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Fenilisopropilamine
Introduzione

Le fenilisopropilamine sono un grande gruppo di sostanze di sintesi ad attività
simpaticomimetica: esistono numerose possibilità di sostituzioni, a carico
dell’anello aromatico, della catena laterale e del gruppo aminico, che portano a
sostanze anche molto diverse tra loro, quanto ad attività cerebrale e a
specificità farmacologica. Per semplificare, è possibile dividere la classe delle
fenilisopropilamine (PIA) in due grossi gruppi, che derivano da:
1) sostituzioni sulla catena laterale
2) sostituzioni sull’anello benzenico:
Questa

suddivisione

è

molto

importante,

poiché

le

caratteristiche

farmacologiche dei due gruppi di sostanze si discostano, pur essendo entrambi
dei forti psicostimolanti; infatti, mentre il primo gruppo (amfetamine classiche)
agisce essenzialmente sui sistemi adrenergico e dopaminergico, il secondo
gruppo agisce essenzialmente sul sistema serotoninergico e ha potenzialità
allucinogene (metossi- e metilendiossiamfetamine).

1
I

Sistemi neurotrasmettitoriali coinvolti

ad opera del gruppo delle fenilisopropilamine
Come accennato in precedenza, gli stimolanti di sintesi interagiscono
essenzialmente col sistema delle catecolamine e della serotonina (monoamine),
in modo diverso a seconda della loro struttura.
Regolano il rilascio delle monoamine in modo dose-dipendente e specifico per
ogni sistema neuronale monoaminergico, sia favorendo il rilascio di
trasmettitore che inibendone il reuptake, fatta eccezione per le fibre dotate di
autorecettori, sia somatiche sia terminali, con la conseguenza che nel
meccanismo d'azione è osservabile un aspetto bifasico, correlato a dosi
generalmente anche medio-alte, tranne che per la norepinefrina, che manifesta
carattere bifasico nella risposta a basse dosi di amfetamina. La risposta bifasica
allo stimolo è molto importante nello studio della varietà di aspetti
comportamentali che si osservano nel consumo di amfetaminici e stimolanti in
genere, soprattutto quando a dosaggi elevati si manifestano atteggiamenti
aggressivi e violenti e addirittura stereotipie.
I simpaticomimetici comprendono sia amfetaminici e loro derivati, che
molecole a diversa struttura, utilizzate per il trattamento dell’obesità come
anoressizzanti (fenmetrazina, fendimetrazina, dietilpropione); gli amfetaminici
comprendono l'amfetamina (racemo), la metamfetamina, la benzfetamina e i
derivati diossimetamfetaminici.
I neurotrasmettitori modulati sono la dopamina, la serotonina e la
norepinefrina, in quanto agonisti dei recettori monoaminergici e antagonisti
(come inibitori) dell’attività della tirosinaidrossilasi e del gruppo MAO b
(centrale).
Si definiscono simpaticomimetiche tutte quelle sostanze in grado di mimare
l’azione delle catecolamine naturali (adrenalina, noradrenalina e dopamina),
attive sui recettori α, β e DA, presenti a livello centrale e periferico. Tali
sostanze possono essere distinte in tre gruppi: catecolamine, agonisti non
catecolici ad azione diretta e simpaticomimetici indiretti. In quest’ultimo

2
gruppo rientrano l’efedrina, l’amfetamina e i suoi derivati. La molecola di base
di tutti questi composti è la feniletilamina, che, variamente sostituita, dà luogo
ai diversi simpaticomimetici:
_sostituzione sul gruppo aminico: maggiore è il sostituente alchilico e
maggiore è l’attività sui recettori β, mentre minore è l’attività sui recettori α
_sostituzione sull’anello benzenico: il massimo dell'attività α o β stimolante si
ha con le catecolamine, che hanno gruppi idrossilici su C 3 e C4. L’assenza di un
idrossile, soprattutto su C3, senza altre sostituzioni sull’anello può diminuire
drasticamente la potenza stimolante della molecola. L’assenza di uno o
entrambi gli idrossili, però, aumenta la biodisponibilità orale e prolunga
l’attività, permettendo anche la distribuzione al SNC.
_sostituzione sul carbonio α: impedisce l’ossidazione da parte delle MAO e
prolunga il tempo d’azione, soprattutto dei farmaci non catecolaminici. I
composti α-metilati sono detti fenilisopropilamine e sono stimolanti indiretti,
per cui, almeno in parte, la loro azione dipende dalle scorte endogene di
catecolamine.
Con la denominazione di amfetaminici, o amfetamine, si indicano i diversi
composti derivati dall’amfetamina, le cui attività dipendono dalle varie
sostituzioni ottenute dal composto di base, la destroamfetamina (o
fenilisopropilamina). Così, ad esempio, mentre l’amfetamina inibisce il
recupero sinaptico delle catecolamine (soprattutto noradrenalina e dopamina),
una sostituzione sull’anello benzenico la trasforma in una sostanza
serotoninergica. Se il gruppo sostituente è poi di tipo metossilico, la sostanza
acquisisce anche proprietà allucinogene. Quindi, modificando anche solo
leggermente la struttura di base, è possibile ottenere composti con
caratteristiche farmacologiche diverse, che vengono anche chiamate “designer
drugs” (o droghe progettate o droghe d’autore). Queste sostanze vengono
sintetizzate in laboratorio per ottenere prodotti finalizzati all’ottenimento di
effetti particolari a prezzi contenuti, a partire da molecole lecitamente utilizzate
in campo farmaceutico, industriale o domestico.

3
Le catecolamine vengono prodotte a partire dall’aminoacido tirosina introdotto
con la dieta: per idrossilazione si ottiene la L-DOPA e per successiva
decarbossilazione si ottiene la dopamina. Quest’ultima può poi essere
trasformata in noradrenalina grazie ad una idrossilazione. L’adrenalina si
ottiene, infine, per metilazione del gruppo amminico.
Sistema dopaminergico
I neuroni dopaminergici sono per lo più localizzati a livello mesencefalico e
diencefalico. Il raggruppamento più consistente si trova nella sostanza nera
mesencefalica, la quale, insieme a piccoli gruppi vicini di neuroni
dopaminergici, dà estese proiezioni ascendenti, che possono essere distinte in:
_via nigro-striatale: diretta ai nuclei caudato, putamen e amigdala, fa parte del
sistema extrapiramidale; la degenerazione di questa via è alla base del morbo di
Parkinson
_via meso-limbica: diretta a diverse formazioni del lobo limbico, come nucleo
accumbens, tubercolo olfattorio e setto; è coinvolta quindi nelle vie emotive e
si considera iperattiva nella schizofrenia
_via meso-corticale: diretta prevalentemente alla corteccia prefrontale, al giro
del cingolo, all’amigdala e all’area piriforme; è stato ipotizzato il
coinvolgimento di questi sistemi nella regolazione della sfera emozionale.
Il gruppo diencefalico è localizzato nell’ipotalamo e dà sistemi a proiezione
breve (intraipotalamica) e media, come:
_via tubero-infundibolare: i corpi cellulari sono localizzati nel nucleo arcuato
(o infundibolare) e inviano fibre afferenti ai lobi intermedio e posteriore
dell’ipofisi e all’eminenza mediana; si ritiene che la dopamina sia da
identificare con il fattore inibente il rilascio di prolattina e che possa anche
inibire la secrezione di ACTH,
_sistema incerto-ipotalamico: origina nel talamo caudale e termina nelle aree
anteriore e dorsale dell’ipotalamo.
Infine, neuroni dopaminergici sono presenti nella retina, nel bulbo olfattorio,
nell’area postrema del bulbo e nei gangli periferici.

4
Esistono almeno cinque tipi diversi di recettori per la dopamina: D1 e D2 sono
noti da tempo e ben caratterizzati, mentre gli altri sono stati identificati di
recente.
Recettori D1: sono presenti a livello centrale nei nuclei caudato, putamen e
accumbens, nel tubercolo olfattorio e nella sostanza nera mesencefalica; sono
presenti anche a livello periferico, a livello della muscolatura liscia dei vasi
renali, mesenterici, coronarici e cerebrali (vasodilatazione) e a livello delle
paratiroidi (rilascio di paratormone). Questo recettore è accoppiato a una
proteina GS e così attiva l’adenilato ciclasi, con produzione di cAMP.
Recettori D2: sono presenti a livello post- e presinaptico nel SNC e hanno
un’attività opposta ai recettori D1, poiché sono accoppiati a una proteina GI,
che inibisce l’adenilato ciclasi. I recettori D2 postsinaptici sono localizzati a
livello striatale, dove inibiscono i neuroni colinergici, a livello infundibolare,
dove inibiscono la secrezione di prolattina, e nella zona chemocettrice dell’area
postrema. I recettori D2 presinaptici inibiscono sintesi e rilascio di dopamina
da parte delle terminazioni assoniche. I recettori D2 possono anche attivare
altri sistemi di trasduzione del segnale, oltre all’inibizione dell’adenilato
ciclasi, ovvero possono aumentare la conduttanza al K+ e diminuire quella al
Ca++, agendo sui canali ionici. Queste diverse risposte possono anche
verificarsi

contemporaneamente,

come

si

è

stato

documentato

sperimentalmente a livello delle cellule lattotrope ipofisarie.
Recettori D3: sono simili ai recettori D2, poiché inibiscono la produzione di
cAMP; sono presenti a livello pre- e postsinaptico nel tubercolo olfattorio, nel
nucleo accumbens e nell’ipotalamo.
Recettori D4: sono simili ai recettori D2 e D3 e inibiscono la produzione di
cAMP e aumentano la conduttanza al K+; sono localizzati nella corteccia
frontale, nel mesencefalo e nelle aree limbiche.
Recettori D5: sono simili ai recettori D1, poiché stimolano la produzione di
cAMP, ma sono assai meno numerosi, pur avendo una maggior affinità per la
dopamina. Sono per lo più localizzati a livello di ippocampo e ipotalamo.
Sintetizzando, i ruoli principali del sistema dopaminergico sono due:

5
A) azione inibitrice sullo striato (centro di integrazione motoria, che a sua volta
inibisce il pallido): quindi la dopamina favorisce la scarica attivatrice del
pallido sulle aree motrici corticali e sui nuclei del tronco encefalico;
B) modulazione delle emozioni per attività sul lobo limbico (ippocampo,
amigdala e nucleo accumbens soprattutto); in particolare la dopamina sembra
avere un ruolo importante nella fisiologia delle sensazioni di piacere e
gratificazione (accanto al sistema degli oppioidi endogeni): alterazioni della
trasmissione dopaminergica a livello mesolimbico sembrano, infatti, costituire
il substrato neurochimico della dipendeza da sostanze di abuso.
P. Romualdi e Coll. hanno dimostrato come cocaina e metamfetamina
partecipino al meccanismo di down regulation del sistema oppioide endogeno
al pari della morfina, con una specificità che si manifesta in peculiari aspetti di
danno cellulare in aree cerebrali diverse. L’interazione fra i sistemi oppioide e
dopaminergico costituisce la base dell’adattamento cerebrale all’esposizione
cronica a sostanze di abuso (plasticità neuronale), base molecolare
dell’addiction.

In

particolare

la

cocaina

induce

una

diminuzione

dell’espressione genica per la prodinorfina nell’ipotalamo, un suo aumento
nello striato, e nessuna variazione nel nucleo accumbens e nell’ippocampo. La
metamfetamina stimola la prodinorfina nell’ipotalamo, striato, corteccia
frontale, ma non nel nucleo accumbens e nell’ippocampo. Dato che le vie
mesocorticolimbiche contengono prevalentemente neuroni dopaminergici è
chiaro che il meccanismo di gratificazione nell’uso di queste sostanze
coinvolge l’interazione fra il sistema oppioide e quello dopaminergico. Inoltre
l’inibizione del reuptake, sperimentale con inibitore specifico (GBR 12909),
della dopamina regola l’espressione della prodinorfina nell’ipotalamo mentre
l’aumento osservato dopo somministrazione cronica di cocaina non può essere
collegato ad una inibizione dell’uptake di dopamina, dato che il fatto non è
indotto da un inibitore selettivo dell’uptake di dopamina. Tutto ciò suggerisce
come l’espressione della prodinorfina modulata dalla cocaina nel putamen e
caudato possa essere mediata dall’inibizione dell’uptake della norepinefrina e
della serotonina, ovvero una combinazione di due o tre neurotrasmettitori.
Stesse considerazioni possono essere condotte sul meccanismo di azione della

6
metamfetamina, estendendole oltre che all’espressione della prodinorfina anche
a quella della dinorfina A.
Sistema adrenergico
I neuroni noradrenergici sono localizzati

nel tronco encefalico; il

raggruppamento più consistente corrisponde al locus coeruleus, localizzato
nella parte posteriore del ponte. Esso riceve afferenze in pratica da tutto il SNC
e, a sua volta, manda proiezioni a midollo spinale, cervelletto, talamo, corteccia
e sistema limbico. Gruppi più piccoli di neuroni noradrenergici sono localizzati
nella formazione reticolare e nel contesto di nuclei di nervi encefalici (nucleo
del tratto solitario e nucleo dorsale del vago). L’insieme dei neuroni
noradrenergici dà luogo a un’ampia proiezione, estesa in senso sia rostrale, sia
caudale, che raggiunge praticamente tutte le formazioni del SNC, tanto che si
parla di sistema noradrenergico a proiezione diffusa. Esso fa parte del sistema
reticolare attivatore ascendente (SRAA), che ha un’azione di attivazione
diffusa della corteccia telencefalica e interviene in funzioni importanti, come la
regolazione di sonno e veglia, la modulazione del comportamento e le risposte
di allarme.
Esistono poi raggruppamenti di neuroni adrenergici bulbari: essi svolgono
importanti funzioni nel controllo delle risposte vasopressorie da parte del SNC.
Adrenalina e noradrenalina sono prodotte anche perifericamente: infatti, la
noradrenalina è il mediatore della maggior parte delle terminazioni
postgangliari ortosimpatiche ed entrambe le catecolamine vengono sintetizzate
nella midollare del surrene, che ha origine dalla cresta neurale. Questa
ghiandola produce per l’80% adrenalina e solo per il 20% noradrenalina:
piccole quantità di catecolamine vengono liberate anche in fase di riposo, ma è
sotto l’influenza di stress esogeni o endogeni (situazioni di emergenza,
ipoglicemia, ferite, infezioni) che si ha la massima attività secretiva
ghiandolare. Quindi entrambe le sostanze rappresentano importanti fattori di
regolazione nelle situazioni di stress, ma mentre l’adrenalina circolante è di
provenienza surrenalica, la noradrenalina è per lo più di provenienza simpatica.

7
I recettori adrenergici sono ampiamente rappresentati nell’organismo e si
possono suddividere in due gruppi, α e β, a loro volta suddivisi in due sottotipi.
Recettori α1: sono presenti a livello centrale e periferico e sono esclusivamente
postsinaptici. La loro attivazione porta a un aumento della concentrazione
citoplasmatica di Ca++, grazie al sistema del fosfatidilinositolo di membrana,
che viene scisso dalla fosfolipasi C in diacilglicerolo e inositolo trifosfato:
quest’ultimo è poi responsabile della liberazione del Ca++ dai depositi. A livello
periferico, sono localizzati sulla muscolatura liscia, dove inducono contrazione,
in particolare vasocostrizione, piloerezione, midriasi, aumento del tono
sfinteriale.
Recettori α2: sono anch’essi presenti a livello centrale e periferico, ma sono
prevalentemente presinaptici; agiscono inibendo l’adenilato ciclasi, grazie
all’accoppiamento con una proteina Gi. I recettori presinaptici inibiscono la
liberazione di noradrenalina da parte dei terminali assonici; un analogo
meccanismo di feed-back negativo è operato da collaterali delle fibre efferenti,
che stimolano autorecettori α2 localizzati sul corpo cellulare. Tali recettori sono
presenti anche su alcune terminazioni colinergiche centrali, sempre con
un’attività inibitoria; al contrario, sulle terminazioni colinergiche periferiche
sono presenti recettori α2 che facilitano la liberazione di acetilcolina.
Recettori β: i recettori β1 e β2 sono molto simili dal punto di vista biochimico e
funzionale e stimolano entrambi l’adenilato ciclasi con produzione di cAMP; si
differenziano però per una diversa distribuzione e per una diversa affinità di
legame con adrenalina e noradrenalina: infatti, mentre i recettori β1 sono
ugualmente stimolati dalle due catecolamine, i recettori β2 hanno una maggior
affinità per l’adrenalina.
I recettori β1 sono presenti in tutto il SNC, tranne nel cervelletto, e sono
particolarmente abbondanti negli strati superficiali della corteccia, nel nucleo
accumbens, nel tubercolo olfattorio, nella sostanza nera e nella pia madre. A
livello periferico sono invece localizzati in cuore e tessuto adiposo.

8
I recettori β2 sono localizzati prevalentemente nel cervelletto, mentre a livello
periferico

sono

localizzati

sulla

muscolatura

liscia,

dove

inducono

rilasciamento, in particolare a livello bronchiale, venoso, digerente e nelle
arteriole del muscolo scheletrico, e nel fegato, dove inducono glicogenolisi e
gluconeogenesi.
Quindi, il sistema adrenergico, oltre ad avere un fondamentale ruolo di
controllo vegetativo, è coinvolto nella regolazione dei meccanismi di sonno e
veglia e delle sensazioni di allarme e paura. Si pensa inoltre che i circuiti che
esistono tra locus coeruleus e corteccia cerebrale costituiscano il substrato
neuroanatomico dell’influenza che l’apprendimento può esercitare su dolore e
paura: tale funzione sembra essere di fondamentale importanza per
l’elaborazione dell’anticipazione dell’esperienza nociva.
Sistema serotoninergico
La serotonina viene sintetizzata a partire dall’aminoacido L-triptofano, che
viene prima idrossilato a 5-idrossitriptofano e poi decarbossilato, con
produzione di 5-idrossitriptamina (5-HT o serotonina). Il triptofano presente
nel plasma proviene esclusivamente dagli alimenti e la sua eliminazione dalla
dieta fa diminuire la concentrazione cerebrale di serotonina. Oltre che nel SNC,
la serotonina è presente perifericamente nelle piastrine, nei mastociti e nelle
cellule enterocromaffini del tratto digerente.
I neuroni serotoninergici sono localizzati essenzialmente nel tronco encefalico
e corrispondono principalmente ai nuclei del rafe, anche se non tutti i neuroni
di tali nuclei sono serotoninergici. Possiamo distinguere due gruppi principali
di neuroni serotoninergici: un gruppo ponto-mesencefalico, che dà proiezioni
ascendenti, e un gruppo bulbare, che dà proiezioni discendenti. Analogamente
al sistema noradrenergico, quello serotoninergico costituisce un sistema a
proiezione diffusa, facente parte anch’esso del SRAA, e raggiunge
praticamente tutti i centri del SNC: corteccia, ippocampo, amigdala, setto,
ipotalamo, sostanza nera, nucleo interpeduncolare, locus coeruleus, neostriato,
nuclei visceromotori e sensitivi dei nervi cranici. I fasci discendenti di origine
bulbare arrivano invece a midollo spinale e cervelletto. Le sinapsi del sistema

9
serotoninergico sono per lo più di tipo dendro-dendritico, indicative quindi di
una funzione modulatoria più che eccitatoria o inibitoria del sistema.
I recettori serotoninergici cerebrali sono presenti a livello sia pre- che
postsinaptico e sono suddivisibili in diversi tipi, sulla base del meccanismo
d’azione, della distribuzione e dell’affinità di legame con la 5-HT.
Recettori 5-HT1: hanno come meccanismo d’azione l’inibizione dell’adenilato
ciclasi e hanno una grossa affinità per la serotonina. Ne esistono almeno cinque
sottotipi:
_5-HT1A: oltre ad inibire l’adenilato ciclasi, determinano anche l’apertura di
canali per il K+, con conseguente

iperpolarizzazione della membrana. Sono

localizzati in ippocampo, amigdala, setto, ipotalamo e nuclei del rafe
_5-HT1D: ne esistono due forme, α e β, che sono codificate da cromosomi
diversi, ma hanno la stessa distribuzione e lo stesso meccanismo d’azione.
Sono localizzate nella sostanza nera, nei gangli della base e nel collicolo
superiore.
_5-HT1E: non è stato ancora ben definito
_5-HT1F: è localizzato nella corteccia cerebrale, nello striato, nell’ippocampo e
nel bulbo olfattorio.
Il sottotipo 1B, isolato nel topo e nel ratto, si è rivelato essere un omologo di
specie del sottotipo 1D, presente nell’uomo; il sottotipo 1C è stato invece
incluso nei recettori 5-HT2, coi quali ha maggiori affinità funzionali.
Recettori 5-HT2: hanno come meccanismo d’azione la stimolazione della
fosfolipasi C, con attivazione della via del fosfatidilinositolo. Ne esistono tre
sottotipi:
_5-HT2A: oltre a stimolare la fosfolipasi C, determina anche la chiusura di
canali per il K+; è localizzato nel claustro, nella corteccia, nel tubercolo
olfattorio, nello striato e nel nucleo accumbens
_5-HT2B: non è stato ancora ben definito
_5-HT2C: è localizzato nei plessi coroidei, nel globo pallido, nella corteccia,
nell’ipotalamo, nel setto e nella sostanza nera.
Recettore 5-HT3: è costituito da un canale transmembrana a controllo chimico,
la cui apertura determina l’entrata di cationi, in particolare Ca++.

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Recettore 5-HT4: ha come meccanismo d’azione la stimolazione dell’adenilato
ciclasi e si trova a livello di ippocampo, striato, tubercolo olfattorio e sostanza
nera.
Recettore 5-HT5: inibisce l’adenilato ciclasi e la sua localizzazione è incerta;
ultimamente è stato trovato un recettore simile, codificato da un gene diverso,
per cui attualmente si considerano due sottogruppi, 5-HT5A e 5-HT5B.
Recettore 5-HT6: stimola l’adenilato ciclasi e la sua localizzazione è incerta.
Recettore 5-HT7: stimola l’adenilato ciclasi e si trova a livello di corteccia,
setto, talamo, ipotalamo, amigdala e collicolo superiore.
Data la grande diffusione del sistema serotoninergico e la grande varietà di
recettori, non stupisce che tale sistema sia implicato in molte funzioni diverse,
prime fra tutte il controllo dei ritmi circadiani neuroendocrini e la modulazione
e

l’integrazione

di

stimoli

sensoriali.

Schematizzando,

il

sistema

serotoninergico ha le seguenti funzioni:
A) controllo della soglia di eccitabilità dei neuroni bersaglio
B) regolazione dei ritmi circadiani per trasmissione da un ipotetico orologio
centrale (Forse localizzato proprio nei nuclei del rafe) ai nuclei ipotalamici con
attività endocrina (preottico e soprachiasmatico). Il sistema serotoninergico
ritma frequenza e ampiezza della secrezione circadiana soprattutto di ACTH,
PRL e GH; in particolare sembra avere un ruolo nell’armonizzazione del ciclo
sonno-veglia coi ritmi endocrini. Inoltre la serotonina è un inibitore degli effetti
della luce sul ritmo circadiano ed è anche il precursore della melatonina,
ormone prodotto dall’epifisi. Il ruolo della melatonina nei mammiferi è poco
conosciuto, ma si ritiene che sia un importante fattore di regolazione dei ritmi
circadiani, soprattutto in relazione alle modificazioni di luminosità ambientale.
Infatti, secrezione e produzione di melatonina vengono inibite dalla luce e
stimolate dal buio e tale sostanza sembra essere un importante fattore di
induzione del sonno.
C) controllo inibitorio dei neuroni noradrenergici del locus coeruleus e dei
neuroni dopaminergici mesolimbici (recettori 5-HT3)
D) controllo dell’appetito e del comportamento alimentare: infatti, la
deplezione di serotonina, ottenuta tramite iniezione di neurotossine nei

11
ventricoli cerebrali, induce iperfagia e aumento di peso, mentre un aumento di
attività serotoninergica è collegata a diminuzione dell’appetito
E) modulazione degli intervalli di latenza e della durata degli episodi di sonno
REM e dei fenomeni motori collegati, per attività sul locus coeruleus
F) modulazione della soglia dolorifica: l’aumento di 5-HT induce analgesia,
probabilmente per interazioni col sistema degli oppioidi endogeni
G) regolazione della temperatura corporea, attraverso i recettori 5-HT 1A (la
stimolazione dei recettori presinaptici induce ipotermia nell’animale), sempre
collegata ai ritmi circadiani
H) modulazione e integrazione di tutti gli stimoli sensoriali, influenzando così
diversi aspetti del comportamento, dall’aggressività alla condotta alimentare.
Modificazioni cellulari
Ora un accenno a quelli che possono essere i meccanismi molecolari alla base
dell’attività cerebrale delle sostanze d’abuso. Gli effetti ricercati di una droga
sono, in ultima analisi, dovuti a modificazioni nella conduttanza agli ioni,
legate ad apertura o chiusura di canali transmembrana. Sono essenzialmente
due i sistemi di trasduzione del segnale coinvolti in questi processi: il sistema
dell’adenilato ciclasi e il sistema dei fosfatidi di membrana. Nel primo caso, il
secondo messaggero è rappresentato dall’AMP ciclico, che va ad attivare la
proteinchinasi A, la cui attività può determinare l’apertura di canali ionici e
l’attivazione o l’inibizione di vari enzimi. Nel secondo caso, invece, abbiamo
la produzione di due secondi messaggeri: l’inositolo trifosfato (IP 3) e il
diacilglicarolo

(DAG).

