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Liguria quasi un finis terrae
Liguria e Portogallo motivi di un accostamento:
Morfologia del territorio: striscia di terra / pressata da montagne/ da
un paese più grande che le spinge / buttata sull’acqua (oceano o mare)
Lingua: similitudini tra genovese e
portoghese, articoli e preposizioni si
pronunciano nelle due lingue allo
stesso modo, come pure molte parole
ad esempio: PALANCA (MONETA)
e TACCAGNO (AVARO)
Cucina: uso del baccalà in Liguria ha
notevoli similitudini con la cucina
provenzale e portoghese
Caratteristiche degli abitanti:
parsimoniosi e viaggiatori, anzi
esploratori
Monumento ai navigatori portoghesi
Il mare è la principale caratteristica che rende simili Liguria e Portogallo e del
mare hanno scritto due grandi poeti:
Eugenio Montale nato a
Genova nel 1896 e morto a
Milano nel 1981
Fernando Pessoa nato a
Lisbona nel 1896 e morto a
Lisbona nel 1935
Montale e Pessoa sono due poeti quasi contemporanei, entrambi non si
ritengono e non sono letterati “tradizionali”.
Montale scrive del mare “domestico”, quasi un padre.
Si tratta della sezione Mediterraneo che si trova nella raccolta Ossi di Seppia
Pessoa scrive dell’oceano piratesco (popolato da macchine secondo l’ing.
Alvaro de Campos, uno degli eteronimi di Pessoa, l’autore di queste poesie) si
tratta della raccolta Ode marittima.
Per entrambe le raccolte poetiche si è cercato di individuare:
quali siano i sensi più coinvolti a contatto col mare;
quali le metafore più usate;
quali i rapporti evidenziati tra poeta e mare;
quali gli oggetti, gli esseri (le altre presenze) associati al mare;
quali infine i simboli che il mare porta al poeta.
MONTALE
Del mare colpisce la voce. Senso più sollecitato udito.
Voci varie del mare:
- un suono d’agri lazzi
- il ribollio dell’acque / che si ingorgano
- dal tuo petto rombante
- la tua dolce risacca
La voce del mare, come di versi campane, parla al poeta, talvolta lo UBRIACA.
Quando il mare parla rivela il poeta a se stesso
“Tu m’hai detto primo
che il piccino fermento
del mio cuore non era che un momento
del tuo; che mi era in fondo
la tua legge rischiosa: esser vasto e diverso
e insieme fisso:
e svuotarmi così d’ogni lordura
come tu fai (…)” (II)
Oppure il mare preconizza al poeta il suo destino sia quando è infuriato che nella
quiete:
“Nel destino che si prepara
c’è forse per me sosta,
niun’altra mai minaccia.
Questo ripete il flutto in sua furia incomposta,
e questo ridice il filo della bonaccia” (IV)
La voce del mare educa il poeta e il poeta sente che le sue parole poetiche sono un
balbettio in confronto. alla natura e all’arte retorica del mare:
“lontani andremo e serberemo un’eco
della tua voce, (…)
E un giorno queste parole senza rumore
Che teco educammo nutrite
Di stanchezze e di silenzi, parranno a un fraterno cuore
Sapide di sale greco” (VI)
Potessi almeno costringere
in questo mio ritmo stento
qualche poco del tuo vaneggiamento;
dato mi fosse accordare
alle tue voci il mio balbo parlare: —
io che sognava rapirti
le salmastre parole
in cui natura ed arte si confondono,
per gridar meglio la mia malinconia
di fanciullo invecchiato che non doveva pensare.
Ed invece non ho che le lettere fruste
dei dizionari, e l’oscura
voce che amore detta s’affioca,
si fa lamentosa letteratura.
Non ho che queste parole
che come donne pubblicate
s’offrono a chi le richiede;
non ho che queste frasi stancate
che potranno rubarmi anche domani (VIII)
gli studenti canaglie in versi veri.
Ed il tuo rombo cresce, e si dilata
azzurra l’ombra nuova.
M’abbandonano a prova i miei pensieri.
Sensi non ho; né senso. Non ho limite
Può avvenire che la voce del poeta/uomo e del poeta/mare si discordino, che le
loro musiche non siano all’unisono e questo nasce dal fatto che “repente giunge
un’ora in cui il cuore disumano del mare ci spaura” (e il verbo richiama un altro
infinito quello leopardiano). Perché il Mediterraneo antico e, come si vedrà, padre
è anch’esso sconfinato, immenso, incommensurabile, DISUMANO.
Eppure anche in questo caso il mare
rivela all’uomo-poeta qualcosa di se
stesso: come la sua vita sia in riva al
mare, nel secco pietrisco, una strada
aperta e in lento franamento.
Un divenire dunque, ma anche un
resistere: come la pianta che nasce
dalla devastazione e la terra spaccata
per far crescere una margherita…
Giunge a volte, repente,
un’ora che il tuo cuore disumano
ci spaura e dal nostro si divide.
Dalla mia la tua musica sconcorda,
allora, ed è nemico ogni tuo moto.
In me ripiego, vuoto
di forze, la tua voce pare sorda.
M’affisso nel pietrisco
che verso te digrada
fino alla ripa acclive che ti sovrasta,
franosa, gialla, solcata
da strisce d’acqua piovana.
Mia vita è questo secco pendio,
mezzo non fine, strada aperta a sbocchi
di rigagnoli, lento franamento.
È dessa, ancora, questa pianta
che nasce dalla devastazione
e in faccia ha i colpi del mare ed è sospesa
fra erratiche forze di venti.
Questo pezzo di suolo non erbato
s’è spaccato perché nascesse una margherita.
in lei titubo al mare che mi offende,
manca ancora il silenzio nella mia vita.
Guardo la terra che scintilla,
l’aria è tanto serena che s’oscura.
E questa che in me cresce
è forse la rancura
che ogni figliuolo, mare, ha per il padre.
Gli altri sensi paiono meno sollecitati, anche la VISTA del mare non è mai chiara,
completa, aperta. Si direbbe che non è sostenibile.
Al mare fa velo l'afa (I)
Infatti il poeta “impietra” alla presenza del mare. Più che la vista ne descrive il
presentimento: “il presentimento di te m'empiva l'anima” (III)
Piuttosto il poeta posa lo sguardo sugli uccelli del cielo (la ghiandaia I, la
pavoncella III), oppure sulle grotte protese sul mare (IV) che diventano per
Montale “una città di vetro”, la patria dell'esiliato...
E ancora lo sguardo si fissa sul pietrisco
che porta al mare, zona che come s’è visto
è la vera dimensione del poeta.
