) o addirittura di composti allo stato di polvere, sia stupefacenti o non, in origine confezionati a norma F.U. La dipendenza da farmaci e da droghe produce una vasta gamma di figure di danno per gli assuntori, che vanno dall’ AIDS alle epatiti, agli stati nutrizionali carenti, ai disordini mentali, con ricaduta rilevante non solo sui costi socio sanitari del fenomeno sulla collettività ma anche sulla capacità di controllo dell’ aumento delle forme di criminalità organizzata. Terminologia Abuso autosomministrazione ripetuta o episodica di sostanze psicoattive; danno a causa degli effetti farmacologici o per le conseguenze economiche e sociali dell’uso. Addiction modalità compulsiva nell’uso di stupefacenti; il termine pone l’accento sull’aspetto quantitativo del comportamento, a differenza di abuse che indica invece quello qualitativo. Astinenza gruppo di sintomi di vario tipo e gravità per cessazione o riduzione dell’uso di una sostanza psicoattiva assunta ripetutamente, la sindrome è in genere accompagnata da disturbi clinicamente obiettivabili, è un indicatore di
  • 4. dipendenza insieme ai fattori comportamentali e cognitivi che si sviluppano o modificano per uso di sostanze farmacologicamente attive. co-dipendenza stimoli all’uso e abuso indotti dal comportamento di soggetti dediti all’uso di stupefacenti. Craving desiderio incoercibile di sostanza psicoattiva e dei suoi effetti Dipendenza la condizione di bisogno applicata a sostanza psicoattiva, necessità di ripeterle dosi onde evitare malessere fisico e psichico, uso ripetuto (cronico) con compulsione 14 all’abuso, perdita di controllo nell’uso della sostanza, la dipendenza fisica si riferisce alla tolleranza e ai sintomi della sindrome di astinenza. dipendenza crociata capacità di una sostanza di sopprimere le manifestazioni della sindrome di astinenza da un’altra sostanza e mantenere quindi lo stato di dipendenza fisica. Intossicazione condizione che segue la somministrazione di una sostanza psicoattiva provocando disturbi a livello di coscienza, cognizione, percezione, giudizio, affettività, comportamento o altre funzioni psicofisiologiche. Spesso una sostanza è assunta per raggiungere il grado desiderato di intossicazione. Intossicazione acuta è una intossicazione di significato clinico che include complicazioni mediche (fisiche). Intossicazione cronica si riferisce all’uso regolare e corrente di assumere una sostanza a livello di intossicazione. Overdose uso di una sostanza in quantità tali da produrre gravi effetti negativi, fisici o mentali. Poliabuso uso di più di una sostanza, spesso contemporaneamente o in stretta successione, per potenziare o bilanciare gli effetti di un’ altra sostanza. Tolleranza necessità di aumento della dose o posologia per avere lo stesso effetto conosciuto, causa l’attivazione delle vie metaboliche. tolleranza crociata sviluppo di tolleranza a una sostanza diversa, cui l’individuo non è stato precedentemente esposto, come risultato dell’assunzione acuta o cronica di una sostanza. La diagnosi di tossicodipendenza La diagnosi di tossicodipendenza (TD) riveste un ruolo chiave nell’attivare tutto l’insieme delle procedure di controllo, cura e riabilitazione del soggetto assuntore di sostanze stupefacenti, e, più in generale, della filosofia di lavoro per gli aspetti di prevenzione, controllo e repressione dell’abuso su scala nazionale, dovendo chiarire quale sia stato il meccanismo considerato volta volta il più idoneo a raggiungere l’obiettivo del migliore approccio con la figura del tossicodipendente, una lettura storica mostra con evidenza come gli insuccessi registrati, sia pur diversificati sul piano qualitativo che quantitativo, riconoscano un comune denominatore, ovvero il momento della formulazione della diagnosi di TD. Base metodologica per un corretta formulazione della TD è ovviamente la definizione delle figure del consumatore occasionale, abituale e dipendente, in considerazione della capacità o meno delle singole sostanze stupefacenti di generare tolleranza e di indurre dipendenza psichica e/o fisica. Grande importanza riveste inoltre la tipologia del consumo, che può’ essere legata anche alla diversità ambientale e socio culturale, nonché alla variegazione dei rapporti interpersonali e sociali e al ricordo di disturbi dovuti all’uso di droghe. In questo contesto anche la scelta della sostanza stupefacente riveste un ruolo nell’indirizzare l’ iter d’uso della droga e dei meccanismi di passaggio fra una forma e l’altra di abuso o di tossicodipendenza vera e propria. La diagnosi di TD non puo’ e non deve essere esclusivamente legata, per deduzione, all’esito di una procedura analitica, sia pur sofisticata; ma richiede un approccio integrato di metodologie e di procedure di tipo clinico oltre che analitico, integrate nel contesto di una accurata indagine storica e del comportamento. Allo stato attuale solo l’indagine tossicologica su capello sembra poter fornire utili e soprattutto sicuri elementi sulla storia di abuso nel tempo di sostanze stupefacenti, ma rimane ancora senza risposta la domanda circa lo stato e il grado di TD. Per quanto riguarda lo stato di TD è ancora possibile ottenere buone informazioni con un procedimento a posteriori, identificando la presenza o meno di stupefacenti capaci di indurre dipendenza fisica, e fra tutti l’eroina, ma la quantificazione del grado di TD sfugge alle necessità del Legislatore quanto all’esame del clinico, nè le procedure di laboratorio possono essere utilmente interrogate al proposito. Il problema della mancanza di una soluzione al problema non è infatti di ordine tecnico, bensì metodologico, ovvero qualora un soggetto sviluppi una forma di dipendenza fisica, per es. da oppiacei, tale forma non presenta una correlazione strettamente lineare nei confronti della quantità di stupefacente da assumere. Questa caratteristica farmacologica ha minato alle fondamenta ogni tentativo di elaborazione di tests per la qualificazione del “bisogno” di stupefacenti del tipo oppioide, a fronte invece della indicazione legislativa di differenziare l’intervento repressivo in funzione appunto di parametri esattamente determinati di sostanze stupefacenti (la dose media massima giornaliera), poi successivamente emendata da referendum abrogativo (abolizione art.72 T.U.309/1990).
  • 5. Per quanto attiene l’ indagine sullo stato di TD è anche da segnalare come l’ indagine di laboratorio offra da un lato una notevole quantità di informazioni, ma dall’ altro non possa da sola esaurire il problema della validazione della TD quanto alla problematica del fabbisogno individuale di stupefacenti: l’ analisi quantitativa del campione biologico non è praticabile per tutte le sostanze di interesse tossicologico, ovvero i limiti di sensibilità non sono gli stessi per ogni famiglia di composti, inoltre non tutte le vie metaboliche di una sostanza sono conosciute. Puo’ infatti essere detto con certezza, al momento delle attuali conoscenze, che i livelli quantitativi di una sostanza determinata nelle urine non possono essere utilizzati per misurare l’ influenza di una sostanza stupefacente sul comportamento. Tale situazione mette quindi in seria difficoltà l’ operatore che affronti il problema dell’ accertamento dello stato di tossicodipendenza ai sensi delle procedure diagnostiche e medico-legali previste dalla Legge. Le TD possono essere inquadrate in quattro tipi inerenti il disturbo: area del disturbo di adattamento e delle reazioni, nevrosi, border-line e psicosi, area sociopatica; la distinzione ha un significato preciso dal punto di vista della nosografia psichiatrica. Il disturbo sottostante tuttavia non è caratterizzato tanto dal sintomo quanto dalla struttura della personalità e del carattere. Ciò che svolge la funzione di sintomo è quindi la TD stessa, un comportamento sintomatico al servizio del conflitto psichico e dei relativi meccanismi di difesa rendendone meno evidenti le caratteristiche specifiche. L’importanza di una accurata indagine psicopatologica e una divisione metodologica di tipi risulta evidente in termini di terapia quanto di ricerca, stante la necessità di collegare variabili altrimenti non significative con tipi diversi di organizzazione psicologica, ad es. nel caso delle indagini sui fattori di rischio nel periodo della scolarità o della vita familiare. Il collegamento fra fattori di rischio e tipologia attira l’attenzione sul problema della prevenzione circoscrivendo l’area di applicazione degli interventi programmati per la sua riduzione. L’esame tossicologico delle sostanze stupefacenti Le indagini svolte ai sensi del T.U. 309/90 hanno contribuito alla formazione di una notevole mole di informazione sul fenomeno droga, nel senso che il coordinamento delle procedure analitiche e di Polizia effettuato dalle Prefetture ha offerto un notevole e originale contributo alla conoscenza di un fenomeno che ad oggi veniva ad inscriversi nell’ ambito delle competenze delle Procure della Repubblica. Le indagini di laboratorio disposte dalla A.G. per via chimica rivestono un ruolo cardine nella documentazione e nel monitoraggio non solo degli aspetti qualitativi del fenomeno, ma anche di quelli quantitativi, in tal senso basti ricordare l’ importanza della percentuale di principio attivo dei narcotici per la valutazione del rischio di intravenous narcotism negli eroinodipendenti. L’ esame chimico affiancato da quello microscopico delle sostanze sequestrate è risultato nella nostra esperienza di fondamentale importanza al fine di determinare l’ambito geografico di provenienza dello stupefacente, le vie di importazione, le procedure di adulterazione prima della sua vendita “in strada”. Un sistema informatico di trattamento dei dati di laboratorio con un database basato su algoritmi di intelligenza artificiale ci ha permesso di collegare tutti i risultati delle indagini di laboratorio all’interno di un disegno-mappa fedele delle caratteristiche di mercato che influenzano la tipologia di disponibilità degli stupefacenti. Da un punto di vista operativo la raccolta dei dati potrebbe permettere quindi una maggiore incisività nelle operazioni di controllo e repressione del narcotraffico, individuando linee di tendenza nel trasporto e nella distribuzione dei narcotici. La strategia di lotta alle tossicodipendenze e al narcotraffico rende evidente la necessità di impiego di una banca dati informatica qualora si debba eseguire il monitoraggio di una situazione allargata, quale il mercato clandestino di stupefacenti. Una organizzazione di dati in costante aggiornamento può infatti non solo descrivere ma anche analizzare, come andamento di probabilità, le linee di sviluppo del fenomeno “droga”; e l’efficienza e quindi il successo dell’operazione, se pur limitata dall’impiego di database relazionali, farà comunque pensare ad un comportamento “intelligente”, soprattutto se la performance sarà legata all’impiego di strutture di rete, e quindi al metodo, piuttosto che alle caratteristiche costruttiva dei computer. