5. Anno della Fede 2012‐2013
L’itinerario diocesano annuale
Con il Motu proprio “Porta Fidei” dell’11 ottobre 2011, papa Benedetto
XVI ha indetto l’Anno della Fede per il nuovo anno pastorale 2012‐2013. La
nostra Arcidiocesi intende proporre a tutte le parrocchie e le realtà
ecclesiali un cammino comune per approfondire il dono della fede..
Il cammino annuale è un cammino comune e al tempo stesso elastico,
adattabile alle specifiche realtà ecclesiali, affinché venga rispettato il
carisma di ciascuno. L’intero anno è stato diviso in 6 tappe, che ricalcano i
momenti specifici dell’anno liturgico (ottobre‐novembre; tempo di Avvento
e Natale; gennaio‐febbraio; tempo di Quaresima; tempo di Pasqua; estate).
Ogni tappa dell’anno ha anche uno o più momenti celebrativi: occasioni
di incontro e comunione per tutta la diocesi. In questo modo abbiamo
cercato di ordinare e razionalizzare molti degli impegni diocesani dell’anno.
Il quadro d’insieme di tutto l’anno è affidato all’Icona Biblica della
moltiplicazione dei pani di Lc 9,10‐17.
Al loro ritorno, gli apostoli raccontarono a Gesù tutto quello che avevano
10a
fatto. 10bAllora li prese con sé e si ritirò in disparte, verso una città chiamata
Betsàida. 11aMa le folle vennero a saperlo e lo seguirono. 11bEgli le accolse e prese a
parlare loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. 12Il giorno
cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla
perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo:
qui siamo in una zona deserta». 13Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da
mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno
che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». 14C’erano infatti
circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di
cinquanta circa». 15Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. 16Egli prese i cinque
pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li
dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. 17Tutti mangiarono a sazietà e
furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.
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6. Anno della Fede 2012‐2013
Questo brano è stato diviso anch’esso in 6 parti, ciascuna di esse
corrisponde ad una tappa del cammino annuale, come indicato nello
schema che segue: la prima tappa tra ottobre e novembre (Lc
9,10a.11a); la seconda tappa nel tempo di Avvento e Natale (Lc 9,10b);
la terza tappa nel periodo di gennaio e febbraio (Lc 9,11b); la quarta tappa
nel tempo di Quaresima (Lc 9,12‐13); la quinta tappa nel tempo di Pasqua
(Lc 9,14‐16); infine, la sesta tappa in estate (Lc 9,17).
Il cammino diocesano sulla fede e questo sussidio sono il frutto del
lavoro di tutti gli uffici della nostra diocesi. È possibile, per qualsiasi
necessità, contattare alcuni dei sacerdoti responsabili del progetto ai
seguenti numeri:
‐ don Andrea (Pastorale Vocazionale) 329.68.14.898
‐ don Domenico (Pastorale Giovanile) 340.67.06.645
‐ don Maurizio (Pastorale Universitaria) 380.36.18.590
‐ don Nando (Pastorale Biblica) 327.88.56.338
I testi biblici che caratterizzano ogni tappa sono da intendersi come dei
“moduli”. Nel senso che ogni gruppo di parrocchia, movimento o
associazione potrà scegliere se e come utilizzarli: possono essere utilizzati
tutti consecutivamente (visto che hanno una loro continuità) o possono
anche essere presi singolarmente o parzialmente (avendo comunque
ciascun modulo un senso compiuto per se stesso). In questo modo, ognuno
potrà costruirsi un itinerario ad hoc in base alle necessità della realtà nella
quale opera, rispettando le proprie specificità e contemporaneamente non
perdendo il dono della comunione con il resto della diocesi.
Ogni modulo è corredato delle seguenti piste di approfondimento e
attualizzazione:
a. la spiegazione esegetica guida ad una maggior comprensione del
testo biblico;
b. il filo rosso, che offrendo elementi di crescita umana e spirituale
presenta la specificità di ciascun modulo in continuità con gli altri;
c. riflessione diretta ai giovani;
d. spunti per la vita di coppia;
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7. Anno della Fede 2012‐2013
e. indicazioni nella dimensione della carità e testimonianza ai poveri e
ai malati, alla realtà sociale e al mondo del lavoro;
f. spunti per attività di catechesi sul tema;
g. proposte celebrative.
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8. Anno della Fede 2012‐2013
LA QUINTA TAPPA
La fede celebrata
Moduli biblico‐catechetici di approfondimento
della Quinta Tappa (Tempo di Pasqua)
Introduzione
a. La mappa del nostro cammino
Dall’Icona biblica (vv 14‐16):
14
C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi
discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». 15Fecero così e li
fecero sedere tutti quanti. 16Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli
occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai
discepoli perché li distribuissero alla folla.
Nel cammino pasquale la fede della Chiesa è fede celebrata nella gioia
delle nozze dell’Agnello, gioia per la vita nuova in Cristo. L’uomo, che
all’inizio del cammino abbiamo trovato assetato, desideroso di conoscere se
stesso e trovare il senso dell’esistenza, attraverso la comunità trova in
Cristo la vita nuova, un nuovo ordine, una possibilità oltre il suo limite.
Nel racconto della moltiplicazione dei pani, il fatto che la folla venisse
ordinata in gruppi di cinquanta vuole esprimere il senso di una nuova
armonia. Un’armonia che dà pace e sicurezza. Un abbozzo di prefigurazione
del Regno dei cieli. I gesti di Gesù che seguono, poi, sono profondamente
eucaristici (sono gli stessi verbi usati per da Gesù nella sua ultima cena e dai
sacerdoti nelle celebrazioni eucaristiche). Essi, lì collocati, associano questo
ordine al mistero pasquale della morte e resurrezione di Cristo, celebrata
nell’eucaristia stessa.
In effetti questi saranno gli elementi che caratterizzano il cammino di
questa quinta tappa: la gioia per la salvezza ritrovata in Cristo Signore,
morto e risorto, vissuta all’interno del nostro rapporto con Lui; l’eucaristia,
quale luogo privilegiato per la celebrazione di detta gioia.
Momento celebrativo diocesano sarà il Pellegrinaggio Diocesano a
Roma, il 20 aprile, in occasione della 50a Giornata Mondiale delle Vocazioni.
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9. Anno della Fede 2012‐2013
b. Descrizione dei moduli
Con la nostra partecipazione alla Pasqua di Cristo la nostra fede trova il
suo coronamento e la sua pienezza. A quella fede che abbiamo cercato,
ricevuto in dono, sperimentato e verificato nella prova, ora resta la
celebrazione della gioia per la pienezza che essa ha raggiunto. In
particolare, abbiamo attraversato il deserto del nostro peccato nella
precedente tappa quaresimale. Per dirla con San Paolo, siamo morti anche
noi con Cristo al nostro peccato, ma ora rinasciamo con Lui a vita nuova
sperimentando quella pienezza di vita che solo Lui può donarci. Da qui la
gioia! Ecco allora il senso dello snodarsi dei moduli di questa quinta tappa:
1. Lc 24,13‐35. L’intimità della gioia vissuta dai discepoli di
Emmaus al camminare con Cristo; gioia riconosciuta solo dopo,
nel contesto eucaristico della frazione del pane.
2. Gv 10,27‐30. Il fondamento della gioia nella relazione di
tenerezza con Cristo bel pastore, che conosce le sue pecore e le
ama.
3. At 1,1‐11. Il duplice orientamento della nostra gioia, in cielo
dove siamo destinati (vado a prepararvi un posto), e in terra
dove siamo chiamati a giocarci la nostra vita oggi.
4. At 2,1‐11. La pienezza della gioia nella comunità, all’interno
della quale le relazioni vengono fondate sullo Spirito Santo
Amore.
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10. Anno della Fede 2012‐2013
1. Primo modulo. L’intimità della gioia
Lc 24,13‐35. I discepoli di Emmaus
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Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un
villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme,
14
e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. 15Mentre
conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e
camminava con loro. 16Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. 17Ed
egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo
il cammino?». Si fermarono, col volto triste; 18uno di loro, di nome Clèopa,
gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è
accaduto in questi giorni?». 19Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero:
«Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in
parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; 20come i capi dei sacerdoti e le
nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo
hanno crocifisso. 21Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato
Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono
accadute. 22Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate
al mattino alla tomba 23e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a
dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è
vivo. 24Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come
avevano detto le donne, ma lui non l'hanno visto». 25Disse loro: «Stolti e
lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! 26Non
bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua
gloria?». 27E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le
Scritture ciò che si riferiva a lui
28
Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se
dovesse andare più lontano. 29Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si
fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro.
30
Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò
e lo diede loro. 31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli
sparì dalla loro vista. 32Ed essi dissero l'un l'altro: «Non ardeva forse in noi il
nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci
spiegava le Scritture?». 33Partirono senza indugio e fecero ritorno a
Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro,
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11. Anno della Fede 2012‐2013
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i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!».
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Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano
riconosciuto nello spezzare il pane.
a. Approfondimento esegetico
Nessuno dei Vangeli si conclude con la morte e la sepoltura di Gesù. La
morte non è l’ultima parola. La buona notizia è questa: Gesù è risorto. Essa
è riferita da due tipi di narrazioni evangeliche: la scoperta della tomba
vuota e le apparizioni pasquali.
