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DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013
NASCITA E SVILUPPO DEL PROCESSO DI INTEGRAZIONE
EUROPEA: DALLE COMUNITÀ ALL’UNIONE EUROPEA
BREVE INQUADRAMENTO STORICO DEL PROCESSO DI INTEGRAZIONE
EUROPEA
Il diritto dell’Unione europea, attualmente fa perno sui due testi (Trattato
sull’Unione Europea [TUE] e Trattato sul Funzionamento dell’Unione
Europea [TFUE]) che costituiscono il Trattato di Lisbona, entrato in vigore
il 1° dicembre 2009. Esso incide profondamente sulle persone e sulle
imprese che operano nel nostro Paese per lo spazio ed il rilievo ad esso
riconosciuto da due disposizioni della Costituzione italiana: l’art. 11 ed il
primo comma dell’art. 117.
A termini del primo “L’Italia … consente, in condizioni di parità con gli altri
Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri
la pace e la giustizia fra le Nazioni”. A termini del secondo “La potestà
legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della
Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario
e dagli obblighi internazionali”.
L’integrazione europea ed il diritto che la disciplina costituiscono il risultato
di una complessa e faticosa evoluzione. L’ideale di un continente europeo
non più diviso in tanti Stati in lotta fra loro si è affermato sin dal XIX
secolo. Si concretizza, però, solo a seguito delle distruzioni e dei lutti della
seconda guerra mondiale. È allora che con la Dichiarazione Schuman, del 9
maggio 1950, il Governo francese ha proposto di mettere l’insieme della
produzione franco-tedesca di carbone e di acciaio sotto un’Alta Autorità nel
quadro di un’organizzazione alla quale possano aderire gli altri Paesi
europei. Robert Schuman ha indicato a tutti questi Paesi che la messa in
comune della produzione di carbone ed acciaio avrebbe potuto cambiare il
destino di queste regioni che per lungo tempo si sono dedicate alla
fabbricazione di strumenti bellici.
In una prima fase il movimento di integrazione ha riguardato solo una parte,
quella occidentale del continente europeo. Inizialmente ha interessato 6
Paesi, Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo ed Olanda. Gli Stati
dell’Europa orientale hanno dato vita a forme alternative di aggregazione
militare – l’Organizzazione del Patto di Varsavia - ed economica –il
COMECON -, che facevano riferimento all’Unione Sovietica. A seguito del
crollo del muro di Berlino (1989) e del crollo dell’URSS (1991), anche gli
Stati dell’Europa orientale hanno chiesto di far parte del processo di
integrazione avviato dall’Europa occidentale. È stato così che si è arrivati
all’attuale Unione europea che comprende 27 Stati membri.
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DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013
IL METODO DI INTEGRAZIONE FONDATO SULLA COOPERAZIONE
INTERGOVERNATIVA (METODO TRADIZIONALE DELLE RELAZIONI TRA
STATI)
L’organizzazione proposta da Robert Schuman volge a dare luogo ad una
gestione in comune delle risorse carbosiderurgiche secondo un metodo
innovativo che si distingue dal metodo di cooperazione intergovernativa
tradizionalmente utilizzato nei rapporti tra Stati sovrani.
La cooperazione intergovernativa, dal canto suo, si caratterizza per il fatto
che gli organi dell’organizzazione sono composti da persone che agiscono
quali rappresentanti degli Stati di appartenenza, seguono le loro direttive ed
adottano deliberazioni che vengono assunte esclusivamente o
prevalentemente all’unanimità ed hanno generalmente natura di atti non
vincolanti. Si fondano sul metodo della Cooperazione intergovernativa la
Nato, l’OCSE ed il Consiglio d’Europa.
IL METODO COMUNITARIO
Il metodo indicato da Robert Schuman per il funzionamento
dell’organizzazione da lui proposta, e che poi è stato seguito anche per la
CEE e per l’EURATOM, invece, è usualmente definito come Metodo
Comunitario.
Esso presenta queste caratteristiche:
1) le persone che siedono nella maggior parte delle istituzioni comunitarie
(Parlamento europeo, Commissione, Corte di Giustizia, Corte dei conti,
Banca Centrale Europea) non rappresentano gli Stati di cui sono
cittadini e, in proprio, compiono le loro scelte in maniera indipendente
da essi;
2) il metodo comunitario da largo spazio a deliberazioni a maggioranza,
per lo più a maggioranza qualificata. Ciò significa che il consenso di
tutti gli Stati membri non è condizione indispensabile per l’azione
dell’organizzazione. Gli Stati che restano in minoranza sono comunque
vincolati al rispetto delle deliberazioni che sono state assunte a
maggioranza;
3) il potere deliberativo dell’organizzazione si esprime normalmente
attraverso veri e propri atti vincolanti, che creano diritti ed obblighi per
gli Stati e, quando sono direttamente applicabili, anche per le singole
persone fisiche e giuridiche;
4) gli atti delle istituzioni sono sottoposti ad un sistema di controllo
giurisdizionale di legittimità.
TRATTATO DELLA COMUNITÀ EUROPEA DEL CARBONE E DELL’ACCIAIO –
CECA
L’organizzazione proposta da Robert Schuman è stata posta in essere come
una Comunità di tipo settoriale con la conclusione del Trattato istitutivo
della CECA, firmato il 18 aprile 1951 ed entrato in vigore il 25 luglio 1952
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DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013
per una durata di 50 anni. La CECA ha cessato di esistere il 23 luglio 2002.
Le sue competenze sono state allora trasferite alla CE.
Struttura istituzionale: Alta autorità (significativi poteri decisionali di
carattere sopranazionale), Consiglio dei ministri (competenze di controllo),
Assemblea comune, Corte di giustizia. La competenza della CECA riguarda
i prodotti e le politiche relative al settore carbosiderurgico (carbone e
acciaio).
Successivamente si è avuto un tentativo di istituzione di una Comunità
europea di difesa (CED), tale tentativo è fallito perché bocciato nel 1954 dal
Parlamento francese.
Giugno 1955, Conferenza di Messina, che ha dato incarico al gruppo Spaak
di redigere due progetti che porteranno al Trattato istitutivo della
Comunità economia europea (CEE) e al Trattato istitutivo della
Comunità europea per l’energia atomica (EURATOM), firmati a Roma il
25 marzo 1957, entrati in vigore il 14 gennaio 1958
All’origine 6 stati membri: Italia, Germania, Francia, i tre Paesi Benelux
(Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi)
Successive adesioni alle Comunità:
1973 Danimarca, Regno Unito, Irlanda
1981 Grecia
1986 Spagna, Portogallo
1995 Austria, Finlandia, Svezia
dal 1 maggio 2004 Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia,
Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Ungheria
dal 1 gennaio 2007 Romania e Bulgaria
TRATTATO CEE
Era obiettivo del Trattato CEE, e poi è divenuto obiettivo del Trattato CE ed
ora del Trattato di Lisbona, mettere in comune i mercati degli Stati membri
istituendo una libera circolazione delle persone (in particolare dei
lavoratori), delle merci, dei servizi e dei capitali.
In una visione neoliberista che attribuisce una funzione sociale al mercato si
considera che una liberalizzazione generale sia atta a determinare un
contenimento dei prezzi e benefici a favore di tutti i cittadini della
Comunità. Si è previsto, però, che questi benefici possano non realizzarsi a
favore di tutti. Si è considerato allora necessario istituire una politica
agricola ed una politica sociale accompagnate dal funzionamento di fondi
destinati ad esprimere solidarietà ai settori che possano restare meno
agevolati. Accanto a queste sono state previste altre due politiche: 1 - una
politica della concorrenza volta ad evitare che i benefici sociali di una libera
circolazione delle merci siano neutralizzati da intese tra le imprese volgenti
a massimizzare i guadagni di queste mantenendo alti i prezzi e 2 – una
politica commerciale destinata a sostituire i dazi doganali di ciascuno Stato
membro con una tariffa doganale esterna comune ed a attribuire alla
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DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013
Comunità un potere esclusivo di concludere accordi commerciali con Stati
terzi.
Per evitare un brusco passaggio da un diffuso protezionismo degli Stati
membri alla liberalizzazione implicata dall’istituzione del mercato unico il
Trattato CEE ha previsto un periodo transitorio di 12 anni che doveva
concludersi nel 1970. La sua conclusione è stata, però, anticipata al 1°
luglio
1968, data a partire dalla quale sono state completamente abolite le barriere
doganali tra gli Stati membri ed è stata adottata la tariffa doganale comune
(l’introduzione di una tariffa doganale comune ha implicato l’introduzione
di un sistema di dazi doganali unico, distinto per categorie di prodotti,
applicabile all’importazione nell’area comunitaria di beni provenienti da
Stati terzi sostituente i diversi sistemi di tassazione doganale di quei prodotti
prima praticabili, con aliquote diverse, separatamente da ciascuno degli Stati
membri).
Le Istituzioni a cui il Trattato CEE affida il perseguimento degli obiettivi
che si è preposto sono:
Parlamento europeo (dal 1979 eletto direttamente dai cittadini degli Stati
membri) che all’inizio aveva una funzione eminentemente consultiva e che
con il tempo ha acquisito un forte potere normativo; Consiglio dei ministri
(che rappresenta i governi degli Stati membri e sin dall’inizio provvisto di
potere normativo); Commissione europea (dotata di potere di iniziativa
legislativa e di controllo); Corte di giustizia (che garantisce la conformità
con il diritto del funzionamento della Comunità); Corte dei conti (che
verifica che la gestione del bilancio dell’Unione europea sia sana e corretta )
Ben presto la Corte di giustizia ha interpretato il Trattato CEE ed il sistema
giuridico da esso istituito come un fenomeno dante luogo ad un
ordinamento di tipo nuovo sancente obblighi e diritti non solo per gli
Stati membri ma anche per le persone fisiche e giuridiche. La novità che
la Corte di giustizia ha considerata propria del fenomeno a cui ha dato luogo
il Trattato CEE consiste nel fatto che tradizionalmente un Trattato da luogo
a diritti ed obblighi solo per gli Stati parte ad esso ma non per persone
fisiche e giuridiche.
Manifestazioni forti di detto atteggiamento della Corte sono le sentenze che
essa ha adottato nei casi van Gend & Loos, Costa contro ENEL e Les Verts.
1. Nel caso van Gend & Loos un’impresa olandese, che aveva importato
nei Paesi Bassi determinata merce proveniente dalla Germania,
contestava davanti ad un giudice olandese un dazio che le era stato
imposto in una misura che risultava da un aumento dei dazi
all’importazione di quella merce posto in essere dopo l’entrata in vigore
del Trattato CEE. E ciò in contrasto con l’art. 12 di quel Trattato (oggi
art. 30 TFUE) il quale obbliga gli Stati membri a non introdurre nuovi
dazi doganali e a non aumentare quelli già esistenti nei reciproci rapporti
commerciali. Quel giudice olandese chiedeva alla Corte di giustizia di
chiarire se un’impresa possa desumere da un articolo del Trattato CEE,
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DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013
quale l’allora vigente art. 12, un diritto soggettivo a che non le sia
applicata una norma nazionale. Con la sentenza che ha reso il 5 febbraio
1963 in tale causa la Corte ha affermato il principio dell’effetto diretto
del diritto comunitario, statuendo che questo “indipendentemente dalle
norme emananti dagli Stati membri, nello stesso modo in cui impone ai
singoli degli obblighi, attribuisce loro dei diritti soggettivi” e che “si
deve ritenere che questi sussistano, non soltanto nei casi in cui il Trattato
espressamente li menziona, ma anche come contropartita di precisi
obblighi imposti dal Trattato ai singoli, agli Stati membri o alle
Istituzioni comunitarie”.
2. Nel Caso Costa c. ENEL un utente dell’Ente nazionale per l’Energia
elettrica (ENEL) aveva contestato davanti al giudice conciliatore di
Milano il proprio obbligo di pagare all’ENEL una bolletta, ritenendo che
tale ente non fosse legittimato a chiedergli quel pagamento in quanto
risultante dalla nazionalizzazione di imprese private a suo giudizio
intervenuta in contrasto con il Trattato CEE. Il giudice conciliatore di
Milano ha chiesto alla Corte di giustizia, come questione di principio, se
un giudice nazionale possa applicare una legge nazionale eventualmente
incompatibile con una precedente norma del Trattato CEE. Con la
sentenza resa nel caso il 15 luglio 1964 ha stabilito il primato del
diritto comunitario sul diritto interno affermando che “istituendo la
CEE gli Stati membri hanno limitato i loro poteri sovrani e creato un
complesso di diritto vincolante per i loro cittadini e per loro stessi e che
ciò ha per corollario l’impossibilità per loro di fare prevalere, contro
l’ordinamento giuridico da essi accettato a condizione di reciprocità,
un provvedimento unilaterale ulteriore, il quale pertanto non potrà
essere opponibile all’ordine comune”. Con questa affermazione la
Corte ha inteso limitare in modo forte la sovranità legislativa degli Stati
membri, cioè un principio tradizionale e fondamentale dei loro
ordinamenti.
3. Con la sentenza che ha adottato il 23 aprile 1986 nella causa Parti
écologiste “Les Verts” c. Parlamento europeo la Corte ha affermato che
la Comunità è una Comunità di diritto. Nel caso si era trovata a dovere
decidere sul ricorso presentato da detto partito contro una decisione
dell’Ufficio di Presidenza del Parlamento europeo che lo escludeva nella
ripartizione degli stanziamenti relativi alle elezioni europee del 1984.
Tale ricorso le era stato presentato sulla base dell’allora vigente art. 173
del Trattato CEE, il quale prevedeva la legittimazione della Corte a
controllare la legittimità solo degli atti del Consiglio e della
Commissione e non quelli del Parlamento. La Corte ha superato la
lettera di tale articolo, che le avrebbe impedito di considerare ricevibile
quel ricorso, rilevando che la CEE “è una Comunità di diritto nel
senso che né gli Stati che ne fanno parte né le sue Istituzioni sono
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DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013
sottratte al controllo della conformità dei loro atti alla Carta
costituzionale di base costituita dal Trattato”.
Al Trattato istitutivo della CEE sono state apportate modifiche da accordi
internazionali che sono stati adottati da conferenze intergovernative e che
hanno dovuto essere ratificati da tutti gli Stati membri. Essi, prima di
arrivare all’attuale Trattato di Lisbona, hanno adottato l’Atto Unico europeo,
il Trattato di Maastricht, il Trattato di Amsterdam ed il Trattato di Nizza. Si
è avuta anche la Conferenza Intergovernativa di Roma nel corso della quale
è stato firmato il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, il quale
però, a seguito dell’esito negativo dei referendum tenutisi su di esso in
Franca ed Olanda, non ha ottenuto le ratifiche necessarie e quindi non è
entrato in vigore.
ATTO UNICO EUROPEO, 1986
L’Atto Unico Europeo è stato adottato alla Conferenza di Milano nel corso
della quale, sotto l’impulso del Presidente francese François Mitterrand e
del Presidente del Consiglio italiano Bettino Craxi, si è deciso di accelerare
il perfezionamento del mercato unico, superando il più possibile le differenti
normative interne indirettamente capaci di ostacolare la libera circolazione
comunitaria. Al riguardo, superando la necessità, sino ad allora esistente di
adottare, per il ravvicinamento di dette legislazioni, direttive all’unanimità si
è attribuita alle istituzioni comunitarie la possibilità di adottare atti (e quindi
anche regolamenti) a maggioranza qualificata.
IL TRATTATO DI MAASTRICHT E LA CREAZIONE DELL’UNIONE EUROPEA
Questo Trattato, firmato il 7 febbraio 1992 (ed entrato in vigore il 1°
novembre 1993), accanto al Trattato CE ha introdotto un Trattato UE ed ha
organizzato l’integrazione europea su tre pilastri costituiti dalla CEE,
ridenominata Comunità europea (CE), dalla PESC (Politica estera e di
sicurezza comune) e dalla CGAI (Cooperazione nei settori della giustizia e
degli affari interni, in seguito al Trattato di Amsterdam ridenominata
Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale). Esso ha istituito la
cittadinanza dell’Unione europea a favore di tutti i cittadini degli Stati
membri, prevedendo l’attribuzione, tra l’altro, a chi è provvisto di tale
cittadinanza dell’elettorato attivo e passivo alle elezioni comunali e del
Parlamento europeo alle stesse condizioni dei cittadini del Paese di
residenza.
Accanto a queste importanti novità il Trattato di Maastricht ha allargato le
competenze della Comunità, ha potenziato la partecipazione del Parlamento
europeo al processo legislativo comunitario istituendo la procedura di
codecisione ed ha dato avvio ad una politica economica e monetaria che è
poi sfociata nell’istituzione di una Banca Centrale europea e di un sistema di
banche centrali e nell’istituzione, a partire dal 1° gennaio 2002, dell’euro.
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DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013
Avendo istituito l’Unione ed avendo inserito in essa la Comunità, per dare
un impulso all’intero sistema dell’Unione ed assicurarne la coerenza il
Trattato ha istituito il Consiglio europeo, composto dai Capi di Stato e di
Governo degli Stati membri e dal Presidente della Commissione.
IL TRATTATO DI AMSTERDAM
Questo Trattato, firmato il 2 ottobre 1997, è entrato in vigore il 1° maggio
1999.
Esso contiene, tra l’altro, le seguenti novità:
1) ha introdotto nel Trattato UE l’art. 6, a termini del quale “L’Unione è
fondata sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo
e delle libertà fondamentali e dello stato di diritto, principi che sono
comuni agli Stati membri. L’Unione rispetta i diritti fondamentali quali
sono garantiti dalla CEDU e quali risultano dalle tradizioni
costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del
diritto comunitario” (Con questo articolo il Trattato di Maastricht ha
inteso contribuire alla definizione dell’identità dell’Unione e stabilire i
principi a cui devono aderire gli Stati che di essa intendono diventare
membri e che, sotto pena di sanzioni, devono essere rispettati da tutti i
partecipanti alla stessa);
2) Ha previsto la possibilità di istituire forme di cooperazione rafforzata:
questa deve essere richiesta da almeno 8 Stati membri, deve essere volta
a promuovere la realizzazione, da parte degli Stati che ad essa
partecipano, degli obiettivi UE o CE, deve rafforzare il processo di
integrazione, deve rispettare l’acquis comunitario, non deve riguardare
le competenze esclusive della CE e deve essere aperta agli altri Stati
membri. Con ciò ha aperto la strada ad un’Europa a più velocità.
3) Ha in parte comunitarizzato il terzo pilastro, trasferendo le politiche su
“Visti, asilo immigrazione ed altre politiche connesse”, già ricadenti nel
pilastro CGAI, al pilastro comunitario.
L’affermazione che il Trattato di Maastricht contiene nell’art. 6 UE, secondo
cui “l’Unione è fondata sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali” ha trovato conferma in
un’importante pronuncia con cui la Corte ha accolto il ricorso del cittadino
di uno stato terzo, il sig. Kadi, sospettata di finanziare il terrorismo
internazionale, che aveva impugnato un regolamento del Consiglio CE
dante attuazione a livello comunitario ad una risoluzione del Consiglio di
sicurezza obbligante gli Stati membri delle Nazioni Unite a congelare i conti
bancari di persone sospette di finanziare Al-Qaeda, comprese in una lista
che è stata stabilita a cura dello stesso Consiglio di sicurezza e che
comprendeva il nome di quel ricorrente.
Nel suo ricorso il sig. Kadi aveva sostenuto l’illegittimità di detto
regolamento comunitario affermando, tra l’altro, che esso violava i suoi
diritti di difesa previsti dall’art. 6 della Convenzione europea per la
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DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013
salvaguardia dei diritti dell’uomo in quanto quel regolamento era stato
adottato senza dargli una ragionevole possibilità di farsi previamente sentire
dalle autorità competenti. Il Consiglio delle Comunità ed il Regno Unito
avevano eccepito l’irricevibilità del ricorso del sig. Kadi richiamando
affermazioni della Corte europea dei Diritti dell’Uomo secondo cui detta
convenzione “non può essere interpretata in modo tale da sottoporre allo
scrutinio della Corte”, vale a dire al suo sindacato giurisdizionale, “le azioni
o omissioni degli Stati parti coperte da risoluzioni del Consiglio di sicurezza
delle Nazioni Unite” (paragrafo 149). Sulla base del fatto che l’Unione, e
con essa la Comunità, è fondata su detti principi la Corte di giustizia ha
disatteso l’invocazione di quella affermazione della Corte Europea dei
Diritti dell’Uomo invocata dal Consiglio e dalla Gran Bretagna qualificando
la sua funzione di controllo giurisdizionale come funzione di garanzia
costituzionale dei principi del Trattato CE, tra cui si colloca il principio
secondo il quale gli atti comunitari devono rispettare i diritti di difesa che
costituiscono diritti fondamentali. E ciò anche se questi vengono invocati da
una persona che non sia cittadino di uno Stato membro e sia seriamente
accusato di finanziare il terrorismo internazionale.
IL TRATTATO DI NIZZA
Il Trattato di Nizza, firmato il 26 febbraio 2001 ed entrato in vigore il 1°
febbraio 2003, ha introdotto negli originali Trattati istitutivi delle riforme
tese a far fronte ai problemi legati alle prospettive di allargamento della
Comunità. Nel corso della Conferenza che ha portato all’adozione del
Trattato di Nizza è stata adottata la Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione. Per arrivare all’elaborazione di questa i Capi di Stato e di
Governo si sono affidati ad una “Convenzione” il più in linea possibile con
il principio di democrazia rappresentativa, ricomprendente 16 eurodeputati e
30 rappresentanti delle assemblee parlamentari nazionali, affiancata da 4
osservatori (2 della Corte di giustizia e 2 del Consiglio d’Europa di cui uno
rappresentante della Corte europea dei diritti dell’uomo). I lavori di questa
Convenzione hanno portato alla proclamazione solenne della Carta da parte
del Parlamento europeo, della Commissione e del Consiglio. La Carta non
solo da visibilità ai diritti umani su cui riposa il processo d’integrazione
europea ma aggiorna anche il catalogo classico di tali diritti che risulta dalla
giurisprudenza comunitaria e dai richiami che i Trattati operano alla
Convenzione europea dei diritti dell’uomo ed alle tradizioni costituzionali
comuni; sancisce così alcuni diritti nuovi, quali il diritto alla protezione dei
dati di carattere personale, il diritto a beneficiare dei principi della bioetica
ed il diritto alla buona amministrazione.
