2. WORKSHOPeA
04 novembre 2011
D. Lgs 231/2001: Modelli organizzativi per la sicurezza e i
reati ambientali
D. Lgs. 231/01: PRINCIPI GENERALI,
Lgs.
SOGGETTI COINVOLTI E CRITERI DI
ATTRIBUZIONE DELLA RESPONSABILITA’
Avv. Matteo Garbisi
Studio Legale Associato Avv. Garbisi e Rampinelli
3. II decreto legislativo n. 231/2001
Il Decreto introduce e disciplina la responsabilità degli “enti” per gli illeciti
amministrativi dipendenti da reato.
Enti devono intendersi - secondo la previsione dell'art 1 del decreto - gli “enti forniti di
personalità giuridica” e le “società e associazioni anche prive di personalità giuridica”. La
normativa non si applica, viceversa, allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti
pubblici non economici nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.
Secondo un recentissimo orientamento della Corte di Cassazione (sentenza 20/4/2011
n.15657) la disciplina dettata dal D.L.gs. 231/2001 sarebbe applicabile anche all'impresa
individuale se fornita di personalità giuridica.
Il decreto prevede una responsabilità diretta dell'ente per la commissione di taluni
reati da parte di soggetti funzionalmente allo stesso legati e statuisce l'applicabilità nei
confronti di quest'ultimo di sanzioni che possono avere serie ripercussioni sullo
svolgimento dell'attività imprenditoriale.
4. I reati presupposto della responsabilità degli enti
Il Decreto Legislativo n. 231/2001 prevede alcuni gruppi di reati i quali possono far
sorgere la responsabilità degli enti; l'elencazione è contenuta agli artt. da 24 a 25
undecies.
Tra i reati che maggiormente rilevano in relazione all'esercizio delle attività di impresa,
meritano essere menzionati i reati di corruzione di pubblici funzionari, i c.d. reati
societari, la truffa ai danni dello Stato o di altro ente pubblico (anche comunitario),
l'omicidio colposo e le lesioni personali colpose gravi o gravissime con violazione della
normativa dettata per la prevenzione sui luoghi di lavoro.
Dall'agosto di quest'anno tra i reati presupposto della responsabilità dell'ente sono
stati inseriti anche alcuni tra i cosiddetti “reati ambientali”.
5. I cosiddetti “reati ambientali”
Secondo la previsione dell'art. 25 undecies, di recente introdotto, sono presupposto della
responsabilità degli enti i seguenti “reati ambientali”:
- Scarico di acque reflue industriali senza autorizzazione (art. 137, commi 3, 5,primo e
secondo periodo, 11 e 13 T.U.A.);
- Attività di gestione di rifiuti non autorizzata (art. 256, comma 1 lett. a) e b), 3 primo e
secondo periodo, 5 e 6 primo periodo T.U.A.);
- Omessa bonifica (art. 257 T.U.A.);
- Falsità ideologica in certificati di analisi e uso di certificato falso durante il trasporto (art.
258 T.U.A.);
- Spedizione di rifiuti illegale ai sensi del Reg.CE n. 1013/2006 (art 259 T.U.A.);
- Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 260 T.U.A.);
- Violazione della disciplina prevista dal SISTRI (art. 260-bis, commi 6, 7 secondo e terzo
periodo, 8 primo e secondo periodo T.U.A.);
- Violazione dei limiti di emissione o delle prescrizioni dettate dall'autorizzazione
all'emissione in atmosfera se si verifichi anche il superamento dei valori limite di qualità
dell'aria (art. 279 V° comma T.U.A.).
6. I presupposti della responsabilità dell'Ente
La realizzazione di uno di questi reati costituisce il presupposto principale per la
responsabilità amministrativa dell'Ente derivante da reato.
Sussistono, tuttavia, ulteriori presupposti di natura oggettiva e di natura soggettiva.
L'art. 5 del D. Lgs. 231/2001 prevede, infatti, che l'Ente sia responsabile per i reati
commessi nel suo interesse o a suo vantaggio, da persone che rivestano
determinati ruoli di rappresentanza amministrazione o direzione, ovvero da
persone sottoposte alla direzione e alla vigilanza dei primi.
La norma precisa che l'Ente non risponde del reato commesso da chi abbia agito
nell'interesse esclusivo proprio o di terzi.