L’episodio dei discepoli di Emmaus (vv. 13‐35), specifico di Luca, si trova
nel capitolo 24 di Luca, ultimo del Vangelo, che appare come una
composizione strutturata in tre grandi parti, un trittico delle apparizioni: vv.
1‐12, la scoperta della tomba vuota da parte delle donne e l’annuncio dei
due angeli; vv. 13‐35, i discepoli di Emmaus; vv. 36‐53, l’apparizione agli
Undici e l’Ascensione. È stato giustamente osservato che in questo capitolo
si può ammirare tutta l’abilità dello scrittore Luca, che mette «la sua arte a
servizio di una riflessione di fede autentica e del fine programmato: dare ai
lettori il fondamento della loro fede» (G. Rossé).
Il racconto dei discepoli di Emmaus può essere suddiviso in due parti. La
prima parte (vv. 13‐24) è caratterizzata da separazioni e divisioni: i due
discepoli si allontanano da Gerusalemme, luogo dell’evento pasquale, e dal
gruppo dei discepoli (v. 13); sono distanti da Gesù, visto come un estraneo;
sembrano essere divisi anche fra di loro, poiché il verbo greco usato al v. 17
(i discorsi che “stanno facendo”) letteralmente significa “ribattere”. Sono
quindi tristi (v. 17): una situazione cupa e senza speranza.
Nella seconda parte (vv. 25‐35) tutto si rovescia. Gesù è il soggetto
dell’azione, non più i due discepoli, e prende in mano la situazione: egli
spiega gli eventi alla luce delle Scritture, poi assume il ruolo dell’ospite nel
gesto della «frazione del pane». Tutte le distanze sono annullate: Gesù
viene riconosciuto, il cuore dei discepoli «arde», ritornano a Gerusalemme,
nella comunità dei discepoli.
Il racconto è ambientato nel primo giorno della settimana, «lo stesso
giorno» (v. 13) in cui le donne erano andate al sepolcro (v. 1), Quindi siamo
nel pomeriggio‐sera della domenica. La strada è quella che porta da
Gerusalemme a Emmaus. L’identificazione di questo villaggio è
problematica, quello che conta, però, è che i due discepoli si stanno
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12. Anno della Fede 2012‐2013
allontanando dalla città santa. In 9,51 era cominciato il viaggio di Gesù e
degli apostoli verso Gerusalemme, e tutto era orientato verso
Gerusalemme; ora i due discepoli se ne vanno.
Mentre questi due «conversavano tra loro di tutto quello che era
accaduto» (v. 14), «conversavano e discutevano insieme» (v. 15), si avvicina
Gesù in persona. Sono discepoli, questo vuol dire che sono stati con Gesù
per un periodo di tempo, eppure non lo riconoscono. Questo non perché
Gesù si sia camuffato, alla maniera delle divinità greche, ma perché i loro
occhi sono impediti a riconoscerlo.
Lo scambiano per un forestiero; sono stupiti che non sappia nulla di
quello che è accaduto; raccontano di nuovo, in sintesi, i fatti della passione
e morte di Gesù. Dal loro comportamento e dalle loro parole vengono fuori
tristezza (v. 17) e delusione (v. 21). Il racconto delle donne, che hanno
trovato la tomba vuota e dagli angeli hanno saputo che Gesù è vivo, in loro
non ha avuto alcun effetto. Se ne vanno dunque da Gerusalemme perché
pensano che la vicenda di Gesù, ricca di promesse, sia stata alla fine un
terribile fallimento. Tutto quello in cui credevano è finito il giorno in cui
Gesù è stato crocifisso.
La seconda parte del brano è più movimentata. Comincia con una
“omelia” (in greco c’è il verbo omilein che significa spiegare) di Gesù, il
quale spiega il senso della sua vita a partire dalla Legge e i Profeti (vv. 25‐
27). La spiegazione di Gesù dura fino all’arrivo a Emmaus e alla cena
insieme (vv. 28‐31). Durante la cena riconoscono Gesù, che subito
scompare, e tornano di corsa a Gerusalemme (vv. 32‐35).
Gesù rimprovera duramente i due discepoli: la loro visione delle cose
(una comprensione nazionalistica del Messia) ha impedito loro di
comprendere le Scritture: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che
hanno detto i profeti!» (v. 25). Gesù, nella sua spiegazione, mostra loro
come fosse necessaria, cioè secondo il progetto di Dio, la sua passione e
morte. Era questo lo scandalo per i due discepoli: la croce aveva spazzato
via le loro speranze; ora Gesù fa vedere come proprio la croce sia il segno
che egli è veramente il liberatore del suo popolo.
Giunti al villaggio di Emmaus, i due invitano il misterioso forestiero che
ormai è diventato il loro compagno di strada, a fermarsi per la cena. Egli
accetta e, quando è a tavola con loro, prende il pane, recita la benedizione,
lo spezza e lo distribuisce senza dire una parola. A quel gesto, che
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13. Anno della Fede 2012‐2013
ovviamente ricorda l’ultima cena (22,19‐20), i loro occhi si aprono e
riconoscono Gesù. Il cambiamento era già cominciato con la spiegazione
biblica lungo la via: «non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli
conversava con noi?» (v. 32); il gesto evocativo dello spezzare il pane
completa il percorso “spirituale” dei due.
Gesù scompare dalla loro vista e i due discepoli corrono dagli altri ad
annunciare che hanno visto il Signore risorto. Non è consigliabile mettersi in
viaggio di sera e undici chilometri sono quasi tre ore di cammino, ma dopo
aver incontrato il Risorto non c’è nulla che li possa trattenere.
b. Il filo rosso
I discepoli in cammino rappresentano ciascuno di noi, viandanti per
le strade del mondo. Ma essi tornano a casa loro con il volto triste. Si
tratta di quella tristezza che proviene dall’essere stolti, cioè “in‐sensati”,
ovvero incapaci di comprendere il senso profondo dell’agire di Dio,
come Gesù stesso ha diagnosticato loro durante il discorrere per via.
Questa tristezza ha le caratteristiche precise di una speranza delusa in
modo apparentemente inesorabile (noi speravamo che fosse lui a
liberare Israele)!
Però dalla loro parte c’è che sono in due, cioè non sono chiusi
ciascuno in se stesso. Per quanto stessero discutendo, vivono ancora
una fraternità, che sarà per loro salvifica. In essa, infatti, si inserisce
Cristo che si fa loro compagno di viaggio e si mette a dialogare con loro.
All’interno di questa apertura del cuore, in forza della quale hanno la
possibilità di esporre le loro sofferenze e difficoltà, trovano la possibilità
di elaborare il loro malessere spirituale e di convertire la loro tristezza in
gioia.
La gioia, descritta come un cuore illuminato e scaldato dalle parole
di Gesù (non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava
con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?), ha a che fare
strettamente con la fede. E tale fede trova il suo luogo di predilezione
nella celebrazione eucaristica, che ci racconta la totalità dell’amore di
Gesù e come quell’amore si rende efficace per noi ancora oggi.
Da qui l’annuncio. Esso non può certo limitarsi ad un passaggio di
informazioni o nozioni su una verità che viene approcciata solo dal
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14. Anno della Fede 2012‐2013
punto di vista cognitivo. La nostra fede si palesa anche e innanzitutto
nella fiducia che ci rende disponibili a metterci in gioco nei nostri aspetti
più personali. Tirando in ballo le nostre esperienze fatte e i nostri vissuti
interiori. Permettendo al Cristo risorto di trasformarli, redimerli, volgerli
in qualcosa di benefico e persino salvifico. A questo punto il nostro
annuncio può essere efficace perché promana dal nostro profondo.
In conclusione, solo dall’intimità con Gesù può nascere una gioia così
intima. Una gioia del cuore. Una gioia che riscalda e illumina nel
profondo. Nell’eucaristia possiamo nutrirci dell’amore di Cristo e
alimentare quindi la nostra gioia più autentica.
• Come mi relaziono con le mie tristezze? Ascolto la mia tristezza o la
nascondo a me stesso? Nei discepoli di Emmaus, essa nasce da una
speranza di liberazione rimasta delusa: mi accorgo che la mia
tristezza è in me collegata con le schiavitù che mi impediscono di
essere libero? O, al contrario, mi illudo che le mie schiavitù possano
essere la giusta fuga dalla mia tristezza?
• Dove cerco la mia gioia? Elaboro le mie difficoltà interiori con
qualcuno, ricercando i segni della volontà di Dio nella mia vita? O
piuttosto mi illudo di bastare a me stesso, nascondendo i miei lati
oscuri?
• Quanto la mia fede ha a che fare con la mia ricerca della gioia?
Cosa significa per me incontrare il risorto nel peregrinare di questa
mia vita?
• Il mio annuncio del risorto parte da una rielaborazione reale della
mia vita alla luce del mio incontro con Cristo o non piuttosto da
qualcosa di imparaticcio e non sperimentato?
c. Giovani
L’avventura dei discepoli di Emmaus ci traccia il percorso della fede e
dell’incontro con il Signore, possiamo dire che è una vicenda che noi giovani
sentiamo molto vicina; ci rispecchiamo in questi due. Delusi di quanto era
avvenuto, amareggiati per le loro speranze frustrate e indispettiti hanno
deciso di lasciare Gerusalemme e il gruppo e di andarsene.