L’IP3

agisce

innalzando

la

concentrazione

intracitoplasmatica di Ca++: mano a mano che il Ca++ fuoriesce dai depositi
agisce con un sistema di feed-back positivo sulla propria liberazione e
determina anche l’apertura di canali cationici di membrana, aumentando
sempre più la sua concentrazione citosolica. Il DAG, invece, attiva la
proteinchinasi C, che agisce fosforilando varie proteine e modificandone così
l’attività: uno dei suoi bersagli è rappresentato proprio dalla fosfolipasi C, che
viene così inibita, con interruzione della produzione di IP 3 e DAG (feed-back

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negativo). Il Ca++ liberato dai depositi va a legarsi a specifiche proteine,
attivandole: una di queste è la calmodulina, la quale è in grado di attivare altre
proteine legandosi ad esse (canali ionici, proteinchinasi, fosfatasi, fattori di
trascrizione). Ma questi effetti a breve termine possono essere accompagnati da
modificazioni a medio e lungo termine, sulla base di meccanismi di
polarizzazione del neurone e di modificata espressione genica.
L’induzione dell’espressione di geni porta alla sintesi di proteine, che possono
essere rappresentate da enzimi, recettori di membrana, proteine strutturali,
canali ionici. Oggi vari studi indicano che molti dei geni espressi sui neuroni
possono essere diversamente regolati da diverse sostanze d’abuso. In
particolare, il sistema del cAMP sembra fortemente implicato nella
compulsione all’uso di sostanze psicoattive: l’esposizione cronica a tali
sostanze porta infatti a una up-regulation della via del cAMP (ovvero aumenta
il numero di molecole di adenilato ciclasi e proteinchinasi A). Questo
fenomeno è legato all’attivazione di fattori di trascrizione che appartengono
alla famiglia delle proteine FOS: l’esposizione acuta a molte sostanze d’abuso,
comprese cocaina e amfetaminici, porta alla transitoria induzione di alcune di
tali proteine, agendo sui sistemi di trasduzione prima ricordati. L’esposizione
cronica alle sostanze d’abuso porta invece al graduale accumulo nel neurone di
proteine FOS stabili, che pertanto permangono a lungo nella cellula anche dopo
la cessazione dell’esposizione alla droga.
Di particolare interesse sono le modificazioni che si hanno nel nucleo
accumbens, che è una regione fondamentale per le sensazioni di gratificazione
e ricompensa. Recenti studi indicano che l’up-regulation della via del cAMP in
questo centro possa essere alla base dell’insorgenza di comportamenti
appetitivi compulsivi (drug-seeking behavior), elemento alla base dei fenomeni
di addiction e dipendenza.
Con ciò, non bisogna assolutamente dimenticare le differenze individuali, che
rendono un soggetto più o meno sensibile all’attività di una droga e più o meno
esposto all’insorgenza di dipendenza. Infatti, i dati provenienti da studi su
famiglie e gemelli omozigoti separati al momento dell’adozione mettono in
evidenza come vi sia un contributo del patrimonio genetico nel favorire l’abuso

13
di sostanze psicoattive. Inoltre, recenti studi su ratti transgenici dimostrano che
l’alterata espressione di specifici geni appartenenti al sistema dopaminergico
può influire sul comportamento di autosomministrazione della droga.
E’ stato recentemente accertato il danneggiamento delle fibre sottili del rafe
dorsale, mentre quelle più grosse del rafe ventrale permangono integre: a
questo proposito si è osservato un fenomeno di rimodellamento neuronale nel
rafe dorsale, nel senso che i neuroni presentano un neurite più breve e un
aumentato numero invece di connessioni dendritiche.
II-

Amfetamina

La α-metilazione della feniletilamina porta alla fenilisopropilamina, o
amfetamina, che si può pensare come precursore di tutte le altre molecole
correlate.

Col termine “amfetamine” possono essere designate le sostanze classiche,
come destroamfetamina e metamfetamina e, più in generale, le molecole con
sostituzioni sulla catena laterale, che sono usate nella pratica clinica come

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anoressizzanti. Le molecole sostituite sul gruppo benzenico, invece, pur
essendo sostanze amfetamino-simili, hanno alcune peculiarità, per cui verranno
trattate separatamente.
Il fatto che tali farmaci penetrino nel SNC e portino, oltre all’effetto
terapeutico desiderato, sensazioni di benessere e vigore fisico e diminuzione
della necessità di sonno, ha fatto sì che se ne diffondesse l’abuso.
Le principali amfetamine classiche sono:
_ D-amfetamina e metamfetamina: sono state le prime molecole del gruppo ad
essere sintetizzate e in pratica clinica non sono più usate da molti anni. Furono
introdotte come decongestionanti nasali e se ne diffuse rapidamente l’abuso;
sono anche potenti anoressizzanti
_ fenmetrazina e fendimetrazina: sono derivati amfetaminici ampiamente usati
come anoressizzanti fino a pochi anni fa; hanno lo stesso meccanismo d’azione
dell’amfetamina, però la fendimetrazina (Plegine) ha minori effetti
cardiovascolari, ma è causa frequente d’insonnia, mentre la fenmetrazina
(Preludin) ha minori effetti psicostimolanti, ma in trattamenti prolungati può
essere causa di depressione psichica
_ fenfluoramina (Pesos, Ponderal): agisce come anoressizzante bloccando il
recupero della serotonina e non ha attività simpaticomimetica; induce però
tolleranza ed è tossica per il sistema serotoninergico a dosi solo di poco
superiori di quelle terapeutiche
_ metilfenidato (Ritalin): non in commercio in Italia, ha una forte attività
tachicardizzante
_ pemolina (Deadyn): è una molecola poco attiva a livello cardiovascolare; in
Italia si trova in commercio associata a L-glutammina o aspartato, come
antiastenico e mnemotonico.
Oltre che per il trattamento dell’obesità, le amfetamine sono state studiate
anche per un eventuale uso terapeutico in patologie di rilievo: già nel 1985
Jasinski sperimentò l’associazione tra morfina e D-amfetamina per diminuire il
dolore. L’associazione tra i due farmaci migliora sicuramente la risposta al
dolore e diminuisce gli effetti collaterali indotti dall’uso singolo delle due
sostanze; purtroppo però, questa combinazione, per gli importanti effetti

15
euforizzanti, è anche ad alto potenziale d’abuso: eroina e amfetamine vengono
spesso immesse sul mercato illecito in associazione, col duplice scopo di
diminuire gli effetti collaterali dell’eroina e aggiungere un ulteriore effetto
gratificante alla miscela.
Il potenziale d’abuso delle amfetamine è elevato ed è in parte legato
all’innalzamento

del

tono

dell’umore

e

in

parte

legato

all’effetto

anoressizzante. L’abuso di D-amfetamina e metamfetamina dipende per lo più
dalla ricerca dell’effetto euforizzante e anti-fatica, mentre l’abuso di
fenmetrazina, fendimetrazina e fenfluoramina è collegato per lo più alla ricerca
dell’effetto anoressizzante. In ambito dietologico esiste, infatti, un mercato e
un uso illecito di tali sostanze, sia con prescrizione sia con auto-prescrizione,
che ha portato anche a casi di intossicazione acuta. Il recente DECRETO
LEGISLATIVO 24 gennaio 2000, con l’intento di arginare questo fenomeno,
vieta ai farmacisti di “eseguire preparazioni contenenti fentermina,
mazindololo, norpseudoefedrina, fenbutrazato, fendimetrazina, amfepranone
(dietilpropione) e propilexedrina e comunque tutte le sostanze che, da sole o in
associazione tra loro o con altre sostanze, abbiano lo scopo di ottenere un
effetto anoressizzante ad azione centrale e i medici sono tenuti ad astenersi dal
prescriverle.”
Da non sottovalutare poi l’utilizzo in ambito sportivo, soprattutto non
professionale. Oltre però alle molecole presenti sul mercato lecito, esistono
numerosissimi amfetaminici diversi sul mercato illecito di sostanze.

Farmacodinamica
Le amfetamine classiche hanno un effetto simpaticomimetico sia centrale che
periferico; infatti, per le loro analogie strutturali con le catecolamine, si
sostituiscono ad esse a vari livelli, legandosi ai recettori pre- e postsinaptici,
inibendo l’uptake del neurotrasmettitore e inibendo le MAO neuronali, con
conseguente aumento dell’emivita delle catecolamine stesse.

16
A livello periferico le amfetamine sono α1 e β1 agoniste, pertanto i principali
effetti saranno:
_ tachicardia e aumento della forza di contrazione cardiaca
_ vasocostrizione (a eccezione del distretto muscolo-scheletrico)
_ lipolisi
_ piloerezione
_ midriasi.
A livello centrale le amfetamine agiscono sui sistemi noradrenergico e
dopaminergico, sui recettori pre- e postsinaptici.

Sinapsi neuronale (SEM, 8000)
L’effetto immediato è quello di alterare il rilascio delle catecolamine e ciò
avviene in maniera dose-dipendente e specifica per ogni sistema neuronale.
L’effetto netto sul rilascio delle catecolamine è complesso, dato che le
amfetamine vanno ad agire su meccanismi che aumentano il rilascio del
neurotrasmettitore (blocco della ricaptazione e aumento del rilascio

17
indipendente dall’impulso elettrico) e su meccanismi che ne diminuiscono
invece il rilascio (attivazione degli autorecettori somatici e terminali).
Numerosi studi, effettuati in vivo su cervello di ratto, hanno permesso di
mettere in luce i meccanismi d’azione dell’amfetamina: una delle sue più note
azioni elettrofisiologiche è quella di diminuire la velocità di scarica spontanea
dei neuroni dopaminergici e noradrenergici. Ciò è dovuto alla stimolazione
degli autorecettori somato-dendritici, con iperpolarizzazione della membrana
(legata soprattutto ad un aumento di conduttanza al K +); i neuroni
noradrenergici del locus coeruleus sono molto sensibili a questo sistema di
inibizione elettrica, mentre lo sono meno i neuroni dopaminergici della
sostanza nera (i neuroni serotoninergici dei nuclei del rafe sono sensibili solo
per dosi molto più alte). L’iperpolarizzazione della membrana, mediata
dall’amfetamina, si traduce in una minor liberazione di neurotrasmettitore dai
terminali sinaptici. Contemporaneamente però, l’amfetamina va ad agire anche
a livello sinaptico, con effetti molto simili a quelli prodotti dagli agonisti
diretti. L’amfetamina induce la liberazione di catecolamine dal terminale
sinaptico, le quali vanno a legarsi ai recettori postsinaptici, ma anche
presinaptici: quest’ultimo legame inibisce la liberazione di ulteriori quote di
neurotrasmettitore. Pertanto, l’effetto netto sarà rappresentato da un
compromesso tra azioni incrementanti e diminuenti il rilascio di catecolamine.
Dato però che i neuroni del locus coeruleus sono molto sensibili all’inibizione
dell’attività elettrica indotta dalla stimolazione degli autorecettori somatodendritici (meccanismo che si oppone alla liberazione di catecolamine dai
terminali assonici), l’amfetamina a basse dosi non induce liberazione di
noradrenalina.

L’amfetamina,

infatti,

è

meno

potente

nel

rilasciare

noradrenalina di quanto non lo sia nel rilasciare dopamina: quindi a basse dosi
l’effetto è per lo più dopaminergico, mentre ad alte dosi si aggiunge un effetto
noradrenergico. L’amfetamina può quindi avere molteplici e svariati effetti
dose-dipendenti sui neuroni; per es. si è osservato un effetto bifasico
sull’attività elettrica di neuroni ippocampali, che è stato interpretato come
un’azione inibitoria delle basse dosi di amfetamina sul rilascio di
noradrenalina. Un effetto bifasico è stato anche osservato sull’eccitabilità dei

18
terminali assonici di neuroni del locus coeruleus che proiettano alla corteccia
frontale.
Schematizzando, gli effetti neuronali dell’amfetamina da un lato favoriscono
l’attività delle catecolamine e dall’altro la inibiscono.
Fattori favorenti sono:
_stimolazione del rilascio di catecolamine
_stimolazione diretta e indiretta dei recettori postsinaptici
_inibizione dell’uptake presinaptico delle catecolamine
_lieve inibizione delle MAO.
Sono invece fattori inibenti:
_stimolazione dei recettori presinaptici
_stimolazione degli autorecettori somato-dendritici.
In ultima analisi, sono comunque i cambiamenti indotti a livello postsinaptico
che mediano la risposta dell’organismo e le modificazioni del comportamento
in seguito all’assunzione di amfetaminici.
La stimolazione dopaminergica centrale porta ad aumento dell’attività motoria
extrapiramidale, con tremori, digrignamento dei denti, senso di tensione alla
mascella: ciò è dovuto alla stimolazione della via nigro-striatale. La
stimolazione locomotoria, ovvero la spinta a camminare e a spostarsi spesso,
sembra legata invece al rilascio di dopamina a livello del nucleo accumbens,
soprattutto dalle afferenze provenienti dal sistema meso-limbico. Le piacevoli
sensazioni di apertura mentale, aumento dell’autostima, affabilità, fiducia negli
altri e accondiscendenza, fino ad arrivare all’euforia, sembrano invece dovute
all’attivazione della via meso-limbica e meso-corticale. Queste sono, infatti,
vie legate prevalentemente ai fenomeni di slatentizzazione, come documentato
dall’analogia funzionale degli stati empatici dati dall’alcool etilico a basse dosi
(inferiori di 0,5g/l). Infine, la stimolazione dopaminergica può interferire coi
normali ritmi secretori di PRL e ACTH, con possibili effetti a lungo termine.

19
La stimolazione noradrenergica centrale porta ad aumento della vigilanza e
diminuzione della sonnolenza, a lucidità e prontezza di riflessi, a sensazioni di
forza e vigore. Questi effetti sembrano mediati dall’attivazione del SRAA, in
particolare del sistema noradrenergico a proiezione diffusa, che ha un’azione di
stimolazione diffusa della corteccia telencefalica. Tali modificazioni dipendono
dall’attivazione dei sistemi deputati alla regolazione dei ritmi sonno-veglia e
dei comportamenti difensivi di attacco-fuga di fronte a un pericolo: per questo
è anche possibile che si manifestino irritabilità e atteggiamenti aggressivi.
Per quanto riguarda poi l’attività anoressizzante delle amfetamine, che si
accompagna anche a diminuzione del senso della sete, sappiamo essere
fondamentali entrambi i due tipi di sistemi. Il ruolo dell’ipotalamo nel consumo
di cibo è stato studiato negli animali da laboratorio, praticando lesioni in
diverse aree ipotalamiche o stimolandole elettricamente. Da questi esperimenti
è risultato che l’area laterale rappresenta il centro della fame, mentre l’area
ventro-mediale rappresenta il centro della sazietà. Da studi successivi si è però
potuto rilevare come questi siano in realtà centri atipici: infatti, le lesioni
dell’ipotalamo laterale (centro della fame), che inducono afagia e adipsia,
interrompono la via dopaminergica nigro-striatale. Questo fascio non agisce
specificamente sul consumo di cibo, ma fa parte di un sistema di rinforzo o
ricompensa: l’inibizione di questo sistema interferisce con le motivazioni che
spingono l’animale a mangiare (disinteresse sensoriale: in seguito a lesioni del
fascio nigro-striatale di un solo lato, l’animale non presta più attenzione e non
si orienta verso stimoli alimentari controlaterali). Invece, le lesioni
dell’ipotalamo ventro-mediale (centro della sazietà), che inducono iperfagia,
vanno a interrompere il fascio ascendente noradrenergico che innerva
l’ipotalamo: la stimolazione noradrenergica dell’ipotalamo induce quindi senso
di sazietà. Schematizzando quindi, l’effetto anoressizzante delle amfetamine
dipende in parte dalla stimolazione noradrenergica dell’ipotalamo (senso di
sazietà) e in parte dall’inibizione delle proiezioni dopaminergiche nigrostriatali (disinteresse sensoriale).
Tutti questi effetti si esauriscono però per tachifilassi, poiché la deplezione di
catecolamine indotta dall’amfetamina è più rapida dei processi di sintesi.

20
Farmacocinetica
L’amfetamina e i suoi derivati vengono rapidamente assorbiti dal tratto
digerente e scarsamente metabolizzati dal fegato, pertanto la biodisponibilità
orale è elevata, diversamente dalle catecolamine, che sono invece rapidamente
metabolizzate

dalle

monoaminoossidasi

(MAO)

e

dalle

catecol-O-

metiltranferasi (COMT) intestinali ed epatiche (presenti anche in reni e
cervello). La protezione da questi due tipi di enzimi permette un
prolungamento della durata d’azione e dipende dalla struttura chimica delle
amfetamine: l’assenza degli ossidrili in C3 e C4 protegge dalle COMT, mentre
la α-metilazione protegge dalle MAO.
Dopo somministrazione orale, si ha un picco plasmatico in circa 15 minuti;
l’eliminazione è quasi esclusivamente urinaria e ha inizio dopo circa 30 minuti
dall’assunzione. Le amfetamine sono in parte eliminate come tali e in parte
metabolizzate a livello epatico, mediante reazioni di deaminazione e
idrossilazione. Così si possono formare diversi metaboliti, alcuni ancora attivi,
come idrossiamfetamina e p-idrossinorefedrina, e altri inattivi, come acido
benzoico ed ippurico. La curva di eliminazione delle amfetamine dipende
notevolmente dal pH urinario: se il pH è acido, l’amfetamina viene eliminata
rapidamente (emivita di 8-10 ore a pH=6) e prevalentemente in forma
immodificata, se invece il pH è alcalino, l’amfetamina viene eliminata
lentamente (emivita di 16-31 ore a pH>7,5) e per lo più sotto forma di
metaboliti. Quindi, se il pH urinario è acido, l’80% della dose assunta viene
eliminata in circa 24 ore, se il pH urinario è invece alcalino, l’80% della dose
assunta viene eliminata in circa 5 giorni. Infine, esiste anche una differenza
legata agli stereoisomeri: le forme D vengono allontanate più rapidamente delle
forme L.

21
III-

Metamfetamina

Durante gli anni 30 ci fu la necessità di supplire alla efedrina naturale poiché
non era sufficiente per rispondere ai bisogni degli asmatici. Molti laboratori si
proposero di sintetizzare l’efedrina. Uno studente (G. Alles) ebbe come tesi di
laurea il progetto di sintetizzare l’efedrina. Consultò la vecchia letteratura e
scoprì le ricerche di Edelano, che sintetizzò e caratterizzò le proprietà basiche
della molecola Fenilisopropilamina nel 1887. Prese questa molecola come
punto di partenza e da questa cercò di sintetizzare l’efedrina. Non ne fu capace
ma scoprì che la fenilisopropilamina (più tardi chiamata destroamfetamina)
aveva delle proprietà stimolanti; sperimentò sulle cavie e, una volta stabilitone
il grado di tossicità, tentò su se stesso. La capacità di alterare lo stato d’animo
fu presto evidente. Nello stesso periodo il chimico giapponese Ogata cominciò
un lavoro sullo stesso argomento. Egli sintetizzò un’altra amfetamina :la dfenilisopropilamina Cl, poi conosciuta come Metamfetamina:

La potente azione della metamfetamina è dovuta alla stretta analogia strutturale
con la dopamina:

22
analogia strutturale della metamfetamina con la dopamina
L’efedrina fu alla fine sintetizzata nel 1929 ma non ne supplì la carenza. Ogata
brevettò il suo metodo per produrre la metamfetamina alla B.W.C. che vendette
la metamfetamina negli USA sotto il nome di Methedrine. Nel 1932 Smith
Kline e French misero sul mercato un inalatore nasale (Benzedrine) che altro
non era che fenilisopropilamina racemo. Effettivamente c’era un sollievo dalla
congestione nasale ma anche dalla fatica e sonnolenza con rischi di abuso. La
comunità medica rispose alla introduzione delle amfetamine come reagì alla
introduzione della cocaina 50 anni prima. Le indicazioni per l’uso delle
amfetamine oggi ci sembrano bizzarre: schizofrenia, antidoto per l’overdose da
barbiturici, caffeinomania, fumo, sclerosi multipla, miastenia, orticaria,
dismenorrea, colon irritabile, calo della libido, antidoto per la morfinemia.
Alla fine della seconda guerra mondiale la richiesta aumentò tanto che il
suddetto inalatore ebbe un enorme successo. Nel 1949 venne cambiato il nome
dell’inalatore in Benzedrex che conteneva propilexedrina che è un potente
vasocostrittore nonché blando stimolante rispetto le amfetamine. Qualche anno
dopo furono segnalate le prime morti da amfetamine.
Nel ratto, la metamfetamina agisce inibendo l’enzima tirosinaidrossilasi,
diminuendo il numero dei siti per l’uptake presinaptico e provocando
degenerazione assonica nelle aree ricche di dopamina. Dosi elevate e ripetute

23
di metamfetamina vanno ad alterare anche i neuroni serotoninergici,
determinando, sempre nel cervello di ratto, una diminuzione dell’attività
dell’enzima triptofanoidrossilasi, del contenuto di 5-HT e dei siti per l’uptake
presinaptico. Probabilmente queste stesse alterazioni si hanno con l’abuso di
catinone e metcatinone. Sebbene queste alterazioni non siano state dimostrate
nell’uomo, gli studi sui modelli animali suggeriscono che la deplezione di
dopamina nello striato sia un fattore in causa nello sviluppo di ipertermia
metamfetamino-dipendente.
Nell’uomo, le più evidenti manifestazioni di tossicità cerebrale sono le psicosi
e l’ictus: quest’ultimo è spesso dovuto a una vasculite necrotizzante legata
all’abuso protratto di amfetaminici o al poliabuso di sostanze, mentre la causa
delle psicosi è più oscura.

Metabolismo
La metamfetamina viene demetilata in amfetamina quindi la presenza di
amfetamina in un campione è la prova che la metamfetamina è stata assunta.
Da un punto di vista generale del problema, gli studi sugli animali
suggeriscono che la distribuzione delle amfetamine è stereoselettiva con
significative differenze tra le forme “d” ed “l”. In uno studio giapponese sono
stati individuati alcuni casi di morte per amfetamine nella forma “l” e altri a
causa di una mistura racemica; la conversione da metamfetamina ad
amfetamina è stereospecifica: d-metamfetamina darà la d-amfetamina; lmetamfetamina darà l-amfetamina. La mistura di amfetamine riscontrata nelle
urine riflette, quindi, la mistura di metamfetamine ingerite.
Tossicità
Sono del tutto peculiari gli esiti di danno a carico di organi e apparati, che, da
un punto di vista anatomopatologico, passiamo qui di seguito ad illustrare
sinteticamente.

24
Cuore e vasi Si segnalano a carico del sistema cardiovascolare cardiomiopatie
causate da un eccesso di catecolamine. Il cuore degli amfetaminomani
presenta aree con fibrosi e ipertrofia dei miociti.
Polmoni: è molto comune l’arteriopatia tromboembolica causata da residui
insolubili (microcristalli di cellulosa, fibre di cotone) contenuti nelle pasticche
che restano intrappolate nel microcircolo polmonare.In questo modo si
formano trombi e granulomi da corpo estraneo.Inoltre gli alti livelli di
serotonina causano contrazione dell’arteria polmonare, causando ipertensione
polmonare.
SNC: le amfetamine sono anoressizzanti, causano psicosi, allucinazioni, stato
paranoide. Alte dosi di metamfetamina (10-15 mg/kg) negli animali da
esperimento portano ad una diminuzione dell’attività della tirosinaidrossilasi
Questo calo non è uniforme nelle varie aree cerebrali: molti studi mostrano che
il decremento di concentrazione della dopamina è particolarmente accentuato
nel nucleo caudato mentre aumenta nel nucleo accumbens.
Rene: il primo caso riportato in letteratura di danno renale collegato con l’uso
di amfetamine fu nel 1970. Contrariamente alla cocaina, le amfetamine
causano rabdomiolisi piuttosto raramente. Quando succede, mioglobina fosforo
e potassio sono rilasciati nel plasma con conseguenti problemi metabolici. Il
danno risultante può essere indiretto risultando da una ipotensione e ischemia
renale oppure diretto come quando la mioglobina o i suoi metaboliti
ostruiscono i tubuli. Molti danni possono essere mediati dalla formazione dei
radicali liberi. Quello che non si sa sulle amfetamine è il danno specifico.Il
primo paziente descritto aveva coagulopatia e iperpiressia. Altri pazienti hanno
mostrato ipotensione e coma. Quelli che usavano l’endovena come via di
somministrazione hanno mostrato shock septico e coagulazione intravasale
disseminata.
Fegato: due amfetamino-simili di tipo sintetico (Pemoline e Ritalin come
metilfenidato) possono essere epatotossici. Ma questa complicazione è rara più
che altro causata da una reazione metabolica idiosincrasica.La biopsia di un
individuo che faceva

uso di Ritalin

e.v. ha messo

in evidenza

un’infiammazione portale e danno epatico. Infine la metamfetamina può

25
intensificare la tossicità di altri agenti epatotossici. Sperimentalmente si è visto
che la metamfetamina aumenta l’epatotossicità del carbonio tetracloride.Si
suppone che alla base ci sia un meccanismo associato ai recettori adrenergici.
I livelli di metamfetamina nei campioni biologici sono difficili da interpretare.
Come per la cocaina la morte da amfetamine è associata sia a livelli molto alti
sia all’iperpiressia, spesso maligna, che interviene per alterazione del controllo
ipotalamico della temperatura per esposizione a livelli alti di catecolamine.
Come per la cocaina (e diversamente dall’alcool) i livelli nel sangue non sono
correlati bene col danno.Una volta iniziata la tolleranza non ci si stupirà di
riscontrare livelli molto alti nel sangue (maggiore di 500 ng/ml).
Nella maggior parte delle morti i livelli nel sangue sono circa 5000-10000
ng/ml o anche di più.
I test sulle urine non sono molto affidabili se non lo screening
immunoenzimatico Infatti la prima generazione di amfetamine da spesso un
risultato positivo e uguale a quello dell’efedrina, fenilpropanolamina,
fentermina, fenmetrazina, fenfluramina (falsi positivi).