Il mare non è mai descritto nei suoi colori,
descritta invece nella sua desolazione,
nella sua aridità è la riva (V).
Sole e caldo è il mare in Montale, solo in
una lirica si accenna all'autunno.
Nemmeno il poeta TOCCA mai il mare, piuttosto vorrebbe essere toccato così come
accade ai “ciottoli che tu volvi” Come uomo e poeta sente il caldo, il sole, le zanzare,
mai l'abbraccio fresco del mare.
Il mare che appunto per lui non è MADRE, ma PADRE per questo forse il rapporto è
controverso, aspro, senza tenerezze, né l'abbandono nelle acque materne...
Il mare-padre è il Mediterraneo, basta a Montale per riassumere la storia del
Mediterraneo un aggettivo “Antico” che dice quanto questo mare sia stato la fonte
della nostra civiltà.
Il mare per il poeta è dunque padre, ma anche MAESTRO di poesia come già s'è
detto e soprattutto il mare rivela a Montale la sua essenza.
Sente il poeta di partecipare nel piccolo della stessa natura del mare: come lui si
scopre vasto e diverso e insieme fisso...
Il suo significato di uomo e poeta, M. lo scopre “rendendosi al mare in umiltà”.
E si ritrova così: “Non sono / che favilla d'un tirso. Bene lo so: bruciare,/ questo,
non altro, è il mio significato”. (IX)
Il poeta sulla riva scopre, per contrasto, la sua natura: non scabro ed essenziale, ma
UOMO, eppure il mare sa sciogliere i groppi interni del poeta.
Mare e poeta si
somigliano (come accade
a padre e figlio),
Avrei voluto sentirmi scabro ed essenziale
siccome i ciottoli che tu volvi,
mangiati dalla salsedine;
scheggia fuori dal tempo, testimone
di un avolontà fredda che non passa.
Altro fui: uomo intento che riguarda
in sè, in altrui, il bollore
della vita fugace uomo che tarda
all'atto, che nessuno, poi, distrugge.
Volli cercare il male
che tarla il mondo, la piccola stortura
d'una leva che arresta
l'ordegno universale; e tutti vidi
gli eventi del minuto
come pronti a disgiungersi in un crollo.
Seguìto il solco di un sentiero m'ebbi
l'opposto in cuore, col suo invito; e forse
m'occorreva il coltello che recide,
la mente che decide e si determina.
Altri libri occorrevano
a me, non la tua pagina rombante.
Ma nulla so rimpiangere: tu sciogli
ancora i groppi interni col tuo canto.
Il tuo delirio sale agli astri ormai.
I deliri del mare Mediterraneo salgono agli astri e da lì approdano sulle rive
dell'Oceano oltre la Liguria, oltre Montale, verso il Portogallo di Pessoa o meglio di
uno dei suoi eteronimi, l'ingegnere meccanico e navale, Alvaro de Campos, come
appare dalle caratteristiche delle poesie sul mare.
Il critico Giorgio Barberi Squarotti mi ha detto che Montale detestava Pessoa in
effetti sono così diversi, ma io amo entrambi e mi permetto di superare le loro
diffidenze sulla base della poesia e del mare...
In Montale non appare nessuna persona umana, solo qualche uccello, il ricordo della
sua casa estiva e il poeta stesso, ma scabro ed essenziale.
In Pessoa c’è un oceano ricolmo: “M'afferra a poco a poco il delirio delle cose
marittime”.
Solo, sul molo deserto, in questo mattino d'estate,
guardo verso l'entrata del porto, verso l'Indefinito,
guardo e mi appaga vedere,
piccolo, nero e chiaro, un piroscafo che entra,
Avanza lontanissimo, nitido, a suo modo classico.
Nell'aria lontana lascia dietro di sé la striscia vana del fumo.
Sta entrando, e il mattino entra con lui, e dappertutto sulla foce
del fiume si risveglia la vita marittima,
si alzano vele, avanzano rimorchiatori,
spuntano piccole barche oltre le navi nel porto.
C'è una leggera brezza.
Ma la mia anima sta con quel che vedo meno,
col piroscafo che entra,
perché esso sta con la Distanza, col Mattino,
col senso marittimo di questa Ora,
con la dolorosa dolcezza che sale in me come una nausea,
come il principio di un mal di mare, ma nello spirito.
Guardo da lontano il piroscafo, con una grande indipendenza dell'anima,
e dentro di me, lentamente, un volano comincia a girare.
I piroscafi che entrano al mattino nella barra
portano al mio sguardo
il mistero gioioso e triste degli arrivi e delle partenze.
Portano memorie di moli lontani e d'altri momenti
di un altro modo di essere della stessa umanità in altri punti.
Ogni attraccare e ogni salpare di nave è
(me lo sento dentro come il mio sangue)
incoscientemente simbolico, terribilmente
minaccioso di significati metafisici
che perturbano in me chi un tempo io fui.
Ah, ogni molo è una nostalgia di pietra!
E quando la nave salpa dal molo
e ci si avvede all'improvviso che si è aperto uno spazio
tra il molo e la nave,
mi viene, non so perché, un'angoscia recente,
una nebbia di sentimenti di tristezza
che brilla al sole delle mie angosce ingiardinate
come la prima finestra su cui batte l'alba,
e mi avvolge come un ricordo di un'altra persona
che fosse misteriosamente mia.
Ah, chissà , chissà,
se non sono partito un tempo, prima di me,
da un molo; se non ho lasciato, vascello al sole
obliquo dell'alba,
un'altra specie di porto?
Chissà se non ho lasciato, prima che l'ora del mondo esterno come ora lo vedo
raggiasse su di me,
chissà se non ho lasciato un molo pieno di rada folla
di una grande città mezzo addormentata,
di una enorme città commerciale, dilatata, apoplettica,
tanto quanto questo può essere fuori dallo Spazio e dal Tempo?
Si, un molo in qualche maniera materiale,
reale, visibile come un molo, realmente molo,
Il Molo Assoluto sul cui modello incoscientemente imitato,
insensibilmente evocato,
noialtri uomini abbiamo costruito
i nostri moli nei nostri porti,
i nostri moli di pietra attuale su acqua vera,
che una volta costruiti si rivelano all'improvviso
Cose-Reali, Spiriti-Cose, Entità in Pietra-Anime,
incerti nostri momenti di sentimento-radice
quando nel mondo esterno è come se si aprisse una porta
e, senza che nulla si alteri,
tutto si rivela diverso.
Ah, il Grande Molo da cui partimmo in Navi-Nazioni!