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DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013
IL TRATTATO DI LISBONA CHE MODIFICA IL TRATTATO SULL’UNIONE
EUROPEA E IL TRATTATO CHE ISTITUISCE LA COMUNITÀ EUROPEA,
FIRMATO A LISBONA IL 13 DICEMBRE 2007
Il metodo seguito per l’elaborazione della Carta dei diritti fondamentali è
stato tenuto presente quando si è pensato di andare ulteriormente avanti nel
processo d’integrazione europea. Si è allora convocata una nuova
“Convenzione sull’avvenire dell’Europa” che, aperta il 28 febbraio 2002, è
terminata il 10 luglio 2003, con l’adozione di un progetto di Trattato che è
stato sottoscritto a Roma il 29 ottobre 2004 come Trattato che istituisce una
Costituzione per l’Europa. Il testo di questo Trattato è stato oggetto di
referendum che hanno avuto risultato negativo in Francia ed in Olanda, con
la conseguenza che esso è stato abbandonato.
Il contenuto del Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa ha,
però, costituito la base di partenza per una nuova conferenza
intergovernativa che, apertasi nel luglio 2007, si è rapidamente conclusa ed
ha portato alla firma, il 13 dicembre 2007, del Trattato di Lisbona.
Questo nuovo Trattato è stato oggetto in Irlanda, il 2 giugno 2008, di un
referendum che ha avuto esito negativo. Lo stallo da ciò determinato è stato
superato da un secondo referendum, tenutosi il 2 ottobre 2009, che ha avuto
esito positivo dopo che a quel Paese sono state date alcune garanzie e dopo
che sono state perfezionate le procedure di ratifica da parte di tutti gli Stati
membri. Il Trattato è così entrato in vigore il 1° dicembre 2009.
ELEMENTI DI CONTINUITÀ CHE IL TRATTATO DI LISBONA PRESENTA CON
IL TRATTATO CHE ADOTTA UNA COSTITUZIONE PER L’EUROPA
Rispetto al Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa che, il Trattato
di Lisbona presenta molti elementi di continuità
a) Trasforma il Consiglio europeo in un’istituzione vera e propria con a
capo un presidente stabile, eletto per due anni e mezzo, istituisce un alto
rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, generalizza
la procedura di codecisione a cui è dato il nome di procedura legislativa
ordinaria, supera la struttura a tre pilastri dell’Unione introdotta dal
Trattato di Maastricht
b) Eliminando i tre pilastri di Maastricht, integra completamente quella che
era la Comunità europea nell’Unione europea regolando la sua attività
con due Trattati distinti: il Trattato sull’Unione Europea (TUE) che
stabilisce i principi, gli obiettivi e le regole fondamentali nonché la
procedura per la revisione dei Trattati e l’adesione di nuovi Stati membri
ed il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) che
contiene disposizioni meno importanti relative al funzionamento
dell’Unione.
c) Regola dettagliatamente la procedura di adesione. Questa, a termini
dell’art. 49 TUE, si compone di una fase comunitaria e di una fase
intergovernativa. La prima si perfeziona tramite una decisione del
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DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013
Consiglio “che si pronuncia all’unanimità previa consultazione della
Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, che si
pronuncia a maggioranza dei membri che lo compongono”. La seconda
fase si concreta nella negoziazione e nella conclusione di un accordo –
contenente le condizioni per l’ammissione e gli adattamenti dei Trattati
su cui è fondata l’Unione – tra gli Stati membri e lo Stato richiedente.
Rilevante al riguardo è che all’Unione può aderire ogni “Paese
europeo”. Secondo la Commissione la nozione di “Paese europeo”, dato
che esprime una comunanza di idee e valori associando “elementi
geografici, storici e culturali” da considerarsi nel loro insieme, è
suscettibile di cambiare nel tempo e non può essere definita una volta
per tutte. Ciò contribuisce al fatto che si discuta ampiamente sulla
possibilità di un’adesione da parte della Turchia oltre che dei nuovi Stati
risultati dalla disgregazione della ex Jugoslavia.
ELEMENTI DI DISCONTINUITÀ DEL TRATTATO DI LISBONA
Il Trattato di Lisbona contiene, però, anche rilevanti elementi di
discontinuità rispetto al precedente che sono caratterizzati da uno sforzo
di assorbire i desideri di preservazione della sovranità – se non
addirittura da un atteggiamento di euroscetticismo – di alcuni Stati
membri e di non allargare più di tanto l’importanza e le competenze
dell’Unione. Ne costituiscono significativa manifestazione
a) l’eliminazione dal testo dei due nuovi Trattati di elementi che erano
contenuti nel Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa quali le
espressioni “Costituzione” e “Costituzionale”, la previsione di simboli
dell’Unione, la denominazione degli atti giuridici dell’Unione come
“Leggi” e come “Leggi quadro” e l’espressa affermazione di un
principio del primato del diritto dell’Unione su quello degli Stati
membri e
b) l’inserimento nei Trattati e negli Allegati Protocolli di meccanismi di
garanzia a favore degli Stati membri.
ART. 48 TUE - PROCEDURA DI REVISIONE ORDINARIA DEI TRATTATI
Il Governo di qualsiasi Stato membro, il Parlamento europeo o la
Commissione possono sottoporre al Consiglio progetti di modifica dei
Trattati che possono, tra l’altro, essere intesi ad accrescere o ridurre le
competenze dell’Unione. Il Consiglio li trasmette al Consiglio europeo e li
notifica ai Parlamenti nazionali.
Per dare il carattere più partecipativo possibile alla procedura in
questione, in linea con quanto era stato fatto prima per l’adozione della
Carta dei diritti fondamentali e poi per l’elaborazione del Trattato che
istituisce una Costituzione per l’Europa, il n. 3 dell’art. 48 TUE prevede
che, qualora il Consiglio europeo adotti a maggioranza semplice una
decisione favorevole all’esame delle modifiche proposte, il suo presidente
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DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013
convochi una “Convenzione” composta da rappresentanti dei Parlamenti
nazionali, dei Capi di Stato o di Governo degli Stati membri, del Parlamento
europeo e della Commissione. La Convenzione esamina i progetti di
modifica ed adotta per consenso una raccomandazione ad una conferenza
dei rappresentanti dei Governi degli Stati membri.
I rappresentanti dei Governi degli Stati membri, riuniti in questa conferenza,
stabiliscono di comune accordo le modifiche da apportare ai Trattati, che
entrano in vigore dopo essere state ratificate da tutti gli Stati membri. A
questo importante potere riconosciuto a ciascuno degli Stati membri sulle
possibili modifiche da apportarsi al sistema dell’Unione, il n. 5 dell’art. 48
introduce un significativo contenimento di tipo nuovo per il caso in cui, al
termine di un periodo di due anni a decorrere dalla firma di un Trattato che
introduca tali modifiche, i 4/5 degli Stati membri l’abbiano ratificato ed uno
o più Stati membri abbiano incontrato difficoltà per farlo: sia pure con una
formula la cui portata avrà bisogno di essere precisata, prevede che “la
questione è deferita al Consiglio europeo”. L’innovazione così stabilita
rispetto al passato è legata all’aumento del numero degli Stati membri ed al
rischio conseguentemente accresciuto che emendamenti dei Trattati ritenuti
necessari non entrino in vigore.
Se un’osservazione si può fare a proposito della novità che, secondo quanto
indicato, la procedura di revisione ordinaria dei Trattati presenta, questa può
consistere nel rilevare lo sforzo che l’art. 48 fa di conciliare la tradizionale
signoria degli Stati membri sui Trattati istitutivi del processo di integrazione
europea con l’esigenza di rendere più partecipata e non soggetta al blocco da
parte di uno o pochi Stati membri la loro revisione. La tradizionale signoria
degli Stati membri è confermata dal fatto che la revisione è in principio
subordinata alla ratifica da parte di tutti gli Stati membri; l’esigenza di una
larga partecipazione alla sua elaborazione è soddisfatta dall’attribuzione alla
indicata “Convenzione” della funzione di adottare per consenso il testo da
sottoporre ad una conferenza dei rappresentanti dei Governi degli Stati
membri; l’esigenza di non permettere ad uno o pochi Stati membri di
bloccare la revisione dei Trattati è soddisfatta dal deferimento al Consiglio
europeo di un potere di determinare il da farsi per il caso di tale blocco.
PROCEDURE DI REVISIONE SEMPLIFICATE
Sono previste dal n. 6 e dal primo e dal secondo comma del n. 7 dell’art. 48
TUE.
A termini del n. 6 dell’art. 48 TUE possono essere sottoposti al Consiglio
europeo, per dare luogo a procedure di revisione semplificate, progetti intesi
a modificare in tutto o in parte le disposizioni della parte terza del Trattato
sul funzionamento dell’Unione europea relative a politiche e ad azioni
interne dell’Unione. Il Consiglio europeo può dare seguito a tali progetti
modificando le disposizioni di detta parte del TFUE a condizione di non
estendere le competenze attribuite all’Unione nei Trattati. Ciò può fare
11
DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013
deliberando all’unanimità previa consultazione del Parlamento europeo,
della Commissione e, in caso di modifiche istituzionali nel settore
monetario, della Banca Centrale Europea. La decisione del Consiglio
europeo entra in vigore solo previa approvazione degli Stati membri
conformemente alle rispettive norme costituzionali.
Il primo comma del n. 7 dello stesso art. 48 contempla una distinta
procedura di revisione semplificata qualificabile come procedura passerella,
stabilendo che quando il TFUE ed il titolo V del TUE prevedono che il
Consiglio deliberi all’unanimità in un settore o in un caso determinato, il
Consiglio europeo possa adottare a maggioranza qualificata in detto settore
o caso a condizione che le sue deliberazioni non abbiano implicazioni
militari o rientrino nel settore della difesa.
Analoga disposizione passerella contiene il secondo comma dello stesso art.
48 n. 7, stabilendo che quando il TFUE adotti atti legislativi secondo una
procedura legislativa speciale, il Consiglio europeo possa adottare una
decisione che consenta l’adozione di tali atti secondo la procedura
legislativa ordinaria.
Le importanti delibere che il Consiglio europeo prenda in base al primo o al
secondo comma devono essere prese previa approvazione della maggioranza
dei membri del Parlamento europeo e devono essere trasmesse ai Parlamenti
nazionali; si considerano adottate e produttive di effetti solo se entro sei
mesi da tale trasmissione non ricevano opposizione da parte di uno di detti
Parlamenti.
Non si può non notare che le procedure di revisione semplificata previste
dal primo e dal secondo comma del n. 7 dell’art. 48, a differenza dell’altra
procedura semplificata di cui al n. 6, non richiedono per il loro
perfezionamento l’approvazione degli Stati membri conformemente alle
rispettive norme costituzionali; a bilanciamento di questa ulteriore
semplificazione che esse presentano rispetto alla procedura di revisione
ordinaria, implicano che il loro perfezionamento non possa avvenire in caso
di una opposizione da parte anche di un solo Parlamento nazionale.
TRATTATO INTERGOVERNATIVO SULLA STABILITÀ, IL COORDINAMENTO E
LA GOVERNANCE NELL'UNIONE MONETARIA ED ECONOMICA DEL 31
GENNAIO 2012
Il sistema generale dell’Unione, oggi disciplinato dai Trattati di Lisbona, è
destinato ad essere integrato, quanto meno per la più gran parte dei Paesi
dell’Unione, e comunque per quelli che hanno adottato come moneta unica
l’Euro, dal Trattato intergovernativo sulla stabilità, il coordinamento e la
governante dell’Unione monetaria ed economica. È stato adottato per far
fronte alla grave crisi finanziaria ed economica determinata dal rilevante
debito pubblico di alcuni Paesi dell’Unione, tra cui Grecia, Spagna,
Portogallo ed Italia.
12
DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013
IL SISTEMA DELLE COMPETENZE DELL’UNIONE EUROPEA
IL PRINCIPIO DI ATTRIBUZIONE
L’Unione europea non ha, come gli Stati, una competenza generale, ma può
agire solo nell’ambito delle competenze che le sono state attribuite.
Pertanto, il suo funzionamento è basato sul cosiddetto “principio di
attribuzione”, sancito n. 2 dell’art. 5 TUE (“l’Unione agisce esclusivamente
nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei
trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi competenza
non attribuita all'Unione nei trattati appartiene agli Stati membri”).
Su questo principio si basa l’equilibrio che sin dall’inizio del processo di
integrazione europea si è inteso stabilire tra competenze della Comunità e
residue competenze degli Stati membri. È per soddisfare i sentimenti che si
sono manifestati con gli esiti negativi dei referendum francese ed olandese
che il Trattato di Lisbona puntualizza che le competenze dell’Unione “le
sono attribuite dagli Stati membri” e che “qualsiasi competenza non
attribuita all’Unione nei Trattati appartiene agli Stati membri”.
Il rispetto di questo principio non manca di dare luogo a problemi. La Corte
di giustizia ne ha mitigato il rilievo coordinando il suo rispetto con
l’esigenza che ha avvertito di attribuire un effetto utile alle libertà di
circolazione sancite dal diritto dell’Unione.
Un esempio di questo atteggiamento della Corte è costituito dalla sentenza
che essa ha reso il 25 luglio 2008 nel caso Metock. Ha affermato che
l’esercizio da parte di uno Stato membro di proprie competenze esclusive
(quale quella di ammettere nel proprio territorio una persona che abbia la
nazionalità di uno Stato terzo e proveniente direttamente da questo Stato)
non deve dissuadere i cittadini dell’Unione dall’esercitare le libertà di
circolazione previste dal Diritto UE. Si è affermato che questa pronuncia
della Corte di giustizia avrebbe violato il principio delle competenze di
attribuzione sostenendosi che la Comunità ha soltanto la competenza a
disciplinare la libera circolazione all’interno della Comunità. Questa critica,
nonostante sia stata condivisa dall’ex Presidente della Corte costituzionale
tedesca Roman Herzog, secondo il quale la Corte di giustizia nel caso si
sarebbe pronunciata ultra vires, non è stata seguita da tale Corte
costituzionale che con una decisione del 6 luglio 2010 ha affermato che le
competenze dell’Unione devono essere interpretate con spirito di amicizia e
di apertura. Recentissimamente, però, il 31 gennaio 2012, la critica di
Roman Herzog è stata ripresa da una sentenza della Corte costituzionale
della Repubblica Ceca. Con tale sentenza la Corte di quello Stato membro
dell’Unione ha considerato priva di effetti una legge del proprio Paese che
aveva dato un seguito ad una pronuncia della Corte di giustizia che aveva
considerato incompatibile con il principio comunitario di non
discriminazione sulla base della nazionalità una giurisprudenza
costituzionale di tale Paese che prevedeva soltanto a favore di lavoratori
cechi una compensazione, da aggiungersi alla pensione maturata con
13
DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013
riferimento al lavoro da essi svolto sino alla dissoluzione nel 1993 della
Cecoslovacchia, per l’ulteriore periodo di lavoro dagli stessi svolto in
Slovacchia (lo aveva fatto eliminando quella compensazione per tutti i
lavoratori rimasti attivi in Slovacchia dopo il 1993). La Corte costituzionale
ceca ha considerato quella legge priva di effetti perché ha ritenuto che la
sentenza della Corte di giustizia a cui essa ha inteso dare seguito abbia
applicato il diritto comunitario ad una situazione non presentante un
elemento di estraneità (perché attinente al fenomeno speciale costituito dalla
dissoluzione della Cecoslovacchia e non ai rapporti tra Stati membri) e
perciò non ricadente nelle competenze comunitarie e, pertanto, costituente
una pronuncia ultra vires.
Questa recentissima sentenza non può non essere segnalata perché, come
risulterà da quanto vedremo più avanti, costituisce segno residuo delle
difficoltà che ha incontrato e, sia pure oggi in maniera ridotta, continua ad
incontrare l’applicazione negli Stati membri del diritto dell’Unione europea.
LA PICCOLA REVISIONE PREVISTA DALL’ART. 352 TFUE
Un’altra strada, questa a disposizione delle Istituzioni politiche dell’Unione,
per mitigare il rigore del principio delle competenze di attribuzione, è
costituita dall’utilizzazione da parte di tali istituzioni della clausola di
flessibilità contenuta nell’art. 352, n. 1 TFUE, a termini del quale “Se
un’azione dell’Unione appare necessaria, nel quadro delle politiche definite
dai trattati, per realizzare uno degli obiettivi di cui ai trattati senza che questi
ultimi abbiano previsto i poteri di azione richiesti a tal fine, il Consiglio,
deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e previa
approvazione del Parlamento europeo, adotta le disposizioni appropriate.
Allorché adotta le disposizioni in questione secondo una procedura
legislativa speciale, il Consiglio delibera altresì all'unanimità su proposta
della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo”.
La Corte di giustizia ha stabilito un limite all’operare di tale clausola di
flessibilità statuendo che essa “non può essere … utilizzata quale base per
l’adozione di disposizioni che condurrebbero, sostanzialmente, con riguardo
alle loro conseguenze, a una modifica del Trattato che sfugga alla procedura
prevista nel Trattato medesimo” (Corte di Giustizia delle Comunità
Europee, Parere 2/94).
COMPETENZE ESCLUSIVE, CONCORRENTI E DI
SOSTEGNO/COORDINAMENTO/COMPLETAMENTO DELL’AZIONE DEGLI
STATATI MEMBRI
Le competenze dell’Unione europea sono di tre tipi: a) esclusive rispetto a
quelle degli Stati membri, b) concorrenti con le medesime, c) di sostegno,
coordinamento o completamento dell’azione degli Stati membri.
A termini del n. 1 dell’art. 3 TFUE “L’Unione ha competenza esclusiva nei
seguenti settori: a) unione doganale (tariffa doganale comune), b)
14
DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013
definizione delle regole di concorrenza necessarie al funzionamento del
mercato interno, c) politica monetaria per gli Stati membri la cui moneta è
l’euro, d) conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della
politica comune della pesca, e) politica commerciale comune” (misure di
difesa commerciale, accordi commerciali).
Ai sensi del n. 2 della stessa disposizione “L’Unione ha inoltre competenza
esclusiva per la conclusione di accordi internazionali allorché tale
conclusione è prevista in un atto legislativo dell'Unione o è necessaria per
consentirle di esercitare le sue competenze a livello interno o nella misura in
cui può incidere su norme comuni o modificarne la portata”.
Nei settori di competenza esclusiva dell’Unione europea solo questa può
adottare atti giuridicamente vincolanti. A termini dell’art. 2, n. 1 TFUE gli
Stati membri li possono adottare solo se autorizzati dall’Unione europea o
per dare attuazione ad atti di questa.
Ai sensi dell’art. 4 n. 1 TFUE le competenze concorrenti dell’Unione
europea hanno carattere residuale nel senso che sono tali tutte quelle
competenze che non sono esclusive o che non riguardano il sostegno, il
coordinamento o completamento dell’azione degli Stati membri. Ad ogni
buon conto l’art. 4, n. 2 TFUE specifica che l’Unione europea ha una
competenza concorrente principalmente nei seguenti settori: a) mercato
interno, b) politica sociale, per quanto riguarda gli aspetti definiti nel
presente trattato, c) coesione economica, sociale e territoriale, d) agricoltura
e pesca, tranne la conservazione delle risorse biologiche del mare, e)
ambiente, f) protezione dei consumatori, g) trasporti, h) reti transeuropee, i)
energia, j) spazio di libertà, sicurezza e giustizia, k) problemi comuni di
sicurezza in materia di sanità pubblica.
Nei settori di competenza concorrente dell’Unione europea sia questa che
gli Stati membri possono adottare atti giuridicamente vincolanti. Gli Stati
membri, però, non possono più esercitare le loro competenze quando l’UE
abbia esercitato le proprie.
Nei settori della ricerca, dello sviluppo tecnologico e dello spazio ed in
quelli della cooperazione allo sviluppo e dell’aiuto umanitario, che anch’essi
non ricadano nella competenza esclusiva dell’UE, l’Unione ha competenza
per condurre azioni senza che l’esercizio di tale competenza possa avere per
effetto di impedire agli Stati membri di esercitare la loro.
L’Unione ha, infine, competenza per svolgere azioni intese a sostenere,
coordinare, o completare l’azione degli Stati nei seguenti settori: a) tutela e
miglioramento della salute umana, b) industria, c) cultura, d) turismo, e)
istruzione, formazione professionale, gioventù e sport, f) protezione civile,
g) cooperazione amministrativa.
Questa minuziosa indicazione dei tre tipi di competenze dell’Unione
introdotta dal Trattato di Lisbona è legata all’obiettivo da questo perseguito
di far fronte alla preoccupazione di alcuni Stati membri di limitare le
competenze esclusive dell’Unione e di salvaguardare, nelle materie per cui
15
DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013
l’Unione ha solo competenze concorrenti, la possibilità di legiferare degli
Stati membri. Bisogna, però, sottolineare che in relazione a questa seconda
serie di materie gli Stati membri mantengono il potere di intervenire nei
limiti in cui l’Unione non le abbia disciplinate. A questo riguardo è utile
tenere presente quanto ne consegue in materia di tutela dei consumatori, in
cui l’Unione ha adottato numerose direttive di armonizzazione. Gli Stati
membri non possono legiferare sugli aspetti espressamente disciplinati da
dette direttive in modo diverso da quello da queste già fatto. Possono farlo
solo quando si tratti di direttive di armonizzazione minima (e non
completa) per integrarne la disciplina e per realizzare una tutela maggiore
dei consumatori.
In Danimarca dei privati, che avevano consumato delle uova acquistate in
un supermercato, che si era rifornito da un produttore danese da esso
distinto, erano stati colpiti da salmonellosi. Avevano allora agito in giudizio,
per chiedere il risarcimento dei danni subiti nei confronti del supermercato
che quelle uova aveva a loro venduto. Lo avevano fatto sulla base di una
legge danese che aveva dato attuazione alla direttiva CEE 85/374
concernente la responsabilità per danni da prodotti difettosi estendendo in
via generale al venditore la responsabilità senza colpa che quella direttiva
invece prevede a carico del produttore, limitandosi a sancirla a carico del
venditore solo in caso di merci vendute nella Comunità ma provenienti da
Pesi terzi.