IV-

D

iossiderivati principali (MDA, MDMA ) e congeneri.
Dalla metamfetamina, come capostipite di questo gruppo che passiamo ora a
trattare, partirono poi tutte le altre sintesi di derivati.
A parte la MDMA (metilendiossimetamfetamina) poco è noto sugli effetti
clinici e sugli eventuali danni a lungo termine indotti dall’uso dei
componenti il gruppo.
MDMA (ADAM,Ecstasy) 3,4 metilendiossi N metilamfetamina
Dosaggio: 80-150 mg, durata 4-6 ore.
La sintesi della MDMA come capostipite di tutti i diossiderivati può partire sia
dall’isosafrolo che dal safrolo (i derivati di questi precursori attualmente sono

26
interdetti alla pubblica vendita e sottoposti addirittura al regime di una
convenzione internazionale che ha il compito di seguire, nel mondo, il destino
delle partite di isosfrolo vendute dalle Compagnie); altrimenti si può partire
anche dal piperonale oppure da un intermedio “chiave” dato dall’efedrina
(sistema detto “russo” per via della diffusione nei paesi dell’Est europeo).
Il fatto che tutte le reazioni passino dalla formazione di metamfetamina è di
particolare interesse criminalistico: ad ovest degli Urali il fosforo utilizzato
come catalizzatore a partire dalla Npseudoefedrina ha un punto isotopico
diverso, così che in GC-MS ionica si può identificare la provenienza di una
partita di compresse di ecstasy.
La reazione intermedia è generalmente isotermica, e va attentamente
controllata: molti sono infatti gli incidenti nei laboratori clandestini e in
letteratura sono riportate spesso le casistiche delle fatalità che li
accompagnano.
L’isomero D è meno potente, per cui molta attenzione e competenza è
richiesta all’analista che si occupa della sintesi.
MDA (3,4 metilendiossiamfetamina)
La MDA è conosciuta anche come “love drug”; ha un effetto e una tossicità
simili a quelli dell’ecstasy, di cui rappresenta anche il metabolita principale, e
il suo uso più frequente è legato agli effetti sull’umore. La MDA, infatti,
diminuisce l’ansia e migliora la consapevolezza di sé, facilitando anche la
comunicazione e l’interazione affettiva e inducendo uno stato di amplificazione
sensoriale senza distorsioni. Rispetto alla MDMA ha una maggiore attività
simpaticomimetica.
MDE (MDEA,EVA) 3,4 metilendiossi N etilamfetamina.
Dosaggio: 100-200 mg, durata 3-5 ore.
La MDEA è conosciuta anche come Eve o Eva; si è diffusa nell’abuso nel
1985, dopo l’inserimento dell’ecstasy nella tabella I della DEA. E’ stata
inizialmente studiata come sostanza con un potenziale uso terapeutico, ma oltre
ai classici effetti entactogeni in comune con la MDMA, tale molecola ha

27
provocato anche esperienze depersonalizzanti e lievi disturbi della percezione,
con successiva insonnia prolungata. Rispetto alla MDMA, ha effetti più
individuali e meno comunicativi.
MBDB
La MBDB (α-etil-omologo della MDMA) perde completamente l’attività
allucinogena e inoltre ha un minor effetto entactogeno ed euforizzante rispetto
alle altre molecole correlate. Per questo motivo, probabilmente, ha scarso
successo come sostanza d’abuso. Permane però l’effetto stimolante sul SNC e
anche la neurotossicità, sebbene inferiore a quella dell’ecstasy.
TMA (2,4,5 trimetossiamfetamina)
Esprime una potenza doppia rispetto a quella della Mescalina (Shulgin,
1973). Sintetizzata per la prima volta nel 1933, fu impiegata come
psichedelico solo a partire dal 1962; la dose necessaria per indurre
allucinazioni è comunque troppo prossima a quella che induce
l’avvelenamento acuto, per cui la TMA è di scarsa diffusione (Chester,
1990).
DOM (metil 2,5 dimetossiamfetamina)
Sintetizzata nel 1963 è nota anche come STP (Serenità Pace Tranquillità).
Alla dose di 3 mg gli effetti sono simili a quelli della Mescalina, per
quantità maggiori sopraggiungono allucinazioni ed effetti indesiderati
(nausea, vomito, diaforesi, tremore, aumento della pressione sistolica) per
periodi di tempo anche di una decina di ore. Dosaggio: 3-10 mg, durata 1420 ore. Rapida comparsa di tolleranza.
PMA (parametossiamfetamina)
DOET (2,5dimetossi 4 etilamfetamina)
Dosaggio: 2-6 mg, durata 14-20 ore.

28
MMDA (3 metossi 4,5 metilendiossiamfetamina)
Dosaggio: 100-250, durata breve.
2C-T-7
Recentemente sono apparse nel mercato clandestino, e soprattutto in legame
con le tendenze dei rave parties, nuove forme molecolari nelle quali appaiono
alogenazioni o tio-sostituzioni, come di seguito rappresentato:

Tali sostituzioni sembra che permettano di ottenere stati di coscienza
modificati, soprattutto a sfondo mistico e particolarmente ricercate dai gruppi
estremi del movimento New Age.

Poiché la molecola più usata per fini ricreazionali è l’MDMA, descriveremo di
seguito nel prossimo capitolo gli aspetti peculiari di questo derivato della
metamfetamina, che può essere considerato un vero e proprio capostipite di
tutti i derivati metamfetaminici tanto che ad esso ci si riferisce con il termine
di Ecstasy nell’uso corrente.

29
V-

3,4 metilendiossi N metilamfetamina
(MDMA, Ecstasy)

Oggi la più nota designer drug è la MDMA (3,4-metilendiossi N
metilamfetamina) o ecstasy, sintetizzata in Germania nel 1914 e immessa sul
mercato come anoressizzante. Fu studiata sotto il profilo tossicologico solo nel
1950, presso l’Università del Michigan e si rivelò tossica: nel 1985 gli Stati
Uniti la inserirono tra le sostanze stupefacenti da tenere sotto controllo
internazionale.

L’MDMA è caratterizzata da un gruppo metilendiossilico in posizione 3,4; si
presenta come racemo di cui la forma (+) è dotata di maggiore attività.
L’emivita plasmatica è di 1,5 ore per os nell’animale da esperimento. La

30
struttura molecolare è caratteristica di altri composti come: MDA (3,4
-metilendiossiamfetamina), MDEA (3,4-metilendiossietilamfetamina) e MBDB
(3,4-metilendiossifenilbutanamina). I derivati amfetaminici con il più spiccato
potere

allucinogeno

sono

quelli

tri-sostituiti

sull’anello

benzenico

(diossiderivati con gruppi metossilici, per es. MMDA o 3-metossi-4,5metilendiossiamfetamina); tale tipo di sostituzione, infatti, produce analoghi
strutturali della mescalina.
L’uso ricreazionale di MDMA e di altre sostanze simili è oggi molto diffuso: i
sequestri di ecstasy iniziano a essere documentati in Italia a partire dal 1987,
anno in cui si sono anche registrati i primi casi di morte collegati a tale
sostanza. Il trend dei sequestri è in netto aumento e presenta un certo
parallelismo con quello dei sequestri di cocaina. A fronte però dei dati ufficiali,
che testimoniano in Italia una crescente disponibilità di “designer drugs”, esiste
una percezione generale che tali sostanze, specialmente l’ecstasy, siano
nell’uso più diffuse di quanto sia possibile documentare. Tale difficoltà nel
conoscere la dimensione del fenomeno “ecstasy” è anche dovuta al fatto che, a
differenza dei consumatori di altre sostanze, sono ancora pochi gli assuntori
che contattano i servizi pubblici.
Gli effetti ricercati che hanno decretato il successo dell’ecstasy tra i giovani
sono principalmente i seguenti:
_ caduta delle barriere nei rapporti con le altre persone
_ aumento della sensibilità di tutte le percezioni (tattile, visiva, uditiva,
olfattiva)
_ aumento dell’autostima
_ sensazione di pace interiore, sollievo, felicità
_ aumento dell’intensità esperienziale.
In particolare, da un punto di vista clinico e psicologico, gli effetti soggettivi
sono così classificabili:
Effetti registrati dall’assuntore come positivi:
buon umore
aumento della capacità di comunicazione

31
aumento della prestanza fisica
aumento del tono dell’Io psicologico
senso di benessere e di apertura agli altri
sentimento di affetto e empatia
aumento della memoria
aumento delle capacità percettive dell’esperienza musicale
aumento dell’input sensoriale
sensazioni mistiche
effetti registrati come neutri
perdita dell’appetito
disturbi dell’accomodamento visivo
nistagmo
tachicardia e aumento della pressione (dose dipendente)
ipertermia
agitazione
Effetti registrati come negativi
Disturbi dell’affettività
Tendenza a dire cose di cui ci si pente successivamente
Movimento mandibolare come da masticazione a vuoto, incoercibile
Tensione muscolare
Disturbi nella concentrazione e nella memoria a breve termine
Ipertermia
Iponatremia con rischio di disidratazione
Affaticamento e stato depressivo (come da deplezione di catecolamine)
Per queste peculiarità, si era ravvisato nella MDMA e nei composti correlati
una potenziale nuova classe di farmaci, definiti “entactogeni” (poiché possono
mettere in contatto il soggetto con parti di sé più profonde, che vengono così
percepite dal soggetto stesso) o “empatogeni” (dato che permettono una grossa
sintonia emotiva con gli altri, rimuovendo le barriere relazionali nella

32
comunicazione). Queste due caratteristiche, insieme, facilitano spesso il
compito dello psicoterapeuta che si trovi a parlare con persone particolarmente
chiuse o che non riescano ad esprimere con parole le proprie emozioni o i
propri problemi. Tant’è vero che, alla fine degli anni ’70, la MDMA fu
utilizzata da parte di alcuni psichiatri statunitensi su pazienti con difficoltà di
verbalizzazione. Nel 1985 però, l’Agenzia americana di controllo del mercato
degli stupefacenti ( D.E.A ) ne vieta la prescrizione e l’uso, a causa della
neurotossicità evidenziata negli animali da laboratorio. Anche in Svizzera la
MDMA è stata usata per vari anni in tal senso, ma dal ’93 si è interrotta la
sperimentazione. Secondo alcuni autori queste sostanze potrebbero essere usate
in campo psichiatrico se si riuscisse a renderle meno tossiche.
Tra i consumatori, la MDMA è conosciuta con diversi appellativi: Ecstasy,
XTC, Adam o pillola di Adamo, X, E, Rave. E’ una sostanza bianca,
cristallina, dal sapore amaro, che solitamente viene assunta per os, sotto forma
di pastiglie di vari colori, forme e dimensioni. Spesso su queste compresse
sono impressi dei simboli, che rappresentano una sorta di “marchio di
fabbrica”, che distingue alcuni produttori. Il contenuto medio di una pasticca
varia dai 75 ai 150mg di MDMA; a volte in una pastiglia sono contenute anche
altre sostanze amfetamino-simili, soprattutto MDA e MDEA.

Meccanismo d’azione della MDMA e neurotossicità
I diossi-derivati amfetaminici, come abbiamo già detto in precedenza da un
punto di vista più generale, a differenza delle altre amfetamine, agiscono
prevalentemente

sul

sistema

serotoninergico.

Immediatamente

dopo

l’assunzione orale di MDMA si verifica un rilascio estensivo di 5-HT dalle
terminazioni presinaptiche e, contemporaneamente, si ha l’inibizione del loro
reuptake così come dell’enzima triptofano-idrossilasi, con conseguente blocco
della sintesi di 5-HT. Pertanto, 3-6 ore dopo l’assunzione, la cessazione degli
effetti piacevoli si accompagna a un esaurimento della biodisponibilità di

33
serotonina e del suo metabolita 5-HIAA (acido 5-idrossiindolacetico), che
torna però a livelli normali entro 24 ore.
La MDMA agisce quindi a livello dei recettori per la 5HT e come inibitore
della triptofanoidrossilasi, ma anche sui recettori 2 adrenergici, sui recettori
M1 muscarinici (effetti cardiovascolari con tachicardia, aritmia, ipertensione,
acidosi metabolica CID, insuff. renale per blocco dell’ADH), su quelli H 1
dell’istamina; l’azione è debole sui recettori per gli oppioidi endogeni e
pressochè non misurabile su quelli GABAergici.
La maggiore affinità poi per il tipo 5HT2 rispetto agli altri sembra essere la
chiave per la spiegazione delle potenzialità della MDMA come allucinogeno.
La MDMA entra effettivamente nel neurone, rispetto ad altre sostanze
psicotrope, probabilmente con un meccanismo di cotrasporto attraverso i
carrier deputati alla ricezione della 5HT (azione mimetica).
Numerosi studi hanno evidenziato anche il coinvolgimento del rilascio di
dopamina nel meccanismo di neurotossicità da MDMA: l’MDMA determina,
infatti, anche il rilascio di una certa quantità di questo neurotrasmettitore. Tale
attività è caratteristica dello stereoisomero (+), mentre la (-)MDMA non ha
alcun effetto sull’efflusso di dopamina.
Studi immunocitochimici nel ratto hanno confermato che 1’MDMA provoca
degenerazione neuronale: dopo 36-48 ore dalla sua somministrazione sono
visibili segni inequivocabili di degenerazione degli assoni, che risulta più
marcata nella corteccia telencefalica, nello striato e nel talamo. Gli effetti
neurotossici, analogamente a quelli sul rilascio di dopamina e a differenza di
quelli della fase acuta, sono caratteristici dello stereoisomero (+) MDMA. Sono
stati eseguiti numerosi studi per valutare se si verifica una rigenerazione dei
terminali serotoninergici a seguito della lesione: nel ratto i neuroni
serotoninergici possono rigenerare, in quanto la MDMA distrugge gli assoni,
ma risparmia i corpi cellulari, pertanto si assiste a una graduale re-innervazione
della corteccia e delle altre strutture. Sembra che nel ratto vi sia una totale
ripresa delle lesioni del sistema serotoninergico entro un anno, mentre gli
effetti prodotti da alte dosi di MDMA nel primate non umano sono
irreversibili. Non è ancora completamente accertato se l’MDMA produca

34
effetti neurotossici nell’uomo: nei consumatori cronici è stata messa in
evidenza una diminuzione dei livelli liquorali di 5-HIAA (metabolita principale
della serotonina), che persiste anche per 12 mesi dopo l’interruzione
dell’assunzione, ma da lavori diversi si ottengono dati contrastanti.
Concludendo,

l’assunzione

di

MDMA

a

scopo

ricreativo

pone

fondamentalmente due tipi di problematiche, una relativa agli effetti osservati
in acuto e l’altra, estremamente complessa, riguardante gli effetti a lungo
termine di un possibile danno neuronale.
Il problema di tossicità acuta da MDMA è stato ed è ampiamente discusso ed
evidenziato dalla stampa popolare, soprattutto in relazione ai numerosi decessi
di individui in giovane età (morti del sabato sera). Va tuttavia ulteriormente
sottolineato che 1’assunzione di questa droga, anche una sola volta la
settimana, impedisce ai consumatori di riprendere il ritmo quotidiano delle
proprie abitudini, sia scolastiche che di lavoro. Infatti in questi soggetti è
rilevabile un’alterazione delle capacità decisionali, un diminuito desiderio di
svolgere attività fisiche, difficoltà nell’eseguire operazioni matematiche, cui
spesso si associano crisi di panico, insonnia, disorientamento e confusione.
Meno noti ed analizzati dai mass-media risultano invece gli effetti a lungo
termine di questa sostanza sui neuroni cerebrali: infatti, sebbene non siano
attualmente disponibili nella letteratura scientifica prove certe di un danno
neuronale permanente nell’uomo, gli studi condotti sugli animali testimoniano
inequivocabilmente che l’MDMA produce una distruzione a lungo termine
degli assoni e dei terminali serotoninergici nel cervello. Questi effetti, come è
stato descritto, sarebbero lentamente reversibili nel ratto, mentre le lesioni
ottenute nei primati, non sarebbero invece in alcun modo reversibili. Gli effetti
neurodegenerativi a lungo termine ottenuti nei roditori e nei primati, a dosi che
differiscono poco da quelle usate a scopo ricreativo, farebbero propendere
quindi per l’ipotesi che la neurotossicità da MDMA nell’uomo possa essere un
processo lento ed insidioso che potrebbe determinare l’insorgenza, dopo alcuni
anni, di disturbi psichiatrici anche gravi.

35
L’extasy ha un’attività psicostimolante per certi versi simile a quella delle
amfetamine: infatti abbiamo alcuni effetti analoghi, come diminuzione del
senso di fame e sete, stimolazione locomotoria, aumento della vigilanza e
insonnia. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che, come il sistema
noradrenergico a proiezione diffusa, anche il sistema serotoninergico a
proiezione diffusa fa parte del SRAA. Anche altri effetti fisici ricordano molto
le amfetamine classiche, sebbene alle dosi abituali essi siano alquanto variabili
e soggettivi: a volte sono infatti riferiti digrignamento dei denti e tensione alla
mascella, bocca asciutta, movimenti involontari degli occhi, iperidrosi, nausea.
Vi sono però alcune differenze: per es. la somministrazione ai ratti di 210mg/kg di MDMA (dosi analoghe a quelle che si hanno normalmente
nell’uomo) porta ad aumento dell’attività locomotoria per almeno 2 ore e la
locomozione è essenzialmente orizzontale, con tendenza a evitare il centro
dell’ambiente e spiccata stereotassi (modificazione del proprio movimento a
seguito del contatto con un altro corpo). Questo profilo comportamentale è
molto simile a quello indotto da sostanze allucinogene pure, come l’LSD.
Sempre la liberazione di serotonina è poi responsabile degli effetti entactogeni
ed empatogeni dell’extasy, come pure dell’aumento della sensibilità delle
diverse percezioni e dell’intensità di qualunque esperienza (infatti la serotonina
ha un ruolo importantissimo nella modulazione e integrazione degli stimoli
sensoriali). Esistono poi alcune sensazioni particolari, mediate anch’esse
probabilmente dalla serotonina, che avvicinano le diossi-amfetamine agli
allucinogeni; sono infatti esperienze di alterazione sensoriale, senza però vere e
proprie allucinazioni.
Piuttosto che di quadro allucinatorio è opportuno quindi parlare di stato di
coscienza modificato.
Gli stati di coscienza modificati si distinguono clinicamente per le seguenti
proprietà:
_ alterata percezione del tempo
_ assenza di confini tra sé e il mondo esterno
_ alterata percezione dei rapporti spaziali

36
_ dispercezioni visive (per es. alterazioni dei volti dei compagni).
L’assunzione di diossi-derivati porta a tachicardia, midriasi, mani fredde e
sudate, vasocostrizione periferica (dovuta anche all’attività sui recettori
periferici 5-HT2, localizzati a livello venoso e arterioso, a eccezione di muscolo
scheletrico e cardiaco). Inoltre è stato evidenziato come l’attività stimolante sia
più accentuata nelle forme L, mentre quella allucinogena sia più pronunciata
nelle forme D: normalmente le pasticche contengono una miscela racemica,
con variabili proporzioni dei due isomeri e con conseguenti attività diverse. A
titolo d’esempio, nei ratti l’isomero d-MDA è alquanto aritmogenico e anche
dosi moderate possono essere causa di aritmie ventricolari (questo potrebbe
spiegare alcuni casi di morte improvvisa associata all’uso di MDA). Ad ogni
modo, le attività cerebrali dei diossi-derivati sono ancora lontane dall’essere
chiare, basti pensare al fatto che la serotonina esplica un controllo di tipo
inibitorio nei confronti dei neuroni noradrenergici del locus coeruleus, come
pure su quelli dopaminergici meso-limbici.
Cercando di schematizzare, possiamo comunque dire che gli effetti ricercati
dell’extasy dipendono essenzialmente dalle scorte endogene di serotonina
preformata: la cosiddetta fase di “high”, durante la quale si manifestano tali
effetti, corrisponde all’aumento del rilascio di 5-HT a livello centrale. Questa
fase ha inizio 15-30 minuti dopo l’assunzione per via orale (in tempi più brevi
per assunzioni nasali o endovenose), raggiunge la massima intensità dopo circa
1 ora, poi decresce progressivamente, fino ad arrivare alla cosiddetta fase di
“down”, che si manifesta circa 6 ore dopo l’assunzione. In questa fase, gli
effetti piacevoli e ricercati dell’extasy sono ormai finiti e lasciano spazio
invece ad effetti indesiderati, primo fra tutti la stanchezza. La fase di “down” è
dovuta all’esaurimento della serotonina a livello sinaptico: difatti, mentre la 5HT viene lentamente metabolizzata dalle MAO, l’enzima triptofano-idrossilasi
è inibito dall’ecstasy stessa, per cui la produzione del neurotrasmettitore è
bloccata o nettamente diminuita. Nella fase di “down” è anche possibile che si
rendano più manifesti gli effetti simpaticomimetici, per cui mano a mano che la
serotonina diminuisce, prende il sopravvento la noradrenalina, così che il

37
soggetto, da affabile, fiducioso e sensibile, diventi irritabile, sospettoso e a
volte aggressivo.
Gli assuntori abituali, che conoscono bene queste fasi, consigliano quanto
segue: “Se avete assunto una dose singola di MDMA (di circa 2mg/kg), dopo
circa 1 ora e 30 minuti avrete raggiunto la fase di picco; se vorrete prolungare
gli effetti provati in quel momento dovrete assumere circa 1/3 o ½ della dose
precedentemente assunta (…). Un dosaggio supplementare maggiore di questo
potrà produrre o aumentare effetti secondari indesiderati, senza favorire alcun
protrarsi o incrementarsi del piacere.” (Ecstasy: allargamento della coscienza
restringimento dello stomaco; produzione e distribuzione: Laboratorio
antiproibizionista Livello 57, Bologna)
Infatti, una volta che la serotonina preformata sia stata completamente liberata
negli spazi sinaptici, ulteriori dosi di MDMA non potranno aumentare ancora
gli

effetti

piacevoli,

viceversa

porteranno

a

importanti

effetti

simpaticomimetici, con ulteriore affaticamento del soggetto. Tutto ciò ha
importanti implicazioni per quanto riguarda il contesto nel quale l’extasy viene
consumata prevalentemente, la discoteca o il rave-party.
In caso di poliassunzioni una sostanza può agire sulla cinetica e/o sulla
dinamica di un’altra sostanza in modo variabile, a seconda del dosaggio, del
momento in cui la seconda sostanza viene assunta (contemporaneamente o
successivamente alla prima), della via di somministrazione.
Per quanto riguarda il poliabuso di MDMA, l’associazione più frequente è
sicuramente quella con l’alcool. Le due sostanze possono essere assunte
contemporaneamente (è segnalata l’abitudine di sciogliere le pastiglie o la
polvere in bevande alcoliche) o in tempi diversi e le interazioni biochimiche
cerebrali che ne derivano sono sconosciute. In generale, possiamo dire che
l’alcool tende ad aumentare la concentrazione ematica di altre sostanze
metabolizzate dal fegato (e quindi anche dell’extasy e degli amfetaminici), in
quanto va ad occupare gli enzimi del sistema NADH-ossidasi. Per quel che
riguarda poi le interazioni a livello cerebrale, è noto che l’azione dell’alcool è
legata al suo inserimento nel bilayer lipidico, con modificazioni della
permeabilità agli ioni e possibile dislocazione recettoriale. Ciò può anche

38
essere responsabile di modificazioni nell’attività delle sostanze che per agire
necessitano di un legame con recettori superficiali, come appunto gli
amfetamino-simili; ad es. ci potrebbe essere un disaccoppiamento tra recettore
e sistema del fosfatidilinositolo oppure è possibile che l’alcool ne faciliti
l’attivazione,

con

reazioni,

almeno

per

il

momento,

assolutamente

imprevedibili. Quel che è certo è che tale uso concomitante aumenta il rischio
di disidratazione, infatti l’alcool è fortemente diuretico (per la sua azione di
inibizione sulla secrezione di ADH) e l’ecstasy induce spesso abbondante
sudorazione (stimolata ovviamente anche dal caldo e dal ballo: si ricordi che
l’ambiente in cui viene usata l’ecstasy è solitamente la discoteca). Ad ogni
modo, dato che l’ecstasy è uno stimolante e l’alcool è un depressivo, è
prevedibile che gli effetti cerebrali si antagonizzeranno. Difatti, sono gli
assuntori stessi a riferire come l’effetto ricercato dell’MDMA sia diminuito
dall’assunzione di alcool. Un rischio di tale associazione, sempre riportato
dagli assuntori, è quello di bere eccessivamente senza rendersene conto, con
l’eventualità di “ritrovarsi completamente ubriachi non appena scende l’effetto
dell’ecstasy”. Allo stesso modo, l’assunzione di MDMA non permette al
consumatore di rendersi conto di quanto stia fumando (tabacco, hashish o
marijuana).
L’associazione tra ecstasy e droghe stimolanti come cocaina o amfetamine
classiche (soprattutto metamfetamina o “speed”) è piuttosto pericoloso, poiché
vengono fortemente accentuati gli effetti simpaticomimetici e si rischiano gravi
aritmie cardiache. Inoltre la metamfetamina aumenta l’aggressività già a basse
dosi, per cui l’associazione con cocaina o ecstasy (che, oltre all’effetto
simpaticomimetico, altera le percezioni sensoriali) può spingere ad atti
incontrollati di violenza. Anche blandi stimolanti come caffè, guaranà, ginseng
e bevande energetiche come Red Bull o XTC possono aumentare l’effetto
stimolante dell’ecstasy.
Un’altra importante associazione è quella tra ecstasy ed oppiacei e in tal caso
bisogna distinguere due situazioni diverse. Nel caso dei tossicodipendenti da
oppiacei, si ha solitamente un’assunzione contemporanea di eroina ed ecstasy
(o amfetamine classiche) per via endovenosa. Poiché gli effetti di queste due

39
categorie farmacologiche sono opposti, i risultanti stati d’animo e sensazioni
saranno alquanto altalenanti e potranno risultare piacevoli o sgradevoli. Inoltre,
l’effetto stimolante degli amfetaminici può andare a coprire quello sedativo
degli oppiacei, col rischio di eccedere nella dose di eroina e di rendere quindi
più probabile l’overdose. Abbiamo poi il caso degli assuntori di ecstasy che
fumano eroina quando permangono troppo a lungo gli effetti stimolanti o
simpaticomimetici: questi soggetti, a lungo andare, rischiano di sviluppare una
inconsapevole dipendenza fisica agli oppiacei.
L’LSD viene a volte usato in associazione all’MDMA per ottenere piacevoli
stati psichedelici: dato però che l’effetto degli allucinogeni dipende molto dalle
condizioni psichiche dell’assuntore, se l’LSD viene somministrato durante la
fase di discesa dell’ecstasy, è possibile che le allucinazioni siano di tipo
angosciante o spaventoso, con reazioni imprevedibili da parte del soggetto. Per
questo, forse, gli assuntori più esperti e “navigati” consigliano di tenere basse
le dosi di LSD. Per quanto riguarda la chetamina, invece, essa viene per lo più
usata a basse dosi per togliere l’effetto simpaticomimetico dell’ecstasy.
Farmacocinetica
Il profilo farmacocinetico della MDMA è simile a quello delle amfetamine
classiche: in seguito ad assunzione orale, l’effetto ricercato ha inizio dopo circa
30 minuti e raggiunge l’apice dopo 1-1,5 ore, scomparendo poi lentamente in
4-6 ore. Le diossiamfetamine vengono in parte metabolizzate nel fegato,
mediante reazioni di N-demetilazione, O-dealchilazione, deaminazione e
coniugazione, e in parte escrete come tali per via renale: per fare un esempio, il
più importante metabolita della MDMA è la MDA, ottenuta tramite Ndemetilazione, ed entrambe si ritrovano nelle urine. Il metabolismo di questi
composti è però ancora in gran parte sconosciuto, tant’è vero che esistono
discrepanze tra reperti urinari ed ematici: ad esempio, è possibile ritrovare
MDEA nel sangue e MDMA nelle urine.