Il Grande Molo Anteriore, eterno e divino!
Di quale porto? In quali acque? E perché penso a questo?
Grande Molo come gli altri moli, ma l'Unico.
Pieno come gli altri di rumorosi silenzi nel primo mattino,
che si schiude con i mattini in un rumore di argani
e di arrivi di treni merci,
sotto la nube nera e occasionale e lieve
del fumo delle ciminiere delle vicine fabbriche
che oscura il suolo nero di minuto carbone lustro,
come se fosse l'ombra di una nube rasente sull'acqua torbida.
Ah, quale essenzialità di mistero e di senso, immobili in divina estasi rivelatrice
nelle ore color di silenzi e angosce,
non fa da ponte tra qualsiasi molo e il Molo!
Molo foscamente riflesso nelle acque ferme,
trambusto a bordo delle navi,
oh, anima errante e instabile dei naviganti,
di questa gente simbolica che passa e con cui niente dura,
poiché quando la nave torna al porto
c'è sempre qualcosa di diverso a bordo!
Oh, fughe continue, partenze, ebbrezze del Diverso!
Anima eterna dei naviganti e delle navigazioni!
Scafi riflessi lentamente nelle acque,
quando la nave salpa dal porto!
Fluttuare come anima della vita, partire come voce,
vivere il momento tremulamente sopra acque eterne.
Destarsi a giorni più diretti dei giorni d'Europa,
vedere porti misteriosi sulla solitudine del mare,
doppiare capi lontani che si spalancano su vasti paesaggi
lungo innumerevoli coste attonite....
Ah, le spiagge remote, i moli visti da lontano,
e poi le spiagge prossime, i moli visti da vicino.
Il mistero di ogni partenza e di ogni arrivo,
la dolorosa instabilità e l'incomprensibilità
di questo incomprensibile universo
sentito a ogni ora marittima sempre più sulla pelle!
Il singhiozzo assurdo che le nostre anime spandono
sulle distese di mari diversi con isole in lontananza,
sulle isole lontane dalle coste lasciate a poppa,
sul crescere nitido dei porti , con le case e la gente,
verso la nave che si avvicina.
Ah, la freschezza dei mattini in cui si arriva e il pallore dei mattini in cui si parte,
quando le nostre viscere si contraggono
e una vaga sensazione simile alla paura
la paura ancestrale di allontanarsi e di partire,
il misterioso timore ancestrale dell'Arrivo e del nuovo -
ci arriccia la pelle e ci tormenta
e tutto il corpo angosciato sente,
come se fosse la nostra anima,
un inesplicabile desiderio di poterlo sentire altrimenti,
una nostalgia di qualche cosa,
un'inquietudine di affetti per quale vaga patria?
Per quale costa? Per quale nave? Per quale molo?
Sente che un malore coglie il nostro pensiero
e resta solo un grande vuoto dentro di noi,
una vacua sazietà di minuti marittimi,
un'ansietà vaga che sarebbe tedio o dolore
se soltanto sapesse come esserlo...
!
Il mattino d'estate è, pur così, un po' fresco.
Un lieve torpore notturno entra ancora nell'aria smossa.
Si accelera lentamente il volano dentro di me.
E il piroscafo sta entrando, perché senza dubbio deve entrare,
e non perché io la veda muoversi nella eccessiva distanza.
Nella mia immaginazione esso è vicino e visibile
in tutta l'estensione delle linee degli oblò,
e tutto trema in me, tutta la carne e tutta la pelle,
a causa di quella creatura che mai giunge in nessuna nave
e che io sono venuto ad aspettare oggi sul molo, per un ordine obliquo.
Le navi che varcano la barra,
le navi che escono dai porti,
le navi che passano lontano
(suppongo di vederle da una spiaggia deserta):
tutte queste navi, quasi astratte nel loro andare,
tutte queste navi così, mi commuovono come se fossero qualcos'altro
e non soltanto navi, navi che vanno e vengono.
E le navi viste da vicino, anche se non ci imbarchiamo,
viste da sotto, dai battelli, muraglie alte di piastre,
viste dentro, attraverso, le camere, le sale, le dispense,
guardando da sotto in su gli alberi che si affilano verso l'alto,
sfiorando i cordami, scendendo le scale malagevoli,
fiutando l'untuosa mistura metallica e marittima di tutto questo
le navi viste da vicino sono altra cosa e la stessa cosa,
danno in modo diverso la stessa nostalgia e la stessa ansia.
Tutta la vita marittima! Tutto nella vita marittima!
Si insinua nel mio sangue questa seduzione sottile
e io fantastico indeterminatamente di vaghi viaggi.
Ah, le linee delle coste lontane, appiattite dall'orizzonte!
Ah, i promontori, le isole, gli arenili delle spiagge!
Le solitudini marittime, come certi momenti del Pacifico,
nelle quali, no so per quale suggestione appresa a scuola,
si sente pesare sui nervi il fatto che quello è il più grande degli oceani,
e il mondo e il sapore delle cose diventano un deserto dentro di noi!
L'estensione più umana,più screziata, dell'Atlantico!
L'Indiano, il più misterioso di tutti gli oceani!
Il dolce e classico Mediterraneo privo di misteri, fatto apposta
per sciabordare contro terrazze guardate da statue bianche in giardini contingui!
Tutti i mari, tutti gli stretti, tutte le baie, tutti i golfi,
vorrei stringerli al petto, sentirli bene e morire!
E voi, cose navali, miei vecchi balocchi di sogno,
componete fuori di me la mia vita interiore!
Chiglie, alberi e vele, ruote del timone, cordami,
fumaioli, eliche, gabbie, fiamme,
cavi, boccaporti, caldaie, collettori, valvole,
cadete dentro di me in cumulo, in mucchio,
come il contenuto confuso di un cassetto rovesciato per terra!
Siate voi il tesoro della mia avarizia febbrile,
siate voi i frutti dell'albero della mia immaginazione,
tema dei miei canti, sangue nelle vene della mia intelligenza,
vostro sia il laccio che mi lega all'esterno mediante l'estetica,
fornitemi metafore, immagini , letteratura,
perché in verità, seriamente, letteralmente,
le mie sensazioni sono una nave con la chiglia in aria,
la mia immaginazione un'ancora semisommersa,
la mia ansia un remo spezzato,
e la trame dei miei nervi una rete che asciuga sulla spiaggia !
Suona nell'azzardo del fiume un fischio, uno solo.
Trema ormai tutto il suolo del mio psichismo.
Si accelera sempre di più il volano dentro di me
Ah, i piroscafi, i viaggi, il non sapere dove si trovi
il Taldeitali, marittimo, nostro conoscente!