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha varato nel 1991 un Documento Strategico, strettamente legato alla Dichiarazione Politica e Programma d’Azione Globale adottati dall’Assemblea Generale della XVII Sessione Speciale delle Nazioni Unite (23 febbraio 1990), e rivolto ai problemi del traffico e dell’uso di sostanze stupefacenti. In particolare, nella Dichiarazione della I° Conferenza pan-europea, al punto XVII° (Prevenzione, trattamento, riabilitazione e reinserimento sociale) :”... attribuiamo un’ importanza particolare alle iniziative prese per favorire una migliore conoscenza dei fattori che sottendono alla domanda di droga...” e nel documento del C.E.L.A.D. del 14 dicembre 1990 del Consiglio delle Comunità Europee, punto 5 della premessa (Misure di lotta alla droga) :”...creazione di un Osservatorio europeo sul fenomeno droga, non soltanto riguardo agli aspetti sociali e sanitari, ma anche agli altri aspetti connessi con la droga, inclusi il traffico e la repressione”, e al punto 6 dello stesso documento :”... il C.E.L.A.D. riconosce la necessità di disporre di dati statistici corretti e comparabili sul traffico di droga nella Comunità e negli stati Membri”. Risulta quindi evidente una doppia metodologia di ricerca di dati, una intesa alla repertazione di singole informazioni (tipo di sostanza, ambiente d’uso), mentre la seconda, tesa alla formulazione di un profilo dei motivi che spingono all’ assunzione di stupefacenti, delinea un problema di proporzioni ben più vaste. Non solo si tratta cioè di elaborare un profilo a posteriori delle tendenze di mercato ma anche dell’ assuntore, (con il rischio di indurre frequenti stereotipi dato che non sarà mai possibile organizzare la raccolta di tutti i dati relativi alla domanda di stupefacenti), ovvero di costruire un modello di consumo plurimodale, (date le valenze eterogenee dei dati da raccogliere: biologici,
  • 6. farmacologici, sociali, psicologici, ecc.); tale compito esula dalle tecniche statistiche per introdurre la tematica delle procedure informatiche volte alla previsione, ovvero ai sistemi esperti (se non all’ intelligenza artificiale). A seguito delle iniziative di Legge disposte dal TU 309/1990, (artt. 10 e 11), alla Direzione Centrale per i Servizi Antidroga sono demandati i compiti di mantenere e sviluppare i rapporti con i corrispondenti servizi delle Polizie estere, nonchè la creazione di uffici di intelligence antidroga al di fuori del territorio italiano. Le notizie disponibili nell’Annuale Nazionale sull’attività antidroga del Ministero dell’Interno circa il tipo delle sostanze stupefacenti presenti nel mercato clandestino, pongono in evidenze il ruolo informativo svolto dai laboratori di Tossicologia forense. Un database relazionale permette di seguire in tempo reale le più piccole modificazioni nell’ambito del consumo di narcotici in Bologna, e se la cosa è indubbiamente utile a fini di controllo del narcotraffico, e quindi a scopo di indagine criminalistica, è indubbio come il programma sia utile anche per monitorare la situazione sanitaria. E’ infatti evidente come la tipologia delle sostanze di abuso influenzi anche non solo i comportamenti degli assuntori, ma anche il loro stato di salute. Per uscire da un periodo di approccio empirico al problema, potrebbe essere utile affiancare i dati relativi alle moderne acquisizioni sugli effetti degli stupefacenti a quelli relativi alla loro diffusione. Ci siamo proposti di valutare quali elementi fra i costituenti delle droghe da stradapotessero essere campionati a due distinti scopi: uno medico, teso alla valutazione del rischio sanitario delle preparazioni di droga da strada; la ricerca è stata mirata alla evidenziazione di sostanze di accompagnamento del principio attivo (eroina) per le quali si potesse supporre un ruolo nella etiopatogenesi della morte da intravenous narcotism da oppiacei. uno criminalistico, per la ricerca di indicatori utili alla comparazione di partite diverse di stupefacenti, ma eventualmente riconducibili, sulla base di somiglianze di costituenti in tracce, a precise linee di fabbricazione clandestina e di trasporto in Italia. La ricerca di tali sostanze di accompagnamento può risultare utile al Magistrato che abbia come problema quello della comparazione di partite diverse di droga, a fini penali, ma utile anche all’azione investigativa in tema di linee e rotte di narcotraffico, nelle quali i processi di lavorazione e trasporto possono lasciare traccia di sé nella varia tipologia delle sostanze di accompagnamento (precursori di semisintesi, parti botaniche dell’oppio di origine, tracce di cessione di materiali di imballaggio per il trasporto, ecc). uno informatico, per la costruzione di una mappa relazionale che tenesse conto di tutte le variabili, analitiche e di mercato. L’analisi in microscopia elettronica in scansione delle street drugs Il termine è applicabile prevalentemente alle preparazioni iniettabili di stupefacenti, e quindi di oppiacei (eroina), del mercato clandestino. Per quanto riguarda l’eroina, il contenuto in principio attivo oscilla tra il 2 e il 15%, la rimanente quota in peso, almeno nel nostro Paese, è costituita da zuccheri, derivati alimentari (latte in polvere, liofili di the e preparati da radici e spezie), e sostanze di accompagnamento, ovvero quelle residue della preparazione della sostanza stupefacente nelle fasi iniziali risentono delle caratteristiche etnobotaniche delle zone di produzione e di raffinazione preliminare. Nelle quote “non stupefacenti” delle street drugs per uso i.v. appaiono infatti, in aggiunta alle sostanze da taglio, elementi di origine esogena, prive di azione propriamente “stupefacente” che, soprattutto riguardo alla induzione di affezioni settiche ( quelle del miocardio, ad esempio, sono di frequente repertazione) è possibile ipotizzare che possano giocare un ruolo rilevante anche sul piano antigenico. Mentre infatti la patologia delle tossicodipendenze da uso i.v. della sostanza viene di norma definita come “aspecifica”, ma comunque caratterizzata da aspetti infettivi legati alla pratica iniettoria, poco è noto sugli agenti che etiologicamente possano essere considerati, almeno in parte e con ruolo concausale, responsabili della genesi di tale evento. In generale, il quadro è quello di una morte conseguente a un fatto tossico diretto. L’ interpretazione medica dei dati tossicologici deve considerare: patologie preesistenti, fattori di predisposizione genetica, età, stato di tolleranza, interazioni con altri farmaci e stupefacenti, condizioni di stato metatossico con insorgente astinenza o di condizioni esterne (paratossiche) che possano influenzare la tossicità di una sostanza. Il quadro in generale è quello di una morte conseguente a un fatto tossico diretto, considerazione che valorizza al massimo il ruolo della Tossicologia forense nella ricostruzione medico-legale dell’evento. Il residuo delle preparazioni da strada è stato osservato in microscopia ottica (polarizzazione e contrasto di fase) ed elettronica in scansione (SEM). La valutazione “morfologica” di tale residuo repertato si è giovata delle tecniche proprie della fitognosia; tale metodologia permette infatti di poter spesso pervenire ad una classificazione botanica a partire dagli elementi vegetali rinvenibili in polveri e preparazioni galeniche. Per l’identificazione delle parti vegetali possono essere utilizzate le tavole per fitognosia “Chromatographische und mikroskopische Analyse von Drogen” di Egon Stahl e l’atlante “ Powdered vegetable drugs ” di B.P.Jackson e D.W. Snowdon.
  • 7. E’ da notare che tutto il materiale visibile con questo metodo in scansione elettronica è capace per intero di attraversare l’ago sia di una siringa normale che da insulina, stessa considerazione può essere condotta a proposito del ruolo dei filtri da sigaretta impiegati spesso per l’iniezione delle preparazioni più torbide (per la presenza di basi non salificate o diluenti insolubili). Il risultato è che ciò che viene mostrato nel presente lavoro sperimentale entra nel torrente ematico per via venosa. Anche se alcuni elementi non sono chiaramente “leggibili” quanto alla loro natura, tuttavia l’immagine d’insieme consente di effettuare una “comparazione” (numero di frammenti, tipo di azione meccanica di frantumazione, ecc.), utile per affiancare il giudizio da questa emergente al risultato dell’indagine analitica. Più complesso quindi l’obiettivo di poter arrivare al riconoscimento dell’ origine geografica e del periodo di maturazione, anche in considerazione che il materiale in sequestro, e giunto all’osservazione, ha subito ripetuti “passaggi” e rimaneggiamenti. Ma le osservazioni di alcuni casi “fortunati” permettono di sviluppare un cauto ottimismo sulla possibilità di ottenere informazioni non solo sulla natura delle sostanze che accompagnano le preparazioni di stupefacenti da strada, ma anche sulla provenienza, se pur approssimativa, se non della area geografica di crescita del residuo, almeno dell’ambiente criminale in cui questo è stato utilizzato per costruire le preparazioni di droga destinate al mercato minuto. Il materiale estraneo risulta spesso contaminato da frammenti metallici, fra i quali risulta prevalente l’alluminio, forse derivante da operazioni di imballaggio artigianale dell’oppio, per mascherarne le caratteristiche organolettiche all’olfatto dei cani anti droga. A tale scopo viene usato ad es. il metilisobutilchetone per annullare la presenza dell’haschis, mentre per la cocaina sono previste operazioni più complesse di salificazione che permettono di imbibire con la droga abiti, valige, libri, ecc. Un raffronto fra le patologie riscontrate e i risultati dell’indagine chimico tossicologica permetteva di poter confermare in buona sostanza quanto già evidenziato da altri Ricercatori che avevano affrontato il problema di evidenziare eventuali quadri caratteristici sul piano della sezione cadaverica e dell’indagine microscopica nell’ambito dei decessi da droga per assunzione endovenosa . A questo punto appare evidente come la frequenza dei reperti insolubili nelle preparazioni di droga da assumersi per via endovenosa apra un fronte di interesse per quello che potrebbe essere un ruolo di attivazione antigenica legato alla natura di tale materiale, considerando che già per i pollini e le spore è noto quanto possa essere rilevante la carica antigenica sulla anormale espressività del sistema immunitario. Riportiamo di seguito alcuni esempi di osservazioni sperimentali da noi condotte sul residuo insolubile in acqua e alcoli di preparazioni di eroina da strada. SEM Philips serie 500, metallizzazione Au/Pd; l’ingrandimento è riportato alla base di ciascun fotogramma. Foto 1: da sn a dx e dall’alto in basso: drusa di ossalato di calcio, frammento di epidermide di dicotiledone sottoposto ad azione di frammentazione con frullatore, stoma di foglia di Menta piperita, stomi di dicotiledone.