40
VI- I quadri di intossicazione

1) INTOSSICAZIONI ACUTE
L’intossicazione acuta da amfetaminici ed in particolare da MDMA si
manifesta solitamente con ipertermia, tachicardia, ipertensione, agitazione
psicomotoria e aggressività, che rappresentano essenzialmente gli effetti
indesiderati dai consumatori di tali sostanze. Ovviamente, esistono vari gradi di
intossicazione acuta, pertanto potremo avere casi lievi, che vanno incontro ad
autorisoluzione e non portano a particolari problemi, e casi più gravi, che
possono esitare nella morte del soggetto. I livelli ematici ai quali compaiono
queste manifestazioni sono però piuttosto variabili: un soggetto che assume per
la prima volta un amfetaminico potrà manifestare questi sintomi già a basse
dosi, mentre un soggetto con una lunga storia d’abuso sarà andato incontro a
tolleranza e pertanto potrà raggiungere anche elevati livelli ematici senza gravi
sintomi da iperdosaggio. Una volta che sia iniziata la tolleranza, ad esempio, è
possibile trovare livelli ematici di di metamfetamina maggiori di 5000 ng/ml e
la maggior parte delle morti da iperdosaggio vede valori ematici che vanno da
5000 a 10000 ng/ml. Per fare un altro esempio, esiste una grossa
sovrapposizione tra livelli tossici e ricreazionali di MDMA: nelle morti da
sovradosaggio, la concentrazione ematica varia all’incirca da 100 a 1250
ng/ml.
Come per la cocaina, quindi, le morti da amfetamine sono correlabili sia con
livelli ematici molto bassi, sia con livelli molto alti, pertanto esiste una grossa
imprevedibilità nel comportamento di tali sostanze, che dipende in parte anche

41
dalle condizioni dell’assuntore. Le principali cause di morte da intossicazione
acuta sono:
_ sindrome ipertermica
_ alterazioni cardiache (gravi tachiaritmie, arresto cardiaco, infarto)
_ ictus cerebrale
_ epatite acuta fulminante.
La sindrome ipertermica è una delle più frequenti manifestazioni di tossicità
acuta delle molecole amfetamino-simili e si può manifestare a seguito
dell’assunzione sia di metamfetamina, sia di diossiderivati. Non è stato ancora
definitivamente chiarito se l’ipertermia sia da imputare ad alterazioni della
funzione dei centri termoregolatori o alla stimolazione periferica indotta dalle
catecolamine. Certamente l’aumento della temperatura corporea è legato
all’aumento dell’attività muscolare (dovuto sia al ballo in discoteca, sia alla
stimolazione dopaminergica), all’attivazione dei meccanismi simpatici di
difesa dal freddo (vasocostrizione periferica e brivido) e all’elevata
temperatura ambientale; inoltre non bisogna dimenticare che il soggetto che
assume amfetaminici non sente la stanchezza, pertanto, in discoteca, continuerà
a ballare anche oltre le proprie possibilità. Pertanto, si viene a creare una
situazione simile al colpo di calore da sforzo, che si manifesta quando la
quantità di calore prodotta dal lavoro muscolare è maggiore di quella che
l’organismo riesce a disperdere. La temperatura corporea sale a 40°C e, nei casi
più gravi, può arrivare a 43°C e solitamente è associata a forte tachicardia
(maggiore di 150 battiti al minuto) e ipotensione. Questo quadro è
accompagnato da gravi alterazioni sistemiche, quali:
_ diminuzione del livello di coscienza, fino al coma, talvolta con crisi
convulsive
_ rabdomiolisi, con conseguente iperkaliemia e acidosi
_ coagulazione intravasale disseminata (CID)
_ insufficienza renale acuta (molto frequente a causa dell’ipotensione, della
mioglobinuria e della CID).

42
La sindrome ipertermica è una situazione molto grave, che a volte può essere
risolta col dantrolene, ma che spesso porta a morte, soprattutto a causa di
riconoscimento e intervento tardivi.
Un altro grosso problema collegato all’abuso di amfetaminici è rappresentato
dall’insorgenza

di

problemi

cardiovascolari,

dovuti

essenzialmente

all’eccessiva stimolazione simpatica. Difatti, l’eccessiva liberazione di
catecolamine è cardiotossica e l’abuso protratto di simpaticomimetici porta a
cardiomiopatia.

Normalmente,

l’assunzione

di

amfetaminici

porta

a

tachicardia, la cui entità dipenderà principalmente dalla dose assunta. In alcuni
casi, la frequenza può arrivare a 180 battiti/min ed è possibile l’insorgenza di
angina e infarto o di asistolia con morte improvvisa. Inoltre, sempre a causa
dell’ipertensione simpatica, è frequente l’innalzamento della pressione
arteriosa, che a volte può però essere diminuita. Le morti da causa cardiaca
sono piuttosto frequenti in chi abusa di sostanze stimolanti, ma sono per lo più
correlate a una sottostante patologia cardiaca: in caso di uso prolungato di
amfetaminici, sono essi stessi causa di cardiomiopatia. Esistono casi di infarto
del miocardio insorto in soggetti con cuore sano che hanno fatto uso di
amfetaminici: in questi casi entrano probabilmente in gioco più fattori
contemporaneamente, come spasmo coronarico, aumento della pressione
arteriosa, tachicardia e aumentate richieste di ossigeno da parte del cuore,
induzione dell’aggregazione piastrinica. Questi meccanismi sembra entrino in
gioco anche a seguito dell’inalazione di vapori di metamfetamina, che vengono
ritenuti responsabili pure dell’insorgenza di edema polmonare acuto.
Un’altra possibile causa di morte da amfetaminici è l’ictus, ischemico o
emorragico, collegato soprattutto alla metamfetamina. In alcuni casi, l’ictus è
da mettere in relazione con una vasculite, in altri con preesistenti
malformazioni atero-venose, ma spesso non si riscontrano anormalità. Inoltre,
il sanguinamento non segue la tipica distribuzione delle emorragie correlate a
ipertensione, più frequenti nei gangli della base e a livello ipotalamico, ma è
prevalentemente localizzato ai lobi frontali. Alla base di questi sanguinamenti
sembra esserci una vasculite necrotizzante, legata all’abuso di amfetaminici o a
poliabuso.

43
Infine, non sono da sottovalutare le reazioni idiosincrasiche, che possono
portare a epatite acuta fulminante. Sebbene alcuni amfetaminici (pemolina e
metilfenidato) siano epatotossici e la metamfetamina possa aumentare
l’epatotossicità di altre sostanze (per es. il tetraclururo di carbonio), i casi di
epatite acuta, a volte fulminante; sembrano legati essenzialmente a
idiosincrasia nei confronti dei contaminanti presenti nelle preparazioni illegali.
2) INTOSSICAZIONI CRONICHE
L’uso protratto di amfetaminici (e MDMA in particolare) porta a problemi
diversi, a seconda delle modalità di assunzione, dei meccanismi d’azione delle
sostanze e della predisposizione individuale.
Sistema cardiovascolare
E’ noto come l’abuso di amfetaminici porti ad alterazioni cardiache e vascolari,
con sviluppo di cardiomiopatia e ipertrofia della tonaca muscolare vasale, con
successiva ipertensione. Nonostante la causa di queste alterazioni sia
rappresentata dall’eccesso di catecolamine circolanti, esattamente come accade
in caso di abuso di cocaina, e considerando il grande numero di persone che,
soprattutto in passato, ha fatto uso di amfetamine, l’incidenza di infarto
amfetamino-dipendente è piuttosto bassa. Gli infarti del miocardio sono quindi
più frequentemente associati ad abuso di cocaina, mentre l’abuso di
amfetamine

porta

essenzialmente

allo

sviluppo

di

cardiomiopatie.

Recentemente, una possibile spiegazione di questa differenza è stata data dalla
biologia molecolare: l’aumento della temperatura corporea legata all’uso di
amfetaminici determinerebbe la produzione di proteine da shock termico (HSP)
nel miocardio. Le HSP sono proteine prodotte normalmente, in piccole
quantità, da tutti i tessuti e la loro sintesi aumenta a seguito di stress di varia
natura, come calore, radicali liberi, alterazioni del pH; si ritiene che queste
proteine abbiano la funzione di aiutare il corretto avvolgimento delle proteine
neosintetizzate e di rinaturare le proteine denaturate, pertanto proteggono
l’integrità e la funzionalità delle cellule che le producono. Allora l’ipertermia
ripetuta indotta dalle amfetamine sarebbe in grado di proteggere il cuore dal
danno ischemico, proprio grazie alle HSP; ovvero perché insorga un infarto in

44
un consumatore di amfetaminici è necessaria un’ischemia maggiore di quella
necessaria allo sviluppo di infarto miocardico nei consumatori di cocaina.
Il principale problema cardiaco legato all’abuso di amfetaminici è
rappresentato da una cardiomiopatia caratterizzata da aree di fibrosi, emorragie
focali subendocardiche, alterazioni dei miociti (disorganizzazione, granularità,
ipertrofia), infiltrati linfocitari. A peggiorare il quadro, si aggiunge l’ipertrofia
della tonaca media delle arteriole. Si ritiene che questa cardiomiopatia sia alla
base delle morti improvvise legate all’abuso di amfetaminici, morti che sono
per lo più dovute ad alterazioni della conduzione miocardica. La presenza di
reperti di mioglobinuria è costante nella letteratura, conseguente alla
rabdomiolisi.
Riportiamo di seguito alcuni quadri istopatologici, nei quali è evidente il danno
cellulare causato da elevati livelli di catecolamine:

Cuore: distruzione di miociti, accompagnata dalla migrazione linfocitaria
(EE, 400 X)

45
Alterazione delle miocellule cardiache: il quadro è sovrapponibile alle lesioni
da ipertermia (SEM, 5000X).
Per quanto riguarda invece le alterazioni vascolari, sappiamo che le
catecolamine, agendo sui recettori α1-adrenergici, determinano vasocostrizione.
Uno stimolo vasocostrittore frequente mette in moto i meccanismi di sintesi
proteica, con conseguente ipertrofia della muscolatura liscia vasale, pertanto
l’uso protratto di amfetaminici, come di altre sostanze simpaticomimetiche,
porterà ad un aumento stabile della pressione arteriosa.
Polmone
La più frequente alterazione polmonare riscontrata nei soggetti che abusano di
stimolanti

simpatici

è

data

dall’arteriopatia

tromboembolica,

legata

essenzialmente all’iniezione endovenosa di tali sostanze. Infatti, soprattutto
quando sono le compresse ad essere sciolte e iniettate, i residui insolubili, come
microcristalli di cellulosa o fibre di cotone, restano intrappolati nel
microcircolo polmonare e qui determinano l’insorgenza di piccole trombosi e/o

46
di granulomi. Se le iniezioni vengono ripetute spesso, è possibile che
progressivamente insorga ipertensione polmonare, con conseguente cuore
polmonare cronico. L’amfetaminico che è stato più frequentemente associato a
tali alterazioni è il metilfenidato, che può anche essere causa di enfisema
panacinare.
Le sostanze serotoninergiche, come fenfluoramina e diossiderivati, possono
anch’esse essere responsabili dell’insorgenza di ipertensione polmonare, ma
con un diverso meccanismo d’azione. Infatti, elevati livelli di serotonina
causano contrazione delle arterie polmonari e favoriscono la proliferazione
della muscolatura liscia vasale; inoltre, i soggetti che soffrono di ipertensione
polmonare primitiva hanno elevati livelli plasmatici di serotonina. Pertanto si
ritiene che sia l’eccesso di serotonina il principale responsabile dello sviluppo
di ipertensione polmonare. L’esame istologico mette in evidenza un’ipertrofia
della tonaca media arteriolare, del tutto simile a quella legata ad eccesso di
stimolazione simpatica. In alcuni casi, è visibile anche una fibrosi eccentrica,
con ispessimento asimmetrico dell’intima e grossa diminuzione del calibro del
lume vasale.
Sistema nervoso centrale
In fase acuta emorragie ad anello perivascolari specie in regione sottocorticale.
Il SNC rappresenta il principale bersaglio degli amfetaminici, eppure sono
ancora pochi gli elementi che si conoscono per quanto riguarda la tossicità
cronica. Poiché il meccanismo d’azione è diverso, analizziamo separatamente
amfetamine classiche (le notizie fanno riferimento essenzialmente la
metamfetamina o speed) e diossi-derivati (le notizie fanno riferimento
essenzialmente alla MDMA).
Contaminanti e precursori
Nell’ambito della tossicità degli stimolanti sintetici, grande importanza riveste
il ruolo svolto da sostanze diverse dal principio attivo: nelle preparazioni
illecite, sono infatti spesso presenti vari contaminanti, a volte anche in grosse
quantità. Durante i processi di sintesi della metamfetamina e dei diossi-derivati,

47
si formano alcuni sottoprodotti, che a volte risultano essere più tossici della
droga in sé, come tossici sono spesso i reagenti utilizzati per la sintesi.
Pertanto, a seconda della professionalità di chi esegue la sintesi, del tipo di
precursori e reagenti utilizzati, dell’attrezzatura presente nel laboratorio
clandestino, si otterranno composti di purezza variabile, spesso contenenti
contemporaneamente più principi attivi. Il tipo di contaminanti presenti nelle
preparazioni illecite sarà diverso a seconda del composto di partenza. Durante
gli anni ’70, era il fenil-2-propafenone (P2P) il precursore più utilizzato, poi
divenne anch’esso una sostanza soggetta a controllo, tanto che i produttori
clandestini furono costretti a sintetizzarlo o a cambiare precursore. Il P2P può
essere sintetizzato a partire da acido fenilacetico o da acetato di piombo; tale
sostanza viene poi convertita in metamfetamina, ed eventualmente in MDMA,
utilizzando metilammina, dietil-etere, cloruro di mercurio, isopropanolo.
Vediamo quindi come, tramite questa via sintetica, sia possibile che nel
prodotto finale compaiano metalli pesanti, come piombo e mercurio. Altre vie
prevedono

l’impiego

in

partenza

dal

MDP-2-P

(3,4

metilendiossi

fenil2propanone), dal piperonale, dal safrolo.
Un’altra via sintetica, oggi largamente utilizzata, vede come precursori
l’efedrina o la pseudoefedrina e in tal caso viene usato fosforo rosso come
catalizzatore. In questo caso, i contaminanti più pericolosi sono lo stesso
fosforo rosso, che è altamente tossico già a piccole dosi (agisce soprattutto sul
SNC ed è mortale), e la 2-(fenilmetil)fenetilamina, che è epatotossica (si pensa
sia la principale responsabile dei casi di epatite acuta fulminante). La crescente
popolarità di questa via sintetica, ha reso necessario porre sotto controllo la
produzione e la vendita di efedrina e pseudoefedrina, come già era successo per
il P2P.
Le vie di sintesi per le metilendiossiamfetamine sono molto simili,
differenziandosi solo per le sostituzioni di metilamina e N-metilformamide con
analoghi; inoltre, con l’eccezione della reazione di Ritter, i metodi vanno bene
anche per la sintesi di amfetamina e metamfetamina.
Pertanto, considerando la preparazione spesso molto approssimativa di chi
opera tali sintesi e le condizioni in cui essa viene effettuata, è intuitivo che, a

48
prescindere dal metodo utilizzato, nel prodotto finito saranno presenti
intermedi di sintesi, contaminanti, solventi e reagenti chimici non
adeguatamente allontanati, alcuni dei quali altamente tossici o cancerogeni.
Il piombo è spesso presente nelle preparazioni illecite di metamfetamina,
MDMA, MDA e altri composti amfetamino-simili; la sua concentrazione è
piuttosto variabile e in letteratura vengono riportati valori da 0,1 a 50mg per
compressa (la quale pesa mediamente 1g). Quindi è possibile, nei consumatori
abituali, lo sviluppo di un vero e proprio saturnismo, mentre le intossicazioni
acute da piombo sono rare e legate essenzialmente all’iniezione endovenosa di
amfetaminici che ne contengano elevate quantità. Come è noto, il Pb è tossico
e va incontro a deposito in vari organi e tessuti, soprattutto nell’osso: a seguito
di particolari condizioni, come gravidanza, malattie infettive, fratture, dieta
povera di calcio, alcolismo, i depositi possono venire mobilizzati, con aumento
della piombemia e possibilità di sviluppo di quadri clinici acuti.
A livello di mass-media ma anche in qualche pubblicazione scientifica si è
dibattuto sulla realtà o meno di casi effettivamente di parkinsonismo, che
peraltro sembra che debbano essere prevalentemente ascritti al problema dei
precursori o contaminanti nella produzione delle compresse di ecstasy. Fra le
sostanze segnalate come potenzialmente capaci di indurre quadri di
parkinsonismo

ricordiamo

l’1metil4fenil1,2,3,6tetraidropiridina

nella

fabbricazione della meperidina, estremamente tossica per la substantia nigra.
L’osservazione è importante dato che il dibattito sulla tossicità della MDMA è
centrato sui suoi effetti sul sistema serotoninergico piuttosto che su quello
dopaminergico.
Rimane ancora da segnalare che alcuni casi di tossicità acuta da MDMA con
esito fatale si verificano, anche se raramente, in assuntori di sesso femminile
per inibizione e blocco dell’ADH, con conseguente compromissione
dell’attività renale (Schifano).

49
VII-

Tolleranza, dipendenza e aspetti neuropsichiatrici

I disturbi correlati all’uso di sostanze vengono contemplati nel DSM IV, dove
troviamo la seguente classificazione, inerente ai disturbi legati alle sostanze di
tipo amfetaminico:
_ sintomi da sospensione
_ delirio da intossicazione (delirium)
_ disturbo psicotico (con delirio o con allucinazioni)
_ disturbo dell’umore
_ disturbo d’ansia
_ disfunzioni sessuali
_ disordini del sonno
_ disturbi non altrimenti specificati.
Si parla di abuso quando la sostanza viene usata attraverso una modalità
patologica, caratterizzata da segni di intossicazione, dalla incapacità di
interromperne l’uso e dal bisogno di un’assunzione quotidiana per funzionare
adeguatamente (con conseguente compromissione delle attività sociali e
lavorative), con durata dei disturbi di almeno un mese. Si parla invece di
dipendenza quando siano presenti i fenomeni di tolleranza (necessità di
aumentare la dose per ottenere l’effetto desiderato) e astinenza (sintomatologia
di vario tipo e gravità, dovuta a cessazione o grossa diminuzione dell’uso di
una sostanza psicoattiva in precedenza assunta ripetutamente). Tali concetti di
abuso e dipendenza sono applicabili a tutte le sostanze psicoattive, ma nel caso
degli amfetaminici e di altre droghe ricreazionali (come cocaina e
allucinogeni), l’uso il più delle volte non è quotidiano, ma episodico,
soprattutto concentrato nel fine settimana, e può essere intervallato da lunghi
periodi di sospensione.

50
Nello sviluppo e nel mantenimento del comportamento d’abuso, ha un ruolo
fondamentale il sistema dopaminergico. In particolare, esistono centri della
gratificazione appartenenti al sistema limbico a cui arrivano afferenze
dopaminiche, tramite la via meso-limbica e meso-corticale, che sembrano
essere essenzialmente rappresentati da nucleo accumbens e corteccia
prefrontale. Qualsiasi evento esterno che sia in grado di stimolare questi centri
sarà giudicato piacevole e da ripetere. L’intensità della sensazione gratificante
sembra poi essere correlata alla quantità di dopamina liberata, soprattutto nel
nucleo accumbens. Ma la continua stimolazione di questi centri tende a
elevarne la soglia di risposta e ciò rappresenta la base dell’insorgenza di
tolleranza, che sarà presente anche nei confronti dei normali stimoli
gratificanti. Nella fattispecie, l’astinenza da stimolanti centrali sarà
caratterizzata da elevazione della soglia di risposta agli stimoli normalmente
piacevoli, come ad esempio l’attività sessuale. Dal momento che insorge
tolleranza, il soggetto che fa uso di amfetaminici tenderà ad aumentarne la
dose, favorendo così anche l’insorgenza di intossicazione. Esistono poi soggetti
che anziché andare incontro a fenomeni di tolleranza, sviluppano una
sensibilizzazione agli amfetaminici: in tal caso, anche basse dosi di sostanza
possono produrre una intossicazione, con evidente ipertono simpatico e/o
psicosi.
Il DSM IV definisce l’intossicazione anfetaminica come la presenza di
alterazioni del comportamento o cambiamenti psicologici clinicamente
significativi, che si sviluppano durante o poco dopo (entro 1 ora) l’assunzione
di sostanze amfetaminiche. In caso di intossicazione acuta, le piacevoli
sensazioni di “high” ed euforia sono seguite da ansietà e senso di allarme,
tensione, comportamenti stereotipati e ripetitivi, rabbia, aggressività,
diminuzione della capacità di giudizio, che può anche portare a comportamenti
alquanto pericolosi, per sé e per altri. In caso di intossicazione cronica, ci
possono essere ottundimento emotivo, affaticamento, tristezza, senso di
inadeguatezza sociale. Ovviamente, l’entità di queste manifestazioni dipenderà
dalla dose assunta e dalle caratteristiche del soggetto.