Ah la gloria di sapere che un uomo che ci è stato vicino
è morto affogato presso un'isola del Pacifico!
Noi che siamo stati con lui lo racconteremo in giro
con legittimo orgoglio, con l'invisibile convinzione
che tutto questo abbia un senso più bello e più vasto
della semplice perdita della sua nave, del fatto
che sia colato a picco con i polmoni pieni d'acqua!
Ah, i piroscafi, le navi carboniere, i velieri!
Si fanno rari, ahimè i velieri sui mari!
E io, che amo la civiltà moderna, io che bacio mentalmente le macchine,
io, l'ingegnere, il civilizzato, quello che ha studiato all'estero,
vorrei ancora avere dinanzi agli occhi solo velieri e navi di legno,
non conoscere altra vita marittima che l'antica vita dei mari!
Perché i mari antichi sono l a Distanza Assoluta,
la Pura Lontananza, libera dal peso dell'Attuale...
Ah, come tutto qui mi ricorda quella vita migliore,
quei mari, più grandi perché si navigava più lentamente,
quei mari, misteriosi perché li conoscevamo di meno.
Ogni vapore lontano, è una nave a vela da vicino.
Ogni nave distante vista ora è una nave del passata vista vicino.
Tutti i marinai invisibili a bordo delle navi all'orizzonte
sono i marinai visibili del tempo delle vecchie navi,
dell'epoca lenta e veliera delle navigazioni pericolose,
dell'epoca di legno e tela dei viaggi che duravano mesi.
MI prende a poco a poco il delirio delle cose marittime,
mi penetrano fisicamente il molo e la sua atmosfera,
lo sciabordare del Tago mi assale i sensi
e comincia a sognare, comincia ad avvolgermi nel sogno delle acque,
le cinghie di trasmissione cominciano a farmi presa sull'anima
e l'accelerazione del volano mi scuote nettamente.
Mi chiamano le acque,
mi chiamano i mari,
mi chiamano, levando una voce corporea, le lontananza:
sono tutte le epoche marittime sentite nel passato, che chiamano.
L'Oceano di Pessoa è popolato da piroscafi, perché il piroscafo è metafora è il
“mistero gioioso di chi arriva e di chi parte” (I) La barca, la presenza di barche è
fondamentale per l'ingegnere Pessoa-De Campos fino alla suprema identificazione:
”Le mie sensazioni sono una nave” (II)
Il piroscafo è il viaggio... Un viaggio verso l'indefinito, un viaggio nello spazio, nel
tempo, in se stessi.
Il poeta viaggia nel tempo e scopre, immagina un altro se stesso in un tempo che non
è più.
Il viaggio quasi d'Ulisse verso un altro modo di essere della stessa umanità in altri
punti. Sembra un’enunciazione poetica del PRINCIPIO INDETERMINAZIONE!!!
Siamo sempre a un inizio, siamo nel mattino il piroscafo apre alle cose marittime
che sono il vero argomento delle poesie.
Non tanto il mare quanto le COSE MARITTIME.
Queste cose marittime diventano sangue del poeta. Diventa quindi uomo marittimo,
ma siccome Alvaro de Campos è ingegnere la sua attenzione è tutta nelle macchine
nei complessi moti e meccanismi di una nave che il poeta elenca e l'enumerazione è
cifra importante delle poesie... allora l'uomo diventa uomo-macchina!
Uomo meccanico! Infatti nella poesia
letta è importante il VOLANO, volano è
il disco che mantiene il movimento, il
volano durante la lirica ruota sempre più
forte, ma non è dentro la nave è dentro il
poeta. E alla fine questo volano scuote il
poeta e possiamo immaginare che così
inizi il suo viaggio interiore al seguito del
richiamo delle acque dei mari di tutte le
epoche marittime, in questo viaggio che è
sempre nello Spazio e nel Tempo.
Il viaggio è verso il Diverso e fa paura, porta angoscia come tutto ciò che non si
conosce ma invita il poeta a guardare verso isole misteriose a indagare i mari
ciascuno designato con le sue caratteristiche fino all'Atlantico il suo oceano e al
domestico Mediterraneo di Montale.
Anche in Pessoa come in Montale le cose marittime sono fonte di poesia, di
immaginazione di canto. In questa parte l'uomo è tutto nave, tutto imbarcazione in
una vera identificazione.
Pessoa sente il richiamo delle acque,
lo sciabordio, ma soprattutto la vista
domina del mare... Importante per
Pessoa è vedere e gioire di vedere,
un vedere che segue il piroscafo,
vede le barche e si perde
nell'Indefinito. L'ora è spesso
mattutina, si scorge infatti il biondo
mattino che echeggia quasi modi di
dire omerici. Pessoa vede i monti
lontani, le case, un gabbiano..
Pessoa ha in sé l'ingegnere, il
viaggio nello spazio-tempo e ha in
sé non solo il viaggiatore ma anche
il pirata, il riassunto di tutti i pirati e
si esalta alle loro imprese, per
subito dopo pentirsi di aver pensato
questo e sentirsi il riassunto di tutte
le vittime dei pirati. “Essere il
pirata-riassunto tutta la pirateria
al suo culmine/ e la vittima-sintesi,
ma di carne e ossa, di tutti i pirati
del mondo!”
Il viaggio, che Montale non evoca mai, Montale fermo sulla riva, è alla fine il
tema di Pessoa, di fronte all'Oceano perché ”viaggiare è così bello come lo era
una volta/ e una nave sarà sempre bella, solo perché è una nave./ Viaggiare è
ancora viaggiare, e la lontananza è sempre dov'è stata/ - in nessun luogo,
grazie a Dio!”..
Per concludere è bello tornare al mare delle nostre radici: Omero
Orbene poi che noi fummo discesi alla nave e al mare, per prima
cosa al mare divino spingemmo la nave, e nella nera nave
ponemmo albero e vele, e prese le bestie, su le facemmo salire, e
noi stessi montammo angosciati versando pianto copioso.
Allora dietro la nave dalla prora turchina Circe dai bei capelli,
terribile dea cantatrice, a noi favorevole vento mandava che
gonfia le vele, compagno eccellente. E noi dopo avere disposto
lungo la nave ogni singolo attrezzo, stavamo a sedere; ed il vento
e il pilota guidavan la nave.
Di essa, che andava sul mare, per tutto il giorno le vele eran state
distese. Il sole s'immerse e tutte le strade s'empivano d'ombra, ed
essa giungeva ai confini là dove scorre con l'acque profonde l'Oceano.