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15. Anno della Fede 2012‐2013
Erano emozionalmente turbati, quindi incapaci di capire quello che era
successo e di riconoscere Gesù che si univa a loro nel cammino. E’ il nostro
modo di reagire quando ci troviamo di fronte a situazioni difficili,
complicate, che non capiamo e nasce dentro una ribellione, la voglia di
scappare, di tentare cose nuove ma Gesù è lì con loro. Ha bisogno di usare
modi forti per scuoterli e per poter entrare nel loro mondo chiuso, a
differenza del nostro ambiente che ci alletta, ci accarezza, ci fa discorsi che
ci piacciono, e Gesù porta i due da una situazione di tristezza su un
cammino dove la sua Parola tocca il cuore, dove invita a compromettersi
con Lui, dove Egli si compromette totalmente con loro nel dono totale che
lo rivela pienamente. Allora arriva la gioia e arriva questo profondo
desiderio di tornare indietro, di rientrare nel gruppo e raccontare quanto
hanno vissuto.
Il primo interrogativo che forse dobbiamo porci è quale capacità
abbiamo noi di accogliere i modi forti, quelli che ci costringono alla verità
della nostra chiusura mentale, della nostra schiavitù alle emozioni che ci
impediscono di vedere la realtà qual è; perché di solito noi di fronte a chi ci
tratta in modi forti scappiamo, la fortuna dei discepoli invece è che non
sono scappati.
Siamo disposti di fronte al mistero della croce, della sofferenza, delle
tragedie umane a lasciarci scuotere, ad aprirci alla Parola, all’accoglienza
dell’altro e a farci compromettere da Cristo che si fa pane nel dono totale di
sé? Siamo convinti che la vita di gruppo, la comunione con i fratelli è la vera
conseguenza, il vero frutto dell’incontro con Cristo?
d. Carità e testimonianza
Abbiamo conosciuto Gesù lungo il cammino. L’abbiamo riconosciuto
nello spezzare il pane.
Lungo il cammino spiegava le scritture, guariva i malati, abbracciava i
fanciulli, perdonava i peccatori, liberava gli oppressi.
Camminare con Gesù è mettere i nostri passi dove li mette Lui,
ripercorrere le sue strade, guidati dalla sua Parola, dal suo esempio.
Siamo alla sua sequela ogni volta che accogliamo uno straniero, che ci
pieghiamo a curare un malato, a soccorrere una persona in difficoltà, ogni
volta che le nostre mani e il nostro cuore si aprono a donare ciò che è più
importante: Gesù stesso.
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16. Anno della Fede 2012‐2013
I discepoli lungo il cammino avevano avvertito che il cuore gli ardeva nel
petto, ma nel riconoscere Gesù nella frazione del Pane Eucaristico, si
aprono alla gioia viva e vera, di trovarsi ancora una volta con il Maestro, con
il Risorto.
• Ho mai sperimentato la gioia dell’incontro con il Signore della
vita, nel servizio agli ultimi, nello slancio missionario,
nell’accogliere lo straniero? In che modo? Cosa ho vissuto?
• Attingo forza dal Pane Eucaristico per ripeterne il gesto nel
dono di me stesso?
• Nello “spezzarmi” per gli altri riesco a scorgere la gioia di un
incontro tra Cristo e le persone che Lui vuole raggiungere
attraverso di me?
e. Spunti per attività
Due sono le icone che raccontano dei due discepoli di Emmaus, che la
sera di Pasqua riconoscono il Signore al termine del loro cammino (Luca 24,
13‐29) nel gesto della frazione del pane (Luca 24,30‐35). Entrambe possono
essere utilizzate per una catechesi che permetta al gruppo di confrontarsi
con la propria esperienza di fede e nel contempo di fare un’esperienza di
contemplazione.
Il percorso prevede due tappe, una per ogni icona:
Prima tappa: Una strada, tre persone. Il dialogo tra loro è molto
animato. Gesù cammina in mezzo ai due discepoli, li guarda in profondità, li
ascolta e li ama teneramente. Accoglie il pesante carico della loro delusione
e l’incapacità di leggere nella fede gli ultimi eventi della loro storia. Ma essi
non lo riconoscono.
Il Signore li benedice con un gesto dolcissimo, come usano fare i
sacerdoti nel rito bizantino, mentre spiega loro il senso profondo delle
scritture. Esse sono rappresentate dal rotolo che Gesù tiene nella mano
sinistra: "E cominciando da Mosè e attraverso tutti i profeti, spiegò loro
quello che in tutte le scritture lo riguardava".
Si tratta, ora, d’imparare a discernere la ‘visita’ del Signore Risorto,
perché Egli è ormai presente per farci perennemente passare dalla
desolazione alla consolazione. Se prima i due discepoli si sentivano soli e
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17. Anno della Fede 2012‐2013
abbandonati, sconfitti nelle loro aspettative, ora Gesù è con loro, pronto a
riempire ogni solitudine.
“Erano in cammino”. La difficoltà che qui emerge e blocca la fede
impacciata dei due discepoli è la fatica ad accettare la quella Pasqua. I
discepoli sono incapaci di combinare insieme gli eventi fallimentari del
venerdì di Parasceve con quelli registrati all’alba del primo giorno della
settimana. Un’inadeguatezza di
fondo: far quadrare le proprie attese
con tutto ciò che era accaduto,
soprattutto lo scandalo della croce.
“Speravamo fosse Lui a liberare
Israele”: espressione, questa, che ci
lascia intendere il tenore preciso
delle loro speranze frustrate e ci dà
l’esatta misura della loro delusione.
Eppure l’icona e la Parola
raccontano che, se quella strada
prima era simbolo di un cammino in
fuga vergato da tristezza, oscurità,
scoramento e sfiducia, ora con la
presenza del divino Viandante si
trasforma in un cammino di fede.
S’impara così, pian piano, a tenere il
passo con Dio; con Lui tutto cambia aspetto e quel sentiero ciottoloso ora si
fa terra densa di promessa, terra rifiorita, perché narra già della prossima
corsa di Cleopa e l’altro discepolo verso Gerusalemme, ad incontrare i
fratelli, con la mente piena di luce e il cuore traboccante di gioia, di fiducia e
di coraggio.
Alla partenza i due discepoli si erano muniti di bastoni da viaggio a cui
appoggiarsi e forse difendersi: legno duro, arido, secco. Sono simbolo dei
loro cuori. Gesù li interroga circa tutto il loro sconforto. “Solo tu non sai…?”.
Li interroga perché esca interamente la loro amarezza … essa non va mai
repressa né rimossa, ma consegnata a Colui che è tra noi non tanto per i
giusti e i sani, ma per i peccatori, per i malati nella fede: “sciocchi e tardi di
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18. Anno della Fede 2012‐2013
cuore nel credere … ” . E’ molto importante nella vita spirituale saper unire
l’ascolto della Parola con l’esperienza di vita: l’uno senza l’altra non porta
all’incontro profondo, vero, essenziale col Cristo, Figlio dell’uomo e Figlio di
Dio.
Gli scribi e i farisei, esperti nelle Sacre Scritture, non comprendono
Gesù, ma neppure i discepoli, pur standogli accanto e condividendone la
vita quotidiana, finché una luce interiore, un calore che tocca il cuore, non
dischiude loro la Verità. A volte è solo un lampo, poi torna l'opacità. Essi
"non compresero nulla di tutto questo; quel parlare restava oscuro per loro
e non capivano ciò che egli aveva detto" (Lc.18,33). Era solo parola, ancora
non c’era stata l'esperienza.
I discepoli avevano vissuto alcuni eventi, anche forti come la
Trasfigurazione, ma ancora non si erano lasciati scavare dalla Parola. In
questo sta l’origine della loro tristezza. Gesù è risorto, ma per loro tutto è
finito, infatti anche se Gesù cammina con loro, sono incapaci di
riconoscerlo. Non basta loro sentir dire che Gesù era un profeta potente in
opere e parole e che davvero aveva suscitato la speranza della liberazione
di Israele; non basta nemmeno la testimonianza di alcune donne. Per loro
Gesù è morto e sepolto e la persona che li affianca è solo un forestiero.
Eppure proprio questo forestiero li aiuta a collegare la loro esperienza con
le Scritture e qualcosa cambia la loro vita.
Qui finisce la loro fuga: “Resta con noi, Signore, perché si fa sera” (Lc.
24,29). E l’incontro si trasforma immediatamente in esperienza di
comunione.
Seconda tappa: “Quando fu a tavola con loro, prese il pane...lo spezzò e
lo diede loro.” Cristo si fa ospite perché è compagno di viaggio, infatti non si
limita ad aspettarci alla locanda. Anzi sembra che preferisca il ruolo del
viandante rispetto a quello dell’ospite: “fece come se dovesse andare più
lontano”. Così i discepoli da invitanti si scoprono invitati: è il Signore Gesù
che li ospita e li ammette alla comunione con lui.