51
Questo quadro clinico può poi essere accompagnato da disturbi della
percezione (allucinazioni visive, uditive e tattili), che compaiono in assenza di
delirio, ovvero in uno stato di coscienza lucida, nel quale il soggetto si rende
conto che le allucinazioni sono indotte dalla sostanza. Se invece le
allucinazioni compaiono in un quadro di alterazione della coscienza, deve
essere presa in considerazione la diagnosi di “disturbo psicotico indotto da
amfetaminici, con allucinazioni”.
Sono stati descritti casi di attacchi di panico persistenti per lungo periodo,
aumento dell’aggressività ma sempre secondo il modello dell’azione bifasica
delle amfetamine come classe in generale, deficit cognitivi e soprattutto
disturbi dell’attenzione.
Il periodo della sospensione dell’uso
I classici modelli di astinenza dagli oppiacei e dall’alcool non sono applicabili
agli stimolanti centrali; nel caso infatti di cocaina e amfetaminici, possiamo
idealmente suddividere la sintomatologia da sospensione in tre fasi. Nella
prima fase, compare uno stato disforico (ricordiamo che per “disforia” si
intende un umore irritabile a tonalità sgradevole), solitamente associato ad
affaticamento, insonnia o ipersonnia, incubi, aumento dell’appetito, agitazione
o rallentamento psicomotorio. Questa fase tende ad autolimitarsi, però può
comunque causare problemi nella sfera lavorativa e sociale del soggetto.
Nella seconda fase, permane un senso di ansia, anergia, anedonia: ciò,
associato agli ambienti e/o alle situazioni in cui si è soliti assumere lo
stimolante, favorisce la ripresa dell’assunzione. Similmente quindi alle altre
droghe, si avrebbe lo stato di “craving”, ovvero il desiderio incoercibile di
sostanza attiva e dei suoi effetti. Il craving è alla base del cosiddetto “drug
seeking behaviour” e si compone di due elementi: disforia, o comunque
malessere, per l’assenza della droga, e piacere anticipatorio legato al pensiero
di assumerla.
Nella terza fase, infine, si avrebbe una normalizzazione del tono dell’umore,
del tono edonico e affettivo, e del pattern del sonno. Anche in questa fase però