Odissea
Molta acqua è passata sotto i ponti da
quando Omero faceva immergere
Ulisse nel mare, lo faceva naufragare e
lo salvava.
Il mare era reale era toccato dal
navigante...
Pessoa e Montale non toccano mai il
mare e almeno nelle loro poesie mai lo
solcano, il loro dunque è un viaggio
tutto interiore.

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Il mare secondo Montale e Pessoa

  • 1. Liguria quasi un finis terrae Liguria e Portogallo motivi di un accostamento: Morfologia del territorio: striscia di terra / pressata da montagne/ da un paese più grande che le spinge / buttata sull’acqua (oceano o mare)
  • 2. Lingua: similitudini tra genovese e portoghese, articoli e preposizioni si pronunciano nelle due lingue allo stesso modo, come pure molte parole ad esempio: PALANCA (MONETA) e TACCAGNO (AVARO) Cucina: uso del baccalà in Liguria ha notevoli similitudini con la cucina provenzale e portoghese Caratteristiche degli abitanti: parsimoniosi e viaggiatori, anzi esploratori Monumento ai navigatori portoghesi
  • 3. Il mare è la principale caratteristica che rende simili Liguria e Portogallo e del mare hanno scritto due grandi poeti: Eugenio Montale nato a Genova nel 1896 e morto a Milano nel 1981 Fernando Pessoa nato a Lisbona nel 1896 e morto a Lisbona nel 1935
  • 4. Montale e Pessoa sono due poeti quasi contemporanei, entrambi non si ritengono e non sono letterati “tradizionali”. Montale scrive del mare “domestico”, quasi un padre. Si tratta della sezione Mediterraneo che si trova nella raccolta Ossi di Seppia Pessoa scrive dell’oceano piratesco (popolato da macchine secondo l’ing. Alvaro de Campos, uno degli eteronimi di Pessoa, l’autore di queste poesie) si tratta della raccolta Ode marittima.
  • 5. Per entrambe le raccolte poetiche si è cercato di individuare: quali siano i sensi più coinvolti a contatto col mare; quali le metafore più usate; quali i rapporti evidenziati tra poeta e mare; quali gli oggetti, gli esseri (le altre presenze) associati al mare; quali infine i simboli che il mare porta al poeta.
  • 6. MONTALE Del mare colpisce la voce. Senso più sollecitato udito. Voci varie del mare: - un suono d’agri lazzi - il ribollio dell’acque / che si ingorgano - dal tuo petto rombante - la tua dolce risacca La voce del mare, come di versi campane, parla al poeta, talvolta lo UBRIACA. Quando il mare parla rivela il poeta a se stesso “Tu m’hai detto primo che il piccino fermento del mio cuore non era che un momento del tuo; che mi era in fondo la tua legge rischiosa: esser vasto e diverso e insieme fisso: e svuotarmi così d’ogni lordura come tu fai (…)” (II)
  • 7. Oppure il mare preconizza al poeta il suo destino sia quando è infuriato che nella quiete: “Nel destino che si prepara c’è forse per me sosta, niun’altra mai minaccia. Questo ripete il flutto in sua furia incomposta, e questo ridice il filo della bonaccia” (IV) La voce del mare educa il poeta e il poeta sente che le sue parole poetiche sono un balbettio in confronto. alla natura e all’arte retorica del mare: “lontani andremo e serberemo un’eco della tua voce, (…) E un giorno queste parole senza rumore Che teco educammo nutrite Di stanchezze e di silenzi, parranno a un fraterno cuore Sapide di sale greco” (VI)
  • 8. Potessi almeno costringere in questo mio ritmo stento qualche poco del tuo vaneggiamento; dato mi fosse accordare alle tue voci il mio balbo parlare: — io che sognava rapirti le salmastre parole in cui natura ed arte si confondono, per gridar meglio la mia malinconia di fanciullo invecchiato che non doveva pensare. Ed invece non ho che le lettere fruste dei dizionari, e l’oscura voce che amore detta s’affioca, si fa lamentosa letteratura. Non ho che queste parole che come donne pubblicate s’offrono a chi le richiede; non ho che queste frasi stancate che potranno rubarmi anche domani (VIII) gli studenti canaglie in versi veri. Ed il tuo rombo cresce, e si dilata azzurra l’ombra nuova. M’abbandonano a prova i miei pensieri. Sensi non ho; né senso. Non ho limite
  • 9. Può avvenire che la voce del poeta/uomo e del poeta/mare si discordino, che le loro musiche non siano all’unisono e questo nasce dal fatto che “repente giunge un’ora in cui il cuore disumano del mare ci spaura” (e il verbo richiama un altro infinito quello leopardiano). Perché il Mediterraneo antico e, come si vedrà, padre è anch’esso sconfinato, immenso, incommensurabile, DISUMANO. Eppure anche in questo caso il mare rivela all’uomo-poeta qualcosa di se stesso: come la sua vita sia in riva al mare, nel secco pietrisco, una strada aperta e in lento franamento. Un divenire dunque, ma anche un resistere: come la pianta che nasce dalla devastazione e la terra spaccata per far crescere una margherita…
  • 10. Giunge a volte, repente, un’ora che il tuo cuore disumano ci spaura e dal nostro si divide. Dalla mia la tua musica sconcorda, allora, ed è nemico ogni tuo moto. In me ripiego, vuoto di forze, la tua voce pare sorda. M’affisso nel pietrisco che verso te digrada fino alla ripa acclive che ti sovrasta, franosa, gialla, solcata da strisce d’acqua piovana.
  • 11. Mia vita è questo secco pendio, mezzo non fine, strada aperta a sbocchi di rigagnoli, lento franamento. È dessa, ancora, questa pianta che nasce dalla devastazione e in faccia ha i colpi del mare ed è sospesa fra erratiche forze di venti. Questo pezzo di suolo non erbato s’è spaccato perché nascesse una margherita. in lei titubo al mare che mi offende, manca ancora il silenzio nella mia vita. Guardo la terra che scintilla, l’aria è tanto serena che s’oscura. E questa che in me cresce è forse la rancura che ogni figliuolo, mare, ha per il padre.
  • 12. Gli altri sensi paiono meno sollecitati, anche la VISTA del mare non è mai chiara, completa, aperta. Si direbbe che non è sostenibile. Al mare fa velo l'afa (I) Infatti il poeta “impietra” alla presenza del mare. Più che la vista ne descrive il presentimento: “il presentimento di te m'empiva l'anima” (III) Piuttosto il poeta posa lo sguardo sugli uccelli del cielo (la ghiandaia I, la pavoncella III), oppure sulle grotte protese sul mare (IV) che diventano per Montale “una città di vetro”, la patria dell'esiliato... E ancora lo sguardo si fissa sul pietrisco che porta al mare, zona che come s’è visto è la vera dimensione del poeta. Il mare non è mai descritto nei suoi colori, descritta invece nella sua desolazione, nella sua aridità è la riva (V). Sole e caldo è il mare in Montale, solo in una lirica si accenna all'autunno.