Richiesta da giudici danesi di pronunciarsi sulla compatibilità con il diritto
comunitario della legge del loro Paese sulla cui base il giudizio era stato
davanti ad essi instaurato, la Corte di giustizia ha considerato che la
Direttiva 85/374/CEE persegue un’armonizzazione completa delle
disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri
relative alla materia. In ragione di ciò ha ritenuto che la legge invocata nella
causa fosse incompatibile con il diritto comunitario e quindi non idonea a
sostenere la pretesa avanzata nei confronti del venditore, nonostante essa
potesse, a prima vista, risultare più idonea a tutelare in modo rapido i
consumatori. Questi, per la Corte, dato che non si trattava di uova importate
da fuori della Comunità, potevano, secondo quanto previsto da quella
direttiva di armonizzazione completa, agire in responsabilità senza colpa
solo nei confronti del produttore (Corte di giustizia, 10 gennaio 2006, Causa
C-402/03, Skov Æg contro Bilka Lavprisvarehus A/S e Bilka Lavprisvarehus
A/S contro Jette Mikkelsen, Michael Due Nielsen).
Ai sensi, poi, dell’art. 5, n.1, TFUE le politiche economiche restano
essenzialmente di competenza degli Stati membri in quanto questi sono
semplicemente tenuti a coordinarle essendo, in materia, il Consiglio
dell’Unione europea unicamente legittimato ad adottare degli indirizzi di
massima.
16
DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013
LA NON INCIDENZA SULLA COMPETENZA ESCLUSIVA DELL’UNIONE IN
MATERIA MONETRIA DEL FISCAL COMPACT E DEL TRATTATO SALVA STATI
(MES)
Le precisazioni che il TFUE ha fatto con gli articoli 3 (competenze
esclusive), 4 (competenze concorrenti) e 5 (previsione nell’ambito
dell’Unione di un coordinamento da parte degli Stati membri delle loro
politiche economiche) lasciano spazio a problemi interpretativi con
riferimento all’applicazione del Titolo VIII dello stesso TFUE, dedicato alla
politica economica e monetaria
Centrali in tale titolo sono due articoli: l’art. 125 TFUE, che vieta
all’Unione di farsi carico del debito pubblico degli Stati membri (c.d. no-
bail out o divieto di salvataggio finanziario) ed identico divieto impone a
ciascuno Stato membro per quanto riguarda i debiti pubblici degli altri Stati
membri; l’art. 126 TFUE che, correlativamente, stabilisce che gli Stati
membri devono evitare disavanzi pubblici eccessivi.
L’applicazione di queste due disposizioni è risultata particolarmente delicata
con riferimento alla crisi finanziaria che ha interessato prima l’Irlanda ed il
Portogallo e poi la Grecia, la Spagna e l’Italia, Stati tutti, questi, che hanno
adottato l’euro come moneta unica.
L’art. 126 TFUE riprende letteralmente l’art. 104 TCE che era stato
integrato nel tempo da una serie di atti che erano diretti a rinforzare il
divieto da esso stabilito e che avevano dato luogo a quello che è stato
definito come il Patto di stabilità e crescita del 1997, al Six Pack del 2011 ed
all’accordo concluso in forma semplificata Europlus, nonché al Protocollo
n. 20 annesso al Trattato di Maastricht (a sua volta ripreso dal protocollo n.
12 annesso al Trattato di Lisbona) il quale stabiliva che il rapporto tra il
disavanzo pubblico, previsto o effettivo, e il prodotto interno lordo ai prezzi
di mercato non deve superare il 3 % e che il rapporto tra il debito pubblico e
il prodotto interno lordo ai prezzi di mercato non doveva superare il 60 %.
Quando la crisi finanziaria di detti Paesi si è acuita, e si è avvertito che essa
avrebbe potuto compromettere la stabilità finanziaria dell’area euro e
dell’intera Unione, ci si è resi conto che il rinforzamento del divieto di cui
all’art. 126 TFUE contenuto negli atti di cui sopra non era sufficiente. Si è
allora, tra l’altro, proceduto all’adozione da parte di 25 Paesi membri
dell’Unione – cioè tutti, eccettuati il Regno unito e la Repubblica Ceca – di
due Trattati puramente intergovernativi: il Trattato sulla stabilità, sul
coordinamento e sulla governance dell’Unione economica e monetaria
(TSCG, firmato il 2 marzo 2012 ed entrato in vigore il 1° gennaio 2013,
dopo la ratifica da parte di 12 Stati membri, Italia compresa, detto più
sinteticamente “Fiscal Compact”) ed all’adozione il 2 febbraio 2012, da
parte dei 17 Stati membri della zona euro, del c.d. Trattato “salva stati” che
prevede l’istituzione di un meccanismo europeo di stabilità (MES),
destinato ad entrare in vigore alla data di deposito degli strumenti di ratifica,
17
DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013
approvazione o accettazione da parte di firmatari le cui sottoscrizioni iniziali
siano non meno del 90 % delle sottoscrizioni totali previste.
Il primo Trattato prevede un obbligo degli Stati membri dell’area euro
d’incorporare nel proprio ordinamento giuridico interno il principio del
pareggio di bilancio e di attivare un meccanismo automatico di correzione
che li vincola ad attuare misure per correggere eventuali deviazioni dal
rispetto di tale principio. Il secondo Trattato prevede l’istituzione di un
meccanismo permanente a cui partecipano gli Stati della medesima area
provvisto di una dotazione fissa di 700 milioni di euro versati da questi Stati
da integrarsi con fondi raccolti con l’emissione di strumenti finanziari o
sulla base di accordi con i propri membri, istituzioni finanziarie o terzi. Quel
meccanismo ha la funzione di mobilizzare, secondo condizioni rigorose,
risorse finanziare a beneficio dei suoi membri che si trovino o rischino di
trovarsi in gravi problemi finanziari ove ciò risulti indispensabile per
salvaguardare la stabilità finanziaria della zona euro nel suo complesso e
quella dei suoi Stati membri.
I due Trattati sono tra loro coordinati in quanto l’assistenza finanziaria
prevista dal Trattato MES può di fatto (come risulta da un considerando, di
per sé non vincolante, di tale Trattato) essere prestata ad uno Stato ad esso
parte alla condizione della ratifica da parte sua del Fiscal Compact e della
trasposizione nella legislazione nazionale dello stesso della regola del
bilancio di pareggio.
Come sarà precisato in appresso, per permettere agli Stati membri la
conclusione di detti due accordi si è ritenuto opportuno fare ricorso alla
procedura di revisione semplificata introdotta dall’art. 48, paragrafo 6 TUE,
che è previsto possa portare alla modifica della parte terza del TFUE e che
comporta, oltre ad una decisione all’unanimità del Consiglio europeo ed alla
consultazione del Parlamento Europeo e della Commissione, la ratifica di
detta decisione da parte degli Stati membri dell’area euro. Le procedure
nazionali di ratifica così richieste, anche in ragione delle contestazioni
politiche che l’iniziativa ha suscitato da parte di gruppi politici ostili al
processo d’integrazione europea, hanno occasionato varie opposizioni: tra
queste un ricorso alla Corte suprema irlandese con cui si è sostenuta
l’illegittimità comunitaria di quegli accordi in quanto con essi gli Stati
membri avrebbero violato la competenza esclusiva che l’art. 3 TFUE
attribuisce all’Unione per quanto riguarda la politica monetaria per gli Stati
membri la cui moneta è l’euro.
Sul punto la Corte suprema irlandese ha chiesto alla Corte di giustizia di
pronunciarsi nel quadro della procedura pregiudiziale prevista dall’art. 267
TFUE. La Corte di giustizia, con la sentenza che ha reso il 27 novembre
2012 nel caso Pringle, ha allora avuto modo di chiarire che, anche se il
Titolo VIII del TFUE porta la denominazione “Politica economica e
monetaria”, le misure di coordinamento delle politiche economiche degli
Stati membri rientrano nella competenza di questi e costituiscono cosa
18
DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013
diversa dalla politica monetaria. Quest’ultima ha come obiettivo il
mantenimento della stabilità dei prezzi nella zona euro. Il trattato MES non
incide su di essa, opera solo nel quadro della politica economica degli Stati
membri perché costituisce uno strumento complementare al quadro
regolamentare dell’Unione che, per quanto riguarda l’area euro, mira a
consolidare la stabilità macroeconomica ed il buon funzionamento delle
finanze pubbliche degli Stati di quell’area.
La Corte ha, peraltro, escluso che l’assistenza finanziaria che il MES può
prestare ad uno Stato dell’area euro costituisca un salvataggio finanziario,
cioè una violazione del no-bail out contenuto nell’art. 125 TFUE, perché
questo articolo “non vieta la concessione di un’assistenza finanziaria da
parte di uno o più Stati membri ad uno Stato membro che resta responsabile
dei propri impegni nei confronti dei suoi creditori e purché le condizioni
collegate a siffatta assistenza siano tali da stimolarlo all’attuazione di una
politica di bilancio virtuosa” (punti 136 e 137).
IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ
Ai sensi del n. 1 dell’art. 5 del TUE l’esercizio delle competenze
dell’Unione deve avvenire, innanzitutto, in sintonia con il principio di
sussidiarietà (principio che, come noto, e desunto dalla dottrina della Chiesa
Cattolica).
Il n. 3 della stessa disposizione stabilisce che tale principio opera soltanto
nei settori che non sono di competenza esclusiva dell’Unione. In virtù di
esso “l’Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell’azione
prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati
membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a
motivo della portata o degli effetti dell'azione in questione, essere conseguiti
meglio a livello di Unione”.
In base al Protocollo n. 2, sull’applicazione del principio di sussidiarietà,
annesso al Trattato di Lisbona, prima dell’adozione di un atto legislativo
l’Unione deve operare una valutazione del rispetto di tale principio. Ogni
istituzione che partecipa al processo decisionale deve farsene carico. Il
principio di sussidiarietà è “giustiziabile”, ossia può essere posto alla base di
un’azione di legittimità o di invalidità di fronte al Tribunale e alla Corte di
Giustizia.
Inoltre, il Trattato di Lisbona prevede che le proposte dell’Unione, come
anche gli atti intermedi, vengano inoltrati ai Parlamenti nazionali, i quali,
entro otto settimane dalla trasmissione possono eccepire il mancato rispetto
del principio di sussidiarietà, attraverso la formulazione di un parere
motivato. Se i pareri motivati superano un certo numero, la proposta dovrà
essere riesaminata, ed eventualmente modificata.
19
DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013
IL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITÀ
Lo stesso n. 1 dell’art. 5 del TUE stabilisce, poi, che l’esercizio delle
competenze dell’Unione deve avvenire in conformità con il principio di
proporzionalità.
L’esigenza che tale principio sia rispettato dalle istituzioni nel quadro
dell’esercizio delle loro competenze non era sancita nell’originario Trattato
istitutivo della CEE. Essa è stata all’inizio affermata dalla Corte di giustizia.
Nel caso Etablissements Consten e Grundig-Verkaufs-Gmbh contro
Commissione della CEE (Cause riunite 56 e 58/64) si era posto il problema
della legittimità di una decisione con la quale la Commissione, constatato il
contrasto con il diritto comunitario della concorrenza di un complesso
accordo tra la Società Grundig ed un suo concessionario per la Francia,
aveva dichiarato la nullità dell’intero accordo sulla base della lettera del
secondo paragrafo dell’attuale art. 101 TFUE, a termini del quale “gli
accordi … vietati in virtù del presente articolo, sono nulli di pieno diritto”.
La Corte ha considerato che questa disposizione dovesse essere applicata
alla luce del principio di proporzionalità, inteso come principio generale di
diritto integrativo di quanto espressamente previsto dal testo del Trattato
istitutivo della Comunità. Ha così superato le indicazioni che le potevano
venire dalla lettera della disposizione. Rilevato che “la nullità assoluta
sancita [dall’attuale art. 101, paragrafo 2, TFUE] colpisce i soli elementi
dell’accordo soggetto al divieto, ovvero l’accordo nel suo complesso
qualora detti elementi appaiano essenziali per l’accordo stesso”, ne ha
desunto che la decisione impugnata “va annullata nella parte in cui estende,
senza valido motivo, la nullità a tutte le clausole dell’accordo”.
Introdotto così nell’esperienza giuridica comunitaria il principio che ora si
trova sancito nell’art. 5 TUE, è stato previsto dal diritto scritto dell’Unione a
partire dal Trattato di Maastricht. La giurisprudenza ne ha esteso
l’applicazione statuendo che esso opera anche come limite all’esercizio di
competenze degli Stati membri che abbia luogo quando esso sia richiesto o
dai Trattati o da un atto comunitario.
Ora il n. 4 dell’art. 5 del Trattato di Lisbona stabilisce che “il contenuto e la
forma dell’azione dell’Unione si limitano a quanto necessario per il
conseguimento degli obiettivi dei trattati”. Il Protocollo n. 2
sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, dal canto
suo, precisa che “I progetti di atti legislativi tengono conto della necessità
che gli oneri, siano essi finanziari o amministrativi, che ricadono
sull'Unione, sui governi nazionali, sugli enti regionali o locali, sugli
operatori economici e sui cittadini siano il meno gravosi possibile e
commisurati all'obiettivo da conseguire”.
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DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013
Elezioni: ecco perché l’Europa è un beneficio per l’Italia - 22 febbraio 2013
Dalla pace alla stabilità, dalla libertà alla concorrenza: una lettera-
appello di dirigenti, professionisti e funzionari risponde alle critiche
piovute sull’Ue a scopi elettorali
Riceviamo e volentieri pubblichiamo: La crisi dell’Italia non dipende
dall’Europa: il Paese trae beneficio dall’appartenenza all’Unione
europea
In termini economici i benefici sono incommensurabili. Per menzionarne
solo alcuni:
i)la libera circolazione beni, servizi, capitali e persone ha creato un mercato
unico di milioni di consumatori, consentendo un interscambio commerciale
eccezionale tra noi e i nostri partner europei;
ii)la liberalizzazione dei settori delle pubbliche utilità (telecomunicazioni,
energia, trasporti, poste), tutta di matrice comunitaria, ha consentito un
abbattimento vertiginoso delle tariffe pagate da noi utenti; si pensi per es.
alle tariffe della telefonia mobile che sono crollate raggiungendo livelli solo
qualche anno fa impensabili.
iii)L’UE ha una forte componente sociale: innumerevoli sono le direttive UE
in materia di protezione dei lavoratori, delle donne, delle fasce deboli, che
hanno obbligato tutti gli Stati membri a prevedere standard minimi di tutela;
così come la legislazione europea si è preoccupata di tutelare gli studenti (si
pensi alle direttive sul riconoscimento dei diplomi o al programma di
scambio ERASMUS), dando ai nostri giovani migliori prospettive
internazionali in termini di formazione e lavorativi.
iv)La disciplina della concorrenza, introdotta in Italia solo nel 1990 su
ispirazione dell’UE, per quanto imperfettamente, ha consentito di
combattere cartelli e abusi di posizione dominante a vantaggio della
collettività (prezzi più bassi, migliore qualità, maggiore offerta).
v)Il controllo degli aiuti di stato ha frenato la naturale inclinazione di alcuni
Stati a concedere alle imprese sussidi distorsivi, limitando lo sperpero di
danaro pubblico;
vi)La disciplina di tutela del consumatore, anch’essa interamente di matrice
comunitaria, ha consentito di sventare monumentali truffe ai danni dei
consumatori, imponendo elevati standard di tutela di cui tutti noi oggi
beneficiamo in qualità di consumatori.
vii)La disciplina degli appalti pubblici, anch’essa di derivazione
comunitaria, ha promosso un principio benefico di concorrenza e
trasparenza per il mercato che ha consentito alla pubblica amministrazione e
agli enti pubblici ingenti risparmi ogni qualvolta devono procacciarsi beni e
servizi per la collettività.
viii)I fondi europei di sviluppo e coesione e quelli infrastrutturali, per
quanto spesso mal utilizzati dal nostro paese, rappresentano un volano
importante per le economie delle nostre regioni, ed hanno tra l’altro
contribuito alla realizzazione di grandi opere infrastrutturali di interesse
21
DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013
collettivo (si pensi alla metropolitana di Napoli, alle reti tranviarie di
Firenze, alla ristrutturazione dei porti di Genova e Civitavecchia, per citare
solo alcuni esempi).
ix)La tutela dell’ambiente, una delle priorità della UE, ha dato voce a
esigenze per anni ignorate nel nostro paese.
x)Anche la politica di liberalizzazione degli scambi commerciali perseguita
dalla UE con i paesi extra-europei (WTO), sebbene faccia talvolta oggetto di
critiche per gli effetti negativi su alcuni comparti della nostra economia, a
una più attenta e distaccata riflessione rappresenta l’unica strada percorribile
in un mondo globalizzato cui sono conseguiti molti effetti benefici: essa ha
difatti consentito a noi e ai nostri partner europei di esportare beni e servizi
a valore aggiunto, lasciando ai paesi meno sviluppati i mercati di beni a più
scarso rendimento.
xi)Infine l’euro, tanto criticato, ha prodotto i benefici più concreti,
considerato che l’ancoraggio a una moneta forte ha sconfitto l’inflazione, il
che ha consentito agli italiani di contrarre mutui a tassi di interesse
favorevoli per comprare casa, e allo Stato italiano – e quindi ai contribuenti-
di finanziare il proprio debito pubblico risparmiando miliardi.
22
DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013
Trattato intergovernativo sulla stabilità, il coordinamento e la
governance nell'Unione monetaria ed economica
Patto bilancio
La scheda
I punti principali del "Trattato intergovernativo sulla stabilità, il
coordinamento e la governance nell'Unione monetaria ed economica" su cui
i paesi Ue hanno trovato un accordo
Fonte Ansa - Ecco i punti principali del "Trattato intergovernativo sulla
stabilità, il coordinamento e la governance nell'Unione monetaria ed
economica" su cui i paesi Ue hanno trovato un accordo.
CHI PARTECIPA - Tutti i paesi della Ue, tranne la Gran Bretagna e la
Repubblica ceca. Londra si è tirata fuori fin dall'inizio, Praga a sorpresa,
all'ultimo momento, ma potrebbe ancora rientrare.
OBBLIGO AL PAREGGIO - Il 'contratto' tra i 25 introduce la 'regola
d'orò del pareggio di bilancio nelle Costituzioni nazionali e/o in legislazioni
equivalenti e prevede "sanzioni semiautomatiche" contro ogni "violazione
del criterio dell'avanzo". L'equilibrio è definito come un deficit strutturale
(al di fuori degli elementi eccezionali e del pagamento degli interessi sul
debito) ad un livello massimo dello 0,5% del Pil. Per i paesi che hanno un
debito al di sotto del tetto del 60% del Pil il margine di tolleranza sale
all'1%. Le procedure potranno essere bloccate solo con una maggioranza
qualificata contraria (85%). I governi hanno un anno di tempo a partire
dall'entrata in vigore del Trattato per mettere in atto le nuove norme sul
pareggio.
SANZIONI E MULTE - La Corte di giustizia Ue potrà imporre sanzioni
fino a un massimo dello 0,1% del Pil ai Paesi che non introdurranno
l'obbligo del pareggio di bilancio nelle norme nazionali. Le multe "dovranno
essere versate all'Esm", il fondo salva-Stati permanente che dal primo luglio
prossimo subentrerà all'Efsf. A decidere un importo delle ammende
"adeguate alle circostanze" sarà la Corte di giustizia Ue e la sanzione
pecuniaria potrà scattare quando il Paese al centro della procedura risulterà
recidivo, ovvero colpevole di non aver rispettato una prima sentenza di
condanna emessa dalla stessa Corte.
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DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013
CHI DENUNCIA - Il potere di 'denunciare' ai giudici europei un Paese
indisciplinato potrà essere esercitato sia dalla Commissione europea che da
un altro Paese della zona euro firmatario dell'accordo.
RITMO DI RIDUZIONE DEL DEBITO - Il Patto prevede l'obbligo di
rientrare verso il tetto del 60% del Pil al ritmo di 1/20 l'anno per la parte
eccedente. Il testo fa riferimento al 'six pack' in cui si menzionano gli altri
"fattori rilevanti" che concorrono a determinare la sostenibilità di medio
periodo (indebitamento privato, spesa pensionistica, attivo patrimoniale).
ESM, AIUTI SOLO A CHI FIRMA - L'avvio di "nuovi programmi di
assistenza finanziaria attraverso l'intervento dell'Esm sarà condizionato alla
ratifica del nuovo Trattato da parte del Paese interessato".
PAESI NON EURO AI SUMMIT - Il testo è stato cambiato per accogliere
la richiesta della Polonia. Il compromesso prevede "almeno" tre summit
dell'Eurogruppo l'anno e la partecipazione dei paesi firmatari non euro ad
"almeno" uno.
IN VIGORE DOPO 12 RATIFICHE - Il Patto diventerà operativo il
primo gennaio 2013, non appena "sottoscritto da almeno 12 Paesi membri
dell'euro". Il processo di ratifica (parlamento o referendum) è deciso dai
singoli paesi.
ENTRO CINQUE ANNI NEI TRATTATI - Entro cinque anni le nuove
regole devono rientrare nella cornice dei Trattati Ue esistenti.
HTTP://EUOBSERVER.COM/ [COMMENT] STOP THE EUROPEAN COURT OF
JUSTICE
ROMAN HERZOG AND LÜDER GERKEN 10.09.2008 @ 10:07 CET
EUOBSERVER/COMMENT - Judicial decision-making in Europe is in deep
trouble. The reason is to be found in the European Court of Justice (ECJ), whose
justifications for depriving member states of their very own fundamental
competences and interfering heavily in their legal systems are becoming
increasingly astonishing. In so doing, it has squandered a great deal of the trust it
used to enjoy.
Hence, it is only logical that the German Federal Constitutional Court recently
decided to intervene. Very soon it will have to render a judgement that will be of
fundamental importance for the further development of European jurisdiction,
since it concerns the question of whether the excessive legal practice of the ECJ
should in future once again be subject to stricter controls by the German Federal
Constitutional Court, or whether the Federal Constitutional Court should resign
once and for all from its watchdog position.
What triggered this decisive case was a lawsuit staged by two lawyers. In the
course of the labour market reforms established under the red-green coalition
(Social Democrats with the Alliance 90 and the Green Party), at the end of 2002,
the age limit at which employees are entitled to enter into temporary employment
contracts without restrictions had been temporarily reduced from 58 to 52 years.
The aim was to increase the chances for older unemployed people to find a job.
The high level of protection against unwarranted dismissal in Germany combined
with the concern of many employers that the performance of older people might
24
DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013
weaken, meant that people over fifty often had no real opportunity for reintegration
into the labour market.
In 2000, the European Union (EU) passed a non-discrimination directive which
prohibited the unequal treatment of people in "employment and occupation" on
account of age. Of course this EU directive also contains an explicit provision that
member states may discriminate against people due to age if such practice serves to
foster employment. The manner in which this provision is realised is largely left to
the member states.