7. I° requisito (oggettivo) della responsabilità dell'ente
La formula dell'interesse o vantaggio dell'ente
Si tratta di un'endiadi che fa riferimento ad un criterio unitario incentrato sull'interesse
dell'ente in senso oggettivo o bisogna distinguere il concetto di interesse da quello di
vantaggio? La relazione accompagnatoria al D.Lgs. 231/01 sottolinea che si tratta di due
concetti da tenere distinti.
Si considera commesso nell'interesse dell'ente il fatto di reato in cui la condotta (da
valutare ex ente) sia finalizzata a favorire l'ente, indipendentemente dalla
circostanza che tale obiettivo sia stato conseguito.
Il criterio del vantaggio attiene, invece, al risultato l'ente ha obiettivamente
tratto dalla commissione dell'illecito, a prescindere dall'intenzione di chi l'ha
commesso. Si tratta di un dato oggettivo da valutare ex post.
8. II° requisito (soggettivo) della responsabilità dell'ente
Occorre inoltre che l'illecito penale sia stato realizzato da uno o più soggetti qualificati:
- I cosiddetti soggetti in “posizione apicale”, vale a dire amministratori anche di
fatto, loro rappresentanti, direttori generali, preposti di sedi secondarie e in caso di
organizzazione divisionale, direttori di divisione e coloro che “esercitano, anche di fatto,
la gestione e il controllo” dell'ente [art. 5 lett a) D. Lgs. 231/01];
- dai cosiddetti “subalterni”, vale a dire quelle persone che agiscono sotto la
direzione o la vigilanza dei soggetti a posizione apicale tra le quali, secondo
l'orientamento prevalente della dottrina, dovrebbero ricomprendersi anche soggetti
non dipendenti dell'ente quali agenti, collaboratori, consulenti [art. 5 lett. b) D. Lgs.
231/2001].
9. L'efficacia esimente del Modello
per i reati commessi dagli “apicali”
L'ente non risponde del reato commesso dai soggetti in posizione apicale se prova:
- di aver costituito un organismo dotato di autonomi poteri di iniziativa e di
controllo con il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza del modello e di
curare il suo aggiornamento;
- che non vi sia stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell'organismo di
controllo;
- di aver adottato ed attuato, prima della commissione dei fatti, un modello di
organizzazione e di gestione idoneo a prevenire reati della specie di quello
verificatosi;
- che le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli
di organizzazione e di gestione.
10. L'efficacia esimente del Modello
per i reati commessi dai “sottoposti”
Nel caso di reati commessi da soggetti sottoposti, viceversa, la responsabilità dell'ente
scatta se vi è stata inosservanza da parte dell'azienda degli obblighi di direzione e
vigilanza; tale inosservanza è esclusa (con presunzione de iure) se l'ente ha
adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, gestione e
controllo idoneo a prevenire i reati ai quali il decreto legislativo si riferisce.
11. L'autonomia della responsabilità dell'ente
Secondo la previsione dell'art. 8 la responsabilità dell'ente sussiste anche quando
l'autore del reato presupposto non è stato individuato o non è imputabile e quando il
reato si estingue per una causa diversa dall'amnistia.
Dunque la responsabilità dell'ente può essere riconosciuta anche nel caso in cui il
procedimento penale cui è sottoposto l'autore del reato presupposto si concluda con
una declaratoria di estinzione per morte del reo o per prescrizione o per oblazione (o
nel caso, per il vero di difficile configurabilità in concreto, di estinzione del reato
presupposto per remissione di querela).
12. Cos'è un Modello di Organizzazione
Un modello organizzativo è un sistema di gestione dell'attività dell'impresa volto a
disciplinare le modalità attraverso cui l'attività stessa si deve sviluppare nel rispetto
delle norme e dei principi etici.
Ad esempio l'impresa che è dotata di un sistema di gestione della salute e sicurezza nei
luoghi di lavoro in conformità ai requisiti previsti dagli standards BS OHSAS 18001, ha
un modello di organizzazione.
Analogamente un'azienda che è dotata di un sistema di gestione ambientale che
risponde ai requisiti degli standard ISO 14001, ha un modello di organizzazione.
13. Cos'è un Modello di Organizzazione – SEGUE
Negli esempi fatti si tratta di modelli di organizzazione che disciplinano, a specifici fini,
alcuni settori dell'attività dell'impresa (la sicurezza e l'ambiente appunto).
