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Roma, 24 febbraio 2012
Intervento di Bernabò Bocca
Ogni anno la PricewaterhouseCoopers pubblica la classifica mondiale delle
cosiddette Città delle Opportunità. Nel 2011 se ne sono classificate 26. Cinque di
queste sono europee. Indovinate quante italiane. Nessuna.
Londra, Parigi, Berlino, Stoccolma e Madrid, a seconda del filtro per cui è possibile
impostare la ricerca, si classificano mediamente tra il primo e il decimo posto.
In particolare, se il nostro criterio di ricerca si focalizza sulla chiave “vivacità
culturale” (“cultural vibrancy”), Londra, Berlino e Parigi si attestano ai primissimi
posti (ai livelli di New York, Los Angeles e Tokyo), e solo poco più in basso si
classifica Madrid.
Se poi incrociamo questi dati con gli ultimi relativi alle 10 principali destinazioni
internazionali (2009/2010), scopriamo che essi si combinano in modo piuttosto
rivelatore: Londra e Parigi sono rispettivamente al primo e secondo posto, mentre
Berlino, al settimo posto, ha, però, un tasso di crescita di pernottamenti del 15%,
uguale a quello di Madrid, classificata all’8° posto.
In questa classifica, l’unica città italiana è Roma, che si classifica al terza posto, ma
ad una distanza significativa dalle prime due (circa 20 milioni di pernottamenti in
meno rispetto a Londra e 10 rispetto a Parigi), seguita, invece, a pochissima distanza
dalle successive, e con un tasso di crescita dei pernottamenti in genere decisamente
più basso rispetto a Barcellona (4° classificata), e alle già citate Berlino e Madrid.
2
Ancora: nella classifica del WTO per arrivi internazionali datata al 2011, l’Italia si
riconferma al quinto posto rispetto all’anno precedente, dopo Francia, Usa, Cina e
Spagna, senza nessuna variazione percentuale significativa (un + 0,9%). Tutto questo
tenendo conto del fatto che, malgrado un generale trend di viaggi e vacanze
decrescente nel 2011, le mete prescelte nel II semestre di quello stesso anno sono
state principalmente quelle balneari (47,4%) e le città di interesse culturale (29,5%).
In sintesi, potremmo dire che, malgrado le nostre città abbiano un grandissimo
potenziale in termini di offerta culturale e paesaggistica pressoché unica al mondo,
esse non sono state ancora in grado di sfruttarlo appieno.
Se guardiamo al nostro Paese, la prima cosa che viene in mente quando si pensa al
ruolo che la Cultura può rivestire nello sviluppo urbano, sono i processi di
valorizzazione legati al nostro patrimonio artistico e culturale, importante non tanto
per la sua entità quanto per la continuità e l’intreccio con il contesto territoriale e
antropico del Paese. A differenza di quanto avviene spesso in altri paesi, in cui le
stesse realtà risultano isolate dai contesti che li circondano, la Cultura fa parte, da
sempre, della nostra esperienza quotidiana, è inclusa nei percorsi di vita e lavorativi
dei cittadini e, insieme alla straordinaria creatività diffusa, rappresenta il brand che ci
contraddistingue nel mondo.
Possibilità e risorse in ambito culturale, quindi, non sembrano mancare;
rappresentano il Capitale che potrebbe permettere alle nostre città di perseguire
quello sviluppo “ottimale” rappresentato da una sinergica combinazione di elementi:
ricchezza, equità, sostenibilità e istruzione.
Eppure l’Italia non sembra voler cogliere questa opportunità, e porre la Cultura al
centro delle linee di governo più innovative che un’amministrazione, a qualsiasi
livello, voglia mettere in atto. Per far questo occorre un discorso complessivo di
3
contesto, di strategia e di creazione di sinergie; se non si riesce ad aggregare il
territorio, a costruire una vera progettualità, a coniugare identità e innovazione, non ci
sarà strumento che tenga.