However, two lawyers in Munich held the view that this reduction of the age limit
constituted an infringement of the said EU directive, and so they brought the case
to court in 2003. The ECJ judged as follows: The German labour market reform
was in fact deemed incompatible with the EU's non-discrimination directive, since
it could not be "proved" that the German reform provisions were "objectively
required" for the stimulation of the employment of older employees. This so-called
"Mangold Judgement" is disputable for various reasons.
Firstly, both labour market policy and social policy are still core competences of
the member states. However, this case clearly demonstrates to what extent EU
regulation and EU jurisdiction nevertheless interfere in the governing of these core
competences.
For even though the EC Treaty allows for a European regulation of non-
discrimination, the question of why the EU regulates age discrimination on the
labour market at all is raised in all its seriousness. According to the principle of
subsidiarity, the EU may take action only if it really has a better solution to a
problem than the member states.
According to law as it exists, a basic criterion for such a situation is that the
problem must concern an issue of transboundary impact. However, unlike the
question of nationality, age discrimination does not have any transboundary
relevance and can therefore be easily dealt with by the member states themselves.
Yet, the court blithely ignored it.
At least the EU directive does declare unequal treatment on account of age as
expressly admissible for the purpose of promoting employment in the member
states, but even this did not concern the ECJ. Despite everything, it overthrew the
German employment promotion measure.
Secondly, EU directives do not apply to member states directly, but first have to be
transposed by the national legislature, which may resolve on the form and methods
of the relevant measure independently. Germany had to transpose the
aforementioned non-discrimination directive by 2 December 2006. Therefore, there
was no obligation to transpose it. Moreover, the lowering of the age limit was due
to expire anyway by 31 December 2006, in other words a few days after the expiry
of the enforcement deadline. This was also ignored by the ECJ.
Thirdly, to justify its judgement, the ECJ resorted to a somewhat adventurous
construction. The ECJ believed it had found a ban on age discrimination within the
"constitutional traditions common to the Member States" and "various international
treaties". So it was not actually the non-discrimination directive (as yet to be
enforced) which caused the German reform provision to breach EU law, but a
"general principle of community law".
However, this "general principle of community law" was a fabrication. In only two
of the then 25 member states – namely Finland and Portugal – is there any
25
DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013
reference to a ban on age discrimination, and in not one international treaty is there
any mention at all of there being such a ban, contrary to the terse allegation of the
ECJ. Consequently, it is not difficult to see why the ECJ dispensed with any degree
of specification or any proof of its allegation. To put it bluntly, with this
construction which the ECJ more or less pulled out of a hat, they were acting not as
part of the judicial power but as the legislature.
Fourthly, in its judgement the ECJ ordered the German reform provision to remain
"not applied" with immediate effect. In fact, it was declared null and void. This
also constitutes a highly questionable paradigm shift. The EC Treaty stipulates that
member states are not directly bound by EU directives. This means that it is not the
EU directives but the national transposition laws that must first create rights and
duties for citizens.
The ECJ used to respect this, too: If the national law of a member state was not
compatible with an EU directive, the ECJ confined itself to pointing out the
inconsistency. Although the member state concerned then had to revise its law, the
former version (incompatible with EU law) remained in effect until that was done.
Hence, citizens could rely on the binding effect of their national laws. This has now
changed: As a consequence of the ECJ judgement, all temporary employment
contracts concluded during the German labour market reform were converted into
regular employment contracts overnight – resulting in the subsequent material
damage incurred by the affected companies.
With these four dubieties, the "Mangold Judgement" provoked almost unanimous
and massive criticism among legal experts.
A change of scene: again in 2003, a company based near Hamburg entered into a
temporary employment contract with a 53-year old employee under the German
labour market reform. Shortly before his contract expired, the employee took legal
action. He claimed that the reform was not compatible with EU law. The
responsible labour court dismissed the case, as did the court of appeal. Thereupon,
the complainant took his case to the German Federal Labour Court. Meanwhile, the
Mangold Judgement had been reached. The German Federal Labour Court adopted
the reasoning given therein and, despite the questionable nature of the judgement,
denied the right to resubmit the judgement either to the ECJ in order to clarify it, or
to the German Federal Constitutional Court, and further annulled the lower court
judgements. Subsequently, the company filed a constitutional complaint against
this decision. It asserted several infringements of the German Constitution.
The German Federal Constitutional Court has been dealing with this constitutional
complaint for quite a while. This alone should be taken by the ECJ as a warning.
For in 1986, the court virtually delegated the assessment of whether European acts
are compatible with fundamental rights to the ECJ ("Solange II Judgement"): It had
assumed that on a European level the compliance of fundamental rights would be
safeguarded through the ECJ to a similar extent, as in Germany. It only wanted to
intervene if the protection of fundamental rights was being weakened in general
and not just in single cases. How important that explicit reservation is will be
shown when the Federal Constitutional Court passes judgement on the "Mangold
Judgement", which, in many respects, has created a fundamentally changed legal
situation.
Irrespective of this, the "Mangold Judgement" also has to be viewed in light of the
"Maastricht Judgement" by the German Federal Constitutional Court of 1993.
26
DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013
There it is of vital importance that the institutions of the EU, including the ECJ,
adhere to the limits of competences granted by the EC Treaty – namely, the EC
Treaty version approved by the German national Parliament (Bundestag). Any
action, and in particular any development of the law by judicial interpretation that
exceeds such limits is not covered by the act of assent of the German Bundestag
and therefore has to be deemed null and void in Germany.
In the present case the ECJ acted as legislator. With reference to alleged
international treaties and constitutional traditions of the member states, the ECJ
invented EU law. Within the time limit for the transposition of an EU directive it
ordered the inapplicability of an existing national regulation to citizens. It is
obvious that there is an inadmissible extension of the EC Treaty, inherent in a
"fulminating court order", so to speak.
The "Mangold Judgement" of the ECJ is only one of many judgements
significantly interfering with competences of the member states and thus provoked
massive criticism by irritated experts. Here are only three recent examples:
First example: In 2006 the ECJ adopted a statutory tobacco ad ban in the EU that
applies in particular to local papers. The EU had banned tobacco ads in papers in
the light of health care policy. However, since the EU does not have sufficient
legislative competence in the field of health care, a way round it was thought out.
According to the EU the single market would be impeded if there was no such EU-
wide ban. For a national tobacco ad ban in one single member state would lead to
foreign newspapers containing tobacco ads not being allowed to be sold in that
state.
The Federal Republic of Germany, deeming that argument artificial, asserted an
infringement of competences by the EU and sued. However, the ECJ dismissed the
case, reasoning that different tobacco ad rules in the member states actually impede
the single market. The fact that local papers are hardly ever sold abroad and
therefore an actual impediment does not exist was not considered by the ECJ. The
vital German counter-argument that all tobacco ad bans hitherto existing in the
member states expressly excluded foreign newspapers and thus could not impede
the free sale of foreign newspapers containing tobacco ads was simply "turned
upside down". The fact that national ad bans contained such exemptions
demonstrated that national legislators also considered the issue as being a real
problem.
Second example: In 2005 and 2007, two judgements of the ECJ established an EU
competence in the field of criminal law. With reference to what are in actual fact
unmistakable provisions in the EC Treaty, almost all member states had firmly
stated that such a competence did not exist. However, the ECJ argued quite the
opposite.
The ECJ's argumentation was as follows: "As a general rule, neither criminal law
nor the rules of criminal procedure fall within the Community's competence.
However, the last-mentioned finding does not prevent the Community legislature
from taking measures which relate to the criminal law of the member states that it
considers necessary" in order to enforce EU law, here in the field of environmental
policy, and to oblige the Member States "to introduce such penalties." So that is
what the ECJ has to say on the relationship between the European Union and the
still so-called "Masters of the Treaties".
27
DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013
Third example: In 2006 the ECJ granted the right of residence to a deported
Tunisian, although the Euro-Mediterranean-Agreement between Tunisia and the
EU Member States excludes this explicitly. Amongst other things, the agreement
provides that Tunisians in the EU and EU residents in Tunisia may not be treated
unequally in terms of working conditions for employees. Warned by an earlier
judgement of the ECJ, the EU member states unmistakably defined in the
agreement that the right of residence for foreigners is exclusively within the
member states' competence and, in particular, that the non-discrimination principle
may not apply to labour conditions in order to extend any residence permits. Thus
discrimination suits should be excluded where labour permits would be played off
against limited rights of residence.
However, the ECJ overturned the unambiguous wording of the agreement and
argued the opposite: according to the ECJ, the non-discrimination principle of the
agreement also applied to issues of the right of residence. The arrogance the ECJ
demonstrated in the process culminates in the reasoning of the judgement: "It
would be quite unacceptable for the member states to deal with the principle of
non-discrimination by using provisions of national law to limit its effectiveness."
That option would "jeopardise the uniform application of that principle."
What would happen in Germany if, for instance, the Federal Labour Court imposed
such regulations upon the legislator? Yet, at the European level, such incapacitation
of the "Masters of the Treaties" appears to go unresisted!
The fact that this is not the only case where the ECJ turns the will of the legislator
into the opposite is proved by the judgement on the EU Students Directive, which
granted Belgian welfare aid to a French studying in Belgium, although the entire
EU law expresses the non-existence of such claims, which is even excluded in the
EU Students Directive itself: Pursuant to Article 1 of the directive, students may
study abroad solely if they provide evidence of enough means of subsistence to
secure that "he and his family have sufficient resources to avoid becoming a burden
on the social assistance system of the host member state during their period of
residence." The ECJ said: "On the other hand, there are no provisions in the
directive that preclude those to whom it applies from receiving social security
benefits."
And that is what the ECJ has to say on the value of legal wording.
In its Maastricht judgement, the Federal Constitutional Court refers to an
interpretation of EU law "guided by the effet utile principle, i.e., the broadest
possible interpretation of Community powers". So far so good. But the latest
settled case-law of the ECJ reinforces the impression that the ECJ long since left
such limitations behind them.
The cases described show that the ECJ deliberately and systematically ignores
fundamental principles of the Western interpretation of law, that its decisions are
based on sloppy argumentation, that it ignores the will of the legislator, or even
turns it into its opposite, and invents legal principles serving as grounds for later
judgements. They show that the ECJ undermines the competences of the member
states even in the core fields of national powers.
The conclusion one comes to is clear: The ECJ is not suitable as a subsidiarity
controller in the last instance and a protector of the member states' interests. This is
not surprising, as first of all, according to Articles 1 and 5 of the EU Treaty, the
ECJ is obliged to participate in the "process of creating an ever closer union".
28
DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013
Secondly, an EU-biased jurisdiction of the ECJ leads to the situation that the areas
where the ECJ may judge are also growing, thereby displacing member states'
courts, which means that the ECJ is constantly gaining influence. This general
tendency is not modified by the occasional deliberately cautious ECJ judgements
passed in order to serve as a sedative to the growing resentment of the member
states. Against this background and in light of the achieved integration level in the
EU, it is absolutely vital that an ECJ independent court for competence issues be
set up.
The ECJ was created with the aim of providing a arbitrator to mediate in the
interests of the EU and those of the member states. In assigning the ECJ with
comprehensive rights of decision-making, the assumption was that they could be
trusted to take on this responsibility in an unbiased way and in compliance with the
rules of the judiciary. If the ECJ abuses this confidence, it need not be surprised
when it breaks down.
Against this background, the question the Federal Constitutional Court now has to
answer regarding the Mangold Judgement is crucial: if decided in favour of the
litigants, the ECJ would be restrained. This would also mean that the ECJ
Judgement would not be applied in Germany so that the precedence of EU law over
national law would be overturned. But this would be acceptable. Not only because
the non-discrimination directive is now in force and thus the non-applicability of
the ECJ Judgement would not entail any significant impacts on the legal unity in
the EU, but even more because a judgement which dismissed a constitutional
complaint would make it much more difficult, probably impossible, for the Federal
Constitutional Court to control the ECJ in the future.
It will be interesting to see what the German Federal Constitutional Court decides.
Former German President Roman Herzog has acted as president of the Federal
Constitutional Court of Germany and chaired the convention drafting the
European Union Charter of Fundamental Right. Lüder Gerken is Director of the
Centre for European Policy.
COMUNICATO STAMPA DEL PARLAMENTO EUROPEO - LA CARTA UE DEI
DIRITTI FONDAMENTALI: L'ESSENZA DELL'IDENTITÀ EUROPEA 12-12-2007
Alla vigilia della firma del Trattato di Lisbona, i presidenti di Parlamento,
Commissione e Consiglio UE hanno firmato solennemente la Carta dei diritti
fondamentali che lo stesso trattato rende vincolante.
Il Presidente Pöttering ha sottolineato che, affermando la centralità della dignità
umana, essa rappresenta l'essenza dell'unificazione europea e indica la via per un
futuro comune di pace. Ha anche ammonito che, nella comunità di valori che è
l'UE, non ci sono diritti senza doveri.
«Per i cittadini oggi è un giorno di gioia» è quanto ha affermato il Presidente del
Parlamento Hans-Gert Pöttering aprendo la seduta solenne dedicata alla firma della
Carta dei diritti fondamentali. Cinquant'anni dopo la creazione della Comunità
europea, fondata sulle rovine della seconda guerra mondiale, ha sottolineato il
Presidente, «celebriamo oggi i valori comuni che sono l'essenza stessa dell'identità
europea». La Carta dei diritti fondamentali, ha proseguito, «è il simbolo del
cammino che ci ha portato a un'Unione dei cittadini». Essa dimostra «cha abbiano
tratto la principale lezione dalla storia europea: il rispetto della dignità
dell'individuo, la salvaguardia della libertà che abbiamo conquistato, della pace e
29
DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013
della democrazia e lo Stato di diritto, sono ancora oggi il motore dell'unificazione
europea».
La libertà non può nascere senza il rispetto dei diritti degli altri, ha aggiunto il
Presidente, e la pace non può sbocciare senza un equilibrio nella convivenza,
«libertà, pace, diritto e benessere sociale, non sono possibile che assieme e non
l'uno contro l'altro». Nell'Unione europea, ha aggiunto, «non è la forza che ha
diritto, ma è il diritto ad avere la forza». E' questo, ha spiegato, «che conferisce alla
nostra comunità di valori il suo volto moderno». Ha quindi esclamato che «solo il
diritto garantisce a tutti la pace!». La caduta della cortina di ferro e l'adesione di
dodici paesi all'Unione europea, ha affermato il Presidente, sono state possibili
perché «il grido della libertà e della democrazia, la forza dell'esigenza di parità di
diritti per tutti gli uomini, hanno vinto contro un'ideologia che disprezzava la
persona umana».
La Dichiarazione di Berlino, ha poi ricordato, proclama una cosa molto importante:
«Noi cittadini dell'Unione europea siamo, per nostra felicità, uniti». E' infatti «per
la nostra felicità», ha spiegato, «che libertà, democrazia e diritti umani per noi tutti,
nell'Unione europea, sono diventati realtà». Nel proclamare solennemente la Carta,
«abbiamo d'ora in avanti il grande dovere e la grande fortuna di fare capire ai 500
milioni di cittadini dell'UE e alle generazioni future, ciò che è l'essenza
dell'unificazione europea». Dopo aver sottolineato che l'UE non è solamente
«calcoli economici dei costi e dei benefici», ma anche una «comunità di valori»?
Valori, la cui chiave di volta «è il rispetto inalienabile della dignità della persona»
consacrato dall'articolo 1 della Carta, e che sono alla base dell'integrazione
dell'Europa.
E' per questa ragione, ha sottolineato il Presidente, che il riconoscimento, con forza
vincolante, della Carta dei diritti fondamentali, «era per il Parlamento un elemento
indispensabile di qualsiasi accordo sulla riforma dei trattati». E il Parlamento è
riuscito a far valere la sua posizione: il riferimento alla Carta, iscritto all'articolo 6
del trattato, «le conferisce un carattere giuridicamente vincolante pari a quello del
trattato stesso». L'uomo e la sua dignità, ha proseguito, «sono al centro della nostra
politica» e l'UE «offre un quadro che ci permetterà di seguire la via pacifica di un
futuro comune».
Senza questa base chiaramente definita di valori, ha proseguito il Presidente,
«l'Unione europea non ha futuro». E non avremmo «il diritto di esigere il rispetto
dei diritti umani nel mondo se non riuscissimo a tradurre i nostri propri valori in
diritto positivo nell'Unione europea». Come europei, ha invece insistito,
«dobbiamo agire per difendere la dignità dell'uomo e il dialogo tra le culture, lo
possiamo fare con la consapevolezza di ciò che siamo, ma dobbiamo farlo con una
volontà indefessa: nessuno ci potrà ostacolare!».
Dopo aver ricordato l'influenza svolta dal Parlamento nella definizione della Carta
sin dai tempi della Convenzione, il Presidente ha sottolineato che essa consacra i
diritti economici e sociali, ma anche quelli politici. Tutela inoltre i diritti
fondamentali nei campi d'attività dell'UE e nell'applicazione del diritto
comunitario. Grazie alla Carta, tutti i cittadini dell'Unione potranno appellarsi alla
Corte di giustizia. Ha quindi auspicato che essa sarà presto applicabile in tutti gli
Stati membri. A questo proposito ha lanciato un appello: «i diritti umani e i diritti
fondamentali sono indivisibili, nell'interesse di tutti i cittadini dell'UE, tutti gli Stati
membri dovrebbero aderire alla Carta».
30
DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013
Il Presidente ha poi sottolineato che se, da un lato, la proclamazione della Carta
conferisce ai cittadini il potere di far valere i propri diritti, dall'altro è anche
l'occasione di prendere coscienza che hanno anche dei doveri nei confronti della
comunità degli europei, del mondo e delle generazioni future». «Non ci sono diritti
senza doveri, poiché è la solidarietà che ci unisce». Stiamo costruendo un'Unione
di cittadini, ha concluso il Presidente, e la proclamazione della carta apporta all'UE
fondamenta solide. Dimostra inoltre che la nostra comunità di valori «è viva e
prospera». «E' una grande vittoria per i cittadini europei!».
«Oggi 12 dicembre sarà d'ora in poi una data fondamentale della storia europea»,
ha esordito il Presidente del Consiglio José SÓCRATES, affermando che questa è
la cerimonia più importante alla quale abbia partecipato in tutta la sua carriera
politica. Come europeo e portoghese, si è detto quindi particolarmente onorato di
firmare la Carta dei diritti fondamentali, sottolineando che è proprio sotto
presidenza portoghese, nel 2000, che erano iniziati i lavori per la sua stesura. La
Carta, ha proseguito, è «un impegno che contiene i valori di base della civiltà
europea», facendo leva sulla dignità dell'uomo.
Dopo aver ricordato che il trattato prevede l'adesione dell'UE alla Convenzione sui
diritti umani del Consiglio d'Europa, il Primo ministro ha sottolineato che, a partire
da oggi, i diritti fondamentali «diventano in modo irreversibile patrimonio comune
della civiltà europea». Si tratta anche di un importante strumento che orienterà
l'azione politica e legislativa delle istituzioni europee e dimostra ai cittadini che
l'UE è al loro servizio. Prevede diritti sociali, nel campo professionale e della
previdenza, è la Carta dell'uguaglianza contro ogni discriminazione, pone
particolare attenzione ai bambini, agli anziani e alla parità di genere, comprende
norme sui dati personali e contempla le libertà economiche. E' inoltre «fedele alla
nostre tradizioni» e, in proposito, ha salutato con favore l'accordo cui è giunto il
Consiglio UE sulla proclamazione di una giornata europea contro la pena di morte.
La Carta, inoltre, concilia i diritti dei cittadini con quello dei singoli, toccando
anche i cittadini non europei. Il Primo Ministro, sottolineando che un mondo
migliore è quello dove sono rispettati questi diritti, ha poi sostenuto che la Carta è
anche al servizio della politica estera europea e rappresenta «un faro per l'UE sulla
scena internazionale». Con la Carta i cittadini possono riconoscersi in un'Unione
che è un progetto di pace e democrazia, dove i diritti dei singoli sono rispettati. Ha
quindi evidenziato che la proclamazione della Carta ha un valore giuridico preciso:
con essa diventa «una legge fondamentale a vantaggio di tutti». In un mondo
globalizzato «in cui molti sostengono che le regole economiche siano assolute», ha
aggiunto il Primo Ministro, il riconoscimento della Carta UE è un contributo
notevole alla regolamentazione della globalizzazione.
Vincolando gli Stati membri e le istituzioni UE al suo rispetto, la Carta ne limita i
poteri a favore dei cittadini, nel rispetto della sussidiarietà e rafforzando la natura
democratica dell'Unione europea. La difesa dei diritti fondamentali, che diventa
parte del «codice genetico dell'UE», dovrà essere realizzata ogni giorno, da parte
degli Stati, delle Istituzioni, della società civile, delle imprese, dei sindacati e dei
singoli cittadini. Si tratta di un impegno a favore del rispetto e dell'applicazione di
principi nell'azione quotidiana. «Solo così saremo infatti degni delle nostre
tradizioni».
José Manuel Barroso, Presidente della Commissione europea, ha sottolineato
anzitutto l'elevato significato della proclamazione, «che consacra la cultura dei
31
DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013
diritti dell'Unione europea». Con la firma della Carta dei diritti fondamentali, ha
aggiunto, le tre Istituzioni europee ribadiscono il loro impegno e permettono di
realizzare un importante passo avanti rendendola vincolante e dandole lo stesso
valore giuridico dei trattati. La Carta ha aggiunto, porta concreti benefici per i
cittadini, mette al centro la dignità umana e prevede le classiche libertà civili (di
espressione, di religione, non discriminazione, ecc.), i diritti sociali e economici,
dei lavoratori e delle parti sociali. Ma introduce anche nuovi diritti come quello alla
tutela dei dati personali e quelli relativi alla bioetica.
La Carta, ha proseguito, promuove l'ancoraggio dell'UE a una vera cultura dei
diritti fondamentali che dovranno essere rispettati dalle Istituzioni in tutte le loro
azioni. «Può sembrare facile», ha spiegato, «ma si tratta in realtà di una sfida
quotidiana al fine di assicurare al meglio il rispetto delle libertà civili in tutte le
politiche dell'Unione», legiferando sul mercato interno, nella gestione
dell'immigrazione o negli sforzi per lottare contro il terrorismo. La Carta, ha
aggiunto, è il primo documento giuridicamente vincolante prodotto a livello
internazionale che raggruppi, in un testo unico, diritti politici e civici ma anche
diritti economici e sociali, sottoposti allo stesso meccanismo giudiziario. Si tratta,
senza dubbio, di «un successo importante di cui l'Unione deve essere orgogliosa».
