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Osservatorio veDrò Imprese: output mid-term 2012/2013

        Fotografia dell’impresa che cambia: export, internazionalizzazione, competitività

                                                    Roma,


Come si stanno riorganizzando le imprese italiane nella stagione della crisi? E quale ruolo è chiamato a
svolgere il sistema bancario, in un disegno di riqualificazione del nostro apparato produttivo che segua le
direttrici dello sviluppo e dell’internazionalizzazione? L'Osservatorio veDrò imprese ha dedicato a questo tema
l’incontro di presentazione del suo rapporto di mid-term sullo stato di salute del sistema imprenditoriale.
Un’istantanea che ha rivelato elementi di continuità ma anche inediti spunti di riflessione rispetto al focus sul
settore manifatturiero, presentato durante veDrò2012.

“Le imprese cambiano, protagoniste di una trasformazione accelerata dalla crisi ma senza dubbio
preesistente” spiega Marco Zanotelli, docente di Econometria all'Università di Milano e direttore
dell'Osservatorio. “In particolare, si riducono le distanze tra le diverse tipologie di impresa in una direzione
favorevole alla media grandezza, soluzione che rappresenta probabilmente il futuro dell’attività
industrializzata”. Parallelamente, nel tessuto produttivo italiano si stabiliscono nuovi reticoli, che alterano le
precedenti linee di demarcazione, anche di tipo territoriale: “è l'esaurimento del capitalismo molecolare –
ricorda Zanotelli – un fenomeno che pur non traducendosi nella fine delle piccole realtà, pone una grossa
ipoteca sulla sostenibilità delle formule tradizionali del fare impresa”. Estranee, cioè, a una filosofia basata
sulla costruzione delle reti, sul superamento dei limiti dimensionali e su una declinazione consorziale
dell’attività.

Nel nuovo paradigma tutto si trasforma: il modo di produrre, la morfologia della filiera, la geografia industriale
di un sistema, che, come testimonia il rapporto di mid-term, evidenzia un’inaspettata energia. “Abbiamo
174mila pionieri che nonostante le difficoltà decidono di investire, sono numeri che non ha nemmeno
l’Inghilterra. Il settore nel 2012 sta tenendo: non solo per ciò che riguarda il credito e le assicurazioni, ma
anche con riferimento all’industria in senso stretto. Diverso invece il discorso sull’edilizia, comparto in cui
assistiamo a una pesante contrazione”. Significativi anche i dati sulla mobilità, dove tanto i dati del turnover
complessivo dei posti di lavoro, quanto quelli tra associazioni e separazioni mostrano un buon grado di
dinamismo.

In questo contesto, l’interrogativo sul potenziale di sviluppo del sistema non può eludere la questione delle
risorse per gli investimenti. Il tema dell’accesso al credito occupa costantemente cronache e analisi delle
maggiori testate ma raramente è inquadrato in una prospettiva completa e articolata. Come sostiene Zanotelli,
“l'approccio deve essere sostanzialmente rovesciato: l’imprenditore non deve concepire il proposito di
chiedere i soldi alla banca, ma quello di indurre quest’ultima a credere di poter concludere un accordo
vantaggioso”. Una possibilità realizzabile solo a patto che l’imprenditore disponga di un piano affidabile e
persuasivo, comprensivo cioè di parametri e indicatori utili a illustrare compiutamente la prospettiva
dell’azienda. “Cosa che avviene davvero di rado – conclude il direttore dell’Osservatorio – e che indica quale
sia uno dei versanti su cui lavorare con maggiore attenzione”.

Il sistema bancario, d’altronde, è restio ad accettare indiscriminatamente capi di imputazione sullo stato delle
cose. “Il settore – spiega Alessandro Cataldo, responsabile Corporate Banking Italy Network-UniCredit – ha
guadagnato molto in passato, è vero, ma oggi la crisi la sta pagando. E UniCredit l'anno scorso ha avuto un
funding gap di 120 miliardi di euro, a dimostrazione del fatto che investe più di quanto raccolga”. Progetti,
crescita e opportunità, d’altronde, sono merce ormai piuttosto rara. “Le richieste di finanziamento – aggiunge
Cataldo – fanno riferimento a interventi di ristrutturazione sempre più sul pregresso. Evidentemente, se
cessiamo di fare credito ipotechiamo il nostro futuro. Ma è anche necessario farlo in maniera professionale:
non seguendo una logica mutualistica o a pioggia, bensì mettendo l'azienda in condizione di ripartire”.