  • 8. Foto 2: da sn a dx e dall’alto in basso: frammenti dilacerati di epidermide foliare di dicotiledone, frammento di vasi di conduzione legnosi di radice di Zinziberacea, estremo cefalico di Anopheles, tricomi della pagina foliare superiore di piante aromatiche xerofitiche. Il database relazionale E’ stato utilizzato come base dell’applicativo il sistema Access II Microsoft, modificato secondo la necessità di operare con dati di laboratorio, notizie di generica e di specifica, diagrammi e fotografie. Il sistema applicativo da noi elaborato permette di ottenere in tempo reale qualsiasi rappresentazione di connessioni fra variabili, siano esse alfanumeriche che grafiche, sotto forma di grafico di correlazione o grafico di andamento. Di seguito mostriamo l’apertura seriata delle varie “pagine” del database di laboratorio, attive anche sull’evidenziazione di alcune operazioni automatiche connesse a variabili fisse di ingresso (dati di laboratorio).
  • 9. LA RIDUZIONE DEL DANNO “La Riduzione del danno è una politica sociale che privilegia lo scopo di diminuire gli effetti negativi del consumo di droga. E’ una politica radicata in un modello scientifico di tutela della salute pubblica che attinge profondamente da una cultura di tipo umanitario e libertario” (Russel Newcombe, Direttore della Drugs and HIV monitoring Unit LIverpool) Riduzione del danno significa impegnarsi a eliminare o ridurre sensibilmente i danneggiamenti causati all’organismo nelle persone che fanno continuo uso di sostanze stupefacenti illegali, dalle modalità di consumo di queste ultime, nonché i danni causati dalle sostanze da taglio usate dai rivenditori di droga del mercato nero e/o da altre cause indirettamente collegate. Questo principio generale deve in ogni caso tenere conto delle leggi riguardo gli stupefacenti in vigore nel paese dove si svolge l’intervento, come si deve tener conto del fatto che oltre ai consumatori di droghe, indirettamente anche la società in generale trae un beneficio. Riduzione del danno significa ridurre tutti gli azzardi causati dall’uso di sostanze stupefacenti illegali, collegati ad esse direttamente o indirettamente. Nel corso di questi ultimi anni si è assistito ad una massiccia politica di liberalizzazione, soprattutto a livello europeo (Olanda, Svizzera) accompagnata però da una lettura più critica dei risultati ottenuti con tali sperimentazioni di liberalizzazione e legalizzazione di sostanze stupefacenti. Potrebbe essere a questo proposito utile andare a leggere la relazione molto critica del Ministrero olandese sugli effetti dei coffe shop e dei centri di distribuzione delle droghe erroneamente ritenute leggere (cannabis, marijuana, hashish): si mette in luce come queste realtà abbiano segnato un incremento del mercato legale ma anche illegale. In italia nel campo degli interventi contro la tossicodipendenza la politica della “riduzione del danno” occupa una posizione primaria e costituisce un elemento fondamentale. La presenza di valide politiche di riduzione del danno contribuisce ad evitare ai tossicodipendenti una vasta serie di problemi,fra i quali la diffusione del contagio delle infezione da HIV, nonchè l’arresto o la carcerazione.
  • 10. Le pratiche della riduzione del danno offrono anche dei benefici alla collettività se queste sono attuate con efficacia. Nella filosofia della riduzione del danno le unità mobili (attivate e ordinate secondo distinti piani e progetti da parte delle Regioni) sono uno strumento di avvicinamento delle persone tossicodipendenti “in strada”; gli “operatori di strada” - che lavorano sulle unità mobili - forniscono informazioni sui mezzi a disposizione per ridurre i rischi, offrono profilattici, siringhe monouso e altro materiale di prevenzione. Offrono supporto e facilitazione di accesso ai servizi e ai programmi di cura e riabilitazione. Fungono da mediatori sociali con il fine di modificare la percezione sociale nei confronti del consumatore-tossicodipendente, offrendo consulenza per informare, sensibilizzare, e possibilmente prevenire. Detenzione, clandestinità I detenuti e gli internati hanno diritto, al pari dei cittadini in stato di libertà, alla erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, efficaci ed appropriate, sulla base degli obiettivi generali e speciali di salute e dei livelli essenziali e uniformi di assistenza individuati nel Piano sanitario nazionale, nei piani sanitari regionali e in quelli locali (DM 22 giugno 99, n.230). E’ noto che il carcere, per molti aspetti, è causa di rischi aggiuntivi per la salute fisica e psichica dei tossicodipendenti detenuti, che costituiscono circa il 30% della popolazione carceraria. I programmi da sviluppare devono garantire la salute del tossicodipendente detenuto e assicurare, contemporaneamente, la tutela complessiva della salute all’interno delle strutture carcerarie, in un’ottica che concili le strategie più tipicamente terapeutiche con quelle di prevenzione e di riduzione del danno. Tra gli obbiettivi di assistenza da garantire primariamente vanno indicati in modo particolare: - l’immediata presa in carico dei detenuti da parte del SERT competente sull’istituto penitenziario, al fine di evitare inutili sindromi astinenziali ed ulteriori momenti di sofferenza del tossicodipendente, assicurando la necessaria continuità assistenziale; - l’implementazione di specifiche attività di prevenzione, informazione ed educazione alla salute mirate alla riduzione del rischio di patologie correlate all’uso di droghe; - la predisposizione di programmi terapeutici personalizzati, predisposti a partire da un’accurata valutazione multidisciplinare dei bisogni del detenuto, in particolare per quanto riguarda i trattamenti farmacologici (metadone ecc.), anche di mantenimento; - la disponibilità di trattamenti farmacologici sostitutivi tenendo conto del principio della continuità terapeutica,( in particolare per le persone che entrano in carcere già in trattamento), concordati e condivisi con il tossicodipendente detenuto. Un commento a questo punto si impone per fare un po’ di chiarezza, se possibile, e avanzare alcune necessarie critiche. Chiarezza perché spesso viene confusa una iniziativa disposta dalle regioni con una precisa norma di legge: a ben guardare nel TU 309/90 viene data necessaria enfasi alle cosidette politiche di prevenzione primaria e secondaria, ma in assenza di disposizioni precise o di linee guida, pertanto le iniziative sul territorio possono essere estremamente diversificate, e in alcune aree del tutto assenti. Una critica si impne invece sul piano etico deontologico: una politica di riduzione del danno che non tenga conto della complessità dell’intero stato di tossicodipendenza esita in un atto medico parziale, mirato ad un aspetto di malattia e non alla globalità delle problematiche del soggetto tossicodipendente, e questo non è eticamente accettabile. La frase “riduzione del danno” ha pertanto un margine di ambiguità, perché non affronta il danno nella sua interezza, ma solo uno o alcuni degli eventi di danno che esitano dalla condizione di tossicodipendenza.