Il Modello di Organizzazione previsto dal D. Lgs 231/2001 deve contenere l'indicazione
di modelli comportamentali specificamente calibrati sul rischio di tutti i reati che, in
relazione alla tipologia di attività dell'impresa, è possibile vengano commessi dai soggetti
che operano nell'interesse dell'impresa stessa.
Così inteso il Modello può definirsi l'insieme degli standard e delle procedure che
devono essere rispettati dal personale o dalle altre persone che agiscono nell'interesse
dell'impresa e che devono essere ragionevolmente idonei ad escludere o ridurre la
possibilità di condotte illegali.
14. Il contenuto del Modello
Per la prevenzione dei reati dei “soggetti apicali”, il modello deve:
- individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi i reati;
- prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e
l'attuazione delle decisioni dell'ente in relazione ai reati da prevenire;
- individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la
commissione dei reati;
- prevedere obblighi di informazione nei confronti dell'organismo deputato a
vigilare sul funzionamento e l'osservanza del modello;
-introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle
misure indicate nel modello.
Per i reati dei “subalterni” il modello dovrà prevedere, in relazione alla natura e alla
dimensione dell'organizzazione, nonché al tipo di attività svolta, misure idonee a
garantire lo svolgimento dell'attività nel rispetto della legge e adeguate all'esigenza di
scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni di rischio.
15. L'attuazione efficace del Modello
Requisito indispensabile perchè dall'adozione del Modello derivi l'esenzione di
responsablità dell'impresa, è che esso venga efficacemente attuato: l'effettività
rappresenta un punto qualificante e irrinunciabile del sistema di responsabilità
dell'azienda.
Per questa ragione è necessario procedere:
- a una verifica periodica dell'efficacia del Modello;
- all'eventuale modifica dello stesso quando sono scoperte significative violazioni delle
prescrizioni, o quando intervengono mutamenti nell'organizzazione o nell'attività,
ovvero ancora quando viene novellata la normativa;
- all'introduzione di un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto
delle misure indicate nel modello.
16. L'art. 30 del Testo Unico sulla Sicurezza del Lavoro
Nel D.Lgs. 81/2008 vi è una specifica disposizione, l'art. 30, che precisa i requisiti di
massima del modello di organizzazione e gestione nel settore del lavoro.
Il modello, per avere efficacia esimente della responsabilità dell'ente, deve avere
conformazione tale da prevedere l'adempimento di tutti gli obblighi giuridici relativi alla
gestione della prevenzione e della sicurezza nei luoghi di lavoro, secondo l'elencazione
contenuta dalle lettere da a) a h) del citato art. 30.
17. L'art. 30 del Testo Unico sulla Sicurezza del Lavoro – SEGUE
Secondo la previsione del comma 5 del citato art. 30, in sede di prima applicazione –
anche se non si precisa il limite temporale relativo – i modelli conformi a linee guida
emanate da determinati organismi (UNI–INAIL del 28/9/2001, British Standard OHSAS
18001:2007) si presumono conformi ai requisiti standard indicati nell'art. 30 per i
modelli di organizzazione e gestione nel settore del lavoro.
La norma precisa che la presunzione di conformità opera “per le parti corrispondenti”.
Di recente il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha emanato una circolare
esplicativa (n. 15816 del 11/7/20011) contenente chiarimenti su questa specifica
disposizione normativa corredata di una “Tabella di correlazione art. 30 D.Lgs. 81/2008
– Linee Guida UNI–INAIL – BS OHSAS 18001:2007”.
18. L'organismo di vigilanza e controllo
L'organismo di vigilanza e controllo ha il compito di vigilare sul funzionamento e
sull'osservanza del modello e di curarne l'aggiornamento.
Può essere sia a composizione monosoggettiva, sia a composizione plurisoggettiva.
L'articolazione e la composizione dell'organismo di vigilanza devono essere correlate
alla complessità strutturale dell'impresa (numero di dipendenti, articolazioni interne,
dislocazione sul territorio, operatività connessa a mercati particolarmente a rischio).
Secondo la previsione del comma IV° dell'art. 6 del decreto negli enti di piccole
dimensioni può operare come organo di vigilanza direttamente l'organo dirigente.
19. L'organismo di vigilanza e controllo – SEGUE
In linea generale può dirsi che le imprese di medio-grandi dimensioni si orientano
verso la costituzione di un organismo di vigilanza plurisoggettivo; realtà di più piccole
dimensioni optano per organismi monosoggettivi.
E' preferibile che l'organismo di controllo sia una funzione interna all'ente.