E' particolarmente significativo, ha poi sottolineato, che ciò sia possibile in questa
nuova Europa ampliata che fu divisa da regimi totalitari e autoritari che non
rispettavano i diritti umani. Un'Europa che oggi «è unita intorno ai valori della
libertà e della solidarietà». Se uniamo i nostri sforzi per stimolare questa cultura dei
diritti umani, «apporteremo un contributo essenziale a una vera Europa dei valori,
tangibili e credibili agli occhi dei cittadini». Ha quindi concluso che, a partire da
oggi, «l'Europa è ancora meglio attrezzata per vincere con successo la lotta per
libertà, la pace e la democrazia».
I tre presidenti hanno quindi firmato la Carta, nell'Aula è poi risuonato l'Inno
europeo.
BACKGROUND – STATUTO GIURIDICO E CAPITOLI DELLA CARTA DEI DIRITTI
FONDAMENTALI
Il Consiglio europeo di giugno 2007 ha deciso di non includere il testo della Carta
dei diritti fondamentali nel nuovo trattato. Nel mandato per la conferenza
intergovernativa (CIG) era proposto solamente di farla figurare come una
dichiarazione allegata al trattato. Su iniziativa dei rappresentanti del Parlamento
alla CIG, invece, si è deciso di procedere a una vera e propria proclamazione
solenne che è, allo stesso tempo, simbolica e formale. L'articolo del trattato che
conferirà carattere giuridicamente vincolante alla Carta, infatti, farà riferimento a
tale proclamazione. Il testo della Carta sarà inoltre pubblicato integralmente sulla
Gazzetta Ufficiale dell'UE. In merito al suo statuto giuridico, dando seguito alle
insistenze del Parlamento, i capi di Stato e di governo hanno deciso di conferire
alla Carta un carattere vincolante. Le sue disposizioni si applicano quindi alle
istituzioni, organi e organismi dell'Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà,
come pure agli Stati membri, ma «esclusivamente nell'attuazione del diritto
dell'Unione». Pertanto, questi dovranno osservarne i principi e promuoverne
l'applicazione. La Carta, peraltro, «non estende l'ambito di applicazione del diritto
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  • 1. DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013 NASCITA E SVILUPPO DEL PROCESSO DI INTEGRAZIONE EUROPEA: DALLE COMUNITÀ ALL’UNIONE EUROPEA BREVE INQUADRAMENTO STORICO DEL PROCESSO DI INTEGRAZIONE EUROPEA Il diritto dell’Unione europea, attualmente fa perno sui due testi (Trattato sull’Unione Europea [TUE] e Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea [TFUE]) che costituiscono il Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009. Esso incide profondamente sulle persone e sulle imprese che operano nel nostro Paese per lo spazio ed il rilievo ad esso riconosciuto da due disposizioni della Costituzione italiana: l’art. 11 ed il primo comma dell’art. 117. A termini del primo “L’Italia … consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”. A termini del secondo “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. L’integrazione europea ed il diritto che la disciplina costituiscono il risultato di una complessa e faticosa evoluzione. L’ideale di un continente europeo non più diviso in tanti Stati in lotta fra loro si è affermato sin dal XIX secolo. Si concretizza, però, solo a seguito delle distruzioni e dei lutti della seconda guerra mondiale. È allora che con la Dichiarazione Schuman, del 9 maggio 1950, il Governo francese ha proposto di mettere l’insieme della produzione franco-tedesca di carbone e di acciaio sotto un’Alta Autorità nel quadro di un’organizzazione alla quale possano aderire gli altri Paesi europei. Robert Schuman ha indicato a tutti questi Paesi che la messa in comune della produzione di carbone ed acciaio avrebbe potuto cambiare il destino di queste regioni che per lungo tempo si sono dedicate alla fabbricazione di strumenti bellici. In una prima fase il movimento di integrazione ha riguardato solo una parte, quella occidentale del continente europeo. Inizialmente ha interessato 6 Paesi, Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo ed Olanda. Gli Stati dell’Europa orientale hanno dato vita a forme alternative di aggregazione militare – l’Organizzazione del Patto di Varsavia - ed economica –il COMECON -, che facevano riferimento all’Unione Sovietica. A seguito del crollo del muro di Berlino (1989) e del crollo dell’URSS (1991), anche gli Stati dell’Europa orientale hanno chiesto di far parte del processo di integrazione avviato dall’Europa occidentale. È stato così che si è arrivati all’attuale Unione europea che comprende 27 Stati membri. 1
  • 2. DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013 IL METODO DI INTEGRAZIONE FONDATO SULLA COOPERAZIONE INTERGOVERNATIVA (METODO TRADIZIONALE DELLE RELAZIONI TRA STATI) L’organizzazione proposta da Robert Schuman volge a dare luogo ad una gestione in comune delle risorse carbosiderurgiche secondo un metodo innovativo che si distingue dal metodo di cooperazione intergovernativa tradizionalmente utilizzato nei rapporti tra Stati sovrani. La cooperazione intergovernativa, dal canto suo, si caratterizza per il fatto che gli organi dell’organizzazione sono composti da persone che agiscono quali rappresentanti degli Stati di appartenenza, seguono le loro direttive ed adottano deliberazioni che vengono assunte esclusivamente o prevalentemente all’unanimità ed hanno generalmente natura di atti non vincolanti. Si fondano sul metodo della Cooperazione intergovernativa la Nato, l’OCSE ed il Consiglio d’Europa. IL METODO COMUNITARIO Il metodo indicato da Robert Schuman per il funzionamento dell’organizzazione da lui proposta, e che poi è stato seguito anche per la CEE e per l’EURATOM, invece, è usualmente definito come Metodo Comunitario. Esso presenta queste caratteristiche: 1) le persone che siedono nella maggior parte delle istituzioni comunitarie (Parlamento europeo, Commissione, Corte di Giustizia, Corte dei conti, Banca Centrale Europea) non rappresentano gli Stati di cui sono cittadini e, in proprio, compiono le loro scelte in maniera indipendente da essi; 2) il metodo comunitario da largo spazio a deliberazioni a maggioranza, per lo più a maggioranza qualificata. Ciò significa che il consenso di tutti gli Stati membri non è condizione indispensabile per l’azione dell’organizzazione. Gli Stati che restano in minoranza sono comunque vincolati al rispetto delle deliberazioni che sono state assunte a maggioranza; 3) il potere deliberativo dell’organizzazione si esprime normalmente attraverso veri e propri atti vincolanti, che creano diritti ed obblighi per gli Stati e, quando sono direttamente applicabili, anche per le singole persone fisiche e giuridiche; 4) gli atti delle istituzioni sono sottoposti ad un sistema di controllo giurisdizionale di legittimità. TRATTATO DELLA COMUNITÀ EUROPEA DEL CARBONE E DELL’ACCIAIO – CECA L’organizzazione proposta da Robert Schuman è stata posta in essere come una Comunità di tipo settoriale con la conclusione del Trattato istitutivo della CECA, firmato il 18 aprile 1951 ed entrato in vigore il 25 luglio 1952 2
  • 3. DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013 per una durata di 50 anni. La CECA ha cessato di esistere il 23 luglio 2002. Le sue competenze sono state allora trasferite alla CE. Struttura istituzionale: Alta autorità (significativi poteri decisionali di carattere sopranazionale), Consiglio dei ministri (competenze di controllo), Assemblea comune, Corte di giustizia. La competenza della CECA riguarda i prodotti e le politiche relative al settore carbosiderurgico (carbone e acciaio). Successivamente si è avuto un tentativo di istituzione di una Comunità europea di difesa (CED), tale tentativo è fallito perché bocciato nel 1954 dal Parlamento francese. Giugno 1955, Conferenza di Messina, che ha dato incarico al gruppo Spaak di redigere due progetti che porteranno al Trattato istitutivo della Comunità economia europea (CEE) e al Trattato istitutivo della Comunità europea per l’energia atomica (EURATOM), firmati a Roma il 25 marzo 1957, entrati in vigore il 14 gennaio 1958 All’origine 6 stati membri: Italia, Germania, Francia, i tre Paesi Benelux (Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi) Successive adesioni alle Comunità: 1973 Danimarca, Regno Unito, Irlanda 1981 Grecia 1986 Spagna, Portogallo 1995 Austria, Finlandia, Svezia dal 1 maggio 2004 Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Ungheria dal 1 gennaio 2007 Romania e Bulgaria TRATTATO CEE Era obiettivo del Trattato CEE, e poi è divenuto obiettivo del Trattato CE ed ora del Trattato di Lisbona, mettere in comune i mercati degli Stati membri istituendo una libera circolazione delle persone (in particolare dei lavoratori), delle merci, dei servizi e dei capitali. In una visione neoliberista che attribuisce una funzione sociale al mercato si considera che una liberalizzazione generale sia atta a determinare un contenimento dei prezzi e benefici a favore di tutti i cittadini della Comunità. Si è previsto, però, che questi benefici possano non realizzarsi a favore di tutti. Si è considerato allora necessario istituire una politica agricola ed una politica sociale accompagnate dal funzionamento di fondi destinati ad esprimere solidarietà ai settori che possano restare meno agevolati. Accanto a queste sono state previste altre due politiche: 1 - una politica della concorrenza volta ad evitare che i benefici sociali di una libera circolazione delle merci siano neutralizzati da intese tra le imprese volgenti a massimizzare i guadagni di queste mantenendo alti i prezzi e 2 – una politica commerciale destinata a sostituire i dazi doganali di ciascuno Stato membro con una tariffa doganale esterna comune ed a attribuire alla 3
  • 4. DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013 Comunità un potere esclusivo di concludere accordi commerciali con Stati terzi. Per evitare un brusco passaggio da un diffuso protezionismo degli Stati membri alla liberalizzazione implicata dall’istituzione del mercato unico il Trattato CEE ha previsto un periodo transitorio di 12 anni che doveva concludersi nel 1970. La sua conclusione è stata, però, anticipata al 1° luglio 1968, data a partire dalla quale sono state completamente abolite le barriere doganali tra gli Stati membri ed è stata adottata la tariffa doganale comune (l’introduzione di una tariffa doganale comune ha implicato l’introduzione di un sistema di dazi doganali unico, distinto per categorie di prodotti, applicabile all’importazione nell’area comunitaria di beni provenienti da Stati terzi sostituente i diversi sistemi di tassazione doganale di quei prodotti prima praticabili, con aliquote diverse, separatamente da ciascuno degli Stati membri). Le Istituzioni a cui il Trattato CEE affida il perseguimento degli obiettivi che si è preposto sono: Parlamento europeo (dal 1979 eletto direttamente dai cittadini degli Stati membri) che all’inizio aveva una funzione eminentemente consultiva e che con il tempo ha acquisito un forte potere normativo; Consiglio dei ministri (che rappresenta i governi degli Stati membri e sin dall’inizio provvisto di potere normativo); Commissione europea (dotata di potere di iniziativa legislativa e di controllo); Corte di giustizia (che garantisce la conformità con il diritto del funzionamento della Comunità); Corte dei conti (che verifica che la gestione del bilancio dell’Unione europea sia sana e corretta ) Ben presto la Corte di giustizia ha interpretato il Trattato CEE ed il sistema giuridico da esso istituito come un fenomeno dante luogo ad un ordinamento di tipo nuovo sancente obblighi e diritti non solo per gli Stati membri ma anche per le persone fisiche e giuridiche. La novità che la Corte di giustizia ha considerata propria del fenomeno a cui ha dato luogo il Trattato CEE consiste nel fatto che tradizionalmente un Trattato da luogo a diritti ed obblighi solo per gli Stati parte ad esso ma non per persone fisiche e giuridiche. Manifestazioni forti di detto atteggiamento della Corte sono le sentenze che essa ha adottato nei casi van Gend & Loos, Costa contro ENEL e Les Verts. 1. Nel caso van Gend & Loos un’impresa olandese, che aveva importato nei Paesi Bassi determinata merce proveniente dalla Germania, contestava davanti ad un giudice olandese un dazio che le era stato imposto in una misura che risultava da un aumento dei dazi all’importazione di quella merce posto in essere dopo l’entrata in vigore del Trattato CEE. E ciò in contrasto con l’art. 12 di quel Trattato (oggi art. 30 TFUE) il quale obbliga gli Stati membri a non introdurre nuovi dazi doganali e a non aumentare quelli già esistenti nei reciproci rapporti commerciali. Quel giudice olandese chiedeva alla Corte di giustizia di chiarire se un’impresa possa desumere da un articolo del Trattato CEE, 4
  • 5. DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013 quale l’allora vigente art. 12, un diritto soggettivo a che non le sia applicata una norma nazionale. Con la sentenza che ha reso il 5 febbraio 1963 in tale causa la Corte ha affermato il principio dell’effetto diretto del diritto comunitario, statuendo che questo “indipendentemente dalle norme emananti dagli Stati membri, nello stesso modo in cui impone ai singoli degli obblighi, attribuisce loro dei diritti soggettivi” e che “si deve ritenere che questi sussistano, non soltanto nei casi in cui il Trattato espressamente li menziona, ma anche come contropartita di precisi obblighi imposti dal Trattato ai singoli, agli Stati membri o alle Istituzioni comunitarie”. 2. Nel Caso Costa c. ENEL un utente dell’Ente nazionale per l’Energia elettrica (ENEL) aveva contestato davanti al giudice conciliatore di Milano il proprio obbligo di pagare all’ENEL una bolletta, ritenendo che tale ente non fosse legittimato a chiedergli quel pagamento in quanto risultante dalla nazionalizzazione di imprese private a suo giudizio intervenuta in contrasto con il Trattato CEE. Il giudice conciliatore di Milano ha chiesto alla Corte di giustizia, come questione di principio, se un giudice nazionale possa applicare una legge nazionale eventualmente incompatibile con una precedente norma del Trattato CEE. Con la sentenza resa nel caso il 15 luglio 1964 ha stabilito il primato del diritto comunitario sul diritto interno affermando che “istituendo la CEE gli Stati membri hanno limitato i loro poteri sovrani e creato un complesso di diritto vincolante per i loro cittadini e per loro stessi e che ciò ha per corollario l’impossibilità per loro di fare prevalere, contro l’ordinamento giuridico da essi accettato a condizione di reciprocità, un provvedimento unilaterale ulteriore, il quale pertanto non potrà essere opponibile all’ordine comune”. Con questa affermazione la Corte ha inteso limitare in modo forte la sovranità legislativa degli Stati membri, cioè un principio tradizionale e fondamentale dei loro ordinamenti. 3. Con la sentenza che ha adottato il 23 aprile 1986 nella causa Parti écologiste “Les Verts” c. Parlamento europeo la Corte ha affermato che la Comunità è una Comunità di diritto. Nel caso si era trovata a dovere decidere sul ricorso presentato da detto partito contro una decisione dell’Ufficio di Presidenza del Parlamento europeo che lo escludeva nella ripartizione degli stanziamenti relativi alle elezioni europee del 1984. Tale ricorso le era stato presentato sulla base dell’allora vigente art. 173 del Trattato CEE, il quale prevedeva la legittimazione della Corte a controllare la legittimità solo degli atti del Consiglio e della Commissione e non quelli del Parlamento. La Corte ha superato la lettera di tale articolo, che le avrebbe impedito di considerare ricevibile quel ricorso, rilevando che la CEE “è una Comunità di diritto nel senso che né gli Stati che ne fanno parte né le sue Istituzioni sono 5
  • 6. DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013 sottratte al controllo della conformità dei loro atti alla Carta costituzionale di base costituita dal Trattato”. Al Trattato istitutivo della CEE sono state apportate modifiche da accordi internazionali che sono stati adottati da conferenze intergovernative e che hanno dovuto essere ratificati da tutti gli Stati membri. Essi, prima di arrivare all’attuale Trattato di Lisbona, hanno adottato l’Atto Unico europeo, il Trattato di Maastricht, il Trattato di Amsterdam ed il Trattato di Nizza. Si è avuta anche la Conferenza Intergovernativa di Roma nel corso della quale è stato firmato il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, il quale però, a seguito dell’esito negativo dei referendum tenutisi su di esso in Franca ed Olanda, non ha ottenuto le ratifiche necessarie e quindi non è entrato in vigore. ATTO UNICO EUROPEO, 1986 L’Atto Unico Europeo è stato adottato alla Conferenza di Milano nel corso della quale, sotto l’impulso del Presidente francese François Mitterrand e del Presidente del Consiglio italiano Bettino Craxi, si è deciso di accelerare il perfezionamento del mercato unico, superando il più possibile le differenti normative interne indirettamente capaci di ostacolare la libera circolazione comunitaria. Al riguardo, superando la necessità, sino ad allora esistente di adottare, per il ravvicinamento di dette legislazioni, direttive all’unanimità si è attribuita alle istituzioni comunitarie la possibilità di adottare atti (e quindi anche regolamenti) a maggioranza qualificata. IL TRATTATO DI MAASTRICHT E LA CREAZIONE DELL’UNIONE EUROPEA Questo Trattato, firmato il 7 febbraio 1992 (ed entrato in vigore il 1° novembre 1993), accanto al Trattato CE ha introdotto un Trattato UE ed ha organizzato l’integrazione europea su tre pilastri costituiti dalla CEE, ridenominata Comunità europea (CE), dalla PESC (Politica estera e di sicurezza comune) e dalla CGAI (Cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni, in seguito al Trattato di Amsterdam ridenominata Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale). Esso ha istituito la cittadinanza dell’Unione europea a favore di tutti i cittadini degli Stati membri, prevedendo l’attribuzione, tra l’altro, a chi è provvisto di tale cittadinanza dell’elettorato attivo e passivo alle elezioni comunali e del Parlamento europeo alle stesse condizioni dei cittadini del Paese di residenza. Accanto a queste importanti novità il Trattato di Maastricht ha allargato le competenze della Comunità, ha potenziato la partecipazione del Parlamento europeo al processo legislativo comunitario istituendo la procedura di codecisione ed ha dato avvio ad una politica economica e monetaria che è poi sfociata nell’istituzione di una Banca Centrale europea e di un sistema di banche centrali e nell’istituzione, a partire dal 1° gennaio 2002, dell’euro. 6
  • 7. DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013 Avendo istituito l’Unione ed avendo inserito in essa la Comunità, per dare un impulso all’intero sistema dell’Unione ed assicurarne la coerenza il Trattato ha istituito il Consiglio europeo, composto dai Capi di Stato e di Governo degli Stati membri e dal Presidente della Commissione. IL TRATTATO DI AMSTERDAM Questo Trattato, firmato il 2 ottobre 1997, è entrato in vigore il 1° maggio 1999. Esso contiene, tra l’altro, le seguenti novità: 1) ha introdotto nel Trattato UE l’art. 6, a termini del quale “L’Unione è fondata sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dello stato di diritto, principi che sono comuni agli Stati membri. L’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla CEDU e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario” (Con questo articolo il Trattato di Maastricht ha inteso contribuire alla definizione dell’identità dell’Unione e stabilire i principi a cui devono aderire gli Stati che di essa intendono diventare membri e che, sotto pena di sanzioni, devono essere rispettati da tutti i partecipanti alla stessa); 2) Ha previsto la possibilità di istituire forme di cooperazione rafforzata: questa deve essere richiesta da almeno 8 Stati membri, deve essere volta a promuovere la realizzazione, da parte degli Stati che ad essa partecipano, degli obiettivi UE o CE, deve rafforzare il processo di integrazione, deve rispettare l’acquis comunitario, non deve riguardare le competenze esclusive della CE e deve essere aperta agli altri Stati membri. Con ciò ha aperto la strada ad un’Europa a più velocità. 3) Ha in parte comunitarizzato il terzo pilastro, trasferendo le politiche su “Visti, asilo immigrazione ed altre politiche connesse”, già ricadenti nel pilastro CGAI, al pilastro comunitario. L’affermazione che il Trattato di Maastricht contiene nell’art. 6 UE, secondo cui “l’Unione è fondata sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” ha trovato conferma in un’importante pronuncia con cui la Corte ha accolto il ricorso del cittadino di uno stato terzo, il sig. Kadi, sospettata di finanziare il terrorismo internazionale, che aveva impugnato un regolamento del Consiglio CE dante attuazione a livello comunitario ad una risoluzione del Consiglio di sicurezza obbligante gli Stati membri delle Nazioni Unite a congelare i conti bancari di persone sospette di finanziare Al-Qaeda, comprese in una lista che è stata stabilita a cura dello stesso Consiglio di sicurezza e che comprendeva il nome di quel ricorrente. Nel suo ricorso il sig. Kadi aveva sostenuto l’illegittimità di detto regolamento comunitario affermando, tra l’altro, che esso violava i suoi diritti di difesa previsti dall’art. 6 della Convenzione europea per la 7
  • 8. DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013 salvaguardia dei diritti dell’uomo in quanto quel regolamento era stato adottato senza dargli una ragionevole possibilità di farsi previamente sentire dalle autorità competenti. Il Consiglio delle Comunità ed il Regno Unito avevano eccepito l’irricevibilità del ricorso del sig. Kadi richiamando affermazioni della Corte europea dei Diritti dell’Uomo secondo cui detta convenzione “non può essere interpretata in modo tale da sottoporre allo scrutinio della Corte”, vale a dire al suo sindacato giurisdizionale, “le azioni o omissioni degli Stati parti coperte da risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite” (paragrafo 149). Sulla base del fatto che l’Unione, e con essa la Comunità, è fondata su detti principi la Corte di giustizia ha disatteso l’invocazione di quella affermazione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo invocata dal Consiglio e dalla Gran Bretagna qualificando la sua funzione di controllo giurisdizionale come funzione di garanzia costituzionale dei principi del Trattato CE, tra cui si colloca il principio secondo il quale gli atti comunitari devono rispettare i diritti di difesa che costituiscono diritti fondamentali. E ciò anche se questi vengono invocati da una persona che non sia cittadino di uno Stato membro e sia seriamente accusato di finanziare il terrorismo internazionale. IL TRATTATO DI NIZZA Il Trattato di Nizza, firmato il 26 febbraio 2001 ed entrato in vigore il 1° febbraio 2003, ha introdotto negli originali Trattati istitutivi delle riforme tese a far fronte ai problemi legati alle prospettive di allargamento della Comunità. Nel corso della Conferenza che ha portato all’adozione del Trattato di Nizza è stata adottata la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione. Per arrivare all’elaborazione di questa i Capi di Stato e di Governo si sono affidati ad una “Convenzione” il più in linea possibile con il principio di democrazia rappresentativa, ricomprendente 16 eurodeputati e 30 rappresentanti delle assemblee parlamentari nazionali, affiancata da 4 osservatori (2 della Corte di giustizia e 2 del Consiglio d’Europa di cui uno rappresentante della Corte europea dei diritti dell’uomo). I lavori di questa Convenzione hanno portato alla proclamazione solenne della Carta da parte del Parlamento europeo, della Commissione e del Consiglio. La Carta non solo da visibilità ai diritti umani su cui riposa il processo d’integrazione europea ma aggiorna anche il catalogo classico di tali diritti che risulta dalla giurisprudenza comunitaria e dai richiami che i Trattati operano alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo ed alle tradizioni costituzionali comuni; sancisce così alcuni diritti nuovi, quali il diritto alla protezione dei dati di carattere personale, il diritto a beneficiare dei principi della bioetica ed il diritto alla buona amministrazione. 8