  • 11. IMPUTABILITA’ E TOSSICODIPENDENZE Imputabilità e colpevolezza Nel nostro ordinamento la colpevolezza significa colpevolezza per un fatto, lesivo di un bene penalmente protetto, mentre per il soggetto agente occorre che sia certo che sia imputabile, ovvero che possa essere dichiarato penalmente responsabile. Perché un soggetto possa essere colpito con la sanzione della pena non basta quindi che abbia commesso con dolo o colpa tale fatto lesivo di un interesse protetto né che la sua azione risulti non giustificata da alcuna esimente (antigiuridicità), ma è necessario che tutto il comportamento sia diretto contro la norma stabilita a partire dalla certezza della condizione di imputabilità. Al centro di un lungo dibattito, tuttora esistente, è stata la questione relativa ai rapporti intercorrenti tra imputabilità e colpevolezza. L’art. 85 CP recita:” Nessuno può essere punito per un fatto previsto dalla legge come reato se al momento in cui lo ha commesso non era imputabile; è imputabile colui che ha la capacità di intendere e volere”. Lo scopo giuridico-formale della non imputabilità è quello di consentire l’esenzione da pena di certe categorie di soggetti: se la si definisce uno status soggettivo necessario per l’irrogazione della pena, la non punibilità del soggetto, pur in presenza di un reato completo di tutti i suoi elementi, dipenderà dalla assenza di una condizione soggettiva di punibilità. Sui rapporti tra imputabilità e colpevolezza, la giurisprudenza è stata oscillante. In un primo tempo, la Corte Costituzionale ha affermato che “soltanto chi è capace di intendere e di volere può in concreto determinarsi in modo penalmente rilevante nella coscienza e nella volontà della condotta”. Successivamente la posizione della Suprema Corte si è evoluta nella opposta direzione. Essa ha infatti riconosciuto che imputabilità e colpevolezza sono ‘due concetti ontologicamente distinti’, e che “l’indagine sul dolo non è preclusa dalla incapacità di intendere e di volere del soggetto, perché l’imputabilità non è presupposto della colpevolezza”, occorrendo accertare, anche nel caso di imputato infermo di mente, se il fatto commesso sia colposo, doloso, o preterintenzionale, sempre riguardo allo stato di mente dell’agente. La Suprema Corte, in una delle sue formulazioni più analitiche, ha così definito la capacità di intendere e di volere:l’idoneità del soggetto a rappresentarsi l’evento conseguenza diretta ed immediata della propria attività, a riconoscere e valutare gli effetti della propria condotta, ad autodeterminarsi nella selezione dei molteplici motivi che esercitano nella sua coscienza una particolare spinta o una qualsiasi inibizione dirette l’una a concentrare (l’altra a paralizzare), l’impulso dell’azione. Le cause che escludono e diminuiscono l’imputabilità Nel nostro sistema penale le cause che escludono o diminuiscono l’imputabilità appartengono a due specie: 1. le alterazioni patologiche, dovute ad infermità di mente o anche correlate all’azione dell’alcool o a quella di sostanze stupefacenti (vizio di mente, totale, con esclusione dell’imputabilità, e parziale, con riduzione della stessa ai fini della pena); 2. l’immaturità fisiologica o parafisiologica, dipendenti rispettivamente dalla minore età e dal sordomutismo. Secondo l’art. 88 c.p., circa il vizio totale di mente, recita: “non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità di intendere e di volere”. La diversa formulazione di tale articolo rispetto alla disciplina prevista dal codice Zanardelli all’art. 46 rispondeva ad un preciso intento: quello di riconoscere che il vizio, totale o parziale, di mente possa dipendere anche da infermità fisica, purché questa abbia effetto sulla capacità di intendere e di volere. Nel caso particolare della necessità di determinare una eventuale motivazione di non imputabilità nel caso di condotta sotto l’influenza dell’alcool o stupefacenti occorre ricordare alcuni punti basilari, soprattutto importanti per capire la ratio della norma giuridica. Il Legislatore ha infatti previsto di escludere l’imputabilità qualora le condizioni di ubriachezza si siano verificate, legandosi al fatto delittuoso, per fatto fortuito, o per costrizione da parte di terzi, mentre in caso di ubriachezza volontaria ma colposa non si prevedono variazioni. Negli altri casi (ubriachezza abituale o preordinata al fine di commettere un reato) viene addirittura applicata un’aggravante di pena, sulla base del concetto che essendo noti gli
  • 12. effetti dell’alcool, un soggetto dovrebbe essere in grado di autodeterminarsi sul piano della responsabilità delle proprie azioni, in modo da prevenire gli eccessi di una intossicazione acuta. Qualora però l’uso dell’alcool abbia determinato uno stato di malattia cronico, si torna alla previsione di una diminuzione del profilo di responsabilità, poiché lo stato di malattia impedisce, limita e talora nega del tutto la possibilità di autodeterminazione. Come si vede l’accertamento dell’imputabilità ai fini della responsabilità si lega strettamente al concetto di possibilità di autodeterminazione, cioè in definitiva al primitivo concetto di capacità di intendere e volere dell’art. 88 (vizio totale) e 89 (vizio parziale). Il vizio parziale di mente non esclude del tutto l’imputabilità, comportando quindi la sola diminuzione di pena, in aggiunta alla quale può essere applicata (in caso di soggetto ritenuto pericoloso) la misura di sicurezza dell’assegnazione ad una casa di cura e custodia (art. 219 c.p.). Si ha quindi il cumulo della pena con la misura di sicurezza, con precedenza nella esecuzione della pena restrittiva, fatta salva la facoltà del giudice di disporre che il ricovero in una casa di cura e custodia venga eseguito prima che sia iniziata l’esecuzione della pena. L’uso di stupefacenti, legato al problema delle conseguenze dell’uso di alcolici e trattato negli artt. 91-95 CP pone maggiori problemi sul piano interpretativo. Se da una parte non è agevole distinguere fra consumo “abituale” e “cronico” di alcolici, a meno di non impiegare un distinguo centrato sulle conseguenze psicopatologiche della condizione di alcolismo cronico, dall’altra, per gli stupefacenti, il distinguo pone problemi di analisi critica e differenziale drammatici, poiché l’intossicazione cronica, se vogliamo legarla al concetto di dipendenza, non presenta sempre segni e sintomi nosograficamente utili per una costruzione di un quadro clinico di “cronicità nell’uso di stupefacenti”. Le prospettive di riforma in tema di imputabilità La problematica sin qui brevemente riassunta si inserisce nel più vasto problema riguardante la crisi di identità che la nozione di imputabilità sta attraversando. È opportuno allora fare riferimento alle prospettive di riforma elaborate nello “Schema di delega legislativa per l’emanazione di un nuovo codice penale”. Sulla prima fondamentale questione circa la impossibilità di identificare e definire la nozione di infermità, il Progetto di legge-delega per il nuovo codice penale fornisce un tentativo di soluzione. L’art. 34 del Progetto in riferimento alla imputabilità ed ai casi di esclusione di essa così dispone: 1. escludere l’imputabilità nei casi in cui, al momento della condotta, il soggetto: 1. era minore degli anni 14 ovvero, se maggiore degli anni 14 e minore degli anni 18, non aveva la capacità di intendere e di volere; 2. era per infermità o per altra anomalia o cronica intossicazione da alcool o sostanze stupefacenti, in tale stato di mente da escludere la capacità di intendere e di volere; 3. era, per ubriachezza o per l’azione di sostanze stupefacenti derivata da caso fortuito o forza maggiore, in tale stato di mente da escludere la capacità di intendere e di volere; 4. era, per altra causa, in tale stato di mente da escludere la capacità di intendere e di volere. A questo punto ci troviamo di fronte a numerose ricerche che ci possono configurare l’arduo compito del medico legale in materia di imputabilità sotto l’uso di sostanze stupefacenti, dal momento che tutte le discipline coinvolte nell’argomento non possono fornire risposte certe in senso assoluto. Ci accingiamo quindi ad una sintesi che ci conduca verso una conclusione o meglio che ci conduca a far suonare a nostra volta un campanello di allarme nel modo più sensato possibile. Abbiamo visto le difficoltà del Codice Penale da un punto di vista dottrinale per il permanere di una visione “dura” circa il concetto di punibilità del soggetto, che delinquendo ha agito liberamente, senza l’intervento di fattori extravolontari come i condizionamenti endogeni ed esogeni, (che porterebbero ad una maggior individualizzazione della pena), rischiando così di determinare una superficiale valutazione sulla personalità dell’agente e soprattutto di ‘deresponsabilizzare’ la società sulle cause sociali della criminalità e sulla ricerca dei mezzi di prevenzione. A ciò possiamo anche aggiungere come il disturbo mentale non sia solo malattia, bensì un’entità più complessa che può intendersi come la risultante di una condizione sistemica nella quale concorrono fattori genetici, le esperienze maturate, gli stress, il tipo di ambiente, i meccanismi psicodinamici, la capacità di reazione. Dunque una visione plurifattoriale integrata della malattia mentale che non può sempre rispondere al quesito postogli dal giudice in sede di perizia.