Conseguentemente appare consigliabile istituire una funzione interna all'ente cui sia
consentito di avvalersi di esperti esterni, laddove si rendano necessari particolari
approfondimenti tecnici.
20. Indipendenza, professionalità e continuità dell'ODV
L'Organismo di Vigilanza deve essere dotato di:
- indipendenza ed autonomia dal vertice dell'ente, al fine di garantirne
l'imparzialità e la possibilità di operare anche quando è chiamato a vigilare sulla
applicazione delle prescrizioni del modello da parte dei vertici della organizzazione
aziendale;
- professionalità, al fine di garantirne le capacità di azione. Il requisito della
professionalità comporta l'esigenza che i soggetti responsabili dei controlli siano dotati
delle competenze e delle tecniche professionali necessarie per l'efficace svolgimento
delle attività richieste;
- continuità di azione, al fine di garantire la costante attività di monitoraggio e di
aggiornamento del modello e la sua variazione al mutare delle condizioni aziendali di
riferimento: l'organismo di controllo deve, cioè, dedicarsi a tempo pieno allo
svolgimento della vigilanza per evitare che si verifichino falle nel sistema di gestione
aziendale determinate da controlli carenti.
21. Ancora sull'ODV
Nella esperienze applicative conosciute si è osservato che le società che siano dotate
del Comitato per il controllo interno (la cui istituzione è raccomandata dal codice di
autodisciplina per le società quotate) hanno conferito a tale organo il ruolo di
organismo di vigilanza.
In altre realtà, sempre piuttosto complesse dal punto di vista dell'organizzazione
aziendale, il ruolo di organismo di vigilanza è attribuito alla funzione di Internal
Auditing.
Per gli enti di piccole dimensioni è possibile attribuire il ruolo di organismo di vigilanza
all'organo dirigente.
La disciplina normativa non stabilisce in quali casi si possa considerare di piccole
dimensioni l'azienda ma, nelle prime interpretazioni, si è individuato come uno dei
criteri principali cui far riferimento quello del numero dei dipendenti e si è ritenuto
che al di sopra delle 50 unità lavorative si debba escludere che l'azienda possa essere
considerata di piccole dimensioni.
22. Le sanzioni comminabili agli enti
Le sanzioni per gli illeciti amministrativi dipendenti dal reato sono, secondo la
previsione dell'art. 9:
- la sanzione pecuniaria;
- le sanzioni interdittive;
- la confisca;
- la pubblicazione della sentenza.
Sono sanzioni interdittive:
a) l'interdizione dall'esercizio dell'attività;
b) la sospensione o la revoca di autorizzazioni, licenze, concessioni funzionali alla
commissione dell'illecito;
c) il divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione;
d) l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di
quelli già concessi;
e) il divieto di pubblicizzare beni o servizi.
23. La sanzione amministrativa pecuniaria
Quando l'ente viene ritenuto responsabile è sempre applicata una sanzione pecuniaria.
La sanzione pecuniaria è determinata dal giudice attraverso un sistema basato su
quote; l'importo di una quota va da un minimo di 258 € ad un massimo di 1.549 €.
La sanzione pecuniaria viene applicata in un numero non inferiore a 100 quote né
superiore a 1000 quote.
Per ciascuno dei reati presupposti il decreto stabilisce i minimi ed i massimi edittali di
quote applicabili all'ente.
Ad esempio l'art. 25 septies prevede, per i reati commessi con violazione delle norme per
la prevenzione degli infortunii sul lavoro, che all'ente responsabile possa essere
comminata una sanzione pari a 1000 quote (oltre alle sanzioni interdittive) per le ipotesi
di omicidio colposo commesso con violazione dell'art. 55 comma II D.Lgs 81/2008; con
una sanzione pecuniaria tra 250 e 500 quote negli altri casi di omicidio colposo
commessi con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro; con
una sanzione pecuniaria non superiore a 250 quote nell'ipotesi di lesioni personali
colpose gravi o gravissime sempre commesse con violazione delle norme sulla tutela della
salute e sicurezza sul lavoro.
24. Criteri per la determinazione della sanzione pecuniaria
In pratica il giudice penale deve prima determinare il numero delle quote in un range
generale da un minimo di 100 ad un massimo di 1000 entro il quale, per ciascun reato
presupposto, è specificato dalla legge il limite minimo/massimo edittale; poi deve
determinare il valore di una singola quota tra un minimo di euro 258 e un massimo di
euro 1549. In sostanza la sanzione irrogabile dal giudice a carico della società può
andare da un minimo di 25.800 euro ad un massimo di 1.549.000 euro.