Allora preme ricordare ancora e con forza che oggi si inaugura la stagione delle
occasioni e delle scelte: a livello nazionale, ma anche internazionale, tutto sembra
dire che è arrivato il momento di affrontare e gestire il cambiamento, trovando
soluzioni innovative, sostenibili, e, soprattutto, realmente alternative alla vecchia
economia.
I dati più recenti sono chiari: i principali settori produttivi sono in netto calo
dovunque in Europa.
Valgano per tutti quello manifatturiero, e quello delle costruzioni. In termini di
occupati, solo in Italia, e solo nell’anno 2008/2009, si è avuta una contrazione del
5,4% nelle industrie manifatturiere, e del 5% nel settore delle costruzioni; mentre, in
termini di numero di imprese, nello stesso periodo, si tratta rispettivamente di un -
4,5% e di un – 1,8%.
Una piccola, buona notizia, in questo panorama fosco ci sarebbe: in base ad alcune
elaborazioni condotte dal nostro Centro Studi su una base di dati forniti dall’Istat,
risulta che le industrie del settore culturale e creativo, seppure sottodimensionate
rispetto alle potenzialità del settore, stanno risentendo meno degli effetti della crisi
(con un – 1,6%) rispetto all’insieme delle attività economiche (che registrano un –
2,5%).
Potrà apparire una banalità, e noi di Civita, che di questo parliamo da 25 anni, siamo
convinti che lo sia; eppure sembrano essere in pochi ad essersi accorti davvero, fino
alle dirette conseguenze concrete, che è proprio questo il nostro spazio di crescita:
4
l’industria culturale e creativa, con i suoi risvolti turistico-economici, sociali, di
qualità della vita e di posizionamento a livello internazionale.
Per questo abbiamo deciso di tentare un percorso più metodico rispetto al prendere
semplicemente posizioni di principio, e di condurre un’indagine specifica sulle
politiche culturali adottate in alcune città italiane di diverse dimensioni e confrontate
con città straniere commensurabili, nel tentativo di fornire alcune indicazioni di
carattere politico ed economico di massima che poggiassero su buone prassi reali, e
in costante evoluzione.
Solo per inciso, mi sia permesso di ricordare che, nel fare questo, abbiamo voluto
dare seguito a una delle ultime provocazioni lanciateci da Gianfranco Imperatori, cui
l’incontro di oggi, e la nostra ricerca, sono dedicati. Fino all’ultimo, egli è stato
curioso di capire se, come e in quale misura la Cultura potesse e dovesse entrare nei
processi di sviluppo delle cosiddette città del futuro, tra crescita e ridefinizione
urbana, destinazione d’uso dei territori, riqualificazione, integrazione sociale e qualità
della vita per le aree più depresse.
Non entrerò nei dettagli di carattere tecnico, che saranno oggetto delle fasi successive
del nostro incontro. A questo proposito, piuttosto, credo sia opportuno ringraziare
pubblicamente il gruppo di lavoro del Centro Studi dell’Associazione Civita, guidato
dal professor Pietro Valentino e dal professor Marco Cammelli nella conduzione del
lavoro di indagine che sta alla base del nostro Rapporto; vorrei anche rivolgere un
segno di profonda gratitudine a chi, sotto diverse forme, ha reso possibile lo
svolgimento, la pubblicazione e la presentazione di questo volume, e dunque l’arch.
Pio Baldi, la Fondazione di Venezia e Axart. E non da ultimo, per la sua amicizia,
Antonello Piroso, che, con la sagacia e la sensibilità che tutti gli riconosciamo,
condurrà il dibattito tra i tre prestigiosi Primi Cittadini che interverranno nella fase
5
conclusiva di questo incontro. Un caloroso ringraziamento anche a loro per la grande
disponibilità.