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Fia mdma
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  • 1. Fenilisopropilamine Introduzione Le fenilisopropilamine sono un grande gruppo di sostanze di sintesi ad attività simpaticomimetica: esistono numerose possibilità di sostituzioni, a carico dell’anello aromatico, della catena laterale e del gruppo aminico, che portano a sostanze anche molto diverse tra loro, quanto ad attività cerebrale e a specificità farmacologica. Per semplificare, è possibile dividere la classe delle fenilisopropilamine (PIA) in due grossi gruppi, che derivano da: 1) sostituzioni sulla catena laterale 2) sostituzioni sull’anello benzenico: Questa suddivisione è molto importante, poiché le caratteristiche farmacologiche dei due gruppi di sostanze si discostano, pur essendo entrambi dei forti psicostimolanti; infatti, mentre il primo gruppo (amfetamine classiche) agisce essenzialmente sui sistemi adrenergico e dopaminergico, il secondo gruppo agisce essenzialmente sul sistema serotoninergico e ha potenzialità allucinogene (metossi- e metilendiossiamfetamine). 1
  • 2. I Sistemi neurotrasmettitoriali coinvolti ad opera del gruppo delle fenilisopropilamine Come accennato in precedenza, gli stimolanti di sintesi interagiscono essenzialmente col sistema delle catecolamine e della serotonina (monoamine), in modo diverso a seconda della loro struttura. Regolano il rilascio delle monoamine in modo dose-dipendente e specifico per ogni sistema neuronale monoaminergico, sia favorendo il rilascio di trasmettitore che inibendone il reuptake, fatta eccezione per le fibre dotate di autorecettori, sia somatiche sia terminali, con la conseguenza che nel meccanismo d'azione è osservabile un aspetto bifasico, correlato a dosi generalmente anche medio-alte, tranne che per la norepinefrina, che manifesta carattere bifasico nella risposta a basse dosi di amfetamina. La risposta bifasica allo stimolo è molto importante nello studio della varietà di aspetti comportamentali che si osservano nel consumo di amfetaminici e stimolanti in genere, soprattutto quando a dosaggi elevati si manifestano atteggiamenti aggressivi e violenti e addirittura stereotipie. I simpaticomimetici comprendono sia amfetaminici e loro derivati, che molecole a diversa struttura, utilizzate per il trattamento dell’obesità come anoressizzanti (fenmetrazina, fendimetrazina, dietilpropione); gli amfetaminici comprendono l'amfetamina (racemo), la metamfetamina, la benzfetamina e i derivati diossimetamfetaminici. I neurotrasmettitori modulati sono la dopamina, la serotonina e la norepinefrina, in quanto agonisti dei recettori monoaminergici e antagonisti (come inibitori) dell’attività della tirosinaidrossilasi e del gruppo MAO b (centrale). Si definiscono simpaticomimetiche tutte quelle sostanze in grado di mimare l’azione delle catecolamine naturali (adrenalina, noradrenalina e dopamina), attive sui recettori α, β e DA, presenti a livello centrale e periferico. Tali sostanze possono essere distinte in tre gruppi: catecolamine, agonisti non catecolici ad azione diretta e simpaticomimetici indiretti. In quest’ultimo 2
  • 3. gruppo rientrano l’efedrina, l’amfetamina e i suoi derivati. La molecola di base di tutti questi composti è la feniletilamina, che, variamente sostituita, dà luogo ai diversi simpaticomimetici: _sostituzione sul gruppo aminico: maggiore è il sostituente alchilico e maggiore è l’attività sui recettori β, mentre minore è l’attività sui recettori α _sostituzione sull’anello benzenico: il massimo dell'attività α o β stimolante si ha con le catecolamine, che hanno gruppi idrossilici su C 3 e C4. L’assenza di un idrossile, soprattutto su C3, senza altre sostituzioni sull’anello può diminuire drasticamente la potenza stimolante della molecola. L’assenza di uno o entrambi gli idrossili, però, aumenta la biodisponibilità orale e prolunga l’attività, permettendo anche la distribuzione al SNC. _sostituzione sul carbonio α: impedisce l’ossidazione da parte delle MAO e prolunga il tempo d’azione, soprattutto dei farmaci non catecolaminici. I composti α-metilati sono detti fenilisopropilamine e sono stimolanti indiretti, per cui, almeno in parte, la loro azione dipende dalle scorte endogene di catecolamine. Con la denominazione di amfetaminici, o amfetamine, si indicano i diversi composti derivati dall’amfetamina, le cui attività dipendono dalle varie sostituzioni ottenute dal composto di base, la destroamfetamina (o fenilisopropilamina). Così, ad esempio, mentre l’amfetamina inibisce il recupero sinaptico delle catecolamine (soprattutto noradrenalina e dopamina), una sostituzione sull’anello benzenico la trasforma in una sostanza serotoninergica. Se il gruppo sostituente è poi di tipo metossilico, la sostanza acquisisce anche proprietà allucinogene. Quindi, modificando anche solo leggermente la struttura di base, è possibile ottenere composti con caratteristiche farmacologiche diverse, che vengono anche chiamate “designer drugs” (o droghe progettate o droghe d’autore). Queste sostanze vengono sintetizzate in laboratorio per ottenere prodotti finalizzati all’ottenimento di effetti particolari a prezzi contenuti, a partire da molecole lecitamente utilizzate in campo farmaceutico, industriale o domestico. 3
  • 4. Le catecolamine vengono prodotte a partire dall’aminoacido tirosina introdotto con la dieta: per idrossilazione si ottiene la L-DOPA e per successiva decarbossilazione si ottiene la dopamina. Quest’ultima può poi essere trasformata in noradrenalina grazie ad una idrossilazione. L’adrenalina si ottiene, infine, per metilazione del gruppo amminico. Sistema dopaminergico I neuroni dopaminergici sono per lo più localizzati a livello mesencefalico e diencefalico. Il raggruppamento più consistente si trova nella sostanza nera mesencefalica, la quale, insieme a piccoli gruppi vicini di neuroni dopaminergici, dà estese proiezioni ascendenti, che possono essere distinte in: _via nigro-striatale: diretta ai nuclei caudato, putamen e amigdala, fa parte del sistema extrapiramidale; la degenerazione di questa via è alla base del morbo di Parkinson _via meso-limbica: diretta a diverse formazioni del lobo limbico, come nucleo accumbens, tubercolo olfattorio e setto; è coinvolta quindi nelle vie emotive e si considera iperattiva nella schizofrenia _via meso-corticale: diretta prevalentemente alla corteccia prefrontale, al giro del cingolo, all’amigdala e all’area piriforme; è stato ipotizzato il coinvolgimento di questi sistemi nella regolazione della sfera emozionale. Il gruppo diencefalico è localizzato nell’ipotalamo e dà sistemi a proiezione breve (intraipotalamica) e media, come: _via tubero-infundibolare: i corpi cellulari sono localizzati nel nucleo arcuato (o infundibolare) e inviano fibre afferenti ai lobi intermedio e posteriore dell’ipofisi e all’eminenza mediana; si ritiene che la dopamina sia da identificare con il fattore inibente il rilascio di prolattina e che possa anche inibire la secrezione di ACTH, _sistema incerto-ipotalamico: origina nel talamo caudale e termina nelle aree anteriore e dorsale dell’ipotalamo. Infine, neuroni dopaminergici sono presenti nella retina, nel bulbo olfattorio, nell’area postrema del bulbo e nei gangli periferici. 4
  • 5. Esistono almeno cinque tipi diversi di recettori per la dopamina: D1 e D2 sono noti da tempo e ben caratterizzati, mentre gli altri sono stati identificati di recente. Recettori D1: sono presenti a livello centrale nei nuclei caudato, putamen e accumbens, nel tubercolo olfattorio e nella sostanza nera mesencefalica; sono presenti anche a livello periferico, a livello della muscolatura liscia dei vasi renali, mesenterici, coronarici e cerebrali (vasodilatazione) e a livello delle paratiroidi (rilascio di paratormone). Questo recettore è accoppiato a una proteina GS e così attiva l’adenilato ciclasi, con produzione di cAMP. Recettori D2: sono presenti a livello post- e presinaptico nel SNC e hanno un’attività opposta ai recettori D1, poiché sono accoppiati a una proteina GI, che inibisce l’adenilato ciclasi. I recettori D2 postsinaptici sono localizzati a livello striatale, dove inibiscono i neuroni colinergici, a livello infundibolare, dove inibiscono la secrezione di prolattina, e nella zona chemocettrice dell’area postrema. I recettori D2 presinaptici inibiscono sintesi e rilascio di dopamina da parte delle terminazioni assoniche. I recettori D2 possono anche attivare altri sistemi di trasduzione del segnale, oltre all’inibizione dell’adenilato ciclasi, ovvero possono aumentare la conduttanza al K+ e diminuire quella al Ca++, agendo sui canali ionici. Queste diverse risposte possono anche verificarsi contemporaneamente, come si è stato documentato sperimentalmente a livello delle cellule lattotrope ipofisarie. Recettori D3: sono simili ai recettori D2, poiché inibiscono la produzione di cAMP; sono presenti a livello pre- e postsinaptico nel tubercolo olfattorio, nel nucleo accumbens e nell’ipotalamo. Recettori D4: sono simili ai recettori D2 e D3 e inibiscono la produzione di cAMP e aumentano la conduttanza al K+; sono localizzati nella corteccia frontale, nel mesencefalo e nelle aree limbiche. Recettori D5: sono simili ai recettori D1, poiché stimolano la produzione di cAMP, ma sono assai meno numerosi, pur avendo una maggior affinità per la dopamina. Sono per lo più localizzati a livello di ippocampo e ipotalamo. Sintetizzando, i ruoli principali del sistema dopaminergico sono due: 5
  • 6. A) azione inibitrice sullo striato (centro di integrazione motoria, che a sua volta inibisce il pallido): quindi la dopamina favorisce la scarica attivatrice del pallido sulle aree motrici corticali e sui nuclei del tronco encefalico; B) modulazione delle emozioni per attività sul lobo limbico (ippocampo, amigdala e nucleo accumbens soprattutto); in particolare la dopamina sembra avere un ruolo importante nella fisiologia delle sensazioni di piacere e gratificazione (accanto al sistema degli oppioidi endogeni): alterazioni della trasmissione dopaminergica a livello mesolimbico sembrano, infatti, costituire il substrato neurochimico della dipendeza da sostanze di abuso. P. Romualdi e Coll. hanno dimostrato come cocaina e metamfetamina partecipino al meccanismo di down regulation del sistema oppioide endogeno al pari della morfina, con una specificità che si manifesta in peculiari aspetti di danno cellulare in aree cerebrali diverse. L’interazione fra i sistemi oppioide e dopaminergico costituisce la base dell’adattamento cerebrale all’esposizione cronica a sostanze di abuso (plasticità neuronale), base molecolare dell’addiction. In particolare la cocaina induce una diminuzione dell’espressione genica per la prodinorfina nell’ipotalamo, un suo aumento nello striato, e nessuna variazione nel nucleo accumbens e nell’ippocampo. La metamfetamina stimola la prodinorfina nell’ipotalamo, striato, corteccia frontale, ma non nel nucleo accumbens e nell’ippocampo. Dato che le vie mesocorticolimbiche contengono prevalentemente neuroni dopaminergici è chiaro che il meccanismo di gratificazione nell’uso di queste sostanze coinvolge l’interazione fra il sistema oppioide e quello dopaminergico. Inoltre l’inibizione del reuptake, sperimentale con inibitore specifico (GBR 12909), della dopamina regola l’espressione della prodinorfina nell’ipotalamo mentre l’aumento osservato dopo somministrazione cronica di cocaina non può essere collegato ad una inibizione dell’uptake di dopamina, dato che il fatto non è indotto da un inibitore selettivo dell’uptake di dopamina. Tutto ciò suggerisce come l’espressione della prodinorfina modulata dalla cocaina nel putamen e caudato possa essere mediata dall’inibizione dell’uptake della norepinefrina e della serotonina, ovvero una combinazione di due o tre neurotrasmettitori. Stesse considerazioni possono essere condotte sul meccanismo di azione della 6
  • 7. metamfetamina, estendendole oltre che all’espressione della prodinorfina anche a quella della dinorfina A. Sistema adrenergico I neuroni noradrenergici sono localizzati nel tronco encefalico; il raggruppamento più consistente corrisponde al locus coeruleus, localizzato nella parte posteriore del ponte. Esso riceve afferenze in pratica da tutto il SNC e, a sua volta, manda proiezioni a midollo spinale, cervelletto, talamo, corteccia e sistema limbico. Gruppi più piccoli di neuroni noradrenergici sono localizzati nella formazione reticolare e nel contesto di nuclei di nervi encefalici (nucleo del tratto solitario e nucleo dorsale del vago). L’insieme dei neuroni noradrenergici dà luogo a un’ampia proiezione, estesa in senso sia rostrale, sia caudale, che raggiunge praticamente tutte le formazioni del SNC, tanto che si parla di sistema noradrenergico a proiezione diffusa. Esso fa parte del sistema reticolare attivatore ascendente (SRAA), che ha un’azione di attivazione diffusa della corteccia telencefalica e interviene in funzioni importanti, come la regolazione di sonno e veglia, la modulazione del comportamento e le risposte di allarme. Esistono poi raggruppamenti di neuroni adrenergici bulbari: essi svolgono importanti funzioni nel controllo delle risposte vasopressorie da parte del SNC. Adrenalina e noradrenalina sono prodotte anche perifericamente: infatti, la noradrenalina è il mediatore della maggior parte delle terminazioni postgangliari ortosimpatiche ed entrambe le catecolamine vengono sintetizzate nella midollare del surrene, che ha origine dalla cresta neurale. Questa ghiandola produce per l’80% adrenalina e solo per il 20% noradrenalina: piccole quantità di catecolamine vengono liberate anche in fase di riposo, ma è sotto l’influenza di stress esogeni o endogeni (situazioni di emergenza, ipoglicemia, ferite, infezioni) che si ha la massima attività secretiva ghiandolare. Quindi entrambe le sostanze rappresentano importanti fattori di regolazione nelle situazioni di stress, ma mentre l’adrenalina circolante è di provenienza surrenalica, la noradrenalina è per lo più di provenienza simpatica. 7
  • 8. I recettori adrenergici sono ampiamente rappresentati nell’organismo e si possono suddividere in due gruppi, α e β, a loro volta suddivisi in due sottotipi. Recettori α1: sono presenti a livello centrale e periferico e sono esclusivamente postsinaptici. La loro attivazione porta a un aumento della concentrazione citoplasmatica di Ca++, grazie al sistema del fosfatidilinositolo di membrana, che viene scisso dalla fosfolipasi C in diacilglicerolo e inositolo trifosfato: quest’ultimo è poi responsabile della liberazione del Ca++ dai depositi. A livello periferico, sono localizzati sulla muscolatura liscia, dove inducono contrazione, in particolare vasocostrizione, piloerezione, midriasi, aumento del tono sfinteriale. Recettori α2: sono anch’essi presenti a livello centrale e periferico, ma sono prevalentemente presinaptici; agiscono inibendo l’adenilato ciclasi, grazie all’accoppiamento con una proteina Gi. I recettori presinaptici inibiscono la liberazione di noradrenalina da parte dei terminali assonici; un analogo meccanismo di feed-back negativo è operato da collaterali delle fibre efferenti, che stimolano autorecettori α2 localizzati sul corpo cellulare. Tali recettori sono presenti anche su alcune terminazioni colinergiche centrali, sempre con un’attività inibitoria; al contrario, sulle terminazioni colinergiche periferiche sono presenti recettori α2 che facilitano la liberazione di acetilcolina. Recettori β: i recettori β1 e β2 sono molto simili dal punto di vista biochimico e funzionale e stimolano entrambi l’adenilato ciclasi con produzione di cAMP; si differenziano però per una diversa distribuzione e per una diversa affinità di legame con adrenalina e noradrenalina: infatti, mentre i recettori β1 sono ugualmente stimolati dalle due catecolamine, i recettori β2 hanno una maggior affinità per l’adrenalina. I recettori β1 sono presenti in tutto il SNC, tranne nel cervelletto, e sono particolarmente abbondanti negli strati superficiali della corteccia, nel nucleo accumbens, nel tubercolo olfattorio, nella sostanza nera e nella pia madre. A livello periferico sono invece localizzati in cuore e tessuto adiposo. 8
  • 9. I recettori β2 sono localizzati prevalentemente nel cervelletto, mentre a livello periferico sono localizzati sulla muscolatura liscia, dove inducono rilasciamento, in particolare a livello bronchiale, venoso, digerente e nelle arteriole del muscolo scheletrico, e nel fegato, dove inducono glicogenolisi e gluconeogenesi. Quindi, il sistema adrenergico, oltre ad avere un fondamentale ruolo di controllo vegetativo, è coinvolto nella regolazione dei meccanismi di sonno e veglia e delle sensazioni di allarme e paura. Si pensa inoltre che i circuiti che esistono tra locus coeruleus e corteccia cerebrale costituiscano il substrato neuroanatomico dell’influenza che l’apprendimento può esercitare su dolore e paura: tale funzione sembra essere di fondamentale importanza per l’elaborazione dell’anticipazione dell’esperienza nociva. Sistema serotoninergico La serotonina viene sintetizzata a partire dall’aminoacido L-triptofano, che viene prima idrossilato a 5-idrossitriptofano e poi decarbossilato, con produzione di 5-idrossitriptamina (5-HT o serotonina). Il triptofano presente nel plasma proviene esclusivamente dagli alimenti e la sua eliminazione dalla dieta fa diminuire la concentrazione cerebrale di serotonina. Oltre che nel SNC, la serotonina è presente perifericamente nelle piastrine, nei mastociti e nelle cellule enterocromaffini del tratto digerente. I neuroni serotoninergici sono localizzati essenzialmente nel tronco encefalico e corrispondono principalmente ai nuclei del rafe, anche se non tutti i neuroni di tali nuclei sono serotoninergici. Possiamo distinguere due gruppi principali di neuroni serotoninergici: un gruppo ponto-mesencefalico, che dà proiezioni ascendenti, e un gruppo bulbare, che dà proiezioni discendenti. Analogamente al sistema noradrenergico, quello serotoninergico costituisce un sistema a proiezione diffusa, facente parte anch’esso del SRAA, e raggiunge praticamente tutti i centri del SNC: corteccia, ippocampo, amigdala, setto, ipotalamo, sostanza nera, nucleo interpeduncolare, locus coeruleus, neostriato, nuclei visceromotori e sensitivi dei nervi cranici. I fasci discendenti di origine bulbare arrivano invece a midollo spinale e cervelletto. Le sinapsi del sistema 9
  • 10. serotoninergico sono per lo più di tipo dendro-dendritico, indicative quindi di una funzione modulatoria più che eccitatoria o inibitoria del sistema. I recettori serotoninergici cerebrali sono presenti a livello sia pre- che postsinaptico e sono suddivisibili in diversi tipi, sulla base del meccanismo d’azione, della distribuzione e dell’affinità di legame con la 5-HT. Recettori 5-HT1: hanno come meccanismo d’azione l’inibizione dell’adenilato ciclasi e hanno una grossa affinità per la serotonina. Ne esistono almeno cinque sottotipi: _5-HT1A: oltre ad inibire l’adenilato ciclasi, determinano anche l’apertura di canali per il K+, con conseguente iperpolarizzazione della membrana. Sono localizzati in ippocampo, amigdala, setto, ipotalamo e nuclei del rafe _5-HT1D: ne esistono due forme, α e β, che sono codificate da cromosomi diversi, ma hanno la stessa distribuzione e lo stesso meccanismo d’azione. Sono localizzate nella sostanza nera, nei gangli della base e nel collicolo superiore. _5-HT1E: non è stato ancora ben definito _5-HT1F: è localizzato nella corteccia cerebrale, nello striato, nell’ippocampo e nel bulbo olfattorio. Il sottotipo 1B, isolato nel topo e nel ratto, si è rivelato essere un omologo di specie del sottotipo 1D, presente nell’uomo; il sottotipo 1C è stato invece incluso nei recettori 5-HT2, coi quali ha maggiori affinità funzionali. Recettori 5-HT2: hanno come meccanismo d’azione la stimolazione della fosfolipasi C, con attivazione della via del fosfatidilinositolo. Ne esistono tre sottotipi: _5-HT2A: oltre a stimolare la fosfolipasi C, determina anche la chiusura di canali per il K+; è localizzato nel claustro, nella corteccia, nel tubercolo olfattorio, nello striato e nel nucleo accumbens _5-HT2B: non è stato ancora ben definito _5-HT2C: è localizzato nei plessi coroidei, nel globo pallido, nella corteccia, nell’ipotalamo, nel setto e nella sostanza nera. Recettore 5-HT3: è costituito da un canale transmembrana a controllo chimico, la cui apertura determina l’entrata di cationi, in particolare Ca++. 10
  • 11. Recettore 5-HT4: ha come meccanismo d’azione la stimolazione dell’adenilato ciclasi e si trova a livello di ippocampo, striato, tubercolo olfattorio e sostanza nera. Recettore 5-HT5: inibisce l’adenilato ciclasi e la sua localizzazione è incerta; ultimamente è stato trovato un recettore simile, codificato da un gene diverso, per cui attualmente si considerano due sottogruppi, 5-HT5A e 5-HT5B. Recettore 5-HT6: stimola l’adenilato ciclasi e la sua localizzazione è incerta. Recettore 5-HT7: stimola l’adenilato ciclasi e si trova a livello di corteccia, setto, talamo, ipotalamo, amigdala e collicolo superiore. Data la grande diffusione del sistema serotoninergico e la grande varietà di recettori, non stupisce che tale sistema sia implicato in molte funzioni diverse, prime fra tutte il controllo dei ritmi circadiani neuroendocrini e la modulazione e l’integrazione di stimoli sensoriali. Schematizzando, il sistema serotoninergico ha le seguenti funzioni: A) controllo della soglia di eccitabilità dei neuroni bersaglio B) regolazione dei ritmi circadiani per trasmissione da un ipotetico orologio centrale (Forse localizzato proprio nei nuclei del rafe) ai nuclei ipotalamici con attività endocrina (preottico e soprachiasmatico). Il sistema serotoninergico ritma frequenza e ampiezza della secrezione circadiana soprattutto di ACTH, PRL e GH; in particolare sembra avere un ruolo nell’armonizzazione del ciclo sonno-veglia coi ritmi endocrini. Inoltre la serotonina è un inibitore degli effetti della luce sul ritmo circadiano ed è anche il precursore della melatonina, ormone prodotto dall’epifisi. Il ruolo della melatonina nei mammiferi è poco conosciuto, ma si ritiene che sia un importante fattore di regolazione dei ritmi circadiani, soprattutto in relazione alle modificazioni di luminosità ambientale. Infatti, secrezione e produzione di melatonina vengono inibite dalla luce e stimolate dal buio e tale sostanza sembra essere un importante fattore di induzione del sonno. C) controllo inibitorio dei neuroni noradrenergici del locus coeruleus e dei neuroni dopaminergici mesolimbici (recettori 5-HT3) D) controllo dell’appetito e del comportamento alimentare: infatti, la deplezione di serotonina, ottenuta tramite iniezione di neurotossine nei 11
  • 12. ventricoli cerebrali, induce iperfagia e aumento di peso, mentre un aumento di attività serotoninergica è collegata a diminuzione dell’appetito E) modulazione degli intervalli di latenza e della durata degli episodi di sonno REM e dei fenomeni motori collegati, per attività sul locus coeruleus F) modulazione della soglia dolorifica: l’aumento di 5-HT induce analgesia, probabilmente per interazioni col sistema degli oppioidi endogeni G) regolazione della temperatura corporea, attraverso i recettori 5-HT 1A (la stimolazione dei recettori presinaptici induce ipotermia nell’animale), sempre collegata ai ritmi circadiani H) modulazione e integrazione di tutti gli stimoli sensoriali, influenzando così diversi aspetti del comportamento, dall’aggressività alla condotta alimentare. Modificazioni cellulari Ora un accenno a quelli che possono essere i meccanismi molecolari alla base dell’attività cerebrale delle sostanze d’abuso. Gli effetti ricercati di una droga sono, in ultima analisi, dovuti a modificazioni nella conduttanza agli ioni, legate ad apertura o chiusura di canali transmembrana. Sono essenzialmente due i sistemi di trasduzione del segnale coinvolti in questi processi: il sistema dell’adenilato ciclasi e il sistema dei fosfatidi di membrana. Nel primo caso, il secondo messaggero è rappresentato dall’AMP ciclico, che va ad attivare la proteinchinasi A, la cui attività può determinare l’apertura di canali ionici e l’attivazione o l’inibizione di vari enzimi. Nel secondo caso, invece, abbiamo la produzione di due secondi messaggeri: l’inositolo trifosfato (IP 3) e il diacilglicarolo (DAG). L’IP3 agisce innalzando la concentrazione intracitoplasmatica di Ca++: mano a mano che il Ca++ fuoriesce dai depositi agisce con un sistema di feed-back positivo sulla propria liberazione e determina anche l’apertura di canali cationici di membrana, aumentando sempre più la sua concentrazione citosolica. Il DAG, invece, attiva la proteinchinasi C, che agisce fosforilando varie proteine e modificandone così l’attività: uno dei suoi bersagli è rappresentato proprio dalla fosfolipasi C, che viene così inibita, con interruzione della produzione di IP 3 e DAG (feed-back 12
  • 13. negativo). Il Ca++ liberato dai depositi va a legarsi a specifiche proteine, attivandole: una di queste è la calmodulina, la quale è in grado di attivare altre proteine legandosi ad esse (canali ionici, proteinchinasi, fosfatasi, fattori di trascrizione). Ma questi effetti a breve termine possono essere accompagnati da modificazioni a medio e lungo termine, sulla base di meccanismi di polarizzazione del neurone e di modificata espressione genica. L’induzione dell’espressione di geni porta alla sintesi di proteine, che possono essere rappresentate da enzimi, recettori di membrana, proteine strutturali, canali ionici. Oggi vari studi indicano che molti dei geni espressi sui neuroni possono essere diversamente regolati da diverse sostanze d’abuso. In particolare, il sistema del cAMP sembra fortemente implicato nella compulsione all’uso di sostanze psicoattive: l’esposizione cronica a tali sostanze porta infatti a una up-regulation della via del cAMP (ovvero aumenta il numero di molecole di adenilato ciclasi e proteinchinasi A). Questo fenomeno è legato all’attivazione di fattori di trascrizione che appartengono alla famiglia delle proteine FOS: l’esposizione acuta a molte sostanze d’abuso, comprese cocaina e amfetaminici, porta alla transitoria induzione di alcune di tali proteine, agendo sui sistemi di trasduzione prima ricordati. L’esposizione cronica alle sostanze d’abuso porta invece al graduale accumulo nel neurone di proteine FOS stabili, che pertanto permangono a lungo nella cellula anche dopo la cessazione dell’esposizione alla droga. Di particolare interesse sono le modificazioni che si hanno nel nucleo accumbens, che è una regione fondamentale per le sensazioni di gratificazione e ricompensa. Recenti studi indicano che l’up-regulation della via del cAMP in questo centro possa essere alla base dell’insorgenza di comportamenti appetitivi compulsivi (drug-seeking behavior), elemento alla base dei fenomeni di addiction e dipendenza. Con ciò, non bisogna assolutamente dimenticare le differenze individuali, che rendono un soggetto più o meno sensibile all’attività di una droga e più o meno esposto all’insorgenza di dipendenza. Infatti, i dati provenienti da studi su famiglie e gemelli omozigoti separati al momento dell’adozione mettono in evidenza come vi sia un contributo del patrimonio genetico nel favorire l’abuso 13
  • 14. di sostanze psicoattive. Inoltre, recenti studi su ratti transgenici dimostrano che l’alterata espressione di specifici geni appartenenti al sistema dopaminergico può influire sul comportamento di autosomministrazione della droga. E’ stato recentemente accertato il danneggiamento delle fibre sottili del rafe dorsale, mentre quelle più grosse del rafe ventrale permangono integre: a questo proposito si è osservato un fenomeno di rimodellamento neuronale nel rafe dorsale, nel senso che i neuroni presentano un neurite più breve e un aumentato numero invece di connessioni dendritiche. II- Amfetamina La α-metilazione della feniletilamina porta alla fenilisopropilamina, o amfetamina, che si può pensare come precursore di tutte le altre molecole correlate. Col termine “amfetamine” possono essere designate le sostanze classiche, come destroamfetamina e metamfetamina e, più in generale, le molecole con sostituzioni sulla catena laterale, che sono usate nella pratica clinica come 14
  • 15. anoressizzanti. Le molecole sostituite sul gruppo benzenico, invece, pur essendo sostanze amfetamino-simili, hanno alcune peculiarità, per cui verranno trattate separatamente. Il fatto che tali farmaci penetrino nel SNC e portino, oltre all’effetto terapeutico desiderato, sensazioni di benessere e vigore fisico e diminuzione della necessità di sonno, ha fatto sì che se ne diffondesse l’abuso. Le principali amfetamine classiche sono: _ D-amfetamina e metamfetamina: sono state le prime molecole del gruppo ad essere sintetizzate e in pratica clinica non sono più usate da molti anni. Furono introdotte come decongestionanti nasali e se ne diffuse rapidamente l’abuso; sono anche potenti anoressizzanti _ fenmetrazina e fendimetrazina: sono derivati amfetaminici ampiamente usati come anoressizzanti fino a pochi anni fa; hanno lo stesso meccanismo d’azione dell’amfetamina, però la fendimetrazina (Plegine) ha minori effetti cardiovascolari, ma è causa frequente d’insonnia, mentre la fenmetrazina (Preludin) ha minori effetti psicostimolanti, ma in trattamenti prolungati può essere causa di depressione psichica _ fenfluoramina (Pesos, Ponderal): agisce come anoressizzante bloccando il recupero della serotonina e non ha attività simpaticomimetica; induce però tolleranza ed è tossica per il sistema serotoninergico a dosi solo di poco superiori di quelle terapeutiche _ metilfenidato (Ritalin): non in commercio in Italia, ha una forte attività tachicardizzante _ pemolina (Deadyn): è una molecola poco attiva a livello cardiovascolare; in Italia si trova in commercio associata a L-glutammina o aspartato, come antiastenico e mnemotonico. Oltre che per il trattamento dell’obesità, le amfetamine sono state studiate anche per un eventuale uso terapeutico in patologie di rilievo: già nel 1985 Jasinski sperimentò l’associazione tra morfina e D-amfetamina per diminuire il dolore. L’associazione tra i due farmaci migliora sicuramente la risposta al dolore e diminuisce gli effetti collaterali indotti dall’uso singolo delle due sostanze; purtroppo però, questa combinazione, per gli importanti effetti 15
  • 16. euforizzanti, è anche ad alto potenziale d’abuso: eroina e amfetamine vengono spesso immesse sul mercato illecito in associazione, col duplice scopo di diminuire gli effetti collaterali dell’eroina e aggiungere un ulteriore effetto gratificante alla miscela. Il potenziale d’abuso delle amfetamine è elevato ed è in parte legato all’innalzamento del tono dell’umore e in parte legato all’effetto anoressizzante. L’abuso di D-amfetamina e metamfetamina dipende per lo più dalla ricerca dell’effetto euforizzante e anti-fatica, mentre l’abuso di fenmetrazina, fendimetrazina e fenfluoramina è collegato per lo più alla ricerca dell’effetto anoressizzante. In ambito dietologico esiste, infatti, un mercato e un uso illecito di tali sostanze, sia con prescrizione sia con auto-prescrizione, che ha portato anche a casi di intossicazione acuta. Il recente DECRETO LEGISLATIVO 24 gennaio 2000, con l’intento di arginare questo fenomeno, vieta ai farmacisti di “eseguire preparazioni contenenti fentermina, mazindololo, norpseudoefedrina, fenbutrazato, fendimetrazina, amfepranone (dietilpropione) e propilexedrina e comunque tutte le sostanze che, da sole o in associazione tra loro o con altre sostanze, abbiano lo scopo di ottenere un effetto anoressizzante ad azione centrale e i medici sono tenuti ad astenersi dal prescriverle.” Da non sottovalutare poi l’utilizzo in ambito sportivo, soprattutto non professionale. Oltre però alle molecole presenti sul mercato lecito, esistono numerosissimi amfetaminici diversi sul mercato illecito di sostanze. Farmacodinamica Le amfetamine classiche hanno un effetto simpaticomimetico sia centrale che periferico; infatti, per le loro analogie strutturali con le catecolamine, si sostituiscono ad esse a vari livelli, legandosi ai recettori pre- e postsinaptici, inibendo l’uptake del neurotrasmettitore e inibendo le MAO neuronali, con conseguente aumento dell’emivita delle catecolamine stesse. 16