Quanto ai criteri di commisurazione della sanzione pecuniaria il giudice determina il
numero delle quote tenendo conto della gravità del fatto, del grado della
responsabilità dell'ente nonché dell'attività svolta per eliminare o attenuare le
conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti.
E' tenuto, inoltre, a considerare le condizioni economiche e patrimoniali dell'ente in
modo da assicurare l'efficacia della sanzione.
25. Le circostanze attenuanti
E' prevista la possibilità di una riduzione della sanzione pecuniaria, per i casi nei quali -
alternativamente - l'autore del reato abbia commesso il fatto nel prevalente interesse
proprio o di terzi e l'ente non ne abbia ricavato un vantaggio ovvero ne abbia ricavato
un vantaggio minimo, oppure ancora quando il danno cagionato è di particolare tenuità.
La sanzione pecuniaria, inoltre, è ridotta da un terzo alla metà se, prima della
dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, l'ente ha risarcito
integralmente il danno oppure ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del
reato, ovvero si è adoperato in tal senso, ovvero ancora è stato adottato un modello
idoneo a prevenire la commissione di ulteriori reati.
Se ricorrono entrambe le due ultime circostanze la sanzione ridotta dalla metà a due
terzi, ma non può essere mai inferiore ad € 10.329.
26. Le sanzioni interdittive
Le sanzioni interdittive si applicano in aggiunta alle sanzioni pecuniarie e costituiscono
le conseguenze afflittive di maggior rilievo per l'ente sotto il profilo sanzionatorio.
Ribadiamo che le sanzioni interdittive previste dalla disciplina normativa sono:
- l'interdizione dall'esercizio dell'attività;
- la sospensione o revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla
commissione dell'illecito;
- il divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione;
- l'esclusione da agevolazioni finanziamenti, contributi o sussidi e la revoca di quelli già
concessi;
- il divieto di pubblicizzare beni o servizi.
27. Le sanzioni interdittive – SEGUE
Le sanzioni interdittive si applicano solo nei casi espressamente previsti e purché
ricorra almeno una delle seguenti condizioni:
1) l'ente ha tratto dal reato un profitto rilevante e il reato è stato commesso:
a) da un soggetto apicale;
b) da un soggetto subordinato, qualora la commissione del reato sia stata agevolata
da gravi carenze organizzative;
2) in caso di reiterazione degli illeciti.
Le sanzioni interdittive sono di norma temporanee ed hanno una durata non inferiore a
3 mesi e non superiore a 2 anni.
Le sanzioni interdittive non si applicano nell'ipotesi in cui l'autore del reato abbia
commesso il fatto nel prevalente interesse proprio o di terzi e l'ente non ne abbia
ricavato un vantaggio ovvero ne abbia ricavato un vantaggio minimo, oppure ancora
quando il danno cagionato è di particolare tenuità.
28. Criteri di scelta delle sanzioni interdittive
Nella scelta della sanzione interdittiva da irrogare il Giudice deve informare la sua
decisione a 3 criteri fondamentali:
a) l'idoneità della sanzione interdittiva a conseguire lo scopo della prevenzione di
illeciti del tipo di quello commesso;
b) la necessità della sanzione intesa come non sostituibilità con altra sanzione
interdittiva meno gravosa;
c) la proporzione della sanzione interdittiva rispetto alla gravità, oggettiva e
soggettiva, del reato e alle eventuali condotte “virtuose” poste in essere dall'ente dopo
la commissione del reato e prima della decisione del Giudice.
29. Criteri di scelta delle sanzioni interdittive – SEGUE
Al fine di ulteriormente dettagliare i criteri cui deve informarsi la scelta del Giudice,
l'art. 14 prevede:
- che la sanzione interdittiva del divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione
possa essere limitata a determinati tipi di contratto o a determinate Amministrazioni;
- che le sanzioni interdittive possano essere applicate, se necessario, anche
congiuntamente;
- che l'interdizione dall'esercizio dell'attività si applichi solo come aestrema ratio,
quando ogni altra sanzione risulti inadeguata.
Secondo la citata previsione normativa, l'interdizione dall'esercizio di una attività
comporta di diritto la sospensione ovvero la revoca delle autorizzazioni, licenze o
concessioni funzionali allo svolgimento dell'attività.