Pur non volendomi addentrare negli aspetti più specifici, quindi, i dati ricordati in
apertura sembrano già promettere un lieto fine; a condizione che si tengano presenti
alcuni, fondamentali presupposti, che mi permetto di anticipare in una forma
sintetica, ma che inevitabilmente costituiranno il filo conduttore di tutta questa
mattinata di lavori:
1) a livello generale, garantire maggiore fluidità, sinergia e programmaticità al
rapporto tra amministrazioni pubbliche centrali e periferiche;
2) in ambito più specificatamente comunale, si tratta di definire modalità di governo e
strumenti di governance nuovi, tra cui il piano strategico integrato sembra assumere
un’importanza primaria;
3) le politiche culturali vanno pensate come parte integrante di una strategia
complessiva, nell’ottica di un sistema di governance a rete che coinvolga tutto il
tessuto sociale, dai vari livelli dell’amministrazione, alle Università fino alle
associazioni di cittadini per una condivisione allargata e quanto più corale delle
iniziative da perseguire, anche e soprattutto in chiave culturale;
4) a fronte delle contrazioni statali negli investimenti, e della riduzione delle capacità
di finanziamento pubblico, il ricorso ad un rapporto con il settore privato
(associazioni, fondazioni, imprese ecc.), in materia di produzione, tutela,
valorizzazione e gestione del patrimonio culturale, appare quanto mai necessario.
Pochi giorni fa abbiamo lanciato una campagna sul nostro spazio facebook legata ai
temi di questo Rapporto, chiedendo ai nostri “amici” quali fossero le caratteristiche
della loro personale città ideale. Chi ci ha risposto sogna città prevalentemente
sostenibili, dove gli spazi urbani siano restituiti ai cittadini, l’offerta culturale sia
6
adeguata agli standard internazionali, il sistema dei trasporti sia capillare e
funzionale.
Aprendo l’Etica Nicomachea, Aristotele sostiene che “la politica determina quali
scienze sono necessarie nelle città …”.
Noi crediamo che, nell’era in cui viviamo, chi amministra la politica debba
necessariamente far rientrare la Cultura tra queste scienze, e che anzi essa costituisca
l’asset strategico che amministrazioni locali e centrali dovrebbero adottare per
rispondere alle esigenze della modernità, a qualsiasi latitudine.
Se la società civile e le istituzioni avranno voglia di mettersi realmente insieme per
condividere questa sfida, non sarà del tutto persa l’occasione di cavalcare la
trasformazione in atto, senza correre il rischio di venirne travolti.

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IX Rapporto Civita Citymorphosis 2012

  • 1. 1 Roma, 24 febbraio 2012 Intervento di Bernabò Bocca Ogni anno la PricewaterhouseCoopers pubblica la classifica mondiale delle cosiddette Città delle Opportunità. Nel 2011 se ne sono classificate 26. Cinque di queste sono europee. Indovinate quante italiane. Nessuna. Londra, Parigi, Berlino, Stoccolma e Madrid, a seconda del filtro per cui è possibile impostare la ricerca, si classificano mediamente tra il primo e il decimo posto. In particolare, se il nostro criterio di ricerca si focalizza sulla chiave “vivacità culturale” (“cultural vibrancy”), Londra, Berlino e Parigi si attestano ai primissimi posti (ai livelli di New York, Los Angeles e Tokyo), e solo poco più in basso si classifica Madrid. Se poi incrociamo questi dati con gli ultimi relativi alle 10 principali destinazioni internazionali (2009/2010), scopriamo che essi si combinano in modo piuttosto rivelatore: Londra e Parigi sono rispettivamente al primo e secondo posto, mentre Berlino, al settimo posto, ha, però, un tasso di crescita di pernottamenti del 15%, uguale a quello di Madrid, classificata all’8° posto. In questa classifica, l’unica città italiana è Roma, che si classifica al terza posto, ma ad una distanza significativa dalle prime due (circa 20 milioni di pernottamenti in meno rispetto a Londra e 10 rispetto a Parigi), seguita, invece, a pochissima distanza dalle successive, e con un tasso di crescita dei pernottamenti in genere decisamente più basso rispetto a Barcellona (4° classificata), e alle già citate Berlino e Madrid.