In questa icona, in primo piano, troviamo la tavola imbandita dove Gesù
si presenta nell’atto di benedire il pane. Il calice è il grande segno di
riconoscimento del Signore vivente e presente. I discepoli appaiono in
atteggiamento di accoglienza del Risorto presente in mezzo a loro. La
mensa è evidentemente un banchetto eucaristico nel quale la frazione del
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19. Anno della Fede 2012‐2013
pane equivale alla celebrazione eucaristica: “prese il pane, disse la
benedizione, lo spezzò e lo diede loro” (Lc 24,30). Sono i gesti della Cena del
Signore e della moltiplicazione dei pani, quando apparve loro “potente in
opere e parole” (Lc 24,19).
Il drappo rosso in alto, oltre ad indicare che la scena si svolge all’interno
di una casa, esprime la continuità tra Gesù Parola vivente e Gesù Eucaristia.
L’immagine trasmette un importante significato teologico: mentre la
Sacra Scrittura rende
testimonianza al Cristo risorto,
l’Eucaristia dà alla Chiesa il
Risorto stesso, vivente e
presente. La Sacra Scrittura
rende ardente il cuore pigro;
l’Eucaristia toglie l’incapacità
di intendere.
La presenza del Risorto
entra, attraverso la Sacra
Scrittura, interpretata alla luce
della Risurrezione e
dell’Eucaristia, nella coscienza
del credente e fa ardere il suo
cuore della viva fiamma dello
Spirito Santo. L’Eucaristia non
è il ricordo della morte del
Signore, ma memoriale della
sua Morte e Risurrezione.
L’insistente invito dei discepoli a “restare con loro” è la preghiera della
comunità dei credenti di tutti i tempi che, celebrando l’eucaristia, attualizza
la promessa del Risorto: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del
mondo” (Mt 28,20). La presenza del Vivente è apportatrice di salvezza per
tutti. I discepoli di Emmaus sono prototipo di ogni discepolo raggiunto dalla
salvezza e inviato ad invitare anche gli altri al banchetto preparato per tutti
dal Risorto.
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20. Anno della Fede 2012‐2013
Dentro la casa, Gesù è al centro, sta spezzando il pane. E' rivestito dalla
tunica, il chiton rosso e il mantello, l'imation blu che indicano le due nature. Il
blu, indicando il cielo, sottolinea il mistero della vita divina: Gesù è vero Dio.
Il rosso richiama il fuoco, il sangue, l'umanità: Gesù è vero uomo.
Il discepolo barbuto più anziano, è Cleopa; indossa un mantello e una
tunica dalle tonalità intense e calde che rimandano al desiderio profondo di
comunione e alla forte tensione a diventare una cosa sola col Maestro.
Il verde del pavimento ci suggerisce inoltre la fertilità della parola di
Cristo che è portatrice di vita, di gioia vera; i rossi aranciati dell’arreda‐
mento, poi, ci parlano dell'amore che si spende nel sacrificio fino a dare la
vita e ci rimandano all’immagine del roveto ardente sull’Oreb.
Ormai Lui è in noi e noi in Lui, grida l’icona. Il nostro cuore raggelato e
lento, comincia a pulsare e ardere; i nostri occhi prima appannati dalla
paura e dalla tristezza, si aprono a contemplare il Signore della Vita. Tutto –
suggerisce l’icona – era necessario, ma per riconoscerlo bisognava rimanere
in Lui, bisognava spezzare il pane con lui. Ascolto e comunione trasformano
il cuore di pietra in cuore di carne. Qui, grida l’icona, si respira vita divina e
si partecipa ad essa pienamente; qui, nell’Eucarestia, non solo facciamo
esperienza di un Dio che è per noi e con noi, ma anche di un Dio che è in
noi. E noi tabernacoli viventi, uomini e donne spirituali, avendo incontrato il
Signore, ci lasciamo illuminare dallo Spirito e permettiamo all'amore del
Padre di vivere in noi.
Ma non indulge troppo il Signore: “dopo la frazione del pane, sparì dalla
loro vista”. Per quanto gratificante sia la sua manifesta presenza tra noi, Egli
non teme di sottrarsi e nascondersi ai nostri occhi. Forse per costringerci di
nuovo a partire. A camminare, con un ritmo cadenzato non più dalla
delusione, ma sulla calda certezza che ha risvegliato il nostro cuore: è
risorto!
“Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme” Si potrebbe
quindi dire che noi siamo una Chiesa viandante e pellegrina che ha il
compito di annunciare a tutti la vita e la speranza. Dunque è irrinunciabile
16
21. Anno della Fede 2012‐2013
l’impegno di affiancarsi agli uomini e donne del nostro tempo e farci
accettare come compagni di viaggio.
g. Momento celebrativo
ADORAZIONE EUCARISTICA
CON I DISCEPOLI DI EMMAUS
L’incontro può essere diviso in 4 parti ricalcando un po’ la “cronologia”
del racconto:
‐ Il racconto al Signore di quanto non va nella nostra vita (vv. 13‐
24)
‐ L’ascolto della Sua Parola illuminante e consolatoria (vv. 25‐28)
‐ La frazione del pane cioè l’adorazione (vv. 26‐32)
‐ L’impegno missionario ed urgente (33‐35)
Si può iniziare l’incontro, possibilmente in chiesa, senza che siano
accese molte luci e tanto meno le candele sull’altare. Possono essere posti
due candelieri vicino all’ambone con la parola di Dio, i quali verranno accesi
solo nel momento in cui si passerà al secondo momento, quello dell’ascolto
della Parola. Ogni momento può essere accompagnato da un canto, quello
iniziale, un salmo, un canto di adorazione e quello conclusivo. Ogni
momento è preceduto da un parte dell’episodio dei discepoli di Emmaus
diviso nel modo riportato sopra.
(1) Nella prima parte, con il testo vv. 13‐24, si invitano i
partecipanti a mettere “davanti” al Signore le difficoltà della
propria vita.
(2) Nella seconda parte si può leggere il testo del profeta Isaia o
Geremia sul servo sofferente che salva il popolo e di cui si può
avere fiducia.
(3) Il momento dell’adorazione dovrebbe essere fatto in assoluto
silenzio, letto il testo vv. 26‐32, si fa un canto e si espone il
Santissimo come al solito, almeno per quindici minuti, in totale
silenzio. La riposizione può essere fatta semplice e senza
benedizione poiché l’incontro non è ancora finito.
17
22. Anno della Fede 2012‐2013
(4) L’ultima tappa è missionaria, dopo la lettura del testo verranno
consegnati degli impegni personali ai partecipanti.
Ecco di seguito la spiegazione di ogni tappa.
Prima tappa.
Per la prima tappa, dopo il canto e il segno di croce si può iniziare con
alcune domande sulla vita. Quali sono i nostri fallimenti? Ci sono delle
amarezze nella nostra vita? Dei progetti che non siamo riusciti a realizzare?
Quali sono le ferite più profonde della nostra esistenza? Abbiamo qualche
difficoltà con il Signore? Ci lamentiamo che forse non interviene come
vorremo?
Le domande possono essere scritte su un foglietto, in modo che tutti
possano fare come un esame di coscienza, sull’altro lato del foglietto può
essere stampato il salmo 17 (18) e il testo di Isaia 53, 1‐12 e di Lc 24,13‐35.
Seconda tappa
Il testo da leggere nella seconda tappa è solo Isaia 53,1‐12, ne
potrebbero essere scelti altri, ma questo sembra molto attinente. Il testo va
spiegato alla luce della vicenda di Gesù. La croce non è un errore di
percorso nella vita di Gesù, le sofferenze e le difficoltà che si incontrano
nella quotidianità appartengono allo stesso Cristo che non si è sottratto ad
esse. Le difficoltà sono per noi momenti di purificazione, come una sorta di
ascesi, di esercizio per lo spirito, soprattutto se affrontate in comunione con
il Signore. Durante la lettura di Isaia vengono accesi i candelieri accanto
all’ambone oppure il cero pasquale.
Terza tappa
Letto il testo corrispondente di Luca, si accendono le candele sull’altare,
e si espone il Santissimo Sacramento, si fa l’incensazione, quindi un canto di
adorazione e si sosta in preghiera, vogliamo “riscaldare” il nostro cuore alla
Sua presenza (almeno 15 minuti). Durante l’adorazione personalmente ed
in silenzio si può leggere il salmo 17 (18) “Ti amo Signore”.
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23. Anno della Fede 2012‐2013
Quarta tappa
L’ultima tappa, letto il testo di Luca su un alcuni foglietti vengono scritti
degli impegni. I foglietti alla rinfusa saranno pescati dai partecipanti. Eccone
un elenco.
In questa settimana trova un momento di preghiera più
lungo del solito.
Invita qualcuno alla celebrazione eucaristica oppure ad un
momento di preghiera.
Da la tua disponibilità al parroco per qualche servizio,
anche umile.
Sii più accogliente verso quelle persone che più di altre,
con il loro atteggiamento, ti danno fastidio.