  • 13. Siamo quindi giunti all’oggetto principale della domanda, su quale sia la realtà del medico legale qualora gli si chieda una perizia esauriente sulla reversibilità o irreversibilità di una tossicodipendenza, quindi sullo stato di intendere e di volere dell’imputato, ovvero se si stia trattando di un caso di abitualità o di cronicità dell’intossicazione.Allo stato attuale sono state fatte numerose ricerche sugli effetti degli stupefacenti ma allo stesso tempo non si è ancora in grado di esprimere una diagnosi di certezza per la complessità del problema. La ricerca scientifica si trova a un bivio: da una parte l’indagine degli endocrinologi, che mostra alterazioni, ma reversibili, nel profilo dell’espressione genica e della regolazione dei secondi messaggeri, dall’altra l’evidenza sperimentale di danno neuronale accertata al momento solo nell’animale da esperimento, sia piccolo mammifero che più recentemente anche primate, dalla quale emerge un danno irreversibile a carico del cilindrasse (accorciamento) a livello delle fibre arciformi, accompagnato da un aumento della densità delle sinapsi dendritiche, qualora il problema investa il ruolo dinamico degli inibitori della ricaptazione, soprattutto dopaminergici. A ponte fra le due evidenze si colloca il lavoro dei clinici, fra i quali in particolare in Italia il gruppo diretto dal Prof. Schifano, (Padova), che pone l’accento su una documentata diminuzione della memoria a breve termine e un aumento dell’aggressività anche nelle fasi libere dall’assunzione di MDMA. Difficile, se non al momento impossibile, creare un collegamento fra l’evidenza clinica e quella sperimentale in vitro e in vivo, nel senso che non è lecito assumere una identità morfofunzionale fra SNC nei mammiferi in generale rispetto all’uomo, data la peculiare struttura in quest’ultimo della fiunzione coscienza. La presenza di comorbidità psichiatrica condiziona l’inizio, il decorso clinico, la compliance al trattamento e la prognosi del disturbo da uso di sostanze. In termini generali si può affermare che molti pazienti tossicodipendenti presentano comorbidità psichiatrica, con una elevata presenza di disturbi di personalità. Soprattutto i pazienti con comorbidità per disturbo borderline o antisociale di personalità manifestano una scarsa risposta al trattamento e un elevato rischio di suicidio. E’ stato evidenziato che i tossicodipendenti senza comorbidità psichiatrica seguono ogni tipo di trattamento, mentre i pazienti con comorbidità hanno maggiori difficoltà. E’ importante stabilire la cronologia dello sviluppo dei sintomi, se i sintomi sono presenti nelle fasi drug-free, e l’impatto di ciascun disturbo sulla presentazione, il decorso clinico e la risposta terapeutica. La probabilità che un paziente abbia comorbidità psichiatrica è maggiore se c’è una chiara storia di segni e sintomi psichiatrici precedenti l’uso di sostanze o durante le fasi drug-free e se c’è familiarità psichiatrica positiva. Oltre a questo, ci si pone da più parti il problema se l’abitudine al consumo, a partire da quella alcolica (alcolismo problematico) all’assunzione di sostanze stupefacenti o soprattutto eccitanti e allucinogene possa nel tempo configurare una condizione di indebolimento, come già anticipato dalle osservazioni cliniche relative ai disturbi dell’affettività e della memoria. Se così fosse, non potremmo uscire da una prospettiva di malattia in senso medico legale, dovendo quindi indicare al legislatore che simili condizioni non possono ricadere nell’aggravante destinata dal Codice Penale a colui il quale scientemente e liberamente si ponga nelle condizioni di diminuire le proprie capacità critiche con l’assunzione di alcool o sostanze stupefacenti. Anche la teoria dell’attaccamento potrebbe fornire dati interessanti per una spiegazione dei fenomeni assuntivi ma con intervallo libero. Nonostante la saltuarietà sarebbe dunque soggiacente una condizione psicologica per la quale la sostanze di volta in volta assunta funge da sostitutivo rispetto all’esperienza, come dire ripolarizza la frattura negli stili adattativi dell’attaccamento indirizzandoli ad un sostituto. In questo caso l’intervallo libero non sarebbe connotabile in termini di libertà. A tutto ciò va aggiunto che le nuove ricerche sugli stati di coscienza mettono sempre più in evidenza come questa debba essere intesa in senso più approfondito, ovvero in termini di complessità e di relazioni fra le singole attività cerebrali, piuttosto che come un “unicum”. Sia dal punto di vista evoluzionistico (Edelmann) con l’ipotesi del rinforzo sia dal punto di vista antipositivistico (teoria dei sistemi) è ormai evidente che la memoria, funzione alla base dei comportamenti, sia da intendersi come funzione dinamica e non come “banca dati” statica. Con la conseguenza che anche i comportamenti risulterebbero modulati, o indotti, o favoriti verso certe direzioni in base alle acquisizioni esperienziali. Ciò pone un grosso limite operativo al concetto di libera determinazione, e apre alla possibilità che alcune sostanze, soprattutto metossianfetamine e allucinogeni, possano modificare permenentemente assetti funzionali dell’organizzazione di gruppi neuronali, senza che si debba invocare una condizione di malattia intesa come evidente scadimento delle condizioni cognitive o presenza di segni clinici obiettivabili secondo la nosografia psichiatrica accreditata. Si tratta di effetti molto più “sottili”, quindi, ma è importante sottolineare come sia comunque un meccanismo indotto dall’uso di certe sostanze a indurli, e a mantenerli in atto, come se fossero (e in realtà nel tempo lo sono) modificazioni del rapportarsi con la realtà esterna e con la propriocezione. Tutto depone quindi per una valutazione in termini di malattia per situazioni che clinicamente possono anche essere scarsamente connotabili quanto a segni, ma che al loro interno ospitano condizioni di peggioramento fisico e di disturbo dell’affettività che nel tempo possono emergere anche ad una dimensione autonoma (aggressività, disturbi compulsivi e della memoria a breve termine, deficit in generale cognitivi) Pertanto il quadro generale sembra orientato, alla luce delle acquisizioni scientifiche recenti, verso una ipotesi di malattia da leggersi in senso esteso, e non ridotto alla sola evidenza clinica di condizioni patologiche emergenti ancorchè croniche.
  • 14. LEGISLAZIONE Definire che cosa si intenda per sostanza stupefacente è così problematico che, nella maggior parte dei casi, ci si limita a soffermarsi sulle caratteristiche distintive delle singole sostanze definite come stupefacenti, rimandando la loro individuazione alle tabelle di legge nazionali ed internazionali in cui queste sostanze sono elencate. Tali tabelle sono peraltro sempre aperte al successivo inserimento di nuove sostanze assunte a scopo voluttuario, provenienti sia dalla ricerca farmacologica ufficiale, sia dal mondo tecnologico clandestino. Questo difficile problema definitorio è stato affrontato nel corso della “Convenzione Internazionale sulla disciplina e controllo delle sostanze psicotrope” tenutasi a Vienna nel 1971, poi ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge n.385 del 25 marzo 1989. Ne è scaturito che, affinché una sostanza possa essere inserita negli elenchi internazionali degli stupefacenti, occorre che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) abbia constatato che tale sostanza sia in grado di provocare: 1. 2. 3. a) uno stato di dipendenza e b) uno stimolo o una depressione del sistema nervoso centrale, che dia luogo ad allucinazioni o a disordini della funzione motrice e della facoltà di giudizio e/o del comportamento e/o della percezione e/o dell’umore; oppure che tale sostanza possa dare luogo a degli abusi ed a difetti nocivi comparabili a quelli di una delle sostanze incluse nelle tabelle I, II, III, IV e che esistano ragioni sufficienti per ritenere che tale sostanza possa dare luogo ad abusi tali da costituire un problema di salute pubblica ed un problema sociale tali da giustificare il fatto che la stessa sostanza venga posta sotto il controllo internazionale”. Uno degli elementi fondamentali di questa definizione è il concetto di dipendenza, la quale si può manifestare in ambito psichico, ma anche in ambito fisico: il quadro di dipendenza assume connotati peculiari a seconda della sostanza protagonista dell’abuso. L’OMS definisce la dipendenza psichica come “un sentimento di bisogno assoluto e la tendenza psicologica che richiede una somministrazione periodica o continuativa della droga per produrre l’effetto desiderato o per evitare disagio”. La dipendenza fisica, invece, è caratterizzata dal fatto che l’interruzione della periodica assunzione di una sostanze stupefacente, oltre al disagio psicologico, provoca la cosiddetta “crisi di astinenza”, cioè una serie di disturbi fisici, clinicamente obiettivabili, dovuti ad un alterato stato fisiologico collegato ad una acquisita esigenza biochimica dell’organismo. È importante sottolineare che non è corretto definire l’assuntore di sostanze stupefacenti come tossicodipendente, in quanto che la tossicodipendenza si instaura dopo una prolungata e frequente assunzione a scopo voluttuario della
  • 15. sostanza protagonista dell’abuso. Questa frequente e reiterata assunzione può anche indurre tolleranza, che consiste nella necessità di aumentare la dose, o posologia, per ottenere lo stesso effetto conosciuto in precedenza, a causa dell’attivazione delle vie metaboliche. Storia della legislazione sugli stupefacenti. Le leggi che disciplinano la materia degli stupefacenti hanno subito ben tre riforme dalla seconda metà degli anni ’50, quattro considerando anche le importanti modifiche intervenute a seguito del referendum abrogativo, del 1993, delle norme che riguardano il consumo non terapeutico delle sostanze stupefacenti. Tutte queste riforme hanno portato, a partire dalla Legge n.1041 del 1954, ad una collocazione extra-codicistica della materia, la quale si è infine voluta disciplinare in tutti i suoi diversi aspetti con l’adozione di un corpo normativo unico e coordinato: il vigente “Testo unico in materia di stupefacenti”. Quanto sopra scritto sottolinea il sempre maggiore impatto medico, sociale e sanitario, ancora più che giuridico, del problema inerente all’assunzione, alla detenzione, allo spaccio ed al traffico di sostanze stupefacenti. È poi importante sottolineare come su questo tema ci siano sempre state forti contrapposizioni ideologiche e culturali, soprattutto riguardo al consumo voluttuario, da qui l’importanza di fornire dei parametri sempre più sottratti alla discrezionalità di giudizio dei singoli Magistrati, almeno per ciò che riguarda l’uso personale. Le prime normative internazionali riguardarono esclusivamente l’oppio ed i suoi derivati; la Conferenza Internazionale dell’Aja (23 gennaio 1912) promulgò la prima Convenzione Internazionale dell’oppio, in vigore in Italia dal 1922. La prima legge italiana in tema di stupefacenti fu la Legge n.396 del 18 febbraio 1923, estesa anche alla cocaina. La legge non poneva l’accento tanto sulla circolazione delle sostanze oggetto di controllo quanto sul commercio, proibendone la vendita e la produzione ai non autorizzati. Solo con l’entrata in vigore del Codice Penale del 1931 si pervenne ad una rassegna più organica della materia, integrandosi il concetto di agevolazione dolosa dell’uso di stupefacenti ed il concetto di reato contravvenzionale per comportamenti legati all’alterazione psichica indotta da sostanze stupefacenti. La novità consisteva soprattutto nell’abbandono della categoria concettuale di “sostanze velenose” per gli stupefacenti, con l’equiparazione alle patologie ed alle sindromi alcool correlate. Nel 1954 l’intera materia venne sottoposta a revisione, senza operare distinzione tra venditore e consumatore; tale misura appariva sorretta dal convincimento che il fenomeno dell’abuso, ancora di scarsa rilevanza, potesse essere contenuto con misure repressive di ordine esclusivamente penale. Il rapido aggravarsi del fenomeno rese in seguito necessaria una ulteriore disamina dell’intera struttura legislativa in tema di controllo e repressione dell’uso e del traffico di stupefacenti, soprattutto in ordine al problema del trattamento medico e riabilitativo di sempre maggiori fasce di età giovanili coinvolte nel fenomeno della tossicodipendenza. La Legge n.685 del 1975 ha introdotto infatti esplicitamente il tema non solo della riabilitazione, ma anche quello della prevenzione, aprendo la strada alla lettura in chiave medica, sociale e sanitaria del fenomeno tossicodipendenza. Nella legge, oltre alle sostanze stupefacenti, erano comprese anche le psicotrope (anfetaminici, barbiturici, ansiolitici), divisi in sei tabelle delle quali le prime quattro raccoglievano sostanze che comportavano una sanzione penale se detenute in assenza di indicazione, o per uso non terapeutico. L’uso non terapeutico veniva inoltre valutato in termini di quantità (concetto di “modica dose”) per differenziare il semplice consumo dallo spaccio, soggetti a pene differenziate in gravità, sia quindi secondo il criterio qualitativo (art.71, pericolosità della sostanza, tabella di appartenenza) sia secondo quello quantitativo (art.72; art.80: in caso di modica quantità non punibilità, e art.98 relativo ai trattamenti di riabilitazione). Con la Convenzione Unica di New York, ratificata in Italia con la Legge n.412 del 5 giugno 1974, per la prima volta si è posto a livello internazionale il problema non solo delle sostanze da sottoporre a controllo, ma anche dell’utilizzatore: l’art.38 è infatti dedicato al trattamento degli assuntori di stupefacenti, soprattutto al fine della riabilitazione, unitamente alla definizione delle pene per la detenzione illegale di stupefacenti. Il Testo Unico 309/1990. Il dibattito si è mantenuto acceso fino all’entrata in vigore della Legge n.162 del 1990, armonizzata con altri decreti in materia di stupefacenti nel Testo Unico (T.U.) del Decreto del Presidente della Repubblica (D.P.R.) 309 del 1990. Uno degli aspetti più significativi è quello della volontà di una più stretta collaborazione a livello internazionale nella lotta al narcotraffico ed ai suoi presupposti sociali ed economici. Importanti in tal senso sono le disposizioni sull’attività di Polizia Giudiziaria (acquisto simulato e ritardo nella trasmissione della notizia criminis a fini di indagine). Nei confronti del consumatore l’atteggiamento del Legislatore è cambiato nuovamente, prevedendo comunque una punibilità per quella che prima era considerata “modica quantità”, sia pure in termini solo amministrativi (sanzioni del Prefetto) e con valenza di controllo per l’inserimento dei soggetti in un circuito Sanitario, prevedendo altresì una divisione delle sostanze oggetto d’abuso in quattro tabelle, aggiornate soprattutto dal fatto che per ogni sostanza viene indicato un valore quantitativo (la “dose media massima giornaliera” - art.75), prima lasciato alla libera discrezionalità del Magistrato al momento della valutazione circa la modicità o meno di un quantitativo in sequestro. Si è riaffermato il divieto all’uso di stupefacenti e il Giudice non può fare eseguire un trattamento di recupero per via obbligatoria, ma solo con il consenso dell’interessato, il quale può godere, in caso affermativo, della sospensione della pena detentiva, purché questa non sia superiore ai tre anni.