  • 13. Nemmeno il poeta TOCCA mai il mare, piuttosto vorrebbe essere toccato così come accade ai “ciottoli che tu volvi” Come uomo e poeta sente il caldo, il sole, le zanzare, mai l'abbraccio fresco del mare. Il mare che appunto per lui non è MADRE, ma PADRE per questo forse il rapporto è controverso, aspro, senza tenerezze, né l'abbandono nelle acque materne... Il mare-padre è il Mediterraneo, basta a Montale per riassumere la storia del Mediterraneo un aggettivo “Antico” che dice quanto questo mare sia stato la fonte della nostra civiltà. Il mare per il poeta è dunque padre, ma anche MAESTRO di poesia come già s'è detto e soprattutto il mare rivela a Montale la sua essenza.
  • 14. Sente il poeta di partecipare nel piccolo della stessa natura del mare: come lui si scopre vasto e diverso e insieme fisso... Il suo significato di uomo e poeta, M. lo scopre “rendendosi al mare in umiltà”. E si ritrova così: “Non sono / che favilla d'un tirso. Bene lo so: bruciare,/ questo, non altro, è il mio significato”. (IX) Il poeta sulla riva scopre, per contrasto, la sua natura: non scabro ed essenziale, ma UOMO, eppure il mare sa sciogliere i groppi interni del poeta. Mare e poeta si somigliano (come accade a padre e figlio),
  • 15. Avrei voluto sentirmi scabro ed essenziale siccome i ciottoli che tu volvi, mangiati dalla salsedine; scheggia fuori dal tempo, testimone di un avolontà fredda che non passa. Altro fui: uomo intento che riguarda in sè, in altrui, il bollore della vita fugace uomo che tarda all'atto, che nessuno, poi, distrugge.
  • 16. Volli cercare il male che tarla il mondo, la piccola stortura d'una leva che arresta l'ordegno universale; e tutti vidi gli eventi del minuto come pronti a disgiungersi in un crollo. Seguìto il solco di un sentiero m'ebbi l'opposto in cuore, col suo invito; e forse m'occorreva il coltello che recide, la mente che decide e si determina. Altri libri occorrevano a me, non la tua pagina rombante. Ma nulla so rimpiangere: tu sciogli ancora i groppi interni col tuo canto. Il tuo delirio sale agli astri ormai.
  • 17. I deliri del mare Mediterraneo salgono agli astri e da lì approdano sulle rive dell'Oceano oltre la Liguria, oltre Montale, verso il Portogallo di Pessoa o meglio di uno dei suoi eteronimi, l'ingegnere meccanico e navale, Alvaro de Campos, come appare dalle caratteristiche delle poesie sul mare. Il critico Giorgio Barberi Squarotti mi ha detto che Montale detestava Pessoa in effetti sono così diversi, ma io amo entrambi e mi permetto di superare le loro diffidenze sulla base della poesia e del mare... In Montale non appare nessuna persona umana, solo qualche uccello, il ricordo della sua casa estiva e il poeta stesso, ma scabro ed essenziale. In Pessoa c’è un oceano ricolmo: “M'afferra a poco a poco il delirio delle cose marittime”.
  • 18. Solo, sul molo deserto, in questo mattino d'estate, guardo verso l'entrata del porto, verso l'Indefinito, guardo e mi appaga vedere, piccolo, nero e chiaro, un piroscafo che entra, Avanza lontanissimo, nitido, a suo modo classico. Nell'aria lontana lascia dietro di sé la striscia vana del fumo. Sta entrando, e il mattino entra con lui, e dappertutto sulla foce del fiume si risveglia la vita marittima, si alzano vele, avanzano rimorchiatori, spuntano piccole barche oltre le navi nel porto. C'è una leggera brezza.
  • 19. Ma la mia anima sta con quel che vedo meno, col piroscafo che entra, perché esso sta con la Distanza, col Mattino, col senso marittimo di questa Ora, con la dolorosa dolcezza che sale in me come una nausea, come il principio di un mal di mare, ma nello spirito. Guardo da lontano il piroscafo, con una grande indipendenza dell'anima, e dentro di me, lentamente, un volano comincia a girare. I piroscafi che entrano al mattino nella barra portano al mio sguardo il mistero gioioso e triste degli arrivi e delle partenze. Portano memorie di moli lontani e d'altri momenti di un altro modo di essere della stessa umanità in altri punti. Ogni attraccare e ogni salpare di nave è (me lo sento dentro come il mio sangue) incoscientemente simbolico, terribilmente minaccioso di significati metafisici che perturbano in me chi un tempo io fui.
  • 20. Ah, ogni molo è una nostalgia di pietra! E quando la nave salpa dal molo e ci si avvede all'improvviso che si è aperto uno spazio tra il molo e la nave, mi viene, non so perché, un'angoscia recente, una nebbia di sentimenti di tristezza che brilla al sole delle mie angosce ingiardinate come la prima finestra su cui batte l'alba, e mi avvolge come un ricordo di un'altra persona che fosse misteriosamente mia. Ah, chissà , chissà, se non sono partito un tempo, prima di me, da un molo; se non ho lasciato, vascello al sole obliquo dell'alba, un'altra specie di porto? Chissà se non ho lasciato, prima che l'ora del mondo esterno come ora lo vedo raggiasse su di me, chissà se non ho lasciato un molo pieno di rada folla di una grande città mezzo addormentata, di una enorme città commerciale, dilatata, apoplettica, tanto quanto questo può essere fuori dallo Spazio e dal Tempo?
  • 21. Si, un molo in qualche maniera materiale, reale, visibile come un molo, realmente molo, Il Molo Assoluto sul cui modello incoscientemente imitato, insensibilmente evocato, noialtri uomini abbiamo costruito i nostri moli nei nostri porti, i nostri moli di pietra attuale su acqua vera, che una volta costruiti si rivelano all'improvviso Cose-Reali, Spiriti-Cose, Entità in Pietra-Anime, incerti nostri momenti di sentimento-radice quando nel mondo esterno è come se si aprisse una porta e, senza che nulla si alteri, tutto si rivela diverso.