  • 17. A livello periferico le amfetamine sono α1 e β1 agoniste, pertanto i principali effetti saranno: _ tachicardia e aumento della forza di contrazione cardiaca _ vasocostrizione (a eccezione del distretto muscolo-scheletrico) _ lipolisi _ piloerezione _ midriasi. A livello centrale le amfetamine agiscono sui sistemi noradrenergico e dopaminergico, sui recettori pre- e postsinaptici. Sinapsi neuronale (SEM, 8000) L’effetto immediato è quello di alterare il rilascio delle catecolamine e ciò avviene in maniera dose-dipendente e specifica per ogni sistema neuronale. L’effetto netto sul rilascio delle catecolamine è complesso, dato che le amfetamine vanno ad agire su meccanismi che aumentano il rilascio del neurotrasmettitore (blocco della ricaptazione e aumento del rilascio 17
  • 18. indipendente dall’impulso elettrico) e su meccanismi che ne diminuiscono invece il rilascio (attivazione degli autorecettori somatici e terminali). Numerosi studi, effettuati in vivo su cervello di ratto, hanno permesso di mettere in luce i meccanismi d’azione dell’amfetamina: una delle sue più note azioni elettrofisiologiche è quella di diminuire la velocità di scarica spontanea dei neuroni dopaminergici e noradrenergici. Ciò è dovuto alla stimolazione degli autorecettori somato-dendritici, con iperpolarizzazione della membrana (legata soprattutto ad un aumento di conduttanza al K +); i neuroni noradrenergici del locus coeruleus sono molto sensibili a questo sistema di inibizione elettrica, mentre lo sono meno i neuroni dopaminergici della sostanza nera (i neuroni serotoninergici dei nuclei del rafe sono sensibili solo per dosi molto più alte). L’iperpolarizzazione della membrana, mediata dall’amfetamina, si traduce in una minor liberazione di neurotrasmettitore dai terminali sinaptici. Contemporaneamente però, l’amfetamina va ad agire anche a livello sinaptico, con effetti molto simili a quelli prodotti dagli agonisti diretti. L’amfetamina induce la liberazione di catecolamine dal terminale sinaptico, le quali vanno a legarsi ai recettori postsinaptici, ma anche presinaptici: quest’ultimo legame inibisce la liberazione di ulteriori quote di neurotrasmettitore. Pertanto, l’effetto netto sarà rappresentato da un compromesso tra azioni incrementanti e diminuenti il rilascio di catecolamine. Dato però che i neuroni del locus coeruleus sono molto sensibili all’inibizione dell’attività elettrica indotta dalla stimolazione degli autorecettori somatodendritici (meccanismo che si oppone alla liberazione di catecolamine dai terminali assonici), l’amfetamina a basse dosi non induce liberazione di noradrenalina. L’amfetamina, infatti, è meno potente nel rilasciare noradrenalina di quanto non lo sia nel rilasciare dopamina: quindi a basse dosi l’effetto è per lo più dopaminergico, mentre ad alte dosi si aggiunge un effetto noradrenergico. L’amfetamina può quindi avere molteplici e svariati effetti dose-dipendenti sui neuroni; per es. si è osservato un effetto bifasico sull’attività elettrica di neuroni ippocampali, che è stato interpretato come un’azione inibitoria delle basse dosi di amfetamina sul rilascio di noradrenalina. Un effetto bifasico è stato anche osservato sull’eccitabilità dei 18
  • 19. terminali assonici di neuroni del locus coeruleus che proiettano alla corteccia frontale. Schematizzando, gli effetti neuronali dell’amfetamina da un lato favoriscono l’attività delle catecolamine e dall’altro la inibiscono. Fattori favorenti sono: _stimolazione del rilascio di catecolamine _stimolazione diretta e indiretta dei recettori postsinaptici _inibizione dell’uptake presinaptico delle catecolamine _lieve inibizione delle MAO. Sono invece fattori inibenti: _stimolazione dei recettori presinaptici _stimolazione degli autorecettori somato-dendritici. In ultima analisi, sono comunque i cambiamenti indotti a livello postsinaptico che mediano la risposta dell’organismo e le modificazioni del comportamento in seguito all’assunzione di amfetaminici. La stimolazione dopaminergica centrale porta ad aumento dell’attività motoria extrapiramidale, con tremori, digrignamento dei denti, senso di tensione alla mascella: ciò è dovuto alla stimolazione della via nigro-striatale. La stimolazione locomotoria, ovvero la spinta a camminare e a spostarsi spesso, sembra legata invece al rilascio di dopamina a livello del nucleo accumbens, soprattutto dalle afferenze provenienti dal sistema meso-limbico. Le piacevoli sensazioni di apertura mentale, aumento dell’autostima, affabilità, fiducia negli altri e accondiscendenza, fino ad arrivare all’euforia, sembrano invece dovute all’attivazione della via meso-limbica e meso-corticale. Queste sono, infatti, vie legate prevalentemente ai fenomeni di slatentizzazione, come documentato dall’analogia funzionale degli stati empatici dati dall’alcool etilico a basse dosi (inferiori di 0,5g/l). Infine, la stimolazione dopaminergica può interferire coi normali ritmi secretori di PRL e ACTH, con possibili effetti a lungo termine. 19
  • 20. La stimolazione noradrenergica centrale porta ad aumento della vigilanza e diminuzione della sonnolenza, a lucidità e prontezza di riflessi, a sensazioni di forza e vigore. Questi effetti sembrano mediati dall’attivazione del SRAA, in particolare del sistema noradrenergico a proiezione diffusa, che ha un’azione di stimolazione diffusa della corteccia telencefalica. Tali modificazioni dipendono dall’attivazione dei sistemi deputati alla regolazione dei ritmi sonno-veglia e dei comportamenti difensivi di attacco-fuga di fronte a un pericolo: per questo è anche possibile che si manifestino irritabilità e atteggiamenti aggressivi. Per quanto riguarda poi l’attività anoressizzante delle amfetamine, che si accompagna anche a diminuzione del senso della sete, sappiamo essere fondamentali entrambi i due tipi di sistemi. Il ruolo dell’ipotalamo nel consumo di cibo è stato studiato negli animali da laboratorio, praticando lesioni in diverse aree ipotalamiche o stimolandole elettricamente. Da questi esperimenti è risultato che l’area laterale rappresenta il centro della fame, mentre l’area ventro-mediale rappresenta il centro della sazietà. Da studi successivi si è però potuto rilevare come questi siano in realtà centri atipici: infatti, le lesioni dell’ipotalamo laterale (centro della fame), che inducono afagia e adipsia, interrompono la via dopaminergica nigro-striatale. Questo fascio non agisce specificamente sul consumo di cibo, ma fa parte di un sistema di rinforzo o ricompensa: l’inibizione di questo sistema interferisce con le motivazioni che spingono l’animale a mangiare (disinteresse sensoriale: in seguito a lesioni del fascio nigro-striatale di un solo lato, l’animale non presta più attenzione e non si orienta verso stimoli alimentari controlaterali). Invece, le lesioni dell’ipotalamo ventro-mediale (centro della sazietà), che inducono iperfagia, vanno a interrompere il fascio ascendente noradrenergico che innerva l’ipotalamo: la stimolazione noradrenergica dell’ipotalamo induce quindi senso di sazietà. Schematizzando quindi, l’effetto anoressizzante delle amfetamine dipende in parte dalla stimolazione noradrenergica dell’ipotalamo (senso di sazietà) e in parte dall’inibizione delle proiezioni dopaminergiche nigrostriatali (disinteresse sensoriale). Tutti questi effetti si esauriscono però per tachifilassi, poiché la deplezione di catecolamine indotta dall’amfetamina è più rapida dei processi di sintesi. 20
  • 21. Farmacocinetica L’amfetamina e i suoi derivati vengono rapidamente assorbiti dal tratto digerente e scarsamente metabolizzati dal fegato, pertanto la biodisponibilità orale è elevata, diversamente dalle catecolamine, che sono invece rapidamente metabolizzate dalle monoaminoossidasi (MAO) e dalle catecol-O- metiltranferasi (COMT) intestinali ed epatiche (presenti anche in reni e cervello). La protezione da questi due tipi di enzimi permette un prolungamento della durata d’azione e dipende dalla struttura chimica delle amfetamine: l’assenza degli ossidrili in C3 e C4 protegge dalle COMT, mentre la α-metilazione protegge dalle MAO. Dopo somministrazione orale, si ha un picco plasmatico in circa 15 minuti; l’eliminazione è quasi esclusivamente urinaria e ha inizio dopo circa 30 minuti dall’assunzione. Le amfetamine sono in parte eliminate come tali e in parte metabolizzate a livello epatico, mediante reazioni di deaminazione e idrossilazione. Così si possono formare diversi metaboliti, alcuni ancora attivi, come idrossiamfetamina e p-idrossinorefedrina, e altri inattivi, come acido benzoico ed ippurico. La curva di eliminazione delle amfetamine dipende notevolmente dal pH urinario: se il pH è acido, l’amfetamina viene eliminata rapidamente (emivita di 8-10 ore a pH=6) e prevalentemente in forma immodificata, se invece il pH è alcalino, l’amfetamina viene eliminata lentamente (emivita di 16-31 ore a pH>7,5) e per lo più sotto forma di metaboliti. Quindi, se il pH urinario è acido, l’80% della dose assunta viene eliminata in circa 24 ore, se il pH urinario è invece alcalino, l’80% della dose assunta viene eliminata in circa 5 giorni. Infine, esiste anche una differenza legata agli stereoisomeri: le forme D vengono allontanate più rapidamente delle forme L. 21
  • 22. III- Metamfetamina Durante gli anni 30 ci fu la necessità di supplire alla efedrina naturale poiché non era sufficiente per rispondere ai bisogni degli asmatici. Molti laboratori si proposero di sintetizzare l’efedrina. Uno studente (G. Alles) ebbe come tesi di laurea il progetto di sintetizzare l’efedrina. Consultò la vecchia letteratura e scoprì le ricerche di Edelano, che sintetizzò e caratterizzò le proprietà basiche della molecola Fenilisopropilamina nel 1887. Prese questa molecola come punto di partenza e da questa cercò di sintetizzare l’efedrina. Non ne fu capace ma scoprì che la fenilisopropilamina (più tardi chiamata destroamfetamina) aveva delle proprietà stimolanti; sperimentò sulle cavie e, una volta stabilitone il grado di tossicità, tentò su se stesso. La capacità di alterare lo stato d’animo fu presto evidente. Nello stesso periodo il chimico giapponese Ogata cominciò un lavoro sullo stesso argomento. Egli sintetizzò un’altra amfetamina :la dfenilisopropilamina Cl, poi conosciuta come Metamfetamina: La potente azione della metamfetamina è dovuta alla stretta analogia strutturale con la dopamina: 22
  • 23. analogia strutturale della metamfetamina con la dopamina L’efedrina fu alla fine sintetizzata nel 1929 ma non ne supplì la carenza. Ogata brevettò il suo metodo per produrre la metamfetamina alla B.W.C. che vendette la metamfetamina negli USA sotto il nome di Methedrine. Nel 1932 Smith Kline e French misero sul mercato un inalatore nasale (Benzedrine) che altro non era che fenilisopropilamina racemo. Effettivamente c’era un sollievo dalla congestione nasale ma anche dalla fatica e sonnolenza con rischi di abuso. La comunità medica rispose alla introduzione delle amfetamine come reagì alla introduzione della cocaina 50 anni prima. Le indicazioni per l’uso delle amfetamine oggi ci sembrano bizzarre: schizofrenia, antidoto per l’overdose da barbiturici, caffeinomania, fumo, sclerosi multipla, miastenia, orticaria, dismenorrea, colon irritabile, calo della libido, antidoto per la morfinemia. Alla fine della seconda guerra mondiale la richiesta aumentò tanto che il suddetto inalatore ebbe un enorme successo. Nel 1949 venne cambiato il nome dell’inalatore in Benzedrex che conteneva propilexedrina che è un potente vasocostrittore nonché blando stimolante rispetto le amfetamine. Qualche anno dopo furono segnalate le prime morti da amfetamine. Nel ratto, la metamfetamina agisce inibendo l’enzima tirosinaidrossilasi, diminuendo il numero dei siti per l’uptake presinaptico e provocando degenerazione assonica nelle aree ricche di dopamina. Dosi elevate e ripetute 23
  • 24. di metamfetamina vanno ad alterare anche i neuroni serotoninergici, determinando, sempre nel cervello di ratto, una diminuzione dell’attività dell’enzima triptofanoidrossilasi, del contenuto di 5-HT e dei siti per l’uptake presinaptico. Probabilmente queste stesse alterazioni si hanno con l’abuso di catinone e metcatinone. Sebbene queste alterazioni non siano state dimostrate nell’uomo, gli studi sui modelli animali suggeriscono che la deplezione di dopamina nello striato sia un fattore in causa nello sviluppo di ipertermia metamfetamino-dipendente. Nell’uomo, le più evidenti manifestazioni di tossicità cerebrale sono le psicosi e l’ictus: quest’ultimo è spesso dovuto a una vasculite necrotizzante legata all’abuso protratto di amfetaminici o al poliabuso di sostanze, mentre la causa delle psicosi è più oscura. Metabolismo La metamfetamina viene demetilata in amfetamina quindi la presenza di amfetamina in un campione è la prova che la metamfetamina è stata assunta. Da un punto di vista generale del problema, gli studi sugli animali suggeriscono che la distribuzione delle amfetamine è stereoselettiva con significative differenze tra le forme “d” ed “l”. In uno studio giapponese sono stati individuati alcuni casi di morte per amfetamine nella forma “l” e altri a causa di una mistura racemica; la conversione da metamfetamina ad amfetamina è stereospecifica: d-metamfetamina darà la d-amfetamina; lmetamfetamina darà l-amfetamina. La mistura di amfetamine riscontrata nelle urine riflette, quindi, la mistura di metamfetamine ingerite. Tossicità Sono del tutto peculiari gli esiti di danno a carico di organi e apparati, che, da un punto di vista anatomopatologico, passiamo qui di seguito ad illustrare sinteticamente. 24
  • 25. Cuore e vasi Si segnalano a carico del sistema cardiovascolare cardiomiopatie causate da un eccesso di catecolamine. Il cuore degli amfetaminomani presenta aree con fibrosi e ipertrofia dei miociti. Polmoni: è molto comune l’arteriopatia tromboembolica causata da residui insolubili (microcristalli di cellulosa, fibre di cotone) contenuti nelle pasticche che restano intrappolate nel microcircolo polmonare.In questo modo si formano trombi e granulomi da corpo estraneo.Inoltre gli alti livelli di serotonina causano contrazione dell’arteria polmonare, causando ipertensione polmonare. SNC: le amfetamine sono anoressizzanti, causano psicosi, allucinazioni, stato paranoide. Alte dosi di metamfetamina (10-15 mg/kg) negli animali da esperimento portano ad una diminuzione dell’attività della tirosinaidrossilasi Questo calo non è uniforme nelle varie aree cerebrali: molti studi mostrano che il decremento di concentrazione della dopamina è particolarmente accentuato nel nucleo caudato mentre aumenta nel nucleo accumbens. Rene: il primo caso riportato in letteratura di danno renale collegato con l’uso di amfetamine fu nel 1970. Contrariamente alla cocaina, le amfetamine causano rabdomiolisi piuttosto raramente. Quando succede, mioglobina fosforo e potassio sono rilasciati nel plasma con conseguenti problemi metabolici. Il danno risultante può essere indiretto risultando da una ipotensione e ischemia renale oppure diretto come quando la mioglobina o i suoi metaboliti ostruiscono i tubuli. Molti danni possono essere mediati dalla formazione dei radicali liberi. Quello che non si sa sulle amfetamine è il danno specifico.Il primo paziente descritto aveva coagulopatia e iperpiressia. Altri pazienti hanno mostrato ipotensione e coma. Quelli che usavano l’endovena come via di somministrazione hanno mostrato shock septico e coagulazione intravasale disseminata. Fegato: due amfetamino-simili di tipo sintetico (Pemoline e Ritalin come metilfenidato) possono essere epatotossici. Ma questa complicazione è rara più che altro causata da una reazione metabolica idiosincrasica.La biopsia di un individuo che faceva uso di Ritalin e.v. ha messo in evidenza un’infiammazione portale e danno epatico. Infine la metamfetamina può 25
  • 26. intensificare la tossicità di altri agenti epatotossici. Sperimentalmente si è visto che la metamfetamina aumenta l’epatotossicità del carbonio tetracloride.Si suppone che alla base ci sia un meccanismo associato ai recettori adrenergici. I livelli di metamfetamina nei campioni biologici sono difficili da interpretare. Come per la cocaina la morte da amfetamine è associata sia a livelli molto alti sia all’iperpiressia, spesso maligna, che interviene per alterazione del controllo ipotalamico della temperatura per esposizione a livelli alti di catecolamine. Come per la cocaina (e diversamente dall’alcool) i livelli nel sangue non sono correlati bene col danno.Una volta iniziata la tolleranza non ci si stupirà di riscontrare livelli molto alti nel sangue (maggiore di 500 ng/ml). Nella maggior parte delle morti i livelli nel sangue sono circa 5000-10000 ng/ml o anche di più. I test sulle urine non sono molto affidabili se non lo screening immunoenzimatico Infatti la prima generazione di amfetamine da spesso un risultato positivo e uguale a quello dell’efedrina, fenilpropanolamina, fentermina, fenmetrazina, fenfluramina (falsi positivi). IV- D iossiderivati principali (MDA, MDMA ) e congeneri. Dalla metamfetamina, come capostipite di questo gruppo che passiamo ora a trattare, partirono poi tutte le altre sintesi di derivati. A parte la MDMA (metilendiossimetamfetamina) poco è noto sugli effetti clinici e sugli eventuali danni a lungo termine indotti dall’uso dei componenti il gruppo. MDMA (ADAM,Ecstasy) 3,4 metilendiossi N metilamfetamina Dosaggio: 80-150 mg, durata 4-6 ore. La sintesi della MDMA come capostipite di tutti i diossiderivati può partire sia dall’isosafrolo che dal safrolo (i derivati di questi precursori attualmente sono 26
  • 27. interdetti alla pubblica vendita e sottoposti addirittura al regime di una convenzione internazionale che ha il compito di seguire, nel mondo, il destino delle partite di isosfrolo vendute dalle Compagnie); altrimenti si può partire anche dal piperonale oppure da un intermedio “chiave” dato dall’efedrina (sistema detto “russo” per via della diffusione nei paesi dell’Est europeo). Il fatto che tutte le reazioni passino dalla formazione di metamfetamina è di particolare interesse criminalistico: ad ovest degli Urali il fosforo utilizzato come catalizzatore a partire dalla Npseudoefedrina ha un punto isotopico diverso, così che in GC-MS ionica si può identificare la provenienza di una partita di compresse di ecstasy. La reazione intermedia è generalmente isotermica, e va attentamente controllata: molti sono infatti gli incidenti nei laboratori clandestini e in letteratura sono riportate spesso le casistiche delle fatalità che li accompagnano. L’isomero D è meno potente, per cui molta attenzione e competenza è richiesta all’analista che si occupa della sintesi. MDA (3,4 metilendiossiamfetamina) La MDA è conosciuta anche come “love drug”; ha un effetto e una tossicità simili a quelli dell’ecstasy, di cui rappresenta anche il metabolita principale, e il suo uso più frequente è legato agli effetti sull’umore. La MDA, infatti, diminuisce l’ansia e migliora la consapevolezza di sé, facilitando anche la comunicazione e l’interazione affettiva e inducendo uno stato di amplificazione sensoriale senza distorsioni. Rispetto alla MDMA ha una maggiore attività simpaticomimetica. MDE (MDEA,EVA) 3,4 metilendiossi N etilamfetamina. Dosaggio: 100-200 mg, durata 3-5 ore. La MDEA è conosciuta anche come Eve o Eva; si è diffusa nell’abuso nel 1985, dopo l’inserimento dell’ecstasy nella tabella I della DEA. E’ stata inizialmente studiata come sostanza con un potenziale uso terapeutico, ma oltre ai classici effetti entactogeni in comune con la MDMA, tale molecola ha 27
  • 28. provocato anche esperienze depersonalizzanti e lievi disturbi della percezione, con successiva insonnia prolungata. Rispetto alla MDMA, ha effetti più individuali e meno comunicativi. MBDB La MBDB (α-etil-omologo della MDMA) perde completamente l’attività allucinogena e inoltre ha un minor effetto entactogeno ed euforizzante rispetto alle altre molecole correlate. Per questo motivo, probabilmente, ha scarso successo come sostanza d’abuso. Permane però l’effetto stimolante sul SNC e anche la neurotossicità, sebbene inferiore a quella dell’ecstasy. TMA (2,4,5 trimetossiamfetamina) Esprime una potenza doppia rispetto a quella della Mescalina (Shulgin, 1973). Sintetizzata per la prima volta nel 1933, fu impiegata come psichedelico solo a partire dal 1962; la dose necessaria per indurre allucinazioni è comunque troppo prossima a quella che induce l’avvelenamento acuto, per cui la TMA è di scarsa diffusione (Chester, 1990). DOM (metil 2,5 dimetossiamfetamina) Sintetizzata nel 1963 è nota anche come STP (Serenità Pace Tranquillità). Alla dose di 3 mg gli effetti sono simili a quelli della Mescalina, per quantità maggiori sopraggiungono allucinazioni ed effetti indesiderati (nausea, vomito, diaforesi, tremore, aumento della pressione sistolica) per periodi di tempo anche di una decina di ore. Dosaggio: 3-10 mg, durata 1420 ore. Rapida comparsa di tolleranza. PMA (parametossiamfetamina) DOET (2,5dimetossi 4 etilamfetamina) Dosaggio: 2-6 mg, durata 14-20 ore. 28
  • 29. MMDA (3 metossi 4,5 metilendiossiamfetamina) Dosaggio: 100-250, durata breve. 2C-T-7 Recentemente sono apparse nel mercato clandestino, e soprattutto in legame con le tendenze dei rave parties, nuove forme molecolari nelle quali appaiono alogenazioni o tio-sostituzioni, come di seguito rappresentato: Tali sostituzioni sembra che permettano di ottenere stati di coscienza modificati, soprattutto a sfondo mistico e particolarmente ricercate dai gruppi estremi del movimento New Age. Poiché la molecola più usata per fini ricreazionali è l’MDMA, descriveremo di seguito nel prossimo capitolo gli aspetti peculiari di questo derivato della metamfetamina, che può essere considerato un vero e proprio capostipite di tutti i derivati metamfetaminici tanto che ad esso ci si riferisce con il termine di Ecstasy nell’uso corrente. 29
  • 30. V- 3,4 metilendiossi N metilamfetamina (MDMA, Ecstasy) Oggi la più nota designer drug è la MDMA (3,4-metilendiossi N metilamfetamina) o ecstasy, sintetizzata in Germania nel 1914 e immessa sul mercato come anoressizzante. Fu studiata sotto il profilo tossicologico solo nel 1950, presso l’Università del Michigan e si rivelò tossica: nel 1985 gli Stati Uniti la inserirono tra le sostanze stupefacenti da tenere sotto controllo internazionale. L’MDMA è caratterizzata da un gruppo metilendiossilico in posizione 3,4; si presenta come racemo di cui la forma (+) è dotata di maggiore attività. L’emivita plasmatica è di 1,5 ore per os nell’animale da esperimento. La 30
  • 31. struttura molecolare è caratteristica di altri composti come: MDA (3,4 -metilendiossiamfetamina), MDEA (3,4-metilendiossietilamfetamina) e MBDB (3,4-metilendiossifenilbutanamina). I derivati amfetaminici con il più spiccato potere allucinogeno sono quelli tri-sostituiti sull’anello benzenico (diossiderivati con gruppi metossilici, per es. MMDA o 3-metossi-4,5metilendiossiamfetamina); tale tipo di sostituzione, infatti, produce analoghi strutturali della mescalina. L’uso ricreazionale di MDMA e di altre sostanze simili è oggi molto diffuso: i sequestri di ecstasy iniziano a essere documentati in Italia a partire dal 1987, anno in cui si sono anche registrati i primi casi di morte collegati a tale sostanza. Il trend dei sequestri è in netto aumento e presenta un certo parallelismo con quello dei sequestri di cocaina. A fronte però dei dati ufficiali, che testimoniano in Italia una crescente disponibilità di “designer drugs”, esiste una percezione generale che tali sostanze, specialmente l’ecstasy, siano nell’uso più diffuse di quanto sia possibile documentare. Tale difficoltà nel conoscere la dimensione del fenomeno “ecstasy” è anche dovuta al fatto che, a differenza dei consumatori di altre sostanze, sono ancora pochi gli assuntori che contattano i servizi pubblici. Gli effetti ricercati che hanno decretato il successo dell’ecstasy tra i giovani sono principalmente i seguenti: _ caduta delle barriere nei rapporti con le altre persone _ aumento della sensibilità di tutte le percezioni (tattile, visiva, uditiva, olfattiva) _ aumento dell’autostima _ sensazione di pace interiore, sollievo, felicità _ aumento dell’intensità esperienziale. In particolare, da un punto di vista clinico e psicologico, gli effetti soggettivi sono così classificabili: Effetti registrati dall’assuntore come positivi: buon umore aumento della capacità di comunicazione 31
  • 32. aumento della prestanza fisica aumento del tono dell’Io psicologico senso di benessere e di apertura agli altri sentimento di affetto e empatia aumento della memoria aumento delle capacità percettive dell’esperienza musicale aumento dell’input sensoriale sensazioni mistiche effetti registrati come neutri perdita dell’appetito disturbi dell’accomodamento visivo nistagmo tachicardia e aumento della pressione (dose dipendente) ipertermia agitazione Effetti registrati come negativi Disturbi dell’affettività Tendenza a dire cose di cui ci si pente successivamente Movimento mandibolare come da masticazione a vuoto, incoercibile Tensione muscolare Disturbi nella concentrazione e nella memoria a breve termine Ipertermia Iponatremia con rischio di disidratazione Affaticamento e stato depressivo (come da deplezione di catecolamine) Per queste peculiarità, si era ravvisato nella MDMA e nei composti correlati una potenziale nuova classe di farmaci, definiti “entactogeni” (poiché possono mettere in contatto il soggetto con parti di sé più profonde, che vengono così percepite dal soggetto stesso) o “empatogeni” (dato che permettono una grossa sintonia emotiva con gli altri, rimuovendo le barriere relazionali nella 32
  • 33. comunicazione). Queste due caratteristiche, insieme, facilitano spesso il compito dello psicoterapeuta che si trovi a parlare con persone particolarmente chiuse o che non riescano ad esprimere con parole le proprie emozioni o i propri problemi. Tant’è vero che, alla fine degli anni ’70, la MDMA fu utilizzata da parte di alcuni psichiatri statunitensi su pazienti con difficoltà di verbalizzazione. Nel 1985 però, l’Agenzia americana di controllo del mercato degli stupefacenti ( D.E.A ) ne vieta la prescrizione e l’uso, a causa della neurotossicità evidenziata negli animali da laboratorio. Anche in Svizzera la MDMA è stata usata per vari anni in tal senso, ma dal ’93 si è interrotta la sperimentazione. Secondo alcuni autori queste sostanze potrebbero essere usate in campo psichiatrico se si riuscisse a renderle meno tossiche. Tra i consumatori, la MDMA è conosciuta con diversi appellativi: Ecstasy, XTC, Adam o pillola di Adamo, X, E, Rave. E’ una sostanza bianca, cristallina, dal sapore amaro, che solitamente viene assunta per os, sotto forma di pastiglie di vari colori, forme e dimensioni. Spesso su queste compresse sono impressi dei simboli, che rappresentano una sorta di “marchio di fabbrica”, che distingue alcuni produttori. Il contenuto medio di una pasticca varia dai 75 ai 150mg di MDMA; a volte in una pastiglia sono contenute anche altre sostanze amfetamino-simili, soprattutto MDA e MDEA. Meccanismo d’azione della MDMA e neurotossicità I diossi-derivati amfetaminici, come abbiamo già detto in precedenza da un punto di vista più generale, a differenza delle altre amfetamine, agiscono prevalentemente sul sistema serotoninergico. Immediatamente dopo l’assunzione orale di MDMA si verifica un rilascio estensivo di 5-HT dalle terminazioni presinaptiche e, contemporaneamente, si ha l’inibizione del loro reuptake così come dell’enzima triptofano-idrossilasi, con conseguente blocco della sintesi di 5-HT. Pertanto, 3-6 ore dopo l’assunzione, la cessazione degli effetti piacevoli si accompagna a un esaurimento della biodisponibilità di 33
  • 34. serotonina e del suo metabolita 5-HIAA (acido 5-idrossiindolacetico), che torna però a livelli normali entro 24 ore. La MDMA agisce quindi a livello dei recettori per la 5HT e come inibitore della triptofanoidrossilasi, ma anche sui recettori 2 adrenergici, sui recettori M1 muscarinici (effetti cardiovascolari con tachicardia, aritmia, ipertensione, acidosi metabolica CID, insuff. renale per blocco dell’ADH), su quelli H 1 dell’istamina; l’azione è debole sui recettori per gli oppioidi endogeni e pressochè non misurabile su quelli GABAergici. La maggiore affinità poi per il tipo 5HT2 rispetto agli altri sembra essere la chiave per la spiegazione delle potenzialità della MDMA come allucinogeno. La MDMA entra effettivamente nel neurone, rispetto ad altre sostanze psicotrope, probabilmente con un meccanismo di cotrasporto attraverso i carrier deputati alla ricezione della 5HT (azione mimetica). Numerosi studi hanno evidenziato anche il coinvolgimento del rilascio di dopamina nel meccanismo di neurotossicità da MDMA: l’MDMA determina, infatti, anche il rilascio di una certa quantità di questo neurotrasmettitore. Tale attività è caratteristica dello stereoisomero (+), mentre la (-)MDMA non ha alcun effetto sull’efflusso di dopamina. Studi immunocitochimici nel ratto hanno confermato che 1’MDMA provoca degenerazione neuronale: dopo 36-48 ore dalla sua somministrazione sono visibili segni inequivocabili di degenerazione degli assoni, che risulta più marcata nella corteccia telencefalica, nello striato e nel talamo. Gli effetti neurotossici, analogamente a quelli sul rilascio di dopamina e a differenza di quelli della fase acuta, sono caratteristici dello stereoisomero (+) MDMA. Sono stati eseguiti numerosi studi per valutare se si verifica una rigenerazione dei terminali serotoninergici a seguito della lesione: nel ratto i neuroni serotoninergici possono rigenerare, in quanto la MDMA distrugge gli assoni, ma risparmia i corpi cellulari, pertanto si assiste a una graduale re-innervazione della corteccia e delle altre strutture. Sembra che nel ratto vi sia una totale ripresa delle lesioni del sistema serotoninergico entro un anno, mentre gli effetti prodotti da alte dosi di MDMA nel primate non umano sono irreversibili. Non è ancora completamente accertato se l’MDMA produca 34
  • 35. effetti neurotossici nell’uomo: nei consumatori cronici è stata messa in evidenza una diminuzione dei livelli liquorali di 5-HIAA (metabolita principale della serotonina), che persiste anche per 12 mesi dopo l’interruzione dell’assunzione, ma da lavori diversi si ottengono dati contrastanti. Concludendo, l’assunzione di MDMA a scopo ricreativo pone fondamentalmente due tipi di problematiche, una relativa agli effetti osservati in acuto e l’altra, estremamente complessa, riguardante gli effetti a lungo termine di un possibile danno neuronale. Il problema di tossicità acuta da MDMA è stato ed è ampiamente discusso ed evidenziato dalla stampa popolare, soprattutto in relazione ai numerosi decessi di individui in giovane età (morti del sabato sera). Va tuttavia ulteriormente sottolineato che 1’assunzione di questa droga, anche una sola volta la settimana, impedisce ai consumatori di riprendere il ritmo quotidiano delle proprie abitudini, sia scolastiche che di lavoro. Infatti in questi soggetti è rilevabile un’alterazione delle capacità decisionali, un diminuito desiderio di svolgere attività fisiche, difficoltà nell’eseguire operazioni matematiche, cui spesso si associano crisi di panico, insonnia, disorientamento e confusione. Meno noti ed analizzati dai mass-media risultano invece gli effetti a lungo termine di questa sostanza sui neuroni cerebrali: infatti, sebbene non siano attualmente disponibili nella letteratura scientifica prove certe di un danno neuronale permanente nell’uomo, gli studi condotti sugli animali testimoniano inequivocabilmente che l’MDMA produce una distruzione a lungo termine degli assoni e dei terminali serotoninergici nel cervello. Questi effetti, come è stato descritto, sarebbero lentamente reversibili nel ratto, mentre le lesioni ottenute nei primati, non sarebbero invece in alcun modo reversibili. Gli effetti neurodegenerativi a lungo termine ottenuti nei roditori e nei primati, a dosi che differiscono poco da quelle usate a scopo ricreativo, farebbero propendere quindi per l’ipotesi che la neurotossicità da MDMA nell’uomo possa essere un processo lento ed insidioso che potrebbe determinare l’insorgenza, dopo alcuni anni, di disturbi psichiatrici anche gravi. 35