  • 16. Il periodo post-referendario La materia ha subito una ulteriore modificazione a seguito della parziale abrogazione referendaria attuata con il D.P.R. (Decreto del Presidente della Repubblica) n.171 del 5 giugno 1993: con tale modifica termina il periodo che potremmo definire della presunzione, basata dapprima, con la Legge 685/’75, sul concetto di “modica quantità”, e poi, con la Legge 162/’90, sulla “dose media giornaliera” (riferita però ad un individuo medio), per aprirsi un nuovo periodo esente da presunzioni: allo stato attuale la detenzione per uso personale di stupefacenti di qualsiasi natura ed in qualunque quantità è penalmente irrilevante e realizza un mero illecito amministrativo: ne consegue che, sul piano sanzionatorio, ogni condotta di importazione, acquisto o detenzione di sostanze stupefacenti, ai fini di uso personale, è assoggettabile al solo procedimento amministrativo di competenza prefettizia. In sostanza, dall’esito del referendum è derivato un fondamentale mutamento nella disciplina “repressiva” degli stupefacenti, a causa del superamento del principio del divieto dell’uso personale e del concetto di “dose media giornaliera” che, nella formulazione originaria del D.P.R.309/1990, era utilizzato per determinare il discrimine quantitativo tra illecito penale (art.73) ed illecito amministrativo (art.75). Permane il divieto della detenzione per uso personale non terapeutico (in caso contrario la Corte Costituzionale non avrebbe ammesso il referendum, dati gli obblighi dell’Italia a seguito della ratifica della Convenzione O.N.U. di Vienna del 20 dicembre del 1988 , il cui tema centrale è la lotta ad oltranza al narcotraffico, anche grazie all’intensificarsi delle sinergie tra gli organi di polizia dei singoli Stati aderenti all’organizzazione, in una visione globale del fenomeno a livello internazionale), comprendente sanzioni amministrative comminate dal Prefetto ex art.75, mentre sono decadute le sospensioni e le prescrizioni comminate dalla Autorità Giudiziaria ex art.76 e dal Prefetto ex art.72 del T.U. 309/90. In merito al problema circa l’attività attribuibile a piccole quantità di sostanza stupefacente, possono essere condotte le seguenti considerazioni: - - - l’efficacia di una qualunque sostanza sull’uomo è misurabile secondo due distinti ordini di grandezza: uno a livello molecolare (anche una sola molecola di sostanza svolge, purché chimicamente non degradata, la sua azione specifica, limitatamente ad una sola cellula) ed uno a livello sistemico (numerose molecole agenti su un insieme cellulare, ovvero un tessuto od un organo in senso sia anatomico, sia funzionale). In questo secondo caso, all’azione sistemica si accompagnano sia la percezione soggettiva dell’effetto, sia la sua obiettivazione clinica da parte di un Sanitario. Sotto il profilo medico legale tale distinzione è importante, perché se le sostanze stupefacenti fossero definibili come tali solo in base alla induzione di uno stato di stupefazione (soggettivamente percepibile e/o clinicamente obiettivabile) si perverrebbe alla antinomia di una esclusione dei prodotti stupefacenti e psicotropi dalle Tabelle di Legge, in quanto che non attivi sull’uomo solo da un punto di vista quantitativo, mentre il Legislatore non separa l’aspetto di valutazione quantitativo da quello qualitativo, ovvero l’essere un certo prodotto “di per sé” stupefacente. Il concetto di “dose drogante” (nato da una sentenza della Corte di Cassazione all’epoca della Legge 685/1975, utile in tale epoca per favorire il Magistrato nel decidere in merito al concetto di “modica quantità”) è stranamente rimasto non cassato quando la nuova normativa, raccolta nel T.U. del D.P.R.309/1990, prevedeva limiti quantitativi ben precisi, ed anche successivamente agli esiti della abrogazione referendaria. Pertanto, il limite di 12 mg circa per l’eroina viene spesso inteso come la quantità sotto la quale non può aversi effetto di stupefazione. Un dibattito prolungato con i Magistrati aveva portato come conclusione la non applicabilità di questo limite inferiore, in quanto veniva a perdersi il concetto di “stupefacente” sul piano qualitativo, ed inoltre si ingenerava confusione tra effetto stupefacente, eclatante e ben apprezzabile, ed azione biologica, magari sommessa e inavvertita soggettivamente, ma comunque presente. Allo stato attuale, quindi, viene riaffermato il divieto dell’uso personale di stupefacenti, (ex art.72 comma II) ma la detenzione di questi, sempre che non si configurino altri reati, come ad es. lo spaccio o la cessione, costituisce non più reato ma illecito amministrativo; il procedimento può essere sospeso se l’interessato volontariamente si sottopone ad un programma terapeutico presso una struttura pubblica (medico di base, SerT) o privata (comunità terapeutica). Lo Stato, quindi, sembra assumere una posizione sempre più di neutralità rispetto al fenomeno dell’uso personale di stupefacenti, ed il connesso giudizio di disvalore è sempre più attenuato. N.B. Stato di intossicazione acuta per assunzione di stupefacenti. Oltre al materiale possesso della sostanza stupefacente nel momento dell’accertamento, è sanzionabile anche l’individuo colto in stato di over-dose, stato che comunque deve sempre venire appurato dal referto medico; in tale condizione si ha nell’organismo umano la materiale
  • 17. presenza, in forma ancora attiva, della sostanza assunta e, tenendo conto che ciò presuppone un rapporto diretto ed esclusivo, accertabile in via diagnostica, tra la persona e la sostanza stessa, questa condizione viene ricondotta alla fattispecie della detenzione. È stata così rivista l’impostazione pre-referendaria secondo cui la detenzione doveva essere interpretata in senso letterale, circoscrivendone l’accezione ai casi di possesso materiale della sostanza nel momento dell’accertamento: questo nuova atteggiamento si propone di rivalutare la finalità più propriamente sociale delle disposizioni, che tendono a consentire, in via prioritaria, la cura, la riabilitazione ed il reinserimento del tossicodipendente. Con il decreto del 14 settembre 1999 la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per gli Affari Sociali ha istituito l’Osservatorio permanente per la verifica dell’andamento del fenomeno delle droghe e delle tossicodipendenze (Gazzetta Ufficiale n.258 del 3.11.1999); tale Osservatorio si propone di divenire un polo di informazione e di aggiornamento sulle droghe e sulle tossicodipendenze, ai fini della interpretazione scientifica del fenomeno, anche nelle interreazioni di ordine sociale e culturale, nonché si prefigge un ruolo di proposta di strategie di intervento e di metodologie per la valutazione della loro efficacia. L’Osservatorio permanente mira a: a) curare la raccolta, la elaborazione e la interpretazione di dati ed informazioni statistico epidemiologiche e di documentazione sul consumo, l'abuso, lo spaccio ed il traffico di stupefacenti e sostanze psicotrope; b) costituire un supporto tecnico e scientifico per: la elaborazione delle politiche di contrasto al consumo, all'abuso, allo spaccio ed al traffico di stupefacenti e sostanze psicotrope; il soddisfacimento delle esigenze informative e di documentazione delle amministrazioni pubbliche centrali, territoriali e locali, e delle organizzazioni del privato sociale operanti nel campo della prevenzione, dei trattamenti e del recupero degli stati di uso e abuso di droghe; c) curare i rapporti con le istituzioni europee ed extraeuropee che operano nel settore, al fine di un sistematico interscambio di informazioni e di documentazione. L’Osservatorio e' funzionalmente inserito nella competente Unita' organica del Dipartimento ed e' articolato in tre settori: 1. 2. 3. il settore "statistico epidemiologico", il quale cura la raccolta, la elaborazione e l'analisi dei dati relativi al consumo ed all'abuso degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope, attivando un sistema informativo automatizzato; inoltre coordina e svolge ricerche specifiche su aspetti statistico epidemiologici del consumo e abuso di stupefacenti e sostanze psicotrope. Il settore della "riduzione della domanda", il quale cura la raccolta della documentazione e la elaborazione dei dati relativi alle attività di amministrazioni pubbliche centrali, territoriali e locali e del privato sociale impegnati nelle attività di prevenzione, trattamento e riabilitazione delle tossicodipendenze; nonché del consumo, abuso, spaccio e traffico di stupefacenti e sostanze psicotrope; cura il coordinamento delle attività di ricerca nel settore; cura il rapporto tra le diverse reti di operatori presenti sul territorio nazionale; cura la produzione, la distribuzione e la messa a disposizione di documentazione e bibliografia specifica del settore. Il "punto focale nazionale", il quale cura il collegamento con l'Osservatorio europeo sulle tossicodipendenze di Lisbona (OEDT), ne recepisce le indicazioni sulle attività da svolgere sul territorio nazionale, diffonde il materiale, le raccomandazioni, le pubblicazioni, i risultati delle ricerche; cura la