  • 9. DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013 IL TRATTATO DI LISBONA CHE MODIFICA IL TRATTATO SULL’UNIONE EUROPEA E IL TRATTATO CHE ISTITUISCE LA COMUNITÀ EUROPEA, FIRMATO A LISBONA IL 13 DICEMBRE 2007 Il metodo seguito per l’elaborazione della Carta dei diritti fondamentali è stato tenuto presente quando si è pensato di andare ulteriormente avanti nel processo d’integrazione europea. Si è allora convocata una nuova “Convenzione sull’avvenire dell’Europa” che, aperta il 28 febbraio 2002, è terminata il 10 luglio 2003, con l’adozione di un progetto di Trattato che è stato sottoscritto a Roma il 29 ottobre 2004 come Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa. Il testo di questo Trattato è stato oggetto di referendum che hanno avuto risultato negativo in Francia ed in Olanda, con la conseguenza che esso è stato abbandonato. Il contenuto del Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa ha, però, costituito la base di partenza per una nuova conferenza intergovernativa che, apertasi nel luglio 2007, si è rapidamente conclusa ed ha portato alla firma, il 13 dicembre 2007, del Trattato di Lisbona. Questo nuovo Trattato è stato oggetto in Irlanda, il 2 giugno 2008, di un referendum che ha avuto esito negativo. Lo stallo da ciò determinato è stato superato da un secondo referendum, tenutosi il 2 ottobre 2009, che ha avuto esito positivo dopo che a quel Paese sono state date alcune garanzie e dopo che sono state perfezionate le procedure di ratifica da parte di tutti gli Stati membri. Il Trattato è così entrato in vigore il 1° dicembre 2009. ELEMENTI DI CONTINUITÀ CHE IL TRATTATO DI LISBONA PRESENTA CON IL TRATTATO CHE ADOTTA UNA COSTITUZIONE PER L’EUROPA Rispetto al Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa che, il Trattato di Lisbona presenta molti elementi di continuità a) Trasforma il Consiglio europeo in un’istituzione vera e propria con a capo un presidente stabile, eletto per due anni e mezzo, istituisce un alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, generalizza la procedura di codecisione a cui è dato il nome di procedura legislativa ordinaria, supera la struttura a tre pilastri dell’Unione introdotta dal Trattato di Maastricht b) Eliminando i tre pilastri di Maastricht, integra completamente quella che era la Comunità europea nell’Unione europea regolando la sua attività con due Trattati distinti: il Trattato sull’Unione Europea (TUE) che stabilisce i principi, gli obiettivi e le regole fondamentali nonché la procedura per la revisione dei Trattati e l’adesione di nuovi Stati membri ed il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) che contiene disposizioni meno importanti relative al funzionamento dell’Unione. c) Regola dettagliatamente la procedura di adesione. Questa, a termini dell’art. 49 TUE, si compone di una fase comunitaria e di una fase intergovernativa. La prima si perfeziona tramite una decisione del 9
  • 10. DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013 Consiglio “che si pronuncia all’unanimità previa consultazione della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, che si pronuncia a maggioranza dei membri che lo compongono”. La seconda fase si concreta nella negoziazione e nella conclusione di un accordo – contenente le condizioni per l’ammissione e gli adattamenti dei Trattati su cui è fondata l’Unione – tra gli Stati membri e lo Stato richiedente. Rilevante al riguardo è che all’Unione può aderire ogni “Paese europeo”. Secondo la Commissione la nozione di “Paese europeo”, dato che esprime una comunanza di idee e valori associando “elementi geografici, storici e culturali” da considerarsi nel loro insieme, è suscettibile di cambiare nel tempo e non può essere definita una volta per tutte. Ciò contribuisce al fatto che si discuta ampiamente sulla possibilità di un’adesione da parte della Turchia oltre che dei nuovi Stati risultati dalla disgregazione della ex Jugoslavia. ELEMENTI DI DISCONTINUITÀ DEL TRATTATO DI LISBONA Il Trattato di Lisbona contiene, però, anche rilevanti elementi di discontinuità rispetto al precedente che sono caratterizzati da uno sforzo di assorbire i desideri di preservazione della sovranità – se non addirittura da un atteggiamento di euroscetticismo – di alcuni Stati membri e di non allargare più di tanto l’importanza e le competenze dell’Unione. Ne costituiscono significativa manifestazione a) l’eliminazione dal testo dei due nuovi Trattati di elementi che erano contenuti nel Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa quali le espressioni “Costituzione” e “Costituzionale”, la previsione di simboli dell’Unione, la denominazione degli atti giuridici dell’Unione come “Leggi” e come “Leggi quadro” e l’espressa affermazione di un principio del primato del diritto dell’Unione su quello degli Stati membri e b) l’inserimento nei Trattati e negli Allegati Protocolli di meccanismi di garanzia a favore degli Stati membri. ART. 48 TUE - PROCEDURA DI REVISIONE ORDINARIA DEI TRATTATI Il Governo di qualsiasi Stato membro, il Parlamento europeo o la Commissione possono sottoporre al Consiglio progetti di modifica dei Trattati che possono, tra l’altro, essere intesi ad accrescere o ridurre le competenze dell’Unione. Il Consiglio li trasmette al Consiglio europeo e li notifica ai Parlamenti nazionali. Per dare il carattere più partecipativo possibile alla procedura in questione, in linea con quanto era stato fatto prima per l’adozione della Carta dei diritti fondamentali e poi per l’elaborazione del Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa, il n. 3 dell’art. 48 TUE prevede che, qualora il Consiglio europeo adotti a maggioranza semplice una decisione favorevole all’esame delle modifiche proposte, il suo presidente 10
  • 11. DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013 convochi una “Convenzione” composta da rappresentanti dei Parlamenti nazionali, dei Capi di Stato o di Governo degli Stati membri, del Parlamento europeo e della Commissione. La Convenzione esamina i progetti di modifica ed adotta per consenso una raccomandazione ad una conferenza dei rappresentanti dei Governi degli Stati membri. I rappresentanti dei Governi degli Stati membri, riuniti in questa conferenza, stabiliscono di comune accordo le modifiche da apportare ai Trattati, che entrano in vigore dopo essere state ratificate da tutti gli Stati membri. A questo importante potere riconosciuto a ciascuno degli Stati membri sulle possibili modifiche da apportarsi al sistema dell’Unione, il n. 5 dell’art. 48 introduce un significativo contenimento di tipo nuovo per il caso in cui, al termine di un periodo di due anni a decorrere dalla firma di un Trattato che introduca tali modifiche, i 4/5 degli Stati membri l’abbiano ratificato ed uno o più Stati membri abbiano incontrato difficoltà per farlo: sia pure con una formula la cui portata avrà bisogno di essere precisata, prevede che “la questione è deferita al Consiglio europeo”. L’innovazione così stabilita rispetto al passato è legata all’aumento del numero degli Stati membri ed al rischio conseguentemente accresciuto che emendamenti dei Trattati ritenuti necessari non entrino in vigore. Se un’osservazione si può fare a proposito della novità che, secondo quanto indicato, la procedura di revisione ordinaria dei Trattati presenta, questa può consistere nel rilevare lo sforzo che l’art. 48 fa di conciliare la tradizionale signoria degli Stati membri sui Trattati istitutivi del processo di integrazione europea con l’esigenza di rendere più partecipata e non soggetta al blocco da parte di uno o pochi Stati membri la loro revisione. La tradizionale signoria degli Stati membri è confermata dal fatto che la revisione è in principio subordinata alla ratifica da parte di tutti gli Stati membri; l’esigenza di una larga partecipazione alla sua elaborazione è soddisfatta dall’attribuzione alla indicata “Convenzione” della funzione di adottare per consenso il testo da sottoporre ad una conferenza dei rappresentanti dei Governi degli Stati membri; l’esigenza di non permettere ad uno o pochi Stati membri di bloccare la revisione dei Trattati è soddisfatta dal deferimento al Consiglio europeo di un potere di determinare il da farsi per il caso di tale blocco. PROCEDURE DI REVISIONE SEMPLIFICATE Sono previste dal n. 6 e dal primo e dal secondo comma del n. 7 dell’art. 48 TUE. A termini del n. 6 dell’art. 48 TUE possono essere sottoposti al Consiglio europeo, per dare luogo a procedure di revisione semplificate, progetti intesi a modificare in tutto o in parte le disposizioni della parte terza del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea relative a politiche e ad azioni interne dell’Unione. Il Consiglio europeo può dare seguito a tali progetti modificando le disposizioni di detta parte del TFUE a condizione di non estendere le competenze attribuite all’Unione nei Trattati. Ciò può fare 11
  • 12. DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013 deliberando all’unanimità previa consultazione del Parlamento europeo, della Commissione e, in caso di modifiche istituzionali nel settore monetario, della Banca Centrale Europea. La decisione del Consiglio europeo entra in vigore solo previa approvazione degli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali. Il primo comma del n. 7 dello stesso art. 48 contempla una distinta procedura di revisione semplificata qualificabile come procedura passerella, stabilendo che quando il TFUE ed il titolo V del TUE prevedono che il Consiglio deliberi all’unanimità in un settore o in un caso determinato, il Consiglio europeo possa adottare a maggioranza qualificata in detto settore o caso a condizione che le sue deliberazioni non abbiano implicazioni militari o rientrino nel settore della difesa. Analoga disposizione passerella contiene il secondo comma dello stesso art. 48 n. 7, stabilendo che quando il TFUE adotti atti legislativi secondo una procedura legislativa speciale, il Consiglio europeo possa adottare una decisione che consenta l’adozione di tali atti secondo la procedura legislativa ordinaria. Le importanti delibere che il Consiglio europeo prenda in base al primo o al secondo comma devono essere prese previa approvazione della maggioranza dei membri del Parlamento europeo e devono essere trasmesse ai Parlamenti nazionali; si considerano adottate e produttive di effetti solo se entro sei mesi da tale trasmissione non ricevano opposizione da parte di uno di detti Parlamenti. Non si può non notare che le procedure di revisione semplificata previste dal primo e dal secondo comma del n. 7 dell’art. 48, a differenza dell’altra procedura semplificata di cui al n. 6, non richiedono per il loro perfezionamento l’approvazione degli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali; a bilanciamento di questa ulteriore semplificazione che esse presentano rispetto alla procedura di revisione ordinaria, implicano che il loro perfezionamento non possa avvenire in caso di una opposizione da parte anche di un solo Parlamento nazionale. TRATTATO INTERGOVERNATIVO SULLA STABILITÀ, IL COORDINAMENTO E LA GOVERNANCE NELL'UNIONE MONETARIA ED ECONOMICA DEL 31 GENNAIO 2012 Il sistema generale dell’Unione, oggi disciplinato dai Trattati di Lisbona, è destinato ad essere integrato, quanto meno per la più gran parte dei Paesi dell’Unione, e comunque per quelli che hanno adottato come moneta unica l’Euro, dal Trattato intergovernativo sulla stabilità, il coordinamento e la governante dell’Unione monetaria ed economica. È stato adottato per far fronte alla grave crisi finanziaria ed economica determinata dal rilevante debito pubblico di alcuni Paesi dell’Unione, tra cui Grecia, Spagna, Portogallo ed Italia. 12
  • 13. DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013 IL SISTEMA DELLE COMPETENZE DELL’UNIONE EUROPEA IL PRINCIPIO DI ATTRIBUZIONE L’Unione europea non ha, come gli Stati, una competenza generale, ma può agire solo nell’ambito delle competenze che le sono state attribuite. Pertanto, il suo funzionamento è basato sul cosiddetto “principio di attribuzione”, sancito n. 2 dell’art. 5 TUE (“l’Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi competenza non attribuita all'Unione nei trattati appartiene agli Stati membri”). Su questo principio si basa l’equilibrio che sin dall’inizio del processo di integrazione europea si è inteso stabilire tra competenze della Comunità e residue competenze degli Stati membri. È per soddisfare i sentimenti che si sono manifestati con gli esiti negativi dei referendum francese ed olandese che il Trattato di Lisbona puntualizza che le competenze dell’Unione “le sono attribuite dagli Stati membri” e che “qualsiasi competenza non attribuita all’Unione nei Trattati appartiene agli Stati membri”. Il rispetto di questo principio non manca di dare luogo a problemi. La Corte di giustizia ne ha mitigato il rilievo coordinando il suo rispetto con l’esigenza che ha avvertito di attribuire un effetto utile alle libertà di circolazione sancite dal diritto dell’Unione. Un esempio di questo atteggiamento della Corte è costituito dalla sentenza che essa ha reso il 25 luglio 2008 nel caso Metock. Ha affermato che l’esercizio da parte di uno Stato membro di proprie competenze esclusive (quale quella di ammettere nel proprio territorio una persona che abbia la nazionalità di uno Stato terzo e proveniente direttamente da questo Stato) non deve dissuadere i cittadini dell’Unione dall’esercitare le libertà di circolazione previste dal Diritto UE. Si è affermato che questa pronuncia della Corte di giustizia avrebbe violato il principio delle competenze di attribuzione sostenendosi che la Comunità ha soltanto la competenza a disciplinare la libera circolazione all’interno della Comunità. Questa critica, nonostante sia stata condivisa dall’ex Presidente della Corte costituzionale tedesca Roman Herzog, secondo il quale la Corte di giustizia nel caso si sarebbe pronunciata ultra vires, non è stata seguita da tale Corte costituzionale che con una decisione del 6 luglio 2010 ha affermato che le competenze dell’Unione devono essere interpretate con spirito di amicizia e di apertura. Recentissimamente, però, il 31 gennaio 2012, la critica di Roman Herzog è stata ripresa da una sentenza della Corte costituzionale della Repubblica Ceca. Con tale sentenza la Corte di quello Stato membro dell’Unione ha considerato priva di effetti una legge del proprio Paese che aveva dato un seguito ad una pronuncia della Corte di giustizia che aveva considerato incompatibile con il principio comunitario di non discriminazione sulla base della nazionalità una giurisprudenza costituzionale di tale Paese che prevedeva soltanto a favore di lavoratori cechi una compensazione, da aggiungersi alla pensione maturata con 13
  • 14. DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013 riferimento al lavoro da essi svolto sino alla dissoluzione nel 1993 della Cecoslovacchia, per l’ulteriore periodo di lavoro dagli stessi svolto in Slovacchia (lo aveva fatto eliminando quella compensazione per tutti i lavoratori rimasti attivi in Slovacchia dopo il 1993). La Corte costituzionale ceca ha considerato quella legge priva di effetti perché ha ritenuto che la sentenza della Corte di giustizia a cui essa ha inteso dare seguito abbia applicato il diritto comunitario ad una situazione non presentante un elemento di estraneità (perché attinente al fenomeno speciale costituito dalla dissoluzione della Cecoslovacchia e non ai rapporti tra Stati membri) e perciò non ricadente nelle competenze comunitarie e, pertanto, costituente una pronuncia ultra vires. Questa recentissima sentenza non può non essere segnalata perché, come risulterà da quanto vedremo più avanti, costituisce segno residuo delle difficoltà che ha incontrato e, sia pure oggi in maniera ridotta, continua ad incontrare l’applicazione negli Stati membri del diritto dell’Unione europea. LA PICCOLA REVISIONE PREVISTA DALL’ART. 352 TFUE Un’altra strada, questa a disposizione delle Istituzioni politiche dell’Unione, per mitigare il rigore del principio delle competenze di attribuzione, è costituita dall’utilizzazione da parte di tali istituzioni della clausola di flessibilità contenuta nell’art. 352, n. 1 TFUE, a termini del quale “Se un’azione dell’Unione appare necessaria, nel quadro delle politiche definite dai trattati, per realizzare uno degli obiettivi di cui ai trattati senza che questi ultimi abbiano previsto i poteri di azione richiesti a tal fine, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, adotta le disposizioni appropriate. Allorché adotta le disposizioni in questione secondo una procedura legislativa speciale, il Consiglio delibera altresì all'unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo”. La Corte di giustizia ha stabilito un limite all’operare di tale clausola di flessibilità statuendo che essa “non può essere … utilizzata quale base per l’adozione di disposizioni che condurrebbero, sostanzialmente, con riguardo alle loro conseguenze, a una modifica del Trattato che sfugga alla procedura prevista nel Trattato medesimo” (Corte di Giustizia delle Comunità Europee, Parere 2/94). COMPETENZE ESCLUSIVE, CONCORRENTI E DI SOSTEGNO/COORDINAMENTO/COMPLETAMENTO DELL’AZIONE DEGLI STATATI MEMBRI Le competenze dell’Unione europea sono di tre tipi: a) esclusive rispetto a quelle degli Stati membri, b) concorrenti con le medesime, c) di sostegno, coordinamento o completamento dell’azione degli Stati membri. A termini del n. 1 dell’art. 3 TFUE “L’Unione ha competenza esclusiva nei seguenti settori: a) unione doganale (tariffa doganale comune), b) 14
  • 15. DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013 definizione delle regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno, c) politica monetaria per gli Stati membri la cui moneta è l’euro, d) conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune della pesca, e) politica commerciale comune” (misure di difesa commerciale, accordi commerciali). Ai sensi del n. 2 della stessa disposizione “L’Unione ha inoltre competenza esclusiva per la conclusione di accordi internazionali allorché tale conclusione è prevista in un atto legislativo dell'Unione o è necessaria per consentirle di esercitare le sue competenze a livello interno o nella misura in cui può incidere su norme comuni o modificarne la portata”. Nei settori di competenza esclusiva dell’Unione europea solo questa può adottare atti giuridicamente vincolanti. A termini dell’art. 2, n. 1 TFUE gli Stati membri li possono adottare solo se autorizzati dall’Unione europea o per dare attuazione ad atti di questa. Ai sensi dell’art. 4 n. 1 TFUE le competenze concorrenti dell’Unione europea hanno carattere residuale nel senso che sono tali tutte quelle competenze che non sono esclusive o che non riguardano il sostegno, il coordinamento o completamento dell’azione degli Stati membri. Ad ogni buon conto l’art. 4, n. 2 TFUE specifica che l’Unione europea ha una competenza concorrente principalmente nei seguenti settori: a) mercato interno, b) politica sociale, per quanto riguarda gli aspetti definiti nel presente trattato, c) coesione economica, sociale e territoriale, d) agricoltura e pesca, tranne la conservazione delle risorse biologiche del mare, e) ambiente, f) protezione dei consumatori, g) trasporti, h) reti transeuropee, i) energia, j) spazio di libertà, sicurezza e giustizia, k) problemi comuni di sicurezza in materia di sanità pubblica. Nei settori di competenza concorrente dell’Unione europea sia questa che gli Stati membri possono adottare atti giuridicamente vincolanti. Gli Stati membri, però, non possono più esercitare le loro competenze quando l’UE abbia esercitato le proprie. Nei settori della ricerca, dello sviluppo tecnologico e dello spazio ed in quelli della cooperazione allo sviluppo e dell’aiuto umanitario, che anch’essi non ricadano nella competenza esclusiva dell’UE, l’Unione ha competenza per condurre azioni senza che l’esercizio di tale competenza possa avere per effetto di impedire agli Stati membri di esercitare la loro. L’Unione ha, infine, competenza per svolgere azioni intese a sostenere, coordinare, o completare l’azione degli Stati nei seguenti settori: a) tutela e miglioramento della salute umana, b) industria, c) cultura, d) turismo, e) istruzione, formazione professionale, gioventù e sport, f) protezione civile, g) cooperazione amministrativa. Questa minuziosa indicazione dei tre tipi di competenze dell’Unione introdotta dal Trattato di Lisbona è legata all’obiettivo da questo perseguito di far fronte alla preoccupazione di alcuni Stati membri di limitare le competenze esclusive dell’Unione e di salvaguardare, nelle materie per cui 15
  • 16. DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013 l’Unione ha solo competenze concorrenti, la possibilità di legiferare degli Stati membri. Bisogna, però, sottolineare che in relazione a questa seconda serie di materie gli Stati membri mantengono il potere di intervenire nei limiti in cui l’Unione non le abbia disciplinate. A questo riguardo è utile tenere presente quanto ne consegue in materia di tutela dei consumatori, in cui l’Unione ha adottato numerose direttive di armonizzazione. Gli Stati membri non possono legiferare sugli aspetti espressamente disciplinati da dette direttive in modo diverso da quello da queste già fatto. Possono farlo solo quando si tratti di direttive di armonizzazione minima (e non completa) per integrarne la disciplina e per realizzare una tutela maggiore dei consumatori. In Danimarca dei privati, che avevano consumato delle uova acquistate in un supermercato, che si era rifornito da un produttore danese da esso distinto, erano stati colpiti da salmonellosi. Avevano allora agito in giudizio, per chiedere il risarcimento dei danni subiti nei confronti del supermercato che quelle uova aveva a loro venduto. Lo avevano fatto sulla base di una legge danese che aveva dato attuazione alla direttiva CEE 85/374 concernente la responsabilità per danni da prodotti difettosi estendendo in via generale al venditore la responsabilità senza colpa che quella direttiva invece prevede a carico del produttore, limitandosi a sancirla a carico del venditore solo in caso di merci vendute nella Comunità ma provenienti da Pesi terzi. Richiesta da giudici danesi di pronunciarsi sulla compatibilità con il diritto comunitario della legge del loro Paese sulla cui base il giudizio era stato davanti ad essi instaurato, la Corte di giustizia ha considerato che la Direttiva 85/374/CEE persegue un’armonizzazione completa delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri relative alla materia. In ragione di ciò ha ritenuto che la legge invocata nella causa fosse incompatibile con il diritto comunitario e quindi non idonea a sostenere la pretesa avanzata nei confronti del venditore, nonostante essa potesse, a prima vista, risultare più idonea a tutelare in modo rapido i consumatori. Questi, per la Corte, dato che non si trattava di uova importate da fuori della Comunità, potevano, secondo quanto previsto da quella direttiva di armonizzazione completa, agire in responsabilità senza colpa solo nei confronti del produttore (Corte di giustizia, 10 gennaio 2006, Causa C-402/03, Skov Æg contro Bilka Lavprisvarehus A/S e Bilka Lavprisvarehus A/S contro Jette Mikkelsen, Michael Due Nielsen). Ai sensi, poi, dell’art. 5, n.1, TFUE le politiche economiche restano essenzialmente di competenza degli Stati membri in quanto questi sono semplicemente tenuti a coordinarle essendo, in materia, il Consiglio dell’Unione europea unicamente legittimato ad adottare degli indirizzi di massima. 16