  • 36. L’extasy ha un’attività psicostimolante per certi versi simile a quella delle amfetamine: infatti abbiamo alcuni effetti analoghi, come diminuzione del senso di fame e sete, stimolazione locomotoria, aumento della vigilanza e insonnia. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che, come il sistema noradrenergico a proiezione diffusa, anche il sistema serotoninergico a proiezione diffusa fa parte del SRAA. Anche altri effetti fisici ricordano molto le amfetamine classiche, sebbene alle dosi abituali essi siano alquanto variabili e soggettivi: a volte sono infatti riferiti digrignamento dei denti e tensione alla mascella, bocca asciutta, movimenti involontari degli occhi, iperidrosi, nausea. Vi sono però alcune differenze: per es. la somministrazione ai ratti di 210mg/kg di MDMA (dosi analoghe a quelle che si hanno normalmente nell’uomo) porta ad aumento dell’attività locomotoria per almeno 2 ore e la locomozione è essenzialmente orizzontale, con tendenza a evitare il centro dell’ambiente e spiccata stereotassi (modificazione del proprio movimento a seguito del contatto con un altro corpo). Questo profilo comportamentale è molto simile a quello indotto da sostanze allucinogene pure, come l’LSD. Sempre la liberazione di serotonina è poi responsabile degli effetti entactogeni ed empatogeni dell’extasy, come pure dell’aumento della sensibilità delle diverse percezioni e dell’intensità di qualunque esperienza (infatti la serotonina ha un ruolo importantissimo nella modulazione e integrazione degli stimoli sensoriali). Esistono poi alcune sensazioni particolari, mediate anch’esse probabilmente dalla serotonina, che avvicinano le diossi-amfetamine agli allucinogeni; sono infatti esperienze di alterazione sensoriale, senza però vere e proprie allucinazioni. Piuttosto che di quadro allucinatorio è opportuno quindi parlare di stato di coscienza modificato. Gli stati di coscienza modificati si distinguono clinicamente per le seguenti proprietà: _ alterata percezione del tempo _ assenza di confini tra sé e il mondo esterno _ alterata percezione dei rapporti spaziali 36
  • 37. _ dispercezioni visive (per es. alterazioni dei volti dei compagni). L’assunzione di diossi-derivati porta a tachicardia, midriasi, mani fredde e sudate, vasocostrizione periferica (dovuta anche all’attività sui recettori periferici 5-HT2, localizzati a livello venoso e arterioso, a eccezione di muscolo scheletrico e cardiaco). Inoltre è stato evidenziato come l’attività stimolante sia più accentuata nelle forme L, mentre quella allucinogena sia più pronunciata nelle forme D: normalmente le pasticche contengono una miscela racemica, con variabili proporzioni dei due isomeri e con conseguenti attività diverse. A titolo d’esempio, nei ratti l’isomero d-MDA è alquanto aritmogenico e anche dosi moderate possono essere causa di aritmie ventricolari (questo potrebbe spiegare alcuni casi di morte improvvisa associata all’uso di MDA). Ad ogni modo, le attività cerebrali dei diossi-derivati sono ancora lontane dall’essere chiare, basti pensare al fatto che la serotonina esplica un controllo di tipo inibitorio nei confronti dei neuroni noradrenergici del locus coeruleus, come pure su quelli dopaminergici meso-limbici. Cercando di schematizzare, possiamo comunque dire che gli effetti ricercati dell’extasy dipendono essenzialmente dalle scorte endogene di serotonina preformata: la cosiddetta fase di “high”, durante la quale si manifestano tali effetti, corrisponde all’aumento del rilascio di 5-HT a livello centrale. Questa fase ha inizio 15-30 minuti dopo l’assunzione per via orale (in tempi più brevi per assunzioni nasali o endovenose), raggiunge la massima intensità dopo circa 1 ora, poi decresce progressivamente, fino ad arrivare alla cosiddetta fase di “down”, che si manifesta circa 6 ore dopo l’assunzione. In questa fase, gli effetti piacevoli e ricercati dell’extasy sono ormai finiti e lasciano spazio invece ad effetti indesiderati, primo fra tutti la stanchezza. La fase di “down” è dovuta all’esaurimento della serotonina a livello sinaptico: difatti, mentre la 5HT viene lentamente metabolizzata dalle MAO, l’enzima triptofano-idrossilasi è inibito dall’ecstasy stessa, per cui la produzione del neurotrasmettitore è bloccata o nettamente diminuita. Nella fase di “down” è anche possibile che si rendano più manifesti gli effetti simpaticomimetici, per cui mano a mano che la serotonina diminuisce, prende il sopravvento la noradrenalina, così che il 37
  • 38. soggetto, da affabile, fiducioso e sensibile, diventi irritabile, sospettoso e a volte aggressivo. Gli assuntori abituali, che conoscono bene queste fasi, consigliano quanto segue: “Se avete assunto una dose singola di MDMA (di circa 2mg/kg), dopo circa 1 ora e 30 minuti avrete raggiunto la fase di picco; se vorrete prolungare gli effetti provati in quel momento dovrete assumere circa 1/3 o ½ della dose precedentemente assunta (…). Un dosaggio supplementare maggiore di questo potrà produrre o aumentare effetti secondari indesiderati, senza favorire alcun protrarsi o incrementarsi del piacere.” (Ecstasy: allargamento della coscienza restringimento dello stomaco; produzione e distribuzione: Laboratorio antiproibizionista Livello 57, Bologna) Infatti, una volta che la serotonina preformata sia stata completamente liberata negli spazi sinaptici, ulteriori dosi di MDMA non potranno aumentare ancora gli effetti piacevoli, viceversa porteranno a importanti effetti simpaticomimetici, con ulteriore affaticamento del soggetto. Tutto ciò ha importanti implicazioni per quanto riguarda il contesto nel quale l’extasy viene consumata prevalentemente, la discoteca o il rave-party. In caso di poliassunzioni una sostanza può agire sulla cinetica e/o sulla dinamica di un’altra sostanza in modo variabile, a seconda del dosaggio, del momento in cui la seconda sostanza viene assunta (contemporaneamente o successivamente alla prima), della via di somministrazione. Per quanto riguarda il poliabuso di MDMA, l’associazione più frequente è sicuramente quella con l’alcool. Le due sostanze possono essere assunte contemporaneamente (è segnalata l’abitudine di sciogliere le pastiglie o la polvere in bevande alcoliche) o in tempi diversi e le interazioni biochimiche cerebrali che ne derivano sono sconosciute. In generale, possiamo dire che l’alcool tende ad aumentare la concentrazione ematica di altre sostanze metabolizzate dal fegato (e quindi anche dell’extasy e degli amfetaminici), in quanto va ad occupare gli enzimi del sistema NADH-ossidasi. Per quel che riguarda poi le interazioni a livello cerebrale, è noto che l’azione dell’alcool è legata al suo inserimento nel bilayer lipidico, con modificazioni della permeabilità agli ioni e possibile dislocazione recettoriale. Ciò può anche 38
  • 39. essere responsabile di modificazioni nell’attività delle sostanze che per agire necessitano di un legame con recettori superficiali, come appunto gli amfetamino-simili; ad es. ci potrebbe essere un disaccoppiamento tra recettore e sistema del fosfatidilinositolo oppure è possibile che l’alcool ne faciliti l’attivazione, con reazioni, almeno per il momento, assolutamente imprevedibili. Quel che è certo è che tale uso concomitante aumenta il rischio di disidratazione, infatti l’alcool è fortemente diuretico (per la sua azione di inibizione sulla secrezione di ADH) e l’ecstasy induce spesso abbondante sudorazione (stimolata ovviamente anche dal caldo e dal ballo: si ricordi che l’ambiente in cui viene usata l’ecstasy è solitamente la discoteca). Ad ogni modo, dato che l’ecstasy è uno stimolante e l’alcool è un depressivo, è prevedibile che gli effetti cerebrali si antagonizzeranno. Difatti, sono gli assuntori stessi a riferire come l’effetto ricercato dell’MDMA sia diminuito dall’assunzione di alcool. Un rischio di tale associazione, sempre riportato dagli assuntori, è quello di bere eccessivamente senza rendersene conto, con l’eventualità di “ritrovarsi completamente ubriachi non appena scende l’effetto dell’ecstasy”. Allo stesso modo, l’assunzione di MDMA non permette al consumatore di rendersi conto di quanto stia fumando (tabacco, hashish o marijuana). L’associazione tra ecstasy e droghe stimolanti come cocaina o amfetamine classiche (soprattutto metamfetamina o “speed”) è piuttosto pericoloso, poiché vengono fortemente accentuati gli effetti simpaticomimetici e si rischiano gravi aritmie cardiache. Inoltre la metamfetamina aumenta l’aggressività già a basse dosi, per cui l’associazione con cocaina o ecstasy (che, oltre all’effetto simpaticomimetico, altera le percezioni sensoriali) può spingere ad atti incontrollati di violenza. Anche blandi stimolanti come caffè, guaranà, ginseng e bevande energetiche come Red Bull o XTC possono aumentare l’effetto stimolante dell’ecstasy. Un’altra importante associazione è quella tra ecstasy ed oppiacei e in tal caso bisogna distinguere due situazioni diverse. Nel caso dei tossicodipendenti da oppiacei, si ha solitamente un’assunzione contemporanea di eroina ed ecstasy (o amfetamine classiche) per via endovenosa. Poiché gli effetti di queste due 39
  • 40. categorie farmacologiche sono opposti, i risultanti stati d’animo e sensazioni saranno alquanto altalenanti e potranno risultare piacevoli o sgradevoli. Inoltre, l’effetto stimolante degli amfetaminici può andare a coprire quello sedativo degli oppiacei, col rischio di eccedere nella dose di eroina e di rendere quindi più probabile l’overdose. Abbiamo poi il caso degli assuntori di ecstasy che fumano eroina quando permangono troppo a lungo gli effetti stimolanti o simpaticomimetici: questi soggetti, a lungo andare, rischiano di sviluppare una inconsapevole dipendenza fisica agli oppiacei. L’LSD viene a volte usato in associazione all’MDMA per ottenere piacevoli stati psichedelici: dato però che l’effetto degli allucinogeni dipende molto dalle condizioni psichiche dell’assuntore, se l’LSD viene somministrato durante la fase di discesa dell’ecstasy, è possibile che le allucinazioni siano di tipo angosciante o spaventoso, con reazioni imprevedibili da parte del soggetto. Per questo, forse, gli assuntori più esperti e “navigati” consigliano di tenere basse le dosi di LSD. Per quanto riguarda la chetamina, invece, essa viene per lo più usata a basse dosi per togliere l’effetto simpaticomimetico dell’ecstasy. Farmacocinetica Il profilo farmacocinetico della MDMA è simile a quello delle amfetamine classiche: in seguito ad assunzione orale, l’effetto ricercato ha inizio dopo circa 30 minuti e raggiunge l’apice dopo 1-1,5 ore, scomparendo poi lentamente in 4-6 ore. Le diossiamfetamine vengono in parte metabolizzate nel fegato, mediante reazioni di N-demetilazione, O-dealchilazione, deaminazione e coniugazione, e in parte escrete come tali per via renale: per fare un esempio, il più importante metabolita della MDMA è la MDA, ottenuta tramite Ndemetilazione, ed entrambe si ritrovano nelle urine. Il metabolismo di questi composti è però ancora in gran parte sconosciuto, tant’è vero che esistono discrepanze tra reperti urinari ed ematici: ad esempio, è possibile ritrovare MDEA nel sangue e MDMA nelle urine. 40
  • 41. VI- I quadri di intossicazione 1) INTOSSICAZIONI ACUTE L’intossicazione acuta da amfetaminici ed in particolare da MDMA si manifesta solitamente con ipertermia, tachicardia, ipertensione, agitazione psicomotoria e aggressività, che rappresentano essenzialmente gli effetti indesiderati dai consumatori di tali sostanze. Ovviamente, esistono vari gradi di intossicazione acuta, pertanto potremo avere casi lievi, che vanno incontro ad autorisoluzione e non portano a particolari problemi, e casi più gravi, che possono esitare nella morte del soggetto. I livelli ematici ai quali compaiono queste manifestazioni sono però piuttosto variabili: un soggetto che assume per la prima volta un amfetaminico potrà manifestare questi sintomi già a basse dosi, mentre un soggetto con una lunga storia d’abuso sarà andato incontro a tolleranza e pertanto potrà raggiungere anche elevati livelli ematici senza gravi sintomi da iperdosaggio. Una volta che sia iniziata la tolleranza, ad esempio, è possibile trovare livelli ematici di di metamfetamina maggiori di 5000 ng/ml e la maggior parte delle morti da iperdosaggio vede valori ematici che vanno da 5000 a 10000 ng/ml. Per fare un altro esempio, esiste una grossa sovrapposizione tra livelli tossici e ricreazionali di MDMA: nelle morti da sovradosaggio, la concentrazione ematica varia all’incirca da 100 a 1250 ng/ml. Come per la cocaina, quindi, le morti da amfetamine sono correlabili sia con livelli ematici molto bassi, sia con livelli molto alti, pertanto esiste una grossa imprevedibilità nel comportamento di tali sostanze, che dipende in parte anche 41
  • 42. dalle condizioni dell’assuntore. Le principali cause di morte da intossicazione acuta sono: _ sindrome ipertermica _ alterazioni cardiache (gravi tachiaritmie, arresto cardiaco, infarto) _ ictus cerebrale _ epatite acuta fulminante. La sindrome ipertermica è una delle più frequenti manifestazioni di tossicità acuta delle molecole amfetamino-simili e si può manifestare a seguito dell’assunzione sia di metamfetamina, sia di diossiderivati. Non è stato ancora definitivamente chiarito se l’ipertermia sia da imputare ad alterazioni della funzione dei centri termoregolatori o alla stimolazione periferica indotta dalle catecolamine. Certamente l’aumento della temperatura corporea è legato all’aumento dell’attività muscolare (dovuto sia al ballo in discoteca, sia alla stimolazione dopaminergica), all’attivazione dei meccanismi simpatici di difesa dal freddo (vasocostrizione periferica e brivido) e all’elevata temperatura ambientale; inoltre non bisogna dimenticare che il soggetto che assume amfetaminici non sente la stanchezza, pertanto, in discoteca, continuerà a ballare anche oltre le proprie possibilità. Pertanto, si viene a creare una situazione simile al colpo di calore da sforzo, che si manifesta quando la quantità di calore prodotta dal lavoro muscolare è maggiore di quella che l’organismo riesce a disperdere. La temperatura corporea sale a 40°C e, nei casi più gravi, può arrivare a 43°C e solitamente è associata a forte tachicardia (maggiore di 150 battiti al minuto) e ipotensione. Questo quadro è accompagnato da gravi alterazioni sistemiche, quali: _ diminuzione del livello di coscienza, fino al coma, talvolta con crisi convulsive _ rabdomiolisi, con conseguente iperkaliemia e acidosi _ coagulazione intravasale disseminata (CID) _ insufficienza renale acuta (molto frequente a causa dell’ipotensione, della mioglobinuria e della CID). 42
  • 43. La sindrome ipertermica è una situazione molto grave, che a volte può essere risolta col dantrolene, ma che spesso porta a morte, soprattutto a causa di riconoscimento e intervento tardivi. Un altro grosso problema collegato all’abuso di amfetaminici è rappresentato dall’insorgenza di problemi cardiovascolari, dovuti essenzialmente all’eccessiva stimolazione simpatica. Difatti, l’eccessiva liberazione di catecolamine è cardiotossica e l’abuso protratto di simpaticomimetici porta a cardiomiopatia. Normalmente, l’assunzione di amfetaminici porta a tachicardia, la cui entità dipenderà principalmente dalla dose assunta. In alcuni casi, la frequenza può arrivare a 180 battiti/min ed è possibile l’insorgenza di angina e infarto o di asistolia con morte improvvisa. Inoltre, sempre a causa dell’ipertensione simpatica, è frequente l’innalzamento della pressione arteriosa, che a volte può però essere diminuita. Le morti da causa cardiaca sono piuttosto frequenti in chi abusa di sostanze stimolanti, ma sono per lo più correlate a una sottostante patologia cardiaca: in caso di uso prolungato di amfetaminici, sono essi stessi causa di cardiomiopatia. Esistono casi di infarto del miocardio insorto in soggetti con cuore sano che hanno fatto uso di amfetaminici: in questi casi entrano probabilmente in gioco più fattori contemporaneamente, come spasmo coronarico, aumento della pressione arteriosa, tachicardia e aumentate richieste di ossigeno da parte del cuore, induzione dell’aggregazione piastrinica. Questi meccanismi sembra entrino in gioco anche a seguito dell’inalazione di vapori di metamfetamina, che vengono ritenuti responsabili pure dell’insorgenza di edema polmonare acuto. Un’altra possibile causa di morte da amfetaminici è l’ictus, ischemico o emorragico, collegato soprattutto alla metamfetamina. In alcuni casi, l’ictus è da mettere in relazione con una vasculite, in altri con preesistenti malformazioni atero-venose, ma spesso non si riscontrano anormalità. Inoltre, il sanguinamento non segue la tipica distribuzione delle emorragie correlate a ipertensione, più frequenti nei gangli della base e a livello ipotalamico, ma è prevalentemente localizzato ai lobi frontali. Alla base di questi sanguinamenti sembra esserci una vasculite necrotizzante, legata all’abuso di amfetaminici o a poliabuso. 43
  • 44. Infine, non sono da sottovalutare le reazioni idiosincrasiche, che possono portare a epatite acuta fulminante. Sebbene alcuni amfetaminici (pemolina e metilfenidato) siano epatotossici e la metamfetamina possa aumentare l’epatotossicità di altre sostanze (per es. il tetraclururo di carbonio), i casi di epatite acuta, a volte fulminante; sembrano legati essenzialmente a idiosincrasia nei confronti dei contaminanti presenti nelle preparazioni illegali. 2) INTOSSICAZIONI CRONICHE L’uso protratto di amfetaminici (e MDMA in particolare) porta a problemi diversi, a seconda delle modalità di assunzione, dei meccanismi d’azione delle sostanze e della predisposizione individuale. Sistema cardiovascolare E’ noto come l’abuso di amfetaminici porti ad alterazioni cardiache e vascolari, con sviluppo di cardiomiopatia e ipertrofia della tonaca muscolare vasale, con successiva ipertensione. Nonostante la causa di queste alterazioni sia rappresentata dall’eccesso di catecolamine circolanti, esattamente come accade in caso di abuso di cocaina, e considerando il grande numero di persone che, soprattutto in passato, ha fatto uso di amfetamine, l’incidenza di infarto amfetamino-dipendente è piuttosto bassa. Gli infarti del miocardio sono quindi più frequentemente associati ad abuso di cocaina, mentre l’abuso di amfetamine porta essenzialmente allo sviluppo di cardiomiopatie. Recentemente, una possibile spiegazione di questa differenza è stata data dalla biologia molecolare: l’aumento della temperatura corporea legata all’uso di amfetaminici determinerebbe la produzione di proteine da shock termico (HSP) nel miocardio. Le HSP sono proteine prodotte normalmente, in piccole quantità, da tutti i tessuti e la loro sintesi aumenta a seguito di stress di varia natura, come calore, radicali liberi, alterazioni del pH; si ritiene che queste proteine abbiano la funzione di aiutare il corretto avvolgimento delle proteine neosintetizzate e di rinaturare le proteine denaturate, pertanto proteggono l’integrità e la funzionalità delle cellule che le producono. Allora l’ipertermia ripetuta indotta dalle amfetamine sarebbe in grado di proteggere il cuore dal danno ischemico, proprio grazie alle HSP; ovvero perché insorga un infarto in 44
  • 45. un consumatore di amfetaminici è necessaria un’ischemia maggiore di quella necessaria allo sviluppo di infarto miocardico nei consumatori di cocaina. Il principale problema cardiaco legato all’abuso di amfetaminici è rappresentato da una cardiomiopatia caratterizzata da aree di fibrosi, emorragie focali subendocardiche, alterazioni dei miociti (disorganizzazione, granularità, ipertrofia), infiltrati linfocitari. A peggiorare il quadro, si aggiunge l’ipertrofia della tonaca media delle arteriole. Si ritiene che questa cardiomiopatia sia alla base delle morti improvvise legate all’abuso di amfetaminici, morti che sono per lo più dovute ad alterazioni della conduzione miocardica. La presenza di reperti di mioglobinuria è costante nella letteratura, conseguente alla rabdomiolisi. Riportiamo di seguito alcuni quadri istopatologici, nei quali è evidente il danno cellulare causato da elevati livelli di catecolamine: Cuore: distruzione di miociti, accompagnata dalla migrazione linfocitaria (EE, 400 X) 45
  • 46. Alterazione delle miocellule cardiache: il quadro è sovrapponibile alle lesioni da ipertermia (SEM, 5000X). Per quanto riguarda invece le alterazioni vascolari, sappiamo che le catecolamine, agendo sui recettori α1-adrenergici, determinano vasocostrizione. Uno stimolo vasocostrittore frequente mette in moto i meccanismi di sintesi proteica, con conseguente ipertrofia della muscolatura liscia vasale, pertanto l’uso protratto di amfetaminici, come di altre sostanze simpaticomimetiche, porterà ad un aumento stabile della pressione arteriosa. Polmone La più frequente alterazione polmonare riscontrata nei soggetti che abusano di stimolanti simpatici è data dall’arteriopatia tromboembolica, legata essenzialmente all’iniezione endovenosa di tali sostanze. Infatti, soprattutto quando sono le compresse ad essere sciolte e iniettate, i residui insolubili, come microcristalli di cellulosa o fibre di cotone, restano intrappolati nel microcircolo polmonare e qui determinano l’insorgenza di piccole trombosi e/o 46
  • 47. di granulomi. Se le iniezioni vengono ripetute spesso, è possibile che progressivamente insorga ipertensione polmonare, con conseguente cuore polmonare cronico. L’amfetaminico che è stato più frequentemente associato a tali alterazioni è il metilfenidato, che può anche essere causa di enfisema panacinare. Le sostanze serotoninergiche, come fenfluoramina e diossiderivati, possono anch’esse essere responsabili dell’insorgenza di ipertensione polmonare, ma con un diverso meccanismo d’azione. Infatti, elevati livelli di serotonina causano contrazione delle arterie polmonari e favoriscono la proliferazione della muscolatura liscia vasale; inoltre, i soggetti che soffrono di ipertensione polmonare primitiva hanno elevati livelli plasmatici di serotonina. Pertanto si ritiene che sia l’eccesso di serotonina il principale responsabile dello sviluppo di ipertensione polmonare. L’esame istologico mette in evidenza un’ipertrofia della tonaca media arteriolare, del tutto simile a quella legata ad eccesso di stimolazione simpatica. In alcuni casi, è visibile anche una fibrosi eccentrica, con ispessimento asimmetrico dell’intima e grossa diminuzione del calibro del lume vasale. Sistema nervoso centrale In fase acuta emorragie ad anello perivascolari specie in regione sottocorticale. Il SNC rappresenta il principale bersaglio degli amfetaminici, eppure sono ancora pochi gli elementi che si conoscono per quanto riguarda la tossicità cronica. Poiché il meccanismo d’azione è diverso, analizziamo separatamente amfetamine classiche (le notizie fanno riferimento essenzialmente la metamfetamina o speed) e diossi-derivati (le notizie fanno riferimento essenzialmente alla MDMA). Contaminanti e precursori Nell’ambito della tossicità degli stimolanti sintetici, grande importanza riveste il ruolo svolto da sostanze diverse dal principio attivo: nelle preparazioni illecite, sono infatti spesso presenti vari contaminanti, a volte anche in grosse quantità. Durante i processi di sintesi della metamfetamina e dei diossi-derivati, 47
  • 48. si formano alcuni sottoprodotti, che a volte risultano essere più tossici della droga in sé, come tossici sono spesso i reagenti utilizzati per la sintesi. Pertanto, a seconda della professionalità di chi esegue la sintesi, del tipo di precursori e reagenti utilizzati, dell’attrezzatura presente nel laboratorio clandestino, si otterranno composti di purezza variabile, spesso contenenti contemporaneamente più principi attivi. Il tipo di contaminanti presenti nelle preparazioni illecite sarà diverso a seconda del composto di partenza. Durante gli anni ’70, era il fenil-2-propafenone (P2P) il precursore più utilizzato, poi divenne anch’esso una sostanza soggetta a controllo, tanto che i produttori clandestini furono costretti a sintetizzarlo o a cambiare precursore. Il P2P può essere sintetizzato a partire da acido fenilacetico o da acetato di piombo; tale sostanza viene poi convertita in metamfetamina, ed eventualmente in MDMA, utilizzando metilammina, dietil-etere, cloruro di mercurio, isopropanolo. Vediamo quindi come, tramite questa via sintetica, sia possibile che nel prodotto finale compaiano metalli pesanti, come piombo e mercurio. Altre vie prevedono l’impiego in partenza dal MDP-2-P (3,4 metilendiossi fenil2propanone), dal piperonale, dal safrolo. Un’altra via sintetica, oggi largamente utilizzata, vede come precursori l’efedrina o la pseudoefedrina e in tal caso viene usato fosforo rosso come catalizzatore. In questo caso, i contaminanti più pericolosi sono lo stesso fosforo rosso, che è altamente tossico già a piccole dosi (agisce soprattutto sul SNC ed è mortale), e la 2-(fenilmetil)fenetilamina, che è epatotossica (si pensa sia la principale responsabile dei casi di epatite acuta fulminante). La crescente popolarità di questa via sintetica, ha reso necessario porre sotto controllo la produzione e la vendita di efedrina e pseudoefedrina, come già era successo per il P2P. Le vie di sintesi per le metilendiossiamfetamine sono molto simili, differenziandosi solo per le sostituzioni di metilamina e N-metilformamide con analoghi; inoltre, con l’eccezione della reazione di Ritter, i metodi vanno bene anche per la sintesi di amfetamina e metamfetamina. Pertanto, considerando la preparazione spesso molto approssimativa di chi opera tali sintesi e le condizioni in cui essa viene effettuata, è intuitivo che, a 48
  • 49. prescindere dal metodo utilizzato, nel prodotto finito saranno presenti intermedi di sintesi, contaminanti, solventi e reagenti chimici non adeguatamente allontanati, alcuni dei quali altamente tossici o cancerogeni. Il piombo è spesso presente nelle preparazioni illecite di metamfetamina, MDMA, MDA e altri composti amfetamino-simili; la sua concentrazione è piuttosto variabile e in letteratura vengono riportati valori da 0,1 a 50mg per compressa (la quale pesa mediamente 1g). Quindi è possibile, nei consumatori abituali, lo sviluppo di un vero e proprio saturnismo, mentre le intossicazioni acute da piombo sono rare e legate essenzialmente all’iniezione endovenosa di amfetaminici che ne contengano elevate quantità. Come è noto, il Pb è tossico e va incontro a deposito in vari organi e tessuti, soprattutto nell’osso: a seguito di particolari condizioni, come gravidanza, malattie infettive, fratture, dieta povera di calcio, alcolismo, i depositi possono venire mobilizzati, con aumento della piombemia e possibilità di sviluppo di quadri clinici acuti. A livello di mass-media ma anche in qualche pubblicazione scientifica si è dibattuto sulla realtà o meno di casi effettivamente di parkinsonismo, che peraltro sembra che debbano essere prevalentemente ascritti al problema dei precursori o contaminanti nella produzione delle compresse di ecstasy. Fra le sostanze segnalate come potenzialmente capaci di indurre quadri di parkinsonismo ricordiamo l’1metil4fenil1,2,3,6tetraidropiridina nella fabbricazione della meperidina, estremamente tossica per la substantia nigra. L’osservazione è importante dato che il dibattito sulla tossicità della MDMA è centrato sui suoi effetti sul sistema serotoninergico piuttosto che su quello dopaminergico. Rimane ancora da segnalare che alcuni casi di tossicità acuta da MDMA con esito fatale si verificano, anche se raramente, in assuntori di sesso femminile per inibizione e blocco dell’ADH, con conseguente compromissione dell’attività renale (Schifano). 49
  • 50. VII- Tolleranza, dipendenza e aspetti neuropsichiatrici I disturbi correlati all’uso di sostanze vengono contemplati nel DSM IV, dove troviamo la seguente classificazione, inerente ai disturbi legati alle sostanze di tipo amfetaminico: _ sintomi da sospensione _ delirio da intossicazione (delirium) _ disturbo psicotico (con delirio o con allucinazioni) _ disturbo dell’umore _ disturbo d’ansia _ disfunzioni sessuali _ disordini del sonno _ disturbi non altrimenti specificati. Si parla di abuso quando la sostanza viene usata attraverso una modalità patologica, caratterizzata da segni di intossicazione, dalla incapacità di interromperne l’uso e dal bisogno di un’assunzione quotidiana per funzionare adeguatamente (con conseguente compromissione delle attività sociali e lavorative), con durata dei disturbi di almeno un mese. Si parla invece di dipendenza quando siano presenti i fenomeni di tolleranza (necessità di aumentare la dose per ottenere l’effetto desiderato) e astinenza (sintomatologia di vario tipo e gravità, dovuta a cessazione o grossa diminuzione dell’uso di una sostanza psicoattiva in precedenza assunta ripetutamente). Tali concetti di abuso e dipendenza sono applicabili a tutte le sostanze psicoattive, ma nel caso degli amfetaminici e di altre droghe ricreazionali (come cocaina e allucinogeni), l’uso il più delle volte non è quotidiano, ma episodico, soprattutto concentrato nel fine settimana, e può essere intervallato da lunghi periodi di sospensione. 50
  • 51. Nello sviluppo e nel mantenimento del comportamento d’abuso, ha un ruolo fondamentale il sistema dopaminergico. In particolare, esistono centri della gratificazione appartenenti al sistema limbico a cui arrivano afferenze dopaminiche, tramite la via meso-limbica e meso-corticale, che sembrano essere essenzialmente rappresentati da nucleo accumbens e corteccia prefrontale. Qualsiasi evento esterno che sia in grado di stimolare questi centri sarà giudicato piacevole e da ripetere. L’intensità della sensazione gratificante sembra poi essere correlata alla quantità di dopamina liberata, soprattutto nel nucleo accumbens. Ma la continua stimolazione di questi centri tende a elevarne la soglia di risposta e ciò rappresenta la base dell’insorgenza di tolleranza, che sarà presente anche nei confronti dei normali stimoli gratificanti. Nella fattispecie, l’astinenza da stimolanti centrali sarà caratterizzata da elevazione della soglia di risposta agli stimoli normalmente piacevoli, come ad esempio l’attività sessuale. Dal momento che insorge tolleranza, il soggetto che fa uso di amfetaminici tenderà ad aumentarne la dose, favorendo così anche l’insorgenza di intossicazione. Esistono poi soggetti che anziché andare incontro a fenomeni di tolleranza, sviluppano una sensibilizzazione agli amfetaminici: in tal caso, anche basse dosi di sostanza possono produrre una intossicazione, con evidente ipertono simpatico e/o psicosi. Il DSM IV definisce l’intossicazione anfetaminica come la presenza di alterazioni del comportamento o cambiamenti psicologici clinicamente significativi, che si sviluppano durante o poco dopo (entro 1 ora) l’assunzione di sostanze amfetaminiche. In caso di intossicazione acuta, le piacevoli sensazioni di “high” ed euforia sono seguite da ansietà e senso di allarme, tensione, comportamenti stereotipati e ripetitivi, rabbia, aggressività, diminuzione della capacità di giudizio, che può anche portare a comportamenti alquanto pericolosi, per sé e per altri. In caso di intossicazione cronica, ci possono essere ottundimento emotivo, affaticamento, tristezza, senso di inadeguatezza sociale. Ovviamente, l’entità di queste manifestazioni dipenderà dalla dose assunta e dalle caratteristiche del soggetto. 51
  • 52. Questo quadro clinico può poi essere accompagnato da disturbi della percezione (allucinazioni visive, uditive e tattili), che compaiono in assenza di delirio, ovvero in uno stato di coscienza lucida, nel quale il soggetto si rende conto che le allucinazioni sono indotte dalla sostanza. Se invece le allucinazioni compaiono in un quadro di alterazione della coscienza, deve essere presa in considerazione la diagnosi di “disturbo psicotico indotto da amfetaminici, con allucinazioni”. Sono stati descritti casi di attacchi di panico persistenti per lungo periodo, aumento dell’aggressività ma sempre secondo il modello dell’azione bifasica delle amfetamine come classe in generale, deficit cognitivi e soprattutto disturbi dell’attenzione. Il periodo della sospensione dell’uso I classici modelli di astinenza dagli oppiacei e dall’alcool non sono applicabili agli stimolanti centrali; nel caso infatti di cocaina e amfetaminici, possiamo idealmente suddividere la sintomatologia da sospensione in tre fasi. Nella prima fase, compare uno stato disforico (ricordiamo che per “disforia” si intende un umore irritabile a tonalità sgradevole), solitamente associato ad affaticamento, insonnia o ipersonnia, incubi, aumento dell’appetito, agitazione o rallentamento psicomotorio. Questa fase tende ad autolimitarsi, però può comunque causare problemi nella sfera lavorativa e sociale del soggetto. Nella seconda fase, permane un senso di ansia, anergia, anedonia: ciò, associato agli ambienti e/o alle situazioni in cui si è soliti assumere lo stimolante, favorisce la ripresa dell’assunzione. Similmente quindi alle altre droghe, si avrebbe lo stato di “craving”, ovvero il desiderio incoercibile di sostanza attiva e dei suoi effetti. Il craving è alla base del cosiddetto “drug seeking behaviour” e si compone di due elementi: disforia, o comunque malessere, per l’assenza della droga, e piacere anticipatorio legato al pensiero di assumerla. Nella terza fase, infine, si avrebbe una normalizzazione del tono dell’umore, del tono edonico e affettivo, e del pattern del sonno. Anche in questa fase però 52