raccolta e la elaborazione dei dati statistico epidemiologici ai fini della predisposizione del Rapporto annuale nazionale per l'Osservatorio di Lisbona; propone all'Osservatorio di Lisbona le indicazioni e gli elementi provenienti da esperienze nazionali; cura l'attività di sviluppo delle rete informativa relativa al "Progetto Reitox". Accertamenti in assenza di tossicodipendenza (art.125 del D.P.R.309/90). In base agli interventi preventivi, curativi e riabilitativi a cui si fa riferimento al titolo XI del testo unico in materia di stupefacenti (D.P.R.309/90), è effettuabile una serie di accertamenti a carico “di lavoratori destinati a mansioni che comportano rischi per la sicurezza, la incolumità e la salute di terzi”, al fine di evitare che soggetti che fanno uso di stupefacenti vengano utilizzati per determinate tipologie lavorative, ad esclusiva tutela di quei diritti e di quegli interessi dei terzi cui fa riferimento la norma. Tale disposizione non specifica in concreto quali siano tali mansioni, rinviando per la loro determinazione ad un decreto del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, di concerto con il Ministero della Sanità. Si precisa invece che gli accertamenti previsti devono venire effettuati periodicamente a cura di strutture pubbliche nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale ed a spese del datore di lavoro.
  • 18. In caso di accertamento dello stato di tossicodipendenza nel corso del rapporto di lavoro, il datore di lavoro è tenuto a far cessare il lavoratore dall’espletamento della mansione a rischio. Nel caso in cui, invece, l’accertamento di tossicodipendenza anticipi l’assunzione del soggetto, non viene fornita alcuna indicazione; tuttavia, quando l’assunzione sia relativa ad una mansione che comporta i rischi indicati dalla norma, è da ritenere che il datore di lavoro non possa assumere il lavoratore tossicodipendente. In caso di inosservanza delle precedenti prescrizioni, ne deriva l’inflizione di una sanzione penale, oltre che di una sanzione pecuniaria in forma di ammenda. Guida sotto l’influenza di sostanze stupefacenti (art.187 del Nuovo Codice della Strada). 1. 2. 3. 4. 5. È vietato guidare in condizioni di alterazione fisica e psichica correlata con l’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope. In caso di incidente, o quando si ha ragionevolmente motivo di ritenere che il conducente del veicolo si trovi sotto l’effetto conseguente all’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, gli agenti di Polizia Stradale fatti salvi gli ulteriori obblighi previsti dalla legge, hanno facoltà di accompagnare il conducente presso una struttura pubblica per il prelievo di liquidi biologici. Lo stato di alterazione fisica e psichica viene accertato con le modalità stabilite con decreto del Ministro della Sanità, di concerto con i Ministri dell’Interno e dei Lavori Pubblici. Copia del referto Sanitario, qualora l’accertamento risulti positivo, deve essere tempestivamente trasmessa, a cura dell’organo di Polizia che ha proceduto agli accertamenti, al Prefetto del luogo in cui è stata commessa la violazione, per gli eventuali provvedimenti del caso. Sulla base della certificazione rilasciata dalla sopraddetta struttura pubblica, il Prefetto ordina che il guidatore sia sottoposto a visita medica e, in via cautelativa, può disporre la sospensione della patente di guida fino all’esito dell’esame di controllo che, comunque, deve avvenire nel termine indicato dal regolamento. Si applicano le disposizioni dei commi 2 e 3 dell’art.186. In caso di rifiuto dell’accertamento di cui al comma 2, il conducente viene punito, salvo che il fatto costituisca un reato più grave, con l’arresto fino ad un mese e con un’ammenda da Lire cinquecentomila a Lire due milioni. N.B. Si pone un problema operativo molto importante, in quanto che le Forze di Polizia, nell’accertamento del reato di guida sotto l’effetto di stupefacenti, debbono sottoporre il soggetto al prelievo di sostanze biologiche, poiché non esistono metodiche non invasive per la documentazione dell’assunzione delle stesse; tale prelievo non può essere effettuato senza il consenso dell’interessato. Per ciò che riguarda la guida in stato di ebbrezza da alcolici, il problema è stato risolto con l’introduzione dell’etilometro quale strumento per effettuare la misurazione dell’alcoolemia. Nel caso della intossicazione da sostanze stupefacenti, invece, il problema è ancora aperto. Detenzione lecita di sostanze stupefacenti: impiego terapeutico (art.43 del D.P.R.309/90). “È consentito l’impiego terapeutico di preparati medicinali a base di sostanze stupefacenti psicotrope, debitamente prescritti secondo le necessità di cura in relazione alle particolari condizioni patologiche del soggetto.” Fuori ed oltre la prescrizione medica, la detenzione per finalità terapeutica risulta illecita e, quindi, perseguibile amministrativamente. È da sottolineare che la prescrizione per uso terapeutico non può riguardare cocaina e anfetamine. Può riguardare, invece, la morfina, però a dosi tali da non indurre dipendenza, o i barbiturici in ambito anestesiologico, oppure il metadone come farmaco sostitutivo nel trattamento della tossicodipendenza da eroina e morfina. Ai fini della illiceità della detenzione è irrilevante il fatto che la prescrizione rechi irregolarità formali o non rispetti le necessità della cura, ovviamente al di là delle ipotesi di concorso nel delitto di prescrizione abusiva per uso non terapeutico, punito dall’art.83 del D.P.R.309/90; si rientra invece nell’ipotesi penale qualora il soggetto detenga quantità eccedenti quelle prescritte per uso terapeutico. Oltre che per l’uso terapeutico, che riveste la quasi totalità di impiego legittimo degli stupefacenti, è consentito il loro utilizzo per scopi di ricerca o per perizie giudiziarie. La prescrizione di sostanze stupefacenti. La prescrizione delle sostanze stupefacenti inserite nelle Tabelle I, II e III è assoggettata a norme molto restrittive e costituisce la prescrizione speciale (prevista dall’art. 6 del decreto legge n.539 del 30 dicembre 1992). In tale decreto si stabilisce che la prescrizione avvenga su di un ricettario apposito a madre-figlia; questo ricettario è predisposto dal Ministero della Sanità e distribuito, a richiesta dei medici chirurghi e dei veterinari, tramite i rispettivi ordini professionali. Al momento del ritiro il Sanitario è tenuto a firmare, in apposito spazio, tutti i duecento moduli di cui è composto il ricettario: la sottoscrizione all’atto del ritiro servirà di confronto con quella apposta al momento della prescrizione. Sulla
  • 19. ricetta devono essere indicati con mezzo indelebile: cognome, nome e residenza dell’ammalato (ovvero del proprietario dell’animale ammalato). La dose prescritta va segnata in lettere, così pure la “indicazione dei modi e dei tempi di somministrazione” (ovvero la via di somministrazione e la posologia). Va inoltre riportata la data di prescrizione e la firma del prescrittore che, come sottolineato in precedenza, deve corrispondere a quella apposta al momento del ritiro del ricettario. Ogni ricetta può contenere la prescrizione di un solo tipo di medicinale, inoltre sono previste limitazioni quantitative nella prescrizione in relazione alla dose giornaliera prevista. In particolare, la prescrizione ad uso umano deve essere limitata “ad una sola preparazione o ad un dosaggio per cura di durata non superiore ad otto giorni” (art.43, III comma). In pratica il medico è tenuto a prescrivere, nel caso di specialità medicinali (che non sono sconfezionabili!), la confezione di dimensioni minori tra quelle presenti sul mercato, oppure un numero di confezioni che, pur contenenti complessivamente una quantità superiore alle necessità di otto giorni di cura, eccedano nella misura minore possibile rispetto alle quantità da somministrare. Il farmacista ha l’obbligo di accertare che la ricetta sia stata redatta in modo conforme alle disposizioni sopra descritte: il mancato rispetto, da parte del medico, delle norme sulla prescrizione comporta l’obbligo per il farmacista di non consegnare quanto prescritto. Soltanto in situazioni di vero stato di necessità (art. 54 del codice penale) il farmacista, sotto la propria responsabilità, può assumere un atteggiamento diverso; si tratta tuttavia di situazioni eccezionali che si possono verificare soltanto in ambiti territoriali particolarmente disagiati ed in circostanze di emergenza. Il Sanitario ha l’obbligo di conservare la documentazione relativa alla movimentazione delle sostanze stupefacenti e psicotrope relative alle prime cinque tabelle: tale documentazione consiste in tutta la documentazione giustificativa e nel registro di carico e scarico stupefacenti, che va vidimato e firmato in ogni sua pagina dall’Autorità Sanitaria. Su questo registro devono essere annotati, per ogni somministrazione, oltre il cognome, il nome e la residenza dell’ammalato, la data di somministrazione, la denominazione e la quantità della preparazione somministrata, la diagnosi e la sintomatologia. Ciascuna pagina