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24. Anno della Fede 2012‐2013
2. Secondo modulo. Il fondamento della gioia
Gv 10,27‐30. Il bel Pastore
27
Le mie pecore ascoltano la mia voce ed io le conosco ed esse mi
seguono. 28Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e
nessuno le strapperà dalla mia mano. 29Il Padre mio, che me le ha date, è
più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30Io e il
Padre siamo una cosa sola.
a. Approfondimento esegetico
Come ricorda Benedetto XVI l’immagine del buon pastore con cui Gesù
presenta la sua missione ha una lunga storia. Nell’Antico Oriente il re è il
pastore investito da Dio, e il “pascere” indica il suo governare. A partire da
questa immagine, tra i compiti del sovrano c’è quello di prendersi cura dei
deboli. Secondo la sua origine, essa è «un Vangelo di Cristo re che fa
risplendere la regalità di Cristo» (Gesù di Nazaret, p. 316) .
Lo sfondo del discorso di Gesù in Gv 10 è, ovviamente, l’Antico
Testamento, dove il pastore di Israele è Dio. La religiosità di Israele è stata
segnata profondamente da questa immagine, ed essa è stata un messaggio
di consolazione e di fiducia soprattutto nei periodi difficili. Il Salmo 23 è il
testo che esprime meglio questi sentimenti: «Il Signore è il mio pastore» (v.
1); «Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male,
perché tu sei con me» (v. 4). Il testo che tratta in maniera più estesa questo
tema si trova nel profeta Ezechiele, ai capitoli 34‐37. Il profeta denuncia i
pastori egoisti del suo tempo e annuncia la promessa che Dio stesso
cercherà le sue pecore e si occuperà di loro.
È Gesù stesso che interpreta il suo comportamento come compimento
della promessa di Ezechiele. Di fronte alla mormorazione degli scribi e dei
farisei perché mangia con i peccatori, il Signore racconta la parabola della
pecorella smarrita per mostrare che lui è il vero pastore annunciato da
Ezechiele.
Vediamo lo svolgimento di Gv 10. Il discorso del buon pastore comincia
in realtà con l’immagine della porta (vv. 1‐10). Gesù è “la porta” delle
pecore. Egli è la via attraverso la quale si giunge alla salvezza e
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25. Anno della Fede 2012‐2013
all’abbondanza della vita (v. 10). Dà anche il criterio per i pastori del suo
gregge dopo la sua ascesa al Padre. Il vero pastore giunge alle pecore solo
attraverso Gesù, solo se è una cosa sola con lui.
La seconda parte del discorso (v. 11‐18) si apre con la dichiarazione di
Gesù: «Io sono il buon pastore». Il termine greco usato, kalós, alla lettera
significa “bello” e vuole indicare che Gesù è il pastore ideale, vero. A
differenza del mercenario, che di fronte al pericolo scappa, il vero pastore
dà la propria vita per le pecore. Il testo insiste molto su questa idea del
pastore che «dà la sua vita». Il verbo greco usato significa anzitutto che il
pastore si espone al pericolo per la salvezza del gregge. Assume poi il
significato di offerta della propria vita a favore del gregge, un’offerta libera
che non si conclude con la morte, ma con la risurrezione; offerta della
propria vita dalla quale il gregge riceve vita. L’unità del gregge è il segno
della comunione di vita che lo lega al suo pastore, ed è l’immagine di ciò
che Dio vuole fare con tutti gli uomini.
Dopo queste parole sorge un dissenso tra i Giudei (vv. 19‐21) e, durante
la festa della Dedicazione del Tempio1, essi chiedono a Gesù di dire
apertamente se lui è il Cristo (vv 22‐24). Il brano della quarta domenica di
Pasqua (vv. 27‐30) è la risposta di Gesù a questa domanda, risposta che
provoca la reazione rabbiosa dei Giudei. Tenteranno di lapidarlo ma egli
sfuggirà di nuovo (non è la prima volta che tentano di catturarlo) dalle loro
mani2.
I Giudei non vogliono accogliere la rivelazione di Gesù, per questo non
fanno parte del suo gregge (vv. 25‐26). Quelli che gli appartengono, invece,
ascoltano la sua voce; si sentono conosciuti da lui e lo seguono. Nella Bibbia
la conoscenza è conoscenza d’amore. Gesù vuole dire che le sue pecore
conoscono il suo amore, ne hanno fatto esperienza perché si sono fidate di
1
Questa festa ebraica, che durava otto giorni, si celebrava nel mese di
dicembre, tre mesi dopo la feste delle Capanne. Ricordava la nuova
dedicazione dell’altare e la riconsacrazione del tempio da parte dei
Maccabei nel 164 a. C., in seguito alla profanazione fatta da Antioco IV
Epifane . Sant’Agostino, partendo dal fatto che è inverno, dice che non solo
il clima è freddo ma anche il cuore degli ascoltatori.
2
A conferma di quanto aveva detto in precedenza: lo prenderanno solo
quando giungerà la sua ora e lui si farà prendere.
21
26. Anno della Fede 2012‐2013
lui, per questo lo seguono. Da Gesù ricevono la vita eterna, cioè il suo
amore, il loro destino eterno è la vita; nessuno può “rapirle” dalla sua mano
e consegnarle alla morte perché le parole e le azioni di Gesù sono le parole
e le azioni stesse di Dio.
b. Il filo rosso
La nostra gioia ruota tutta attorno all’intimità di rapporto che noi
pecorelle abbiamo con Lui, nostro Pastore. Essa si regge sulla
rassicurazione rivoltaci da Gesù, che chiama a garanzia persino l’autorità
del Padre, che è il più grande di tutti, e visto che è stato Lui che glie le ha
date, allora nessuno può strapparle dalla mano di Gesù.
È qui descritta una situazione di estrema sicurezza in merito al rapporto
delle pecore con il loro pastore. Vediamo allora questo rapporto!
Intanto il pastore non è “buono”, ma “bello”. In Gv 10,11 così si
qualifica in realtà Gesù stesso (Io sono il bel pastore). Come interpretare la
bellezza del pastore? Innanzitutto è “bello” nel senso estetico; lo è anche in
ordine al fine della salvezza, cioè “conveniente, utile, senza difetti”; lo è
inoltre dal punto di vista morale, “modello, gradito a Dio, salvifico”; infine
anche semplicemente nel senso di “caro, amato, desiderabile, eccellente,
1
vantaggioso” .
La differenza di accenti rispetto alla traduzione tradizionale è
assolutamente rilevante! Noi siamo pecore che seguono il pastore perché
riconosciamo in Lui qualcosa di assolutamente affascinante e desiderabile.
Riconosciamo in Lui una bellezza che fa riecheggiare in noi arcaici richiami.
Abbiamo la sensazione che lo conosciamo da sempre. Riconosciamo nella
sua voce qualcosa che era in noi da prima che nascessimo e che non
sappiamo neanche più come e perché abbiamo perduto. Riconosciamo
2
nella sua voce una bellezza tanto antica e sempre nuova , nella quale
troviamo Lui e ritroviamo noi stessi. Quell’amore è l’esperienza originaria
della nostra creazione, è casa nostra più di ogni altro luogo. Ci ha creati e
ora ci può ricreare, nuovi e autentici allo stesso tempo!
1
Cfr SANTI GRASSO, Il Vangelo di Giovanni. Commento esegetico e
teologico, Roma 2008, 443.
2
Cfr. S. Agostino, Le confessioni, X, 27.
22
27. Anno della Fede 2012‐2013
c. Giovani
Il messaggio del Buon Pastore ci parla di un incontro che diventa
esperienza di amore.
Quell’amore che noi giovani sentiamo dal profondo del cuore come
senso vero della nostra esistenza, del nostro quotidiano e che cerchiamo
con tutto noi stessi. Spesso questa ricerca si carica di difficoltà, di strade
sbagliate, di sollecitazioni ingannevoli, ma ecco che arriva Colui che ci ama
veramente come la pecorella smarrita, ricercata, ritrovata, accolta,
perdonata e festeggiata. Ecco che ci rassicura perché ci sentiamo conosciuti
e amati per cui sappiamo che possiamo fidarci di lui, ascoltare la sua voce e
seguirlo anche quando non capiamo.
Il suo amore ci esalta, ci fa entrare in una comunione sovrumana che è
quella della vita eterna, che diventa in noi fonte di gioia. E ci lascia sempre
persone libere, capaci di deciderci per l’amore, liberi dal capriccio nel dono
totale di sé fino al sacrificio.
Il suo amore totale e incondizionato ci rassicura, ci dà la certezza che
nessuno ci potrà rapire e distogliere da quell’incontro d’amore perché Dio si
è compromesso con noi. E’ un’immagine sponsale che ci parla della
comunione con Dio che poi diventa comunione e donazione nelle varie
scelte di vita, per cui possiamo decidere la nostra vita offrendoci totalmente
all’altro o agli altri e per sempre nella forza dell’amore.
Concretamente noi questo amore di Gesù e del Padre dove lo vediamo
nella nostra vita e lo sperimentiamo? Per quel poco che abbiamo
sperimentato, quale capacità abbiamo nel Signore di credere all’amore e di
decidere di giocarci la vita per l’amore?
d. Carità e testimonianza
Il Santo Padre nell’Omelia di inizio Pontificato in occasione della Festa
di San Giuseppe si è espresso così: “Custodire vuol dire allora vigilare sui
nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è proprio da lì che escono le
intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono!
Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza!
E qui aggiungo, allora, un’ulteriore annotazione: il prendersi cura, il
custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza. Nei Vangeli,
san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel
suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi,
23
28. Anno della Fede 2012‐2013
al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di
compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore. Non dobbiamo
avere timore della bontà, della tenerezza!”
Dio ci ha mostrato e ci mostra quotidianamente il suo amore di Padre,
che con premura e attenzione custodisce i suoi figli. Nessuno potrà
strapparci dalla sua mano amorevole.
Ognuno di noi è nel cuore di Dio.
• La cura dei malati, il soccorso ai sofferenti, la vicinanza ai
lontani, l’accoglienza di chi ha sbagliato, l’annuncio del Vangelo,
sono alcuni dei modi con cui Gesù ha “donato vita” e “custodito
in pienezza” coloro che il Padre gli aveva affidato. Siamo capaci
di custodire ogni persona con l’amorevole tenerezza del Padre?
• Nell’accostarci a chi vive nella difficoltà siamo capaci di
trasmettere la tenerezza e l’attenzione con cui il Padre si
prende cura di ciascuna persona? Quali sono i nostri
atteggiamenti verso di loro?
e. Spunti per attività
Obiettivo.
La seguente proposta di lavoro può essere utilizzata sia per il primo che
per il secondo modulo. In entrambi i casi l’attivazione, infatti, vuole mettere
a fuoco la gioia dell’uomo che nel cammino della vita, spesso smarrito e
confuso, riconosce la voce del Signore che gli si fa accanto, scalda il suo
cuore, di cui Lui conosce le angosce e le speranze.
Descrizione dell’attività
1. Si invita il gruppo a camminare in uno spazio prestabilito.
Ognuno dei presenti guarda negli occhi gli altri e sceglie un
compagno/a con cui costituire una coppia per il lavoro
2. A ciascuna coppia si dà 20 minuti di tempo per raccontarsi di
quanto ciascuno porta nel proprio cuore, soprattutto le proprie
ansie e speranze del momento.
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29. Anno della Fede 2012‐2013
3. Si ricostituisce il grande gruppo, tutte le coppie vengono
mescolate e bendate
4. Ciascuno dovrà cercare il proprio compagno/a riconoscendo la
sua voce nella confusione. Non sarà possibile chiamarsi per
nome, ma solo usare parole ed espressioni di quanto l’altro ha
espresso di sé nel colloquio avuto precedentemente.
Alla fine dell’attivazione ci si sistema in circolo e si condivide
liberamente quanto si è vissuto per poi reinterpretare l’esperienza alla luce
della fede.
Domande stimolo
Le domande stimolo per la conversazione potrebbero essere del tipo:
• Come ti sei sentito quando vagavi nel buio e ti sentivi
disorientato nella confusione delle voci?
• Com’è stato per te quando hai riconosciuto la voce del tuo
compagno/a?
• (oppure) Com’ è stato per te non riconoscere il tuo compagno/a
e rimanere solo?
• Ti sei sentito accolto e “conosciuto” dal tuo compagno/a?
• E’ sempre facile per te riconoscere la voce del Signore nelle
vicende della vita?
• Quali” voci” dentro e fuori di te oscurano la presenza del
Signore?
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30. Anno della Fede 2012‐2013
f. Momento celebrativo
PER UNA REGOLA DI VITA (I) 3
Proponiamo in 4 tappe un vero e proprio schema per una regola di vita.
Ci avvaliamo delle riflessioni del cardinal Martini. Non si tratta di una
celebrazione ma di un momento di riflessione personale.
Dividiamo questa regola di vita in 4 tappe:
1. l’inquietudine del cuore
2. i doni tramandati dalla chiesa
3. l’accoglienza dei doni ricevuti
4. la restituzione dei beni accolti
L’INQUIETUDINE DEL CUORE
Le domande rivolte verso Dio
La “regola di vita” vorrebbe anzitutto essere un tentativo di dare
risposte a domande vere. Quali sono? Se guardiamo dentro il nostro cuore,
troviamo tante gioie e dolori e tante domande. Come stanno insieme i
dolori e le gioie della vita? Qualunque godimento, anche il più legittimo e
semplice, sembra scolorire davanti alla sofferenza. Come si conciliano le
gioie autentiche con le prospettive di morte? Perché la morte nel mondo?
Perché, se è vero che Dio ci ha salvato, non ci ha liberato dalla necessità di
morire? E perché il Signore sembra tacere? È proprio vero che Gli stiamo a
cuore?
Lo sguardo di Dio su di noi
Proviamo adesso a rovesciare il soggetto delle domande. Proviamo a
capovolgere la domanda, a passare dall’interrogare all’essere interrogati? e
se consentissimo a Dio di porci Lui le Sue domande?
Cosa noterebbe in noi Il Signore? il nostro cuore è mosso tante volte da
motivazioni egoistiche, vogliamo stare al centro e misurare tutte le cose,
perfino l’agire di Dio! Pensiamo alla fatica che tutti facciamo ad uscire dalle
3
Cfr. C.M. Martini, Parlo al tuo cuore, Lettera pastorale 1996
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31. Anno della Fede 2012‐2013
nostre chiusure; pensiamo alla facilità con cui ci lasciamo prendere da
logiche particolaristiche, incapaci come siamo di guardare al di là del nostro
piccolo calcolo. Le domande che Dio ci fa ci invitano a riconoscere le ragioni
del nostro disagio di vivere e della nostra mancanza di felicità e di pace
anzitutto in noi stessi, nella fatica e nella paura di amare che ci portiamo
dentro, nel sospetto di non essere amati, nella diffidenza di fronte a ogni
atteggiamento di amore gratuito.
La morte redentrice
In questo modo prendiamo coscienza del nostro egoismo e della nostra
fragilità, e di come non bastano le buone intenzioni per cambiare il mondo
e la vita. C’è veramente una differenza stridente fra l’altezza dei buoni
propositi e la presenza del male e dell’egoismo in ciascuno di noi e gli alti e i
bassi si susseguono con un’impressionante frequenza.
È evidente dunque che il nostro cammino è contorto ma proprio
tramite questo cammino Dio ci ama e ci fa suoi figli. Il Signore ci lascia in
questa lotta, che ci è ripugnante ma forse solo attraverso di essa impariamo
ad amare e ad accettare di credere che un Dio sia morto in croce
accettando la necessità di questa morte. Sì annuncia così la compassione di
un Dio che si fa carico di questa morte e di questo peccato per sollevare e
salvare ciascuno di noi.
Dio sta dalla nostra parte
Dio sta dalla nostra parte e partecipa al dolore per tutto questo male
che devasta la terra. Egli non se ne sta come uno spettatore disinteressato
o un giudice freddo e lontano, ma “soffre” per noi e con noi, per le nostre
solitudini incapaci di amare, perché Lui ci ama. Gesù Cristo è capace di
tenerezza e di pietà fino al punto da “soffrire” per i peccati del mondo. Un
Dio tenero come un Padre e una Madre, che non rinnega mai i suoi figli. Un
Dio umile, che manifesta la Sua onnipotenza e la Sua libertà proprio nella
Sua apparente debolezza di fronte al male. Un Dio che per amore accetta di
subire il peso del nostro peccato e del dolore che esso introduce nel
mondo. Proprio così, però, nella morte di Gesù sulla croce, Dio ci insegna a
trarre il bene dal male, la vita dalla morte. Anche se questo ci sembra un
controsenso e diremmo come Pietro: «Dio te ne scampi, Signore: questo
non ti accadrà mai!» (Mt 16,22). Quando la “legge della Croce” ci tocca, ci
27
32. Anno della Fede 2012‐2013
sconvolge e ne siamo profondamente turbati: ma solo qui si attua la piena
liberazione dal male, fino ad accettarne le conseguenze su di sé per
perdonarlo e superarlo, come ha fatto Gesù sulla croce.
Cosa devo fare?
Dobbiamo accettare perciò la vita senza sfuggirvi, e allo stesso tempo
arrendersi contemporaneamente nelle mani del Dio umile e sofferente, del
“Dio crocifisso”. Solo abbandonandomi perdutamente a Lui, solo
capitolando nelle Sue mani potrò riprendere nelle mie il bandolo della
matassa intricata della vita. C’è una prova sicura che il Vangelo ha la
capacità di illuminare la mia vita? Possiamo rispondere solo partendo dalla
nostra esperienza personale. Quando ci facciamo toccare dall’amore la
nostra vita si trasforma e ci apriamo alla riconoscenza per un dono
immenso.
Dove trovare allora questo Dio e dove farne esperienza: nella Chiesa,
nel Vangelo in essa proclamato, nei Sacramenti, che sono la presenza
sensibile di Lui, nel suo popolo. Nella Chiesa mi riconosco amato e reso
capace di amare, nonostante me stesso, le mie contraddizioni e paure.
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33. Anno della Fede 2012‐2013
3. Terzo modulo. Il duplice orientamento della gioia
At 1,1‐11. L’Ascensione
1
Nel primo racconto, o Teofilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece
e insegnò dagli inizi 2fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato
disposizione agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo. 3Egli
si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante
quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di
Dio. 4Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da
Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre,
“quella – disse – che voi avete udito da me: 5Giovanni battezzò con acqua,
voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo”.