  • 22. Ah, il Grande Molo da cui partimmo in Navi-Nazioni! Il Grande Molo Anteriore, eterno e divino! Di quale porto? In quali acque? E perché penso a questo? Grande Molo come gli altri moli, ma l'Unico. Pieno come gli altri di rumorosi silenzi nel primo mattino, che si schiude con i mattini in un rumore di argani e di arrivi di treni merci, sotto la nube nera e occasionale e lieve del fumo delle ciminiere delle vicine fabbriche che oscura il suolo nero di minuto carbone lustro, come se fosse l'ombra di una nube rasente sull'acqua torbida. Ah, quale essenzialità di mistero e di senso, immobili in divina estasi rivelatrice nelle ore color di silenzi e angosce, non fa da ponte tra qualsiasi molo e il Molo! Molo foscamente riflesso nelle acque ferme, trambusto a bordo delle navi, oh, anima errante e instabile dei naviganti, di questa gente simbolica che passa e con cui niente dura, poiché quando la nave torna al porto c'è sempre qualcosa di diverso a bordo!
  • 23. Oh, fughe continue, partenze, ebbrezze del Diverso! Anima eterna dei naviganti e delle navigazioni! Scafi riflessi lentamente nelle acque, quando la nave salpa dal porto! Fluttuare come anima della vita, partire come voce, vivere il momento tremulamente sopra acque eterne. Destarsi a giorni più diretti dei giorni d'Europa, vedere porti misteriosi sulla solitudine del mare, doppiare capi lontani che si spalancano su vasti paesaggi lungo innumerevoli coste attonite.... Ah, le spiagge remote, i moli visti da lontano, e poi le spiagge prossime, i moli visti da vicino. Il mistero di ogni partenza e di ogni arrivo, la dolorosa instabilità e l'incomprensibilità di questo incomprensibile universo sentito a ogni ora marittima sempre più sulla pelle! Il singhiozzo assurdo che le nostre anime spandono sulle distese di mari diversi con isole in lontananza, sulle isole lontane dalle coste lasciate a poppa, sul crescere nitido dei porti , con le case e la gente, verso la nave che si avvicina.
  • 24. Ah, la freschezza dei mattini in cui si arriva e il pallore dei mattini in cui si parte, quando le nostre viscere si contraggono e una vaga sensazione simile alla paura la paura ancestrale di allontanarsi e di partire, il misterioso timore ancestrale dell'Arrivo e del nuovo - ci arriccia la pelle e ci tormenta e tutto il corpo angosciato sente, come se fosse la nostra anima, un inesplicabile desiderio di poterlo sentire altrimenti, una nostalgia di qualche cosa, un'inquietudine di affetti per quale vaga patria? Per quale costa? Per quale nave? Per quale molo? Sente che un malore coglie il nostro pensiero e resta solo un grande vuoto dentro di noi, una vacua sazietà di minuti marittimi, un'ansietà vaga che sarebbe tedio o dolore se soltanto sapesse come esserlo... !
  • 25. Il mattino d'estate è, pur così, un po' fresco. Un lieve torpore notturno entra ancora nell'aria smossa. Si accelera lentamente il volano dentro di me. E il piroscafo sta entrando, perché senza dubbio deve entrare, e non perché io la veda muoversi nella eccessiva distanza. Nella mia immaginazione esso è vicino e visibile in tutta l'estensione delle linee degli oblò, e tutto trema in me, tutta la carne e tutta la pelle, a causa di quella creatura che mai giunge in nessuna nave e che io sono venuto ad aspettare oggi sul molo, per un ordine obliquo. Le navi che varcano la barra, le navi che escono dai porti, le navi che passano lontano (suppongo di vederle da una spiaggia deserta): tutte queste navi, quasi astratte nel loro andare, tutte queste navi così, mi commuovono come se fossero qualcos'altro e non soltanto navi, navi che vanno e vengono.
  • 26. E le navi viste da vicino, anche se non ci imbarchiamo, viste da sotto, dai battelli, muraglie alte di piastre, viste dentro, attraverso, le camere, le sale, le dispense, guardando da sotto in su gli alberi che si affilano verso l'alto, sfiorando i cordami, scendendo le scale malagevoli, fiutando l'untuosa mistura metallica e marittima di tutto questo le navi viste da vicino sono altra cosa e la stessa cosa, danno in modo diverso la stessa nostalgia e la stessa ansia. Tutta la vita marittima! Tutto nella vita marittima! Si insinua nel mio sangue questa seduzione sottile e io fantastico indeterminatamente di vaghi viaggi. Ah, le linee delle coste lontane, appiattite dall'orizzonte! Ah, i promontori, le isole, gli arenili delle spiagge! Le solitudini marittime, come certi momenti del Pacifico, nelle quali, no so per quale suggestione appresa a scuola, si sente pesare sui nervi il fatto che quello è il più grande degli oceani, e il mondo e il sapore delle cose diventano un deserto dentro di noi!
  • 27. L'estensione più umana,più screziata, dell'Atlantico! L'Indiano, il più misterioso di tutti gli oceani! Il dolce e classico Mediterraneo privo di misteri, fatto apposta per sciabordare contro terrazze guardate da statue bianche in giardini contingui! Tutti i mari, tutti gli stretti, tutte le baie, tutti i golfi, vorrei stringerli al petto, sentirli bene e morire! E voi, cose navali, miei vecchi balocchi di sogno, componete fuori di me la mia vita interiore! Chiglie, alberi e vele, ruote del timone, cordami, fumaioli, eliche, gabbie, fiamme, cavi, boccaporti, caldaie, collettori, valvole, cadete dentro di me in cumulo, in mucchio, come il contenuto confuso di un cassetto rovesciato per terra!