del registro è intestata ad una sola preparazione e deve essere osservato un ordine numerico progressivo unico delle operazioni di carico e scarico. Ogni anno, dalla data del rilascio, i registri devono essere sottoposti al controllo ed alla vidimazione dell’Autorità Sanitaria locale. Gli ambulatori dei medici chirurghi e veterinari devono conservare i registri di entrata e uscita per due anni. In caso di perdita, smarrimento o sottrazione dei registri o di loro parti, o dei loro documenti giustificativi, tutte le persone responsabili devono presentare denuncia scritta alla più vicina autorità di Pubblica Sicurezza e darne comunicazione al Ministero della Sanità. La sanzioni previste per la non ottemperanza alle norme previste per la tenuta e la conservazione dei registri di entrata e uscita, per la trasmissione dei dati e la denuncia per perdita, smarrimento o sottrazione dei registri e/o documentazione inerente, consistono nell’arresto fino a due anni o nell’ammenda da tre a cinquanta milioni di lire. La prescrizione abusiva di sostanze stupefacenti (art.83 del D.P.R.309/90) Non è punita la prescrizione erronea per indicazione o posologia. Si tratta di una responsabilità per dolo, costituito dalla consapevolezza e dalla volontà di prescrivere una sostanza stupefacente per uso “non terapeutico”. Le sostanze comprese nelle Tabelle I, II e III, seppur utilizzate in medicina nella comune pratica clinica nei confronti di soggetti portatori di particolari affezioni o patologie, sono soggette a modalità particolari nella loro prescrizione da parte del medico, così da evitare o contenere fenomeni di “mercato grigio”, cioè il passaggio di stupefacenti attraverso formali modalità lecite nel mercato clandestino, o di prescrizione troppo inaccorta da parte dei medici. Meno rigide sono le modalità di prescrizione per le sostanze contenute nella Tabella IV, pur collegate alla sanzione penale e/o amministrativa, poiché in questa Tabella sono inclusi farmaci di largo impiego in patologie estremamente frequenti e tali da determinare anche il trattamento farmacologico cronico (per es. l’epilessia e l’uso dei barbiturici). In questo caso sembra che abbiano prevalso esigenze di carattere terapeutico su quelle di contenimento dell’illecito. Commenti per il Medico Tralasciando il discorso sulla prevenzione, peraltro di estrema importanza, da un punto di vista pratico il medico si è sempre trovato di fronte due opzioni terapeutiche: la terapia sostitutiva che, a seguito della somministrazione controllata di dosi a scalare di farmaci sostitutivi (metadone per la tossicodipendenza da eroina, in primis), si propone di eliminare totalmente, con il tempo, l’uso degli stupefacenti; e la terapia di mantenimento, molto contestata e, come vedremo, ai limiti della legalità, che, invece di proporsi come obiettivo la guarigione del tossicodipendente, si ripropone la sola cura del tossicodipendente, così da ottenere una “riduzione del danno” (grazie alla somministrazione in dosi e modalità controllate di farmaci sostitutivi in dosi non a scalare). Naturalmente ambedue le opzioni terapeutiche prevedono un concomitante sostegno psicologico del paziente stesso. La legge n.685 del 22 dicembre 1975 formulava e regolamentava, per la prima volta in Italia, l’intervento farmacologico riabilitativo della tossicodipendenza con farmaci stupefacenti sostitutivi. I decreti attuativi del 1978 e del
  • 20. 1980, indicavano i farmaci da utilizzare (metadone sciroppo e morfina in via sperimentale) e le strutture competenti per la loro utilizzazione e per la organizzazione del programma terapeutico. Il medico curante aveva la possibilità di partecipare a tale intervento terapeutico, ma solo come attività integrativa e di supporto. Con un decreto del 1985 si revocava la possibilità di utilizzazione, anche a livello sperimentale, della morfina nella disassuefazione da oppiacei. La legge n.162 del 26 giugno 1990, seguita dal decreto del Ministero della Sanità n.445 del 19 dicembre 1990, ribadiva il riconoscimento del metadone sciroppo come unico farmaco utilizzabile come sostitutivo e affermava che il trattamento doveva rientrare in un ampio programma di recupero psicologico, sociale e riabilitativo. Tale intervento era diretto a soggetti in cui fosse dimostrata la dipendenza fisica e nei quali altre terapie fossero risultate inefficaci. Le strutture deputate al trattamento erano individuate nei centri pubblici per le tossicodipendenze. Il D.M.445 del 1990 non prevedeva alcun ruolo per il medico curante o per altre figure professionali di fiducia del soggetto, che non erano di fatto coinvolte nella organizzazione e nella concreta esecuzione del progetto riabilitativo. Dopo il referendum del 1993, per quanto concerne gli obblighi del Medico, questi non ha più il dovere di inoltrare al SerT (Servizio Pubblico per le Tossicodipendenze) la scheda sanitaria del proprio assistito dedito all’uso di sostanze stupefacenti: tale scheda sanitaria prevedeva un sistema di codifica atto a tutelare, qualora richiesto, il diritto all’anonimato del paziente stesso, e doveva venire conservata dal Sanitario. È stato anche eliminato l’obbligo di analoga segnalazione per il Medico che comunque si fosse trovato ad assistere persone sotto l’azione di sostanze stupefacenti. Poiché a seguito del referendum abrogativo del 15 aprile 1993 non era più compito del Ministero della Sanità stabilire, mediante decreto, i limiti e le modalità di impiego dei farmaci sostitutivi, da allora è divenuto possibile per qualunque medico utilizzare dei farmaci sostitutivi nella terapia della tossicodipendenza. È venuta meno anche la previsione dell’uso del solo metadone sciroppo come farmaco sostitutivo, quindi potevano essere impiegati prodotti diversi, purché la loro utilizzazione avesse una giustificazione terapeutica nel trattamento della tossicodipendenza. Dal referendum in poi, quindi, spettava allo stesso medico, sulla base delle proprie esperienze e conoscenze, scegliere il farmaco più adatto ed opportuno per la terapia di ciascun paziente, indipendentemente da quanto riferito in sede di registrazione del farmaco. Tuttavia il decreto legge n.291 del 27 maggio 1996, avente per tema “Disposizioni urgenti in materia di sperimentazione ed utilizzazione di medicinali”, ha inteso regolare la materia in modo più rigoroso, limitando di fatto tale “libertà” e prevedendo modalità molto dettagliate che il medico deve seguire per utilizzare farmaci in condizioni patologiche non rientranti tra le indicazioni previste nel decreto di registrazione. Tale decreto, più volte reiterato e ora definitivamente decaduto, è stato tramutato in un disegno di legge non ancora approvato. Ai fini pratici, l’attuale barriera per il medico nella terapia della tossicodipendenza è rappresentata dall’insieme dei presidi utilizzabili legittimamente, in quanto preparazioni disponibili, e dai limiti relativi alla prescrizione abusiva (art.83 D.P.R. 309/90). È opportuno sottolineare che la previsione delittuosa dell’art.83 si riferisce alle sostanze contenute nelle Tabelle I, II, III e IV dell’articolo 14 del D.P.R.309/90, non alla eventuale utilizzazione di sostanze stupefacenti incluse nelle Tabelle V o VI. Il fatto che ora il medico curante non sia più obbligato a mettere in contatto il paziente con il SerT è un aspetto sicuramente negativo, perché in tal modo si perde l’opportunità da parte del SerT di “agganciare” il tossicodipendente stesso. Per quanto concerne in specifico il ruolo del Sanitario nella gestione del paziente tossicodipendente nella attuale legislazione sugli stupefacenti, va sottolineato come allo stato attuale esista un vero e proprio vuoto normativo, a seguito del quale il Medico viene lasciato praticamente solo. La terapia con farmaci sostitutivi. Vero limite posto dal già citato art.83 (relativo alla prescrizione abusiva di sostanze stupefacenti) risiede nel labile confine tra illecito e prescrizione terapeutica per ciò che concerne non il trattamento a scalare, ma la terapia di mantenimento. Infatti, la prescrizione di farmaci stupefacenti costante nel tempo, cioè non organizzata al fine di giungere ad una disassuefazione, che ottenga come unico risultato il mantenimento dell’abuso come alternativa legittima di approvvigionamento rispetto alle normali vie di acquisizione clandestina, configura una vera e propria “cessione”, come tale perseguibile per legge. Non è facile gestire questa alternativa mantenimento-disassuefazione, in quanto che la tossicodipendenza è caratterizzata da frequenti ricadute, che possono giustificare un intervento a scalare ripetuto nel tempo. Una circolare del Ministero della Sanità (n.20 del 1994) prevede, tuttavia, delle linee guida per la terapia della dipendenza da oppiacei con farmaci sostitutivi, citando il trattamento di mantenimento con il metadone come uno dei possibili interventi terapeutici nei confronti della tossicodipendenza, ma lo regola in maniera specifica, prevedendo le modalità operative, le raccomandazioni da seguire e gli strumenti da utilizzare per il controllo e la valutazione della sua