6
Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: “Signore, è questo il
tempo nel quale ricostruirai il regno per Israele?”. 7Ma egli rispose: “Non
spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo
potere, 8ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di
me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino
ai confini della terra”. 9Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in
alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. 10Essi stavano fissando il cielo
mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si
presentarono a loro 11e dissero: “Uomini di Galilea, perché state a guardare
il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo
stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”.
a. Approfondimento esegetico
Questo brano può essere considerato una introduzione al libro degli
Atti. Essa ha carattere riassuntivo e manifesta l’intenzione di Luca di legare
saldamente gli Atti degli Apostoli al Vangelo, in particolare a Luca 24: il
tempo nuovo inaugurato con la venuta di Gesù continua, ma ormai si svolge
nella luce e nella forza del Risorto.
Possiamo dividere il brano in quattro parti: il prologo (vv. 1‐2); un
sommario (v. 3); le ultime parole di Gesù (vv. 4‐8); l’Ascensione (vv. 9‐11).
Vediamo il prologo. Il libro degli Atti, come il Vangelo (Lc 1,1‐4), è
dedicato a Teofilo, l’ “amico di Dio”. Il primo libro, ricorda Luca, contiene i
fatti e l’insegnamento di Gesù fino alla sua Ascensione in cielo, includendo
29
34. Anno della Fede 2012‐2013
quindi anche le apparizioni del Risorto; tutto questo fa parte dell’annuncio
cristiano fondamentale. Il collegio degli Apostoli e lo Spirito Santo, qui
menzionati dall’autore, sono i due personaggi, per così dire, su cui è
imperniata la prima sezione (1,12‐2,48). Forse lo Spirito Santo (nel testo
greco) è posto volutamente tra «dare disposizioni» e «scegliere». Egli è
all’origine delle due attività di Gesù.
Il sommario è una sintesi sulle apparizioni del Risorto. Esse sono veri
incontri con il Vivente, non visioni di un fantasma. Luca afferma che Gesù
«si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove». Il termine
usato in greco indica una prova inconfutabile. Luca insiste quindi sulla
concretezza storica delle apparizioni. Attraverso di esse il Risorto forma gli
Apostoli. I quaranta giorni hanno un valore simbolico, non cronologico, per
cui non c’è contraddizione con Lc 24,41‐43, dove si dice che l’Ascensione
avviene la sera stessa del giorno della risurrezione. Nell’ottica di Luca i
quaranta giorni sono il periodo di formazione completa, che abilita gli
Apostoli a essere i trasmettitori dell’insegnamento di Gesù.
L’ultimo dialogo tra Gesù e gli Apostoli, come in Lc 24,41‐43, avviene «a
tavola». Però, mentre nel Vangelo il mangiare del Risorto ha lo scopo di
mostrare il realismo corporeo della sua risurrezione, qui la scena ha la
caratteristica di un simposio (cioè di un banchetto durante il quale si parla
di argomenti dotti) e nel dialogo vengono ripresi temi trattati in
precedenza: Gerusalemme, centro della storia della salvezza e punto di
partenza della missione degli Apostoli; la promessa dello Spirito Santo; gli
Apostoli testimoni del Risorto. Allo stesso tempo l’evangelista guarda
all’evento della Pentecoste e prepara il lettore a esso. Al v. 5 la promessa
del Battista (Lc 3,16) diventa la promessa di Gesù: il battesimo annunciato
da Giovanni si realizzerà, come promessa di Cristo, alla Pentecoste. E il
dono Spirito Santo non rimanda più all’imminente giudizio divino (manca il
termine “fuoco” presente in Lc 3,16), ma inaugura il tempo della Chiesa
nella storia.
Al v. 6 troviamo la domanda dei discepoli: la fine dei tempi che, nella
tradizione apocalittica coincide con l’effusione dello Spirito di Dio e con
l’inaugurazione del regno messianico in Israele, è imminente? La risposta
del Risorto (vv. 7‐8) da una parte ribadisce che solo il Padre conosce la data
della fine del mondo, dall’altra presenta ai discepoli il loro programma di
vita: la missione da Gerusalemme fino ai confini della terra sotto la guida e
30
35. Anno della Fede 2012‐2013
con la forza dello Spirito Santo. Gli Atti degli Apostoli si concludono con
l’arrivo di Paolo a Roma e così il programma rimane aperto: tra Roma e i
confini della terra c’è un vuoto, questo vuoto sarà occupato dalla storia
della Chiesa lungo i secoli.
L’evangelista Luca racconta l’Ascensione due volte: qui e in Lc 24,50‐52.
Le differenze tra le due versioni mostrano che egli vuole far capire il
significato per la fede di un aspetto reale ed essenziale della risurrezione di
Gesù: il suo stare nel seno del Padre o “alla destra di Dio”, cioè nella piena
partecipazione alla condizione e ai poteri divini1.
Il testo dice che una nube sottrae Gesù agli occhi dei discepoli.
Nell’Antico Testamento troviamo la nube nelle manifestazioni di Dio: è il
segno della vicinanza di Dio, presenza nascosta ma reale. Gesù risorto è
nella condizione divina, ma la sua presenza nella Chiesa2, benché invisibile,
rimane reale.
Il racconto si conclude con l’intervento di «due uomini in bianche vesti»,
esseri celesti dunque. Essi hanno il compito di interpretare quanto è
accaduto: la partenza di Gesù apre alla Chiesa un tempo che si estende
dalla Pasqua di risurrezione fino alla venuta gloriosa, che conclude la storia
della salvezza.
b. Il filo rosso
L’ascensione spiega il senso profondo della risurrezione che ha portato
Cristo nella gloria della divinità. E ci indica anche qual è la nostra
destinazione (vado a prepararvi un posto). Questo ci procura una gioia
grande! Sappiamo che la nostra vita ha un significato preciso, che non
siamo qui a caso e che non è destinato tutto a finire inesorabilmente nel
nulla e nel non‐senso.
1
Il Catechismo della Chiesa Cattolica al numero 668 afferma:
«L’Ascensione di Cristo al cielo significa la sua partecipazione, nella sua
umanità, alla potenza e all’autorità di Dio stesso. Gesù Cristo è il Signore:
Egli detiene tutto il potere nei cieli e sulla terra».
2
CCC 669: «Come Signore, Cristo è anche il Capo della Chiesa che è il
suo corpo. Elevato al cielo e glorificato, avendo così compiuto pienamente
la sua missione, Egli permane sulla terra, nella sua Chiesa».
31
36. Anno della Fede 2012‐2013
Eppure non possiamo chiuderci in una gioia che sia solo a nostro uso e
consumo. Se rimanessimo nostalgicamente a guardare il cielo, la nostra
gioia presto finirebbe per collassare su se stessa e diventare noia e
depressione. Siamo chiamati a evitare questo avvitamento egocentrico su
noi stessi.
Siamo chiamati piuttosto a dare testimonianza del nostro incontro con il
risorto in una apertura universalistica (di me sarete testimoni a
Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra).
Del resto la gioia è così, se la chiudi in se stessa muore, se la apri alla
condivisione cresce e si approfondisce. La nostra gioia di cristiani cresce e si
arricchisce nella testimonianza, ovvero nella condivisione dell’esperienza
del risorto con i fratelli che incontriamo nel nostro cammino di vita. In
questo modo annunciamo la Pasqua a chi non l’ha ancora vissuta, portiamo
la vita di Cristo laddove c’è ancora la morte del peccato.
• Come conciliare la gioia per il Signore con la felicità che può
venire dalle cose belle della vita?
• Riesco a mantenere un equilibrio tra lo sguardo verso le cose di
Dio (perché state a guardare il cielo), e le cose della nostra vita
(di me sarete testimoni a…)?
• Tendo a sbilanciarmi di più nell’essere troppo “verticale”
cadendo in una spiritualità troppo intimistica e lontana dalla
concretezza della vita? O, al contrario, tendo a vivere troppo in
modo “orizzontale”, negli impegni e nelle situazioni contingenti
trascurando il mio rapporto con Dio? Cosa faccio/posso fare per
riequilibrare la mia tendenza a sbilanciarmi?
c. Giovani
Gesù glorificato alla destra del Padre ci dà la certezza che il destino della
nostra umanità e di ogni uomo è la comunione piena con Dio, ma ci dà
anche la certezza che Gesù è sempre con noi, è fonte della nostra
comunione, del nostro impegno per la costruzione del Regno e fonte della
nostra gioia.
E questo in virtù della testimonianza qualificata degli apostoli e dello
Spirito Santo. Inizia il tempo della Chiesa, cioè il nostro tempo, in cui con
Cristo viviamo la salvezza dell’umanità e andiamo verso la pienezza di vita e
32
37. Anno della Fede 2012‐2013
di amore e il pieno incontro con Dio. Teniamo presente le parole degli
angeli che ci esortano a non vivere una religiosità disincarnata, ma nella
concreta storia di ogni giorno ad attendere e a preparare il ritorno del
Signore.