  • 17. DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013 LA NON INCIDENZA SULLA COMPETENZA ESCLUSIVA DELL’UNIONE IN MATERIA MONETRIA DEL FISCAL COMPACT E DEL TRATTATO SALVA STATI (MES) Le precisazioni che il TFUE ha fatto con gli articoli 3 (competenze esclusive), 4 (competenze concorrenti) e 5 (previsione nell’ambito dell’Unione di un coordinamento da parte degli Stati membri delle loro politiche economiche) lasciano spazio a problemi interpretativi con riferimento all’applicazione del Titolo VIII dello stesso TFUE, dedicato alla politica economica e monetaria Centrali in tale titolo sono due articoli: l’art. 125 TFUE, che vieta all’Unione di farsi carico del debito pubblico degli Stati membri (c.d. no- bail out o divieto di salvataggio finanziario) ed identico divieto impone a ciascuno Stato membro per quanto riguarda i debiti pubblici degli altri Stati membri; l’art. 126 TFUE che, correlativamente, stabilisce che gli Stati membri devono evitare disavanzi pubblici eccessivi. L’applicazione di queste due disposizioni è risultata particolarmente delicata con riferimento alla crisi finanziaria che ha interessato prima l’Irlanda ed il Portogallo e poi la Grecia, la Spagna e l’Italia, Stati tutti, questi, che hanno adottato l’euro come moneta unica. L’art. 126 TFUE riprende letteralmente l’art. 104 TCE che era stato integrato nel tempo da una serie di atti che erano diretti a rinforzare il divieto da esso stabilito e che avevano dato luogo a quello che è stato definito come il Patto di stabilità e crescita del 1997, al Six Pack del 2011 ed all’accordo concluso in forma semplificata Europlus, nonché al Protocollo n. 20 annesso al Trattato di Maastricht (a sua volta ripreso dal protocollo n. 12 annesso al Trattato di Lisbona) il quale stabiliva che il rapporto tra il disavanzo pubblico, previsto o effettivo, e il prodotto interno lordo ai prezzi di mercato non deve superare il 3 % e che il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo ai prezzi di mercato non doveva superare il 60 %. Quando la crisi finanziaria di detti Paesi si è acuita, e si è avvertito che essa avrebbe potuto compromettere la stabilità finanziaria dell’area euro e dell’intera Unione, ci si è resi conto che il rinforzamento del divieto di cui all’art. 126 TFUE contenuto negli atti di cui sopra non era sufficiente. Si è allora, tra l’altro, proceduto all’adozione da parte di 25 Paesi membri dell’Unione – cioè tutti, eccettuati il Regno unito e la Repubblica Ceca – di due Trattati puramente intergovernativi: il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance dell’Unione economica e monetaria (TSCG, firmato il 2 marzo 2012 ed entrato in vigore il 1° gennaio 2013, dopo la ratifica da parte di 12 Stati membri, Italia compresa, detto più sinteticamente “Fiscal Compact”) ed all’adozione il 2 febbraio 2012, da parte dei 17 Stati membri della zona euro, del c.d. Trattato “salva stati” che prevede l’istituzione di un meccanismo europeo di stabilità (MES), destinato ad entrare in vigore alla data di deposito degli strumenti di ratifica, 17
  • 18. DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013 approvazione o accettazione da parte di firmatari le cui sottoscrizioni iniziali siano non meno del 90 % delle sottoscrizioni totali previste. Il primo Trattato prevede un obbligo degli Stati membri dell’area euro d’incorporare nel proprio ordinamento giuridico interno il principio del pareggio di bilancio e di attivare un meccanismo automatico di correzione che li vincola ad attuare misure per correggere eventuali deviazioni dal rispetto di tale principio. Il secondo Trattato prevede l’istituzione di un meccanismo permanente a cui partecipano gli Stati della medesima area provvisto di una dotazione fissa di 700 milioni di euro versati da questi Stati da integrarsi con fondi raccolti con l’emissione di strumenti finanziari o sulla base di accordi con i propri membri, istituzioni finanziarie o terzi. Quel meccanismo ha la funzione di mobilizzare, secondo condizioni rigorose, risorse finanziare a beneficio dei suoi membri che si trovino o rischino di trovarsi in gravi problemi finanziari ove ciò risulti indispensabile per salvaguardare la stabilità finanziaria della zona euro nel suo complesso e quella dei suoi Stati membri. I due Trattati sono tra loro coordinati in quanto l’assistenza finanziaria prevista dal Trattato MES può di fatto (come risulta da un considerando, di per sé non vincolante, di tale Trattato) essere prestata ad uno Stato ad esso parte alla condizione della ratifica da parte sua del Fiscal Compact e della trasposizione nella legislazione nazionale dello stesso della regola del bilancio di pareggio. Come sarà precisato in appresso, per permettere agli Stati membri la conclusione di detti due accordi si è ritenuto opportuno fare ricorso alla procedura di revisione semplificata introdotta dall’art. 48, paragrafo 6 TUE, che è previsto possa portare alla modifica della parte terza del TFUE e che comporta, oltre ad una decisione all’unanimità del Consiglio europeo ed alla consultazione del Parlamento Europeo e della Commissione, la ratifica di detta decisione da parte degli Stati membri dell’area euro. Le procedure nazionali di ratifica così richieste, anche in ragione delle contestazioni politiche che l’iniziativa ha suscitato da parte di gruppi politici ostili al processo d’integrazione europea, hanno occasionato varie opposizioni: tra queste un ricorso alla Corte suprema irlandese con cui si è sostenuta l’illegittimità comunitaria di quegli accordi in quanto con essi gli Stati membri avrebbero violato la competenza esclusiva che l’art. 3 TFUE attribuisce all’Unione per quanto riguarda la politica monetaria per gli Stati membri la cui moneta è l’euro. Sul punto la Corte suprema irlandese ha chiesto alla Corte di giustizia di pronunciarsi nel quadro della procedura pregiudiziale prevista dall’art. 267 TFUE. La Corte di giustizia, con la sentenza che ha reso il 27 novembre 2012 nel caso Pringle, ha allora avuto modo di chiarire che, anche se il Titolo VIII del TFUE porta la denominazione “Politica economica e monetaria”, le misure di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri rientrano nella competenza di questi e costituiscono cosa 18
  • 19. DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013 diversa dalla politica monetaria. Quest’ultima ha come obiettivo il mantenimento della stabilità dei prezzi nella zona euro. Il trattato MES non incide su di essa, opera solo nel quadro della politica economica degli Stati membri perché costituisce uno strumento complementare al quadro regolamentare dell’Unione che, per quanto riguarda l’area euro, mira a consolidare la stabilità macroeconomica ed il buon funzionamento delle finanze pubbliche degli Stati di quell’area. La Corte ha, peraltro, escluso che l’assistenza finanziaria che il MES può prestare ad uno Stato dell’area euro costituisca un salvataggio finanziario, cioè una violazione del no-bail out contenuto nell’art. 125 TFUE, perché questo articolo “non vieta la concessione di un’assistenza finanziaria da parte di uno o più Stati membri ad uno Stato membro che resta responsabile dei propri impegni nei confronti dei suoi creditori e purché le condizioni collegate a siffatta assistenza siano tali da stimolarlo all’attuazione di una politica di bilancio virtuosa” (punti 136 e 137). IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ Ai sensi del n. 1 dell’art. 5 del TUE l’esercizio delle competenze dell’Unione deve avvenire, innanzitutto, in sintonia con il principio di sussidiarietà (principio che, come noto, e desunto dalla dottrina della Chiesa Cattolica). Il n. 3 della stessa disposizione stabilisce che tale principio opera soltanto nei settori che non sono di competenza esclusiva dell’Unione. In virtù di esso “l’Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell'azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione”. In base al Protocollo n. 2, sull’applicazione del principio di sussidiarietà, annesso al Trattato di Lisbona, prima dell’adozione di un atto legislativo l’Unione deve operare una valutazione del rispetto di tale principio. Ogni istituzione che partecipa al processo decisionale deve farsene carico. Il principio di sussidiarietà è “giustiziabile”, ossia può essere posto alla base di un’azione di legittimità o di invalidità di fronte al Tribunale e alla Corte di Giustizia. Inoltre, il Trattato di Lisbona prevede che le proposte dell’Unione, come anche gli atti intermedi, vengano inoltrati ai Parlamenti nazionali, i quali, entro otto settimane dalla trasmissione possono eccepire il mancato rispetto del principio di sussidiarietà, attraverso la formulazione di un parere motivato. Se i pareri motivati superano un certo numero, la proposta dovrà essere riesaminata, ed eventualmente modificata. 19
  • 20. DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013 IL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITÀ Lo stesso n. 1 dell’art. 5 del TUE stabilisce, poi, che l’esercizio delle competenze dell’Unione deve avvenire in conformità con il principio di proporzionalità. L’esigenza che tale principio sia rispettato dalle istituzioni nel quadro dell’esercizio delle loro competenze non era sancita nell’originario Trattato istitutivo della CEE. Essa è stata all’inizio affermata dalla Corte di giustizia. Nel caso Etablissements Consten e Grundig-Verkaufs-Gmbh contro Commissione della CEE (Cause riunite 56 e 58/64) si era posto il problema della legittimità di una decisione con la quale la Commissione, constatato il contrasto con il diritto comunitario della concorrenza di un complesso accordo tra la Società Grundig ed un suo concessionario per la Francia, aveva dichiarato la nullità dell’intero accordo sulla base della lettera del secondo paragrafo dell’attuale art. 101 TFUE, a termini del quale “gli accordi … vietati in virtù del presente articolo, sono nulli di pieno diritto”. La Corte ha considerato che questa disposizione dovesse essere applicata alla luce del principio di proporzionalità, inteso come principio generale di diritto integrativo di quanto espressamente previsto dal testo del Trattato istitutivo della Comunità. Ha così superato le indicazioni che le potevano venire dalla lettera della disposizione. Rilevato che “la nullità assoluta sancita [dall’attuale art. 101, paragrafo 2, TFUE] colpisce i soli elementi dell’accordo soggetto al divieto, ovvero l’accordo nel suo complesso qualora detti elementi appaiano essenziali per l’accordo stesso”, ne ha desunto che la decisione impugnata “va annullata nella parte in cui estende, senza valido motivo, la nullità a tutte le clausole dell’accordo”. Introdotto così nell’esperienza giuridica comunitaria il principio che ora si trova sancito nell’art. 5 TUE, è stato previsto dal diritto scritto dell’Unione a partire dal Trattato di Maastricht. La giurisprudenza ne ha esteso l’applicazione statuendo che esso opera anche come limite all’esercizio di competenze degli Stati membri che abbia luogo quando esso sia richiesto o dai Trattati o da un atto comunitario. Ora il n. 4 dell’art. 5 del Trattato di Lisbona stabilisce che “il contenuto e la forma dell’azione dell’Unione si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati”. Il Protocollo n. 2 sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, dal canto suo, precisa che “I progetti di atti legislativi tengono conto della necessità che gli oneri, siano essi finanziari o amministrativi, che ricadono sull'Unione, sui governi nazionali, sugli enti regionali o locali, sugli operatori economici e sui cittadini siano il meno gravosi possibile e commisurati all'obiettivo da conseguire”. 20
  • 21. DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013 Elezioni: ecco perché l’Europa è un beneficio per l’Italia - 22 febbraio 2013 Dalla pace alla stabilità, dalla libertà alla concorrenza: una lettera- appello di dirigenti, professionisti e funzionari risponde alle critiche piovute sull’Ue a scopi elettorali Riceviamo e volentieri pubblichiamo: La crisi dell’Italia non dipende dall’Europa: il Paese trae beneficio dall’appartenenza all’Unione europea In termini economici i benefici sono incommensurabili. Per menzionarne solo alcuni: i)la libera circolazione beni, servizi, capitali e persone ha creato un mercato unico di milioni di consumatori, consentendo un interscambio commerciale eccezionale tra noi e i nostri partner europei; ii)la liberalizzazione dei settori delle pubbliche utilità (telecomunicazioni, energia, trasporti, poste), tutta di matrice comunitaria, ha consentito un abbattimento vertiginoso delle tariffe pagate da noi utenti; si pensi per es. alle tariffe della telefonia mobile che sono crollate raggiungendo livelli solo qualche anno fa impensabili. iii)L’UE ha una forte componente sociale: innumerevoli sono le direttive UE in materia di protezione dei lavoratori, delle donne, delle fasce deboli, che hanno obbligato tutti gli Stati membri a prevedere standard minimi di tutela; così come la legislazione europea si è preoccupata di tutelare gli studenti (si pensi alle direttive sul riconoscimento dei diplomi o al programma di scambio ERASMUS), dando ai nostri giovani migliori prospettive internazionali in termini di formazione e lavorativi. iv)La disciplina della concorrenza, introdotta in Italia solo nel 1990 su ispirazione dell’UE, per quanto imperfettamente, ha consentito di combattere cartelli e abusi di posizione dominante a vantaggio della collettività (prezzi più bassi, migliore qualità, maggiore offerta). v)Il controllo degli aiuti di stato ha frenato la naturale inclinazione di alcuni Stati a concedere alle imprese sussidi distorsivi, limitando lo sperpero di danaro pubblico; vi)La disciplina di tutela del consumatore, anch’essa interamente di matrice comunitaria, ha consentito di sventare monumentali truffe ai danni dei consumatori, imponendo elevati standard di tutela di cui tutti noi oggi beneficiamo in qualità di consumatori. vii)La disciplina degli appalti pubblici, anch’essa di derivazione comunitaria, ha promosso un principio benefico di concorrenza e trasparenza per il mercato che ha consentito alla pubblica amministrazione e agli enti pubblici ingenti risparmi ogni qualvolta devono procacciarsi beni e servizi per la collettività. viii)I fondi europei di sviluppo e coesione e quelli infrastrutturali, per quanto spesso mal utilizzati dal nostro paese, rappresentano un volano importante per le economie delle nostre regioni, ed hanno tra l’altro contribuito alla realizzazione di grandi opere infrastrutturali di interesse 21
  • 22. DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013 collettivo (si pensi alla metropolitana di Napoli, alle reti tranviarie di Firenze, alla ristrutturazione dei porti di Genova e Civitavecchia, per citare solo alcuni esempi). ix)La tutela dell’ambiente, una delle priorità della UE, ha dato voce a esigenze per anni ignorate nel nostro paese. x)Anche la politica di liberalizzazione degli scambi commerciali perseguita dalla UE con i paesi extra-europei (WTO), sebbene faccia talvolta oggetto di critiche per gli effetti negativi su alcuni comparti della nostra economia, a una più attenta e distaccata riflessione rappresenta l’unica strada percorribile in un mondo globalizzato cui sono conseguiti molti effetti benefici: essa ha difatti consentito a noi e ai nostri partner europei di esportare beni e servizi a valore aggiunto, lasciando ai paesi meno sviluppati i mercati di beni a più scarso rendimento. xi)Infine l’euro, tanto criticato, ha prodotto i benefici più concreti, considerato che l’ancoraggio a una moneta forte ha sconfitto l’inflazione, il che ha consentito agli italiani di contrarre mutui a tassi di interesse favorevoli per comprare casa, e allo Stato italiano – e quindi ai contribuenti- di finanziare il proprio debito pubblico risparmiando miliardi. 22
  • 23. DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013 Trattato intergovernativo sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell'Unione monetaria ed economica Patto bilancio La scheda I punti principali del "Trattato intergovernativo sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell'Unione monetaria ed economica" su cui i paesi Ue hanno trovato un accordo Fonte Ansa - Ecco i punti principali del "Trattato intergovernativo sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell'Unione monetaria ed economica" su cui i paesi Ue hanno trovato un accordo. CHI PARTECIPA - Tutti i paesi della Ue, tranne la Gran Bretagna e la Repubblica ceca. Londra si è tirata fuori fin dall'inizio, Praga a sorpresa, all'ultimo momento, ma potrebbe ancora rientrare. OBBLIGO AL PAREGGIO - Il 'contratto' tra i 25 introduce la 'regola d'orò del pareggio di bilancio nelle Costituzioni nazionali e/o in legislazioni equivalenti e prevede "sanzioni semiautomatiche" contro ogni "violazione del criterio dell'avanzo". L'equilibrio è definito come un deficit strutturale (al di fuori degli elementi eccezionali e del pagamento degli interessi sul debito) ad un livello massimo dello 0,5% del Pil. Per i paesi che hanno un debito al di sotto del tetto del 60% del Pil il margine di tolleranza sale all'1%. Le procedure potranno essere bloccate solo con una maggioranza qualificata contraria (85%). I governi hanno un anno di tempo a partire dall'entrata in vigore del Trattato per mettere in atto le nuove norme sul pareggio. SANZIONI E MULTE - La Corte di giustizia Ue potrà imporre sanzioni fino a un massimo dello 0,1% del Pil ai Paesi che non introdurranno l'obbligo del pareggio di bilancio nelle norme nazionali. Le multe "dovranno essere versate all'Esm", il fondo salva-Stati permanente che dal primo luglio prossimo subentrerà all'Efsf. A decidere un importo delle ammende "adeguate alle circostanze" sarà la Corte di giustizia Ue e la sanzione pecuniaria potrà scattare quando il Paese al centro della procedura risulterà recidivo, ovvero colpevole di non aver rispettato una prima sentenza di condanna emessa dalla stessa Corte. 23
  • 24. DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013 CHI DENUNCIA - Il potere di 'denunciare' ai giudici europei un Paese indisciplinato potrà essere esercitato sia dalla Commissione europea che da un altro Paese della zona euro firmatario dell'accordo. RITMO DI RIDUZIONE DEL DEBITO - Il Patto prevede l'obbligo di rientrare verso il tetto del 60% del Pil al ritmo di 1/20 l'anno per la parte eccedente. Il testo fa riferimento al 'six pack' in cui si menzionano gli altri "fattori rilevanti" che concorrono a determinare la sostenibilità di medio periodo (indebitamento privato, spesa pensionistica, attivo patrimoniale). ESM, AIUTI SOLO A CHI FIRMA - L'avvio di "nuovi programmi di assistenza finanziaria attraverso l'intervento dell'Esm sarà condizionato alla ratifica del nuovo Trattato da parte del Paese interessato". PAESI NON EURO AI SUMMIT - Il testo è stato cambiato per accogliere la richiesta della Polonia. Il compromesso prevede "almeno" tre summit dell'Eurogruppo l'anno e la partecipazione dei paesi firmatari non euro ad "almeno" uno. IN VIGORE DOPO 12 RATIFICHE - Il Patto diventerà operativo il primo gennaio 2013, non appena "sottoscritto da almeno 12 Paesi membri dell'euro". Il processo di ratifica (parlamento o referendum) è deciso dai singoli paesi. ENTRO CINQUE ANNI NEI TRATTATI - Entro cinque anni le nuove regole devono rientrare nella cornice dei Trattati Ue esistenti. HTTP://EUOBSERVER.COM/ [COMMENT] STOP THE EUROPEAN COURT OF JUSTICE ROMAN HERZOG AND LÜDER GERKEN 10.09.2008 @ 10:07 CET EUOBSERVER/COMMENT - Judicial decision-making in Europe is in deep trouble. The reason is to be found in the European Court of Justice (ECJ), whose justifications for depriving member states of their very own fundamental competences and interfering heavily in their legal systems are becoming increasingly astonishing. In so doing, it has squandered a great deal of the trust it used to enjoy. Hence, it is only logical that the German Federal Constitutional Court recently decided to intervene. Very soon it will have to render a judgement that will be of fundamental importance for the further development of European jurisdiction, since it concerns the question of whether the excessive legal practice of the ECJ should in future once again be subject to stricter controls by the German Federal Constitutional Court, or whether the Federal Constitutional Court should resign once and for all from its watchdog position. What triggered this decisive case was a lawsuit staged by two lawyers. In the course of the labour market reforms established under the red-green coalition (Social Democrats with the Alliance 90 and the Green Party), at the end of 2002, the age limit at which employees are entitled to enter into temporary employment contracts without restrictions had been temporarily reduced from 58 to 52 years. The aim was to increase the chances for older unemployed people to find a job. The high level of protection against unwarranted dismissal in Germany combined with the concern of many employers that the performance of older people might 24
  • 25. DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013 weaken, meant that people over fifty often had no real opportunity for reintegration into the labour market. In 2000, the European Union (EU) passed a non-discrimination directive which prohibited the unequal treatment of people in "employment and occupation" on account of age. Of course this EU directive also contains an explicit provision that member states may discriminate against people due to age if such practice serves to foster employment. The manner in which this provision is realised is largely left to the member states. However, two lawyers in Munich held the view that this reduction of the age limit constituted an infringement of the said EU directive, and so they brought the case to court in 2003. The ECJ judged as follows: The German labour market reform was in fact deemed incompatible with the EU's non-discrimination directive, since it could not be "proved" that the German reform provisions were "objectively required" for the stimulation of the employment of older employees. This so-called "Mangold Judgement" is disputable for various reasons. Firstly, both labour market policy and social policy are still core competences of the member states. However, this case clearly demonstrates to what extent EU regulation and EU jurisdiction nevertheless interfere in the governing of these core competences. For even though the EC Treaty allows for a European regulation of non- discrimination, the question of why the EU regulates age discrimination on the labour market at all is raised in all its seriousness. According to the principle of subsidiarity, the EU may take action only if it really has a better solution to a problem than the member states. According to law as it exists, a basic criterion for such a situation is that the problem must concern an issue of transboundary impact. However, unlike the question of nationality, age discrimination does not have any transboundary relevance and can therefore be easily dealt with by the member states themselves. Yet, the court blithely ignored it. At least the EU directive does declare unequal treatment on account of age as expressly admissible for the purpose of promoting employment in the member states, but even this did not concern the ECJ. Despite everything, it overthrew the German employment promotion measure. Secondly, EU directives do not apply to member states directly, but first have to be transposed by the national legislature, which may resolve on the form and methods of the relevant measure independently. Germany had to transpose the aforementioned non-discrimination directive by 2 December 2006. Therefore, there was no obligation to transpose it. Moreover, the lowering of the age limit was due to expire anyway by 31 December 2006, in other words a few days after the expiry of the enforcement deadline. This was also ignored by the ECJ. Thirdly, to justify its judgement, the ECJ resorted to a somewhat adventurous construction. The ECJ believed it had found a ban on age discrimination within the "constitutional traditions common to the Member States" and "various international treaties". So it was not actually the non-discrimination directive (as yet to be enforced) which caused the German reform provision to breach EU law, but a "general principle of community law". However, this "general principle of community law" was a fabrication. In only two of the then 25 member states – namely Finland and Portugal – is there any 25