30. Il Commissario Giudiziale
Nell'ipotesi in cui sussistano i presupposti per l'applicazione di una sanzione
interdittiva che determini l'interruzione dell'attività dell'ente il Giudice può non
applicare la sanzione e nominare un Commissario che prosegua l'attività per un
periodo pari a quello per il quale sarebbe stata comminata la sanzione interdittiva.
Debbono ricorrere alternativamente le seguenti condizioni:
a) l'ente svolga un servizio pubblico o un servizio di pubblica necessità la cui
interruzione possa recare un grave pregiudizio alla collettività;
b) l'interruzione dell'attività dell'ente possa provocare rilevanti ripercussioni
sull'occupazione dell'area in cui è situato.
In questi casi il profitto derivante dalla prosecuzione dell'attività viene confiscato.
31. Le sanzioni interdittive definitive
Anche se di norma le sanzioni interdittive sono temporanee, possono essere applicate
in via definitiva nei seguenti casi:
1) può essere disposta l'interdizione definitiva dall'esercizio dell'attività se l'ente ha
tratto dal reato un profitto di rilevante entità ed è già stato condannato
almeno tre volte negli ultimi sette anni all'interdizione temporanea dall'esercizio
dell'attività;
2) può essere applicata definitivamente la sanzione del divieto di contrattare con la
P.A. ovvero del divieto di pubblicizzare beni o servizi quando l'ente è già stato
condannato alla medesima sanzione almeno tre volte negli ultimi sette anni.
E' sempre disposta l'interdizione definitiva dall'esercizio dell'attività quando l'ente (o
una sua unità organizzativa) sia stabilmente utilizzato allo scopo unico o
prevalente di consentire o agevolare la commissione di reati presupposto.
Nei casi di interruzione dell'attività conseguenti alla comminazione di sanzioni
interdittive definitive non è consentita la prosecuzione dell'attività da parte del
Commissario Giudiziale.
32. Condotte riparatorie dell'ente
Le sanzioni interdittive non si applicano quando, prima della dichiarazione di apertura
del dibattimento di primo grado, l'ente abbia posto in essere un ravvedimento post
factum caratterizzato dalle seguenti condotte riparatorie che devono essere state
adottate cumulativamente:
1) l'ente deve aver risarcito integralmente il danno e deve avere eliminato le
conseguenze dannose e pericolose del reato ovvero deve essersi comunque
efficacemente adoperato in tal senso;
2) l'ente deve aver attuato un modello organizzativo idoneo a prevenire reati della
stessa specie di quello verificatosi;
3) l'ente deve aver messo a disposizione il profitto ai fini della confisca.
33. Le misure interdittive
Le sanzioni interdittive possono essere applicate anche in via cautelare (e in tal caso si
definiscono misure interdittive) nel corso delle indagini quando sussistano gravi
indizi circa la responsabilità dell'ente per un illecito amministrativo dipendente da
reato e vi sia il concreto pericolo – desumibile da fondati e specifici elementi di fatto -
di reiterazione di illeciti della stessa indole di quello per cui si procede.
Anche con riferimento alle misure interdittive, come visto per le sanzioni interdittive, il
Giudice può nominare un Commissario Giudiziale per un periodo pari alla durata della
misura interdittiva che sarebbe stata applicata.
Anche per le misure interdittive cautelari valgono i criteri di scelta già evocati con
riferimento alle sanzioni interdittive: idoneità, necessità, proporzione.
Le misure cautelari interdittive, tuttavia, a differenza delle sanzioni interdittive non
possono essere applicate congiuntamente.
34. La confisca e la pubblicazione della sentenza di condanna
Accanto alla sanzione pecuniaria e alle sanzioni interdittive, infine, il Decreto prevede
altre due sanzioni:
a) la confisca, che consiste nell'acquisizione da parte dello Stato del prezzo o del
profitto del reato (ovvero, quando non è possibile eseguire la confisca direttamente sul
prezzo o sul profitto del reato, nell'apprensione di somme di danaro, beni o altre utilità
di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato);
b) la pubblicazione della sentenza di condanna, che consiste nella pubblicazione
della condanna una sola volta, per estratto o per intero a spese dell'ente, in uno o più
giornali indicati dal giudice nella sentenza nonché mediante affissione nel Comune ove
l'ente ha la sede principale.
35. VI RINGRAZIAMO PER L’ATTENZIONE
www.eambiente.it
www.eenergia.info
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