  • 2. 2 Ancora: nella classifica del WTO per arrivi internazionali datata al 2011, l’Italia si riconferma al quinto posto rispetto all’anno precedente, dopo Francia, Usa, Cina e Spagna, senza nessuna variazione percentuale significativa (un + 0,9%). Tutto questo tenendo conto del fatto che, malgrado un generale trend di viaggi e vacanze decrescente nel 2011, le mete prescelte nel II semestre di quello stesso anno sono state principalmente quelle balneari (47,4%) e le città di interesse culturale (29,5%). In sintesi, potremmo dire che, malgrado le nostre città abbiano un grandissimo potenziale in termini di offerta culturale e paesaggistica pressoché unica al mondo, esse non sono state ancora in grado di sfruttarlo appieno. Se guardiamo al nostro Paese, la prima cosa che viene in mente quando si pensa al ruolo che la Cultura può rivestire nello sviluppo urbano, sono i processi di valorizzazione legati al nostro patrimonio artistico e culturale, importante non tanto per la sua entità quanto per la continuità e l’intreccio con il contesto territoriale e antropico del Paese. A differenza di quanto avviene spesso in altri paesi, in cui le stesse realtà risultano isolate dai contesti che li circondano, la Cultura fa parte, da sempre, della nostra esperienza quotidiana, è inclusa nei percorsi di vita e lavorativi dei cittadini e, insieme alla straordinaria creatività diffusa, rappresenta il brand che ci contraddistingue nel mondo. Possibilità e risorse in ambito culturale, quindi, non sembrano mancare; rappresentano il Capitale che potrebbe permettere alle nostre città di perseguire quello sviluppo “ottimale” rappresentato da una sinergica combinazione di elementi: ricchezza, equità, sostenibilità e istruzione. Eppure l’Italia non sembra voler cogliere questa opportunità, e porre la Cultura al centro delle linee di governo più innovative che un’amministrazione, a qualsiasi livello, voglia mettere in atto. Per far questo occorre un discorso complessivo di
  • 3. 3 contesto, di strategia e di creazione di sinergie; se non si riesce ad aggregare il territorio, a costruire una vera progettualità, a coniugare identità e innovazione, non ci sarà strumento che tenga. Allora preme ricordare ancora e con forza che oggi si inaugura la stagione delle occasioni e delle scelte: a livello nazionale, ma anche internazionale, tutto sembra dire che è arrivato il momento di affrontare e gestire il cambiamento, trovando soluzioni innovative, sostenibili, e, soprattutto, realmente alternative alla vecchia economia. I dati più recenti sono chiari: i principali settori produttivi sono in netto calo dovunque in Europa. Valgano per tutti quello manifatturiero, e quello delle costruzioni. In termini di occupati, solo in Italia, e solo nell’anno 2008/2009, si è avuta una contrazione del 5,4% nelle industrie manifatturiere, e del 5% nel settore delle costruzioni; mentre, in termini di numero di imprese, nello stesso periodo, si tratta rispettivamente di un - 4,5% e di un – 1,8%. Una piccola, buona notizia, in questo panorama fosco ci sarebbe: in base ad alcune elaborazioni condotte dal nostro Centro Studi su una base di dati forniti dall’Istat, risulta che le industrie del settore culturale e creativo, seppure sottodimensionate rispetto alle potenzialità del settore, stanno risentendo meno degli effetti della crisi (con un – 1,6%) rispetto all’insieme delle attività economiche (che registrano un – 2,5%). Potrà apparire una banalità, e noi di Civita, che di questo parliamo da 25 anni, siamo convinti che lo sia; eppure sembrano essere in pochi ad essersi accorti davvero, fino alle dirette conseguenze concrete, che è proprio questo il nostro spazio di crescita:
  • 4. 4 l’industria culturale e creativa, con i suoi risvolti turistico-economici, sociali, di qualità della vita e di posizionamento a livello internazionale. Per questo abbiamo deciso di tentare un percorso più metodico rispetto al prendere semplicemente posizioni di principio, e di condurre un’indagine specifica sulle politiche culturali adottate in alcune città italiane di diverse dimensioni e confrontate con città straniere commensurabili, nel tentativo di fornire alcune indicazioni di carattere politico ed economico di massima che poggiassero su buone prassi reali, e in costante evoluzione. Solo per inciso, mi sia permesso di ricordare che, nel fare questo, abbiamo voluto dare seguito a una delle ultime provocazioni lanciateci da Gianfranco Imperatori, cui l’incontro di oggi, e la nostra ricerca, sono dedicati. Fino all’ultimo, egli è stato curioso di capire se, come e in quale misura la Cultura potesse e dovesse entrare nei processi di sviluppo delle cosiddette città del futuro, tra crescita e ridefinizione urbana, destinazione d’uso dei territori, riqualificazione, integrazione sociale e qualità della vita per le aree più depresse. Non entrerò nei dettagli di carattere tecnico, che saranno oggetto delle fasi successive del nostro incontro. A questo proposito, piuttosto, credo sia opportuno ringraziare pubblicamente il gruppo di lavoro del Centro Studi dell’Associazione Civita, guidato dal professor Pietro Valentino e dal professor Marco Cammelli nella conduzione del lavoro di indagine che sta alla base del nostro Rapporto; vorrei anche rivolgere un segno di profonda gratitudine a chi, sotto diverse forme, ha reso possibile lo svolgimento, la pubblicazione e la presentazione di questo volume, e dunque l’arch. Pio Baldi, la Fondazione di Venezia e Axart. E non da ultimo, per la sua amicizia, Antonello Piroso, che, con la sagacia e la sensibilità che tutti gli riconosciamo, condurrà il dibattito tra i tre prestigiosi Primi Cittadini che interverranno nella fase
  • 5. 5 conclusiva di questo incontro. Un caloroso ringraziamento anche a loro per la grande disponibilità. Pur non volendomi addentrare negli aspetti più specifici, quindi, i dati ricordati in apertura sembrano già promettere un lieto fine; a condizione che si tengano presenti alcuni, fondamentali presupposti, che mi permetto di anticipare in una forma sintetica, ma che inevitabilmente costituiranno il filo conduttore di tutta questa mattinata di lavori: 1) a livello generale, garantire maggiore fluidità, sinergia e programmaticità al rapporto tra amministrazioni pubbliche centrali e periferiche; 2) in ambito più specificatamente comunale, si tratta di definire modalità di governo e strumenti di governance nuovi, tra cui il piano strategico integrato sembra assumere un’importanza primaria; 3) le politiche culturali vanno pensate come parte integrante di una strategia complessiva, nell’ottica di un sistema di governance a rete che coinvolga tutto il tessuto sociale, dai vari livelli dell’amministrazione, alle Università fino alle associazioni di cittadini per una condivisione allargata e quanto più corale delle iniziative da perseguire, anche e soprattutto in chiave culturale; 4) a fronte delle contrazioni statali negli investimenti, e della riduzione delle capacità di finanziamento pubblico, il ricorso ad un rapporto con il settore privato (associazioni, fondazioni, imprese ecc.), in materia di produzione, tutela, valorizzazione e gestione del patrimonio culturale, appare quanto mai necessario. Pochi giorni fa abbiamo lanciato una campagna sul nostro spazio facebook legata ai temi di questo Rapporto, chiedendo ai nostri “amici” quali fossero le caratteristiche della loro personale città ideale. Chi ci ha risposto sogna città prevalentemente sostenibili, dove gli spazi urbani siano restituiti ai cittadini, l’offerta culturale sia
  • 6. 6 adeguata agli standard internazionali, il sistema dei trasporti sia capillare e funzionale. Aprendo l’Etica Nicomachea, Aristotele sostiene che “la politica determina quali scienze sono necessarie nelle città …”. Noi crediamo che, nell’era in cui viviamo, chi amministra la politica debba necessariamente far rientrare la Cultura tra queste scienze, e che anzi essa costituisca l’asset strategico che amministrazioni locali e centrali dovrebbero adottare per rispondere alle esigenze della modernità, a qualsiasi latitudine. Se la società civile e le istituzioni avranno voglia di mettersi realmente insieme per condividere questa sfida, non sarà del tutto persa l’occasione di cavalcare la trasformazione in atto, senza correre il rischio di venirne travolti.