L’ideale e l’impegno devono trovare noi giovani sempre generosi nel
donare noi stessi, portatori della speranza che deve illuminare la storia
intera dell’umanità. “Non fatevi rubare la speranza” ci ha detto il papa
Francesco e noi vogliamo essere i portatori di questa sua forza. Ed essendo
la forza di Cristo siamo chiamati a vivere e a testimoniare che essa vince le
crisi, le paure, i peccati.
Nella tua visione di Chiesa che significa la presenza in essa dell’azione
qualificante dello Spirito santo e degli apostoli? Ti senti uomo della
speranza? Che significa per te questo in un mondo segnato dalla crisi, dal
ripiegamento su di sé, da idolatrie varie?
d. Carità e testimonianza
Siamo chiamati a vivere e celebrare due partenze: quella di Gesù che
sale verso l’alto e quella rivolta a ciascuno di noi, suoi discepoli, verso gli
angoli della terra ad annunciare ciò che abbiamo visto e sentito da Gesù.
È solo la dimensione verticale quella che appartiene alla fede, quella in
cui troviamo gioia e consolazione? O non anche l’altro braccio della croce
che arriva ai confini della terra?
La stessa domanda è rivolta anche a ciascuno di noi, oggi. “Perché state
a guardare il cielo? Dove stiamo cercando Dio? Qual è il luogo della
esperienza di Dio? Dove stiamo guardando? Non saranno qua, tra noi, le
strade, le risposte, le esperienze di Dio?
La partenza degli apostoli inizia con il ritorno al luogo in cui Gesù si è
dato, nella stanza della cena, nella stanza della comunione, delle
confidenze. Ma il tornare a spezzare il Pane, il tornare a ritrovarsi uniti dallo
Spirito, nella preghiera, ci spinge ad uscire per le strade del mondo, ci
spinge a nel dono di noi stessi per gli altri.
• Nel servizio al Vangelo della Carità ritorniamo all’incontro
profondo e gioioso con Gesù?
• Gli uomini e le donne che incontriamo, che accostiamo
mostrandogli la provvidente cura del Padre per loro, scorgono
in noi uno sguardo rivolto verso il cielo?
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38. Anno della Fede 2012‐2013
• In che modo lo Spirito Santo ci sta chiamando a giocarci nella
nostra vita, oggi?
e. Spunti per attività
Obiettivo
L’attività suggerita per il terzo modulo vuole suggerire una riflessione
sulla propria identità alla luce della fede: come diceva san Francesco
d’Assisi “Chi sono io Signore? Chi sei tu?”…. L’itinerario proposto vuole
portare a scoprire quanto nella misura in cui ci facciamo intimi a Dio tanto
più conosciamo noi stessi e ci conformiamo a Colui di cui siamo l’immagine
e che è il fine ultimo di tutta la nostra vita
Descrizione dell’ attività
1. Si dispone il gruppo in circolo al cui centro sono stati posti dei
cartoncini (tanti quanti sono i presenti) su cui è stato incollato
precedentemente un piccolo specchio, anche di quelli opachi e
cartonati che vengono utilizzati dai bambini
2. L’educatore introduce il tema dell’incontro ed invita ciascuno a
prendere un cartoncino e ad osservarlo attentamente. Si
scoprirà insieme che sul retro c’è un puzzle che raffigura un viso
3. Si chiede a ognuno di allontanarsi per 15 minuti e in silenzio di
guardare la propria immagine nello specchio e di chiedersi
“Quali volti di persone a me vicine vedo riflessi nei miei occhi e
nel mio viso?”
4. Una volta individuati si invita ciascuno a scrivere i nomi scrivo
dentro ad ogni pezzetto di puzzle
5. Terminati i 15 minuti si invita il gruppo a dividersi in coppie e a
condividere il proprio lavoro, soprattutto quanto emerge a
livello di emozioni e pensieri ( risorse, condizionamenti,
aspettative, desideri ecc…) guardando il puzzle
6. Si ricostituisce il grande gruppo e si vede insieme il DVD di
Benigni al XXX canto del Paradiso, là dove si racconta la visione
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39. Anno della Fede 2012‐2013
che Dante ha di Dio quando, nel secondo cerchio, scorge
riflessa la sua immagine in quella del Figlio
7. Terminata la visione l’educatore invita il gruppo a condividere
ciò che è emerso in ciascuno. La conversazione cercherà di
mettere a fuoco cosa intendesse dire Dante quando, dopo
essersi smarrito alle porte dell’inferno e aver percorso lunga
strada fino al paradiso alla ricerca del senso della sua
vita,finalmente realizza il suo desiderio di vedere Dio e
vedendolo ritrova se stesso.
Domande stimolo
Si solleciterà ciascuno a chiedersi quanto la fede sia liberante rispetto
alle propria e altrui identità e faccia emergere la bellezza di ciò che siamo,
sulla scia di domande‐ stimolo
• Che esperienza ho di me e della mia vita alla luce del mio
rapporto con Dio?
• Che valore do alla persona che sono oggi e alle mie relazioni se
colloco nella dimensione della fede?
• Riesco a cogliere mia vita in un’ottica di eternità dove ogni cosa
acquisterà il suo senso definitivo?
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40. Anno della Fede 2012‐2013
4. Quarto modulo. La pienezza di gioia in comunità
At 2,1‐11. La Pentecoste
1
Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti
insieme nello stesso luogo. 2Venne all'improvviso dal cielo un fragore, quasi
un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano.
3
Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su
ciascuno di loro, 4e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a
parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di
esprimersi.
5
Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è
sotto il cielo. 6A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché
ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. 7Erano stupiti e, fuori di sé per
la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei?
8
E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa?
9
Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e
della Cappadòcia, del Ponto e dell'Asia, 10della Frìgia e della Panfìlia,
dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti,
11
Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue
delle grandi opere di Dio». 12Tutti erano stupefatti e perplessi, e si
chiedevano l'un l'altro: «Che cosa significa questo?». 13Altri invece li
deridevano e dicevano: «Si sono ubriacati di vino dolce».
a. Approfondimento esegetico
La conclusione del Vangelo e l’inizio di Atti preparano il lettore al
racconto della Pentecoste: in Lc 24,49 e At 1,4.5.8 lo Spirito Santo è il dono
promesso dal Padre che gli Apostoli devono attendere a Gerusalemme.
Come per Gesù all’inizio del Vangelo (Lc 4,18), così anche per la Chiesa, la
discesa dello Spirito Santo conclude il periodo di preparazione e inaugura
quello della missione.
Si può dividere il racconto in due scene: l’azione dello Spirito Santo (vv.
1‐4) e la reazione della folla (vv. 5‐11). La parola “Pentecoste” in greco
significa “cinquantesimo” (sottinteso giorno): è la festa che si celebrava
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41. Anno della Fede 2012‐2013
cinquanta giorni dopo la Pasqua1. In ebraico è detta festa delle Settimane:
cinquanta giorni sono sette settimane. In origine festa agraria come la
Pasqua, al tempo di Gesù e degli Apostoli celebrava il dono dell’alleanza. È
questo lo sfondo del racconto: la venuta dello Spirito del Risorto sigilla il
compimento della nuova alleanza di Dio con il suo popolo. In questa
prospettiva si può interpretare l’inizio del racconto: «Mentre stava
compiendosi il giorno della Pentecoste».
Il testo dice che «si trovavano tutti nello stesso luogo» (v. 1). Qui Luca
non precisa chi siano questi “tutti”; in At 1,13‐14 egli aveva affermato che
gli Undici erano soliti riunirsi «nella stanza del piano superiore»,
aggiungendo che «erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme
ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui». Possiamo
dedurre che le persone riunite in questo luogo siano queste, più Mattia, che
nel frattempo è stato eletto per ristabilire il numero dodici, voluto da Gesù
nella scelta degli Apostoli (1,15‐26). È il nucleo iniziale della Chiesa, con, alla
sua testa, il gruppo dei Dodici. Non è un caso che in 1,13 troviamo l’elenco
degli Apostoli, come all’inizio della vita pubblica di Gesù. Essi incarnano la
continuità tra Gesù e la Chiesa.
Luca vuole dire che sono tutti presenti e nell’atteggiamento più idoneo
per accogliere il dono dello Spirito: la preghiera fatta nell’unità dei cuori.
La venuta dello Spirito Santo è una teofania: il vento impetuoso, come
conviene alla “potenza” promessa dal Padre, e il fuoco. «Apparvero loro
lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro»,
dice precisamente il testo. Il dono dello Spirito viene dato personalmente a
ciascuno e ciascuno riceve una propria capacità di parola. Al versetto 4 si
dice infatti che «cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo
Spirito dava loro il potere di esprimersi».
Facciamo notare che il verbo usato, “furono riempiti”, è all’aoristo,
tempo greco che indica un’azione puntuale: è un evento fondante, quindi
iniziale e unico, ma il dono rimane per sempre nella vita della Chiesa.
Il dono dello Spirito, al quale allude Luca, non è la glossolalia (il parlare
estatico), ma il «parlare in altre lingue», e cioè un parlare intelligibile a tutti;
è un parlare missionario.
1
La festa di Pasqua e la festa di Pentecoste erano le due grandi feste di
pellegrinaggio degli Ebrei.
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