  • 28. Siate voi il tesoro della mia avarizia febbrile, siate voi i frutti dell'albero della mia immaginazione, tema dei miei canti, sangue nelle vene della mia intelligenza, vostro sia il laccio che mi lega all'esterno mediante l'estetica, fornitemi metafore, immagini , letteratura, perché in verità, seriamente, letteralmente, le mie sensazioni sono una nave con la chiglia in aria, la mia immaginazione un'ancora semisommersa, la mia ansia un remo spezzato, e la trame dei miei nervi una rete che asciuga sulla spiaggia ! Suona nell'azzardo del fiume un fischio, uno solo. Trema ormai tutto il suolo del mio psichismo. Si accelera sempre di più il volano dentro di me
  • 29. Ah, i piroscafi, i viaggi, il non sapere dove si trovi il Taldeitali, marittimo, nostro conoscente! Ah la gloria di sapere che un uomo che ci è stato vicino è morto affogato presso un'isola del Pacifico! Noi che siamo stati con lui lo racconteremo in giro con legittimo orgoglio, con l'invisibile convinzione che tutto questo abbia un senso più bello e più vasto della semplice perdita della sua nave, del fatto che sia colato a picco con i polmoni pieni d'acqua! Ah, i piroscafi, le navi carboniere, i velieri! Si fanno rari, ahimè i velieri sui mari! E io, che amo la civiltà moderna, io che bacio mentalmente le macchine, io, l'ingegnere, il civilizzato, quello che ha studiato all'estero, vorrei ancora avere dinanzi agli occhi solo velieri e navi di legno, non conoscere altra vita marittima che l'antica vita dei mari! Perché i mari antichi sono l a Distanza Assoluta, la Pura Lontananza, libera dal peso dell'Attuale... Ah, come tutto qui mi ricorda quella vita migliore, quei mari, più grandi perché si navigava più lentamente, quei mari, misteriosi perché li conoscevamo di meno.
  • 30. Ogni vapore lontano, è una nave a vela da vicino. Ogni nave distante vista ora è una nave del passata vista vicino. Tutti i marinai invisibili a bordo delle navi all'orizzonte sono i marinai visibili del tempo delle vecchie navi, dell'epoca lenta e veliera delle navigazioni pericolose, dell'epoca di legno e tela dei viaggi che duravano mesi. MI prende a poco a poco il delirio delle cose marittime, mi penetrano fisicamente il molo e la sua atmosfera, lo sciabordare del Tago mi assale i sensi e comincia a sognare, comincia ad avvolgermi nel sogno delle acque, le cinghie di trasmissione cominciano a farmi presa sull'anima e l'accelerazione del volano mi scuote nettamente. Mi chiamano le acque, mi chiamano i mari, mi chiamano, levando una voce corporea, le lontananza: sono tutte le epoche marittime sentite nel passato, che chiamano.
  • 31. L'Oceano di Pessoa è popolato da piroscafi, perché il piroscafo è metafora è il “mistero gioioso di chi arriva e di chi parte” (I) La barca, la presenza di barche è fondamentale per l'ingegnere Pessoa-De Campos fino alla suprema identificazione: ”Le mie sensazioni sono una nave” (II) Il piroscafo è il viaggio... Un viaggio verso l'indefinito, un viaggio nello spazio, nel tempo, in se stessi. Il poeta viaggia nel tempo e scopre, immagina un altro se stesso in un tempo che non è più. Il viaggio quasi d'Ulisse verso un altro modo di essere della stessa umanità in altri punti. Sembra un’enunciazione poetica del PRINCIPIO INDETERMINAZIONE!!!
  • 32. Siamo sempre a un inizio, siamo nel mattino il piroscafo apre alle cose marittime che sono il vero argomento delle poesie. Non tanto il mare quanto le COSE MARITTIME. Queste cose marittime diventano sangue del poeta. Diventa quindi uomo marittimo, ma siccome Alvaro de Campos è ingegnere la sua attenzione è tutta nelle macchine nei complessi moti e meccanismi di una nave che il poeta elenca e l'enumerazione è cifra importante delle poesie... allora l'uomo diventa uomo-macchina! Uomo meccanico! Infatti nella poesia letta è importante il VOLANO, volano è il disco che mantiene il movimento, il volano durante la lirica ruota sempre più forte, ma non è dentro la nave è dentro il poeta. E alla fine questo volano scuote il poeta e possiamo immaginare che così inizi il suo viaggio interiore al seguito del richiamo delle acque dei mari di tutte le epoche marittime, in questo viaggio che è sempre nello Spazio e nel Tempo.
  • 33. Il viaggio è verso il Diverso e fa paura, porta angoscia come tutto ciò che non si conosce ma invita il poeta a guardare verso isole misteriose a indagare i mari ciascuno designato con le sue caratteristiche fino all'Atlantico il suo oceano e al domestico Mediterraneo di Montale. Anche in Pessoa come in Montale le cose marittime sono fonte di poesia, di immaginazione di canto. In questa parte l'uomo è tutto nave, tutto imbarcazione in una vera identificazione. Pessoa sente il richiamo delle acque, lo sciabordio, ma soprattutto la vista domina del mare... Importante per Pessoa è vedere e gioire di vedere, un vedere che segue il piroscafo, vede le barche e si perde nell'Indefinito. L'ora è spesso mattutina, si scorge infatti il biondo mattino che echeggia quasi modi di dire omerici. Pessoa vede i monti lontani, le case, un gabbiano..
  • 34. Pessoa ha in sé l'ingegnere, il viaggio nello spazio-tempo e ha in sé non solo il viaggiatore ma anche il pirata, il riassunto di tutti i pirati e si esalta alle loro imprese, per subito dopo pentirsi di aver pensato questo e sentirsi il riassunto di tutte le vittime dei pirati. “Essere il pirata-riassunto tutta la pirateria al suo culmine/ e la vittima-sintesi, ma di carne e ossa, di tutti i pirati del mondo!” Il viaggio, che Montale non evoca mai, Montale fermo sulla riva, è alla fine il tema di Pessoa, di fronte all'Oceano perché ”viaggiare è così bello come lo era una volta/ e una nave sarà sempre bella, solo perché è una nave./ Viaggiare è ancora viaggiare, e la lontananza è sempre dov'è stata/ - in nessun luogo, grazie a Dio!”..
  • 35. Per concludere è bello tornare al mare delle nostre radici: Omero Orbene poi che noi fummo discesi alla nave e al mare, per prima cosa al mare divino spingemmo la nave, e nella nera nave ponemmo albero e vele, e prese le bestie, su le facemmo salire, e noi stessi montammo angosciati versando pianto copioso. Allora dietro la nave dalla prora turchina Circe dai bei capelli, terribile dea cantatrice, a noi favorevole vento mandava che gonfia le vele, compagno eccellente. E noi dopo avere disposto lungo la nave ogni singolo attrezzo, stavamo a sedere; ed il vento e il pilota guidavan la nave. Di essa, che andava sul mare, per tutto il giorno le vele eran state distese. Il sole s'immerse e tutte le strade s'empivano d'ombra, ed essa giungeva ai confini là dove scorre con l'acque profonde l'Oceano. Odissea
  • 36. Molta acqua è passata sotto i ponti da quando Omero faceva immergere Ulisse nel mare, lo faceva naufragare e lo salvava. Il mare era reale era toccato dal navigante... Pessoa e Montale non toccano mai il mare e almeno nelle loro poesie mai lo solcano, il loro dunque è un viaggio tutto interiore.