  • 26. DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013 reference to a ban on age discrimination, and in not one international treaty is there any mention at all of there being such a ban, contrary to the terse allegation of the ECJ. Consequently, it is not difficult to see why the ECJ dispensed with any degree of specification or any proof of its allegation. To put it bluntly, with this construction which the ECJ more or less pulled out of a hat, they were acting not as part of the judicial power but as the legislature. Fourthly, in its judgement the ECJ ordered the German reform provision to remain "not applied" with immediate effect. In fact, it was declared null and void. This also constitutes a highly questionable paradigm shift. The EC Treaty stipulates that member states are not directly bound by EU directives. This means that it is not the EU directives but the national transposition laws that must first create rights and duties for citizens. The ECJ used to respect this, too: If the national law of a member state was not compatible with an EU directive, the ECJ confined itself to pointing out the inconsistency. Although the member state concerned then had to revise its law, the former version (incompatible with EU law) remained in effect until that was done. Hence, citizens could rely on the binding effect of their national laws. This has now changed: As a consequence of the ECJ judgement, all temporary employment contracts concluded during the German labour market reform were converted into regular employment contracts overnight – resulting in the subsequent material damage incurred by the affected companies. With these four dubieties, the "Mangold Judgement" provoked almost unanimous and massive criticism among legal experts. A change of scene: again in 2003, a company based near Hamburg entered into a temporary employment contract with a 53-year old employee under the German labour market reform. Shortly before his contract expired, the employee took legal action. He claimed that the reform was not compatible with EU law. The responsible labour court dismissed the case, as did the court of appeal. Thereupon, the complainant took his case to the German Federal Labour Court. Meanwhile, the Mangold Judgement had been reached. The German Federal Labour Court adopted the reasoning given therein and, despite the questionable nature of the judgement, denied the right to resubmit the judgement either to the ECJ in order to clarify it, or to the German Federal Constitutional Court, and further annulled the lower court judgements. Subsequently, the company filed a constitutional complaint against this decision. It asserted several infringements of the German Constitution. The German Federal Constitutional Court has been dealing with this constitutional complaint for quite a while. This alone should be taken by the ECJ as a warning. For in 1986, the court virtually delegated the assessment of whether European acts are compatible with fundamental rights to the ECJ ("Solange II Judgement"): It had assumed that on a European level the compliance of fundamental rights would be safeguarded through the ECJ to a similar extent, as in Germany. It only wanted to intervene if the protection of fundamental rights was being weakened in general and not just in single cases. How important that explicit reservation is will be shown when the Federal Constitutional Court passes judgement on the "Mangold Judgement", which, in many respects, has created a fundamentally changed legal situation. Irrespective of this, the "Mangold Judgement" also has to be viewed in light of the "Maastricht Judgement" by the German Federal Constitutional Court of 1993. 26
  • 27. DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013 There it is of vital importance that the institutions of the EU, including the ECJ, adhere to the limits of competences granted by the EC Treaty – namely, the EC Treaty version approved by the German national Parliament (Bundestag). Any action, and in particular any development of the law by judicial interpretation that exceeds such limits is not covered by the act of assent of the German Bundestag and therefore has to be deemed null and void in Germany. In the present case the ECJ acted as legislator. With reference to alleged international treaties and constitutional traditions of the member states, the ECJ invented EU law. Within the time limit for the transposition of an EU directive it ordered the inapplicability of an existing national regulation to citizens. It is obvious that there is an inadmissible extension of the EC Treaty, inherent in a "fulminating court order", so to speak. The "Mangold Judgement" of the ECJ is only one of many judgements significantly interfering with competences of the member states and thus provoked massive criticism by irritated experts. Here are only three recent examples: First example: In 2006 the ECJ adopted a statutory tobacco ad ban in the EU that applies in particular to local papers. The EU had banned tobacco ads in papers in the light of health care policy. However, since the EU does not have sufficient legislative competence in the field of health care, a way round it was thought out. According to the EU the single market would be impeded if there was no such EU- wide ban. For a national tobacco ad ban in one single member state would lead to foreign newspapers containing tobacco ads not being allowed to be sold in that state. The Federal Republic of Germany, deeming that argument artificial, asserted an infringement of competences by the EU and sued. However, the ECJ dismissed the case, reasoning that different tobacco ad rules in the member states actually impede the single market. The fact that local papers are hardly ever sold abroad and therefore an actual impediment does not exist was not considered by the ECJ. The vital German counter-argument that all tobacco ad bans hitherto existing in the member states expressly excluded foreign newspapers and thus could not impede the free sale of foreign newspapers containing tobacco ads was simply "turned upside down". The fact that national ad bans contained such exemptions demonstrated that national legislators also considered the issue as being a real problem. Second example: In 2005 and 2007, two judgements of the ECJ established an EU competence in the field of criminal law. With reference to what are in actual fact unmistakable provisions in the EC Treaty, almost all member states had firmly stated that such a competence did not exist. However, the ECJ argued quite the opposite. The ECJ's argumentation was as follows: "As a general rule, neither criminal law nor the rules of criminal procedure fall within the Community's competence. However, the last-mentioned finding does not prevent the Community legislature from taking measures which relate to the criminal law of the member states that it considers necessary" in order to enforce EU law, here in the field of environmental policy, and to oblige the Member States "to introduce such penalties." So that is what the ECJ has to say on the relationship between the European Union and the still so-called "Masters of the Treaties". 27
  • 28. DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013 Third example: In 2006 the ECJ granted the right of residence to a deported Tunisian, although the Euro-Mediterranean-Agreement between Tunisia and the EU Member States excludes this explicitly. Amongst other things, the agreement provides that Tunisians in the EU and EU residents in Tunisia may not be treated unequally in terms of working conditions for employees. Warned by an earlier judgement of the ECJ, the EU member states unmistakably defined in the agreement that the right of residence for foreigners is exclusively within the member states' competence and, in particular, that the non-discrimination principle may not apply to labour conditions in order to extend any residence permits. Thus discrimination suits should be excluded where labour permits would be played off against limited rights of residence. However, the ECJ overturned the unambiguous wording of the agreement and argued the opposite: according to the ECJ, the non-discrimination principle of the agreement also applied to issues of the right of residence. The arrogance the ECJ demonstrated in the process culminates in the reasoning of the judgement: "It would be quite unacceptable for the member states to deal with the principle of non-discrimination by using provisions of national law to limit its effectiveness." That option would "jeopardise the uniform application of that principle." What would happen in Germany if, for instance, the Federal Labour Court imposed such regulations upon the legislator? Yet, at the European level, such incapacitation of the "Masters of the Treaties" appears to go unresisted! The fact that this is not the only case where the ECJ turns the will of the legislator into the opposite is proved by the judgement on the EU Students Directive, which granted Belgian welfare aid to a French studying in Belgium, although the entire EU law expresses the non-existence of such claims, which is even excluded in the EU Students Directive itself: Pursuant to Article 1 of the directive, students may study abroad solely if they provide evidence of enough means of subsistence to secure that "he and his family have sufficient resources to avoid becoming a burden on the social assistance system of the host member state during their period of residence." The ECJ said: "On the other hand, there are no provisions in the directive that preclude those to whom it applies from receiving social security benefits." And that is what the ECJ has to say on the value of legal wording. In its Maastricht judgement, the Federal Constitutional Court refers to an interpretation of EU law "guided by the effet utile principle, i.e., the broadest possible interpretation of Community powers". So far so good. But the latest settled case-law of the ECJ reinforces the impression that the ECJ long since left such limitations behind them. The cases described show that the ECJ deliberately and systematically ignores fundamental principles of the Western interpretation of law, that its decisions are based on sloppy argumentation, that it ignores the will of the legislator, or even turns it into its opposite, and invents legal principles serving as grounds for later judgements. They show that the ECJ undermines the competences of the member states even in the core fields of national powers. The conclusion one comes to is clear: The ECJ is not suitable as a subsidiarity controller in the last instance and a protector of the member states' interests. This is not surprising, as first of all, according to Articles 1 and 5 of the EU Treaty, the ECJ is obliged to participate in the "process of creating an ever closer union". 28
  • 29. DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013 Secondly, an EU-biased jurisdiction of the ECJ leads to the situation that the areas where the ECJ may judge are also growing, thereby displacing member states' courts, which means that the ECJ is constantly gaining influence. This general tendency is not modified by the occasional deliberately cautious ECJ judgements passed in order to serve as a sedative to the growing resentment of the member states. Against this background and in light of the achieved integration level in the EU, it is absolutely vital that an ECJ independent court for competence issues be set up. The ECJ was created with the aim of providing a arbitrator to mediate in the interests of the EU and those of the member states. In assigning the ECJ with comprehensive rights of decision-making, the assumption was that they could be trusted to take on this responsibility in an unbiased way and in compliance with the rules of the judiciary. If the ECJ abuses this confidence, it need not be surprised when it breaks down. Against this background, the question the Federal Constitutional Court now has to answer regarding the Mangold Judgement is crucial: if decided in favour of the litigants, the ECJ would be restrained. This would also mean that the ECJ Judgement would not be applied in Germany so that the precedence of EU law over national law would be overturned. But this would be acceptable. Not only because the non-discrimination directive is now in force and thus the non-applicability of the ECJ Judgement would not entail any significant impacts on the legal unity in the EU, but even more because a judgement which dismissed a constitutional complaint would make it much more difficult, probably impossible, for the Federal Constitutional Court to control the ECJ in the future. It will be interesting to see what the German Federal Constitutional Court decides. Former German President Roman Herzog has acted as president of the Federal Constitutional Court of Germany and chaired the convention drafting the European Union Charter of Fundamental Right. Lüder Gerken is Director of the Centre for European Policy. COMUNICATO STAMPA DEL PARLAMENTO EUROPEO - LA CARTA UE DEI DIRITTI FONDAMENTALI: L'ESSENZA DELL'IDENTITÀ EUROPEA 12-12-2007 Alla vigilia della firma del Trattato di Lisbona, i presidenti di Parlamento, Commissione e Consiglio UE hanno firmato solennemente la Carta dei diritti fondamentali che lo stesso trattato rende vincolante. Il Presidente Pöttering ha sottolineato che, affermando la centralità della dignità umana, essa rappresenta l'essenza dell'unificazione europea e indica la via per un futuro comune di pace. Ha anche ammonito che, nella comunità di valori che è l'UE, non ci sono diritti senza doveri. «Per i cittadini oggi è un giorno di gioia» è quanto ha affermato il Presidente del Parlamento Hans-Gert Pöttering aprendo la seduta solenne dedicata alla firma della Carta dei diritti fondamentali. Cinquant'anni dopo la creazione della Comunità europea, fondata sulle rovine della seconda guerra mondiale, ha sottolineato il Presidente, «celebriamo oggi i valori comuni che sono l'essenza stessa dell'identità europea». La Carta dei diritti fondamentali, ha proseguito, «è il simbolo del cammino che ci ha portato a un'Unione dei cittadini». Essa dimostra «cha abbiano tratto la principale lezione dalla storia europea: il rispetto della dignità dell'individuo, la salvaguardia della libertà che abbiamo conquistato, della pace e 29
  • 30. DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013 della democrazia e lo Stato di diritto, sono ancora oggi il motore dell'unificazione europea». La libertà non può nascere senza il rispetto dei diritti degli altri, ha aggiunto il Presidente, e la pace non può sbocciare senza un equilibrio nella convivenza, «libertà, pace, diritto e benessere sociale, non sono possibile che assieme e non l'uno contro l'altro». Nell'Unione europea, ha aggiunto, «non è la forza che ha diritto, ma è il diritto ad avere la forza». E' questo, ha spiegato, «che conferisce alla nostra comunità di valori il suo volto moderno». Ha quindi esclamato che «solo il diritto garantisce a tutti la pace!». La caduta della cortina di ferro e l'adesione di dodici paesi all'Unione europea, ha affermato il Presidente, sono state possibili perché «il grido della libertà e della democrazia, la forza dell'esigenza di parità di diritti per tutti gli uomini, hanno vinto contro un'ideologia che disprezzava la persona umana». La Dichiarazione di Berlino, ha poi ricordato, proclama una cosa molto importante: «Noi cittadini dell'Unione europea siamo, per nostra felicità, uniti». E' infatti «per la nostra felicità», ha spiegato, «che libertà, democrazia e diritti umani per noi tutti, nell'Unione europea, sono diventati realtà». Nel proclamare solennemente la Carta, «abbiamo d'ora in avanti il grande dovere e la grande fortuna di fare capire ai 500 milioni di cittadini dell'UE e alle generazioni future, ciò che è l'essenza dell'unificazione europea». Dopo aver sottolineato che l'UE non è solamente «calcoli economici dei costi e dei benefici», ma anche una «comunità di valori»? Valori, la cui chiave di volta «è il rispetto inalienabile della dignità della persona» consacrato dall'articolo 1 della Carta, e che sono alla base dell'integrazione dell'Europa. E' per questa ragione, ha sottolineato il Presidente, che il riconoscimento, con forza vincolante, della Carta dei diritti fondamentali, «era per il Parlamento un elemento indispensabile di qualsiasi accordo sulla riforma dei trattati». E il Parlamento è riuscito a far valere la sua posizione: il riferimento alla Carta, iscritto all'articolo 6 del trattato, «le conferisce un carattere giuridicamente vincolante pari a quello del trattato stesso». L'uomo e la sua dignità, ha proseguito, «sono al centro della nostra politica» e l'UE «offre un quadro che ci permetterà di seguire la via pacifica di un futuro comune». Senza questa base chiaramente definita di valori, ha proseguito il Presidente, «l'Unione europea non ha futuro». E non avremmo «il diritto di esigere il rispetto dei diritti umani nel mondo se non riuscissimo a tradurre i nostri propri valori in diritto positivo nell'Unione europea». Come europei, ha invece insistito, «dobbiamo agire per difendere la dignità dell'uomo e il dialogo tra le culture, lo possiamo fare con la consapevolezza di ciò che siamo, ma dobbiamo farlo con una volontà indefessa: nessuno ci potrà ostacolare!». Dopo aver ricordato l'influenza svolta dal Parlamento nella definizione della Carta sin dai tempi della Convenzione, il Presidente ha sottolineato che essa consacra i diritti economici e sociali, ma anche quelli politici. Tutela inoltre i diritti fondamentali nei campi d'attività dell'UE e nell'applicazione del diritto comunitario. Grazie alla Carta, tutti i cittadini dell'Unione potranno appellarsi alla Corte di giustizia. Ha quindi auspicato che essa sarà presto applicabile in tutti gli Stati membri. A questo proposito ha lanciato un appello: «i diritti umani e i diritti fondamentali sono indivisibili, nell'interesse di tutti i cittadini dell'UE, tutti gli Stati membri dovrebbero aderire alla Carta». 30
  • 31. DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013 Il Presidente ha poi sottolineato che se, da un lato, la proclamazione della Carta conferisce ai cittadini il potere di far valere i propri diritti, dall'altro è anche l'occasione di prendere coscienza che hanno anche dei doveri nei confronti della comunità degli europei, del mondo e delle generazioni future». «Non ci sono diritti senza doveri, poiché è la solidarietà che ci unisce». Stiamo costruendo un'Unione di cittadini, ha concluso il Presidente, e la proclamazione della carta apporta all'UE fondamenta solide. Dimostra inoltre che la nostra comunità di valori «è viva e prospera». «E' una grande vittoria per i cittadini europei!». «Oggi 12 dicembre sarà d'ora in poi una data fondamentale della storia europea», ha esordito il Presidente del Consiglio José SÓCRATES, affermando che questa è la cerimonia più importante alla quale abbia partecipato in tutta la sua carriera politica. Come europeo e portoghese, si è detto quindi particolarmente onorato di firmare la Carta dei diritti fondamentali, sottolineando che è proprio sotto presidenza portoghese, nel 2000, che erano iniziati i lavori per la sua stesura. La Carta, ha proseguito, è «un impegno che contiene i valori di base della civiltà europea», facendo leva sulla dignità dell'uomo. Dopo aver ricordato che il trattato prevede l'adesione dell'UE alla Convenzione sui diritti umani del Consiglio d'Europa, il Primo ministro ha sottolineato che, a partire da oggi, i diritti fondamentali «diventano in modo irreversibile patrimonio comune della civiltà europea». Si tratta anche di un importante strumento che orienterà l'azione politica e legislativa delle istituzioni europee e dimostra ai cittadini che l'UE è al loro servizio. Prevede diritti sociali, nel campo professionale e della previdenza, è la Carta dell'uguaglianza contro ogni discriminazione, pone particolare attenzione ai bambini, agli anziani e alla parità di genere, comprende norme sui dati personali e contempla le libertà economiche. E' inoltre «fedele alla nostre tradizioni» e, in proposito, ha salutato con favore l'accordo cui è giunto il Consiglio UE sulla proclamazione di una giornata europea contro la pena di morte. La Carta, inoltre, concilia i diritti dei cittadini con quello dei singoli, toccando anche i cittadini non europei. Il Primo Ministro, sottolineando che un mondo migliore è quello dove sono rispettati questi diritti, ha poi sostenuto che la Carta è anche al servizio della politica estera europea e rappresenta «un faro per l'UE sulla scena internazionale». Con la Carta i cittadini possono riconoscersi in un'Unione che è un progetto di pace e democrazia, dove i diritti dei singoli sono rispettati. Ha quindi evidenziato che la proclamazione della Carta ha un valore giuridico preciso: con essa diventa «una legge fondamentale a vantaggio di tutti». In un mondo globalizzato «in cui molti sostengono che le regole economiche siano assolute», ha aggiunto il Primo Ministro, il riconoscimento della Carta UE è un contributo notevole alla regolamentazione della globalizzazione. Vincolando gli Stati membri e le istituzioni UE al suo rispetto, la Carta ne limita i poteri a favore dei cittadini, nel rispetto della sussidiarietà e rafforzando la natura democratica dell'Unione europea. La difesa dei diritti fondamentali, che diventa parte del «codice genetico dell'UE», dovrà essere realizzata ogni giorno, da parte degli Stati, delle Istituzioni, della società civile, delle imprese, dei sindacati e dei singoli cittadini. Si tratta di un impegno a favore del rispetto e dell'applicazione di principi nell'azione quotidiana. «Solo così saremo infatti degni delle nostre tradizioni». José Manuel Barroso, Presidente della Commissione europea, ha sottolineato anzitutto l'elevato significato della proclamazione, «che consacra la cultura dei 31
  • 32. DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA N.1 -2013 diritti dell'Unione europea». Con la firma della Carta dei diritti fondamentali, ha aggiunto, le tre Istituzioni europee ribadiscono il loro impegno e permettono di realizzare un importante passo avanti rendendola vincolante e dandole lo stesso valore giuridico dei trattati. La Carta ha aggiunto, porta concreti benefici per i cittadini, mette al centro la dignità umana e prevede le classiche libertà civili (di espressione, di religione, non discriminazione, ecc.), i diritti sociali e economici, dei lavoratori e delle parti sociali. Ma introduce anche nuovi diritti come quello alla tutela dei dati personali e quelli relativi alla bioetica. La Carta, ha proseguito, promuove l'ancoraggio dell'UE a una vera cultura dei diritti fondamentali che dovranno essere rispettati dalle Istituzioni in tutte le loro azioni. «Può sembrare facile», ha spiegato, «ma si tratta in realtà di una sfida quotidiana al fine di assicurare al meglio il rispetto delle libertà civili in tutte le politiche dell'Unione», legiferando sul mercato interno, nella gestione dell'immigrazione o negli sforzi per lottare contro il terrorismo. La Carta, ha aggiunto, è il primo documento giuridicamente vincolante prodotto a livello internazionale che raggruppi, in un testo unico, diritti politici e civici ma anche diritti economici e sociali, sottoposti allo stesso meccanismo giudiziario. Si tratta, senza dubbio, di «un successo importante di cui l'Unione deve essere orgogliosa». E' particolarmente significativo, ha poi sottolineato, che ciò sia possibile in questa nuova Europa ampliata che fu divisa da regimi totalitari e autoritari che non rispettavano i diritti umani. Un'Europa che oggi «è unita intorno ai valori della libertà e della solidarietà». Se uniamo i nostri sforzi per stimolare questa cultura dei diritti umani, «apporteremo un contributo essenziale a una vera Europa dei valori, tangibili e credibili agli occhi dei cittadini». Ha quindi concluso che, a partire da oggi, «l'Europa è ancora meglio attrezzata per vincere con successo la lotta per libertà, la pace e la democrazia». I tre presidenti hanno quindi firmato la Carta, nell'Aula è poi risuonato l'Inno europeo. BACKGROUND – STATUTO GIURIDICO E CAPITOLI DELLA CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI Il Consiglio europeo di giugno 2007 ha deciso di non includere il testo della Carta dei diritti fondamentali nel nuovo trattato. Nel mandato per la conferenza intergovernativa (CIG) era proposto solamente di farla figurare come una dichiarazione allegata al trattato. Su iniziativa dei rappresentanti del Parlamento alla CIG, invece, si è deciso di procedere a una vera e propria proclamazione solenne che è, allo stesso tempo, simbolica e formale. L'articolo del trattato che conferirà carattere giuridicamente vincolante alla Carta, infatti, farà riferimento a tale proclamazione. Il testo della Carta sarà inoltre pubblicato integralmente sulla Gazzetta Ufficiale dell'UE. In merito al suo statuto giuridico, dando seguito alle insistenze del Parlamento, i capi di Stato e di governo hanno deciso di conferire alla Carta un carattere vincolante. Le sue disposizioni si applicano quindi alle istituzioni, organi e organismi dell'Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà, come pure agli Stati membri, ma «esclusivamente nell'attuazione del diritto dell'Unione». Pertanto, questi dovranno osservarne i principi e promuoverne l'applicazione. La Carta, peraltro, «non estende l'ambito di applicazione del diritto 32