La logica è in insomma quella di sostenere il soggetto in difficoltà se dimostra, superata la fase più acuta della
crisi, di poter camminare con le proprie gambe: una dote, questa, che può essere favorita dall’assunzione di
una visuale “allargata” nel modello di fare impresa”. L'Italia che noi vediamo quotidianamente – aggiunge il
manager UniCredit – è un Paese a due velocità: ci confrontiamo cioè con realtà che soffrono tantissimo,
soprattutto se al servizio della domanda interna, e con una minoranza di soggetti che essendosi dati una
mission di tipo internazionale, subiscono la crisi ma a ritmi diversi. Alcuni hanno raggiunto perfino delle buone
crescite”.

Ma come si guadagna la capacità di competere sui mercati esteri per aprire, eventualmente, nuovi segmenti e
canali per l’export? Tra gli interventi dei partecipanti quello di Isabella Falautano, responsabile fondazioni e
associazioni internazionali per veDrò, individua lucidamente alcune priorità, “È urgente che l’Italia rilanci una
politica industriale diversa e moderna – spiega Falautano – e che concepisca l'ancoraggio ai mercati esteri
non solo in termini di export, ma anche come internazionalizzazione attiva, cioè come presenza con
investimenti diretti esteri in mercati di sbocco nuovi”.

E se la tendenza delle imprese a contare su finanziamenti a pioggia è il riflesso di una mentalità diffusa,
presente specularmente anche nelle istituzioni attraverso ad esempio politiche di incentivi prive di qualsiasi
elemento strategico, la responsabile fondazioni di veDrò sottolinea l’importanza di altri dimensioni di valore.
Innanzitutto quello della “cultura”, da intendersi sia come patrimonio materiale che come concettualizzazione
di una visione e di una progettualità condivise. “La proiezione verso l’estero non può essere perseguita senza
l’internazionalizzazione del capitale umano. Un'impresa è fatta di persone: cambiarne la mentalità,
arricchendola, è essenziale. Infine, impariamo a raccontarci meglio all'estero, valorizzando con uno storytelling
efficace le nostre eccellenze e capacità”.

E il prossimo anno l’Osservatorio entrerà proprio nelle pieghe di questo cambiamento, spostando la propria
attenzione su due oggetti di analisi fortemente connotati in termini di contemporaneità: la galassia delle start-
up, le cosiddette avanguardie, e il mondo delle “imprese di necessità”. Quelle imprese eredità della crisi
realizzate da chi, dopo avere perso il lavoro, ha deciso di avviare una propria attività produttiva. Giocando
sulla capacità di rinnovarsi, fino a re-inventarsi, una personale e coraggiosa scommessa.

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veDrò Imprese - Report output midterm 2012/2013

  • 1. Osservatorio veDrò Imprese: output mid-term 2012/2013 Fotografia dell’impresa che cambia: export, internazionalizzazione, competitività Roma, Come si stanno riorganizzando le imprese italiane nella stagione della crisi? E quale ruolo è chiamato a svolgere il sistema bancario, in un disegno di riqualificazione del nostro apparato produttivo che segua le direttrici dello sviluppo e dell’internazionalizzazione? L'Osservatorio veDrò imprese ha dedicato a questo tema l’incontro di presentazione del suo rapporto di mid-term sullo stato di salute del sistema imprenditoriale. Un’istantanea che ha rivelato elementi di continuità ma anche inediti spunti di riflessione rispetto al focus sul settore manifatturiero, presentato durante veDrò2012. “Le imprese cambiano, protagoniste di una trasformazione accelerata dalla crisi ma senza dubbio preesistente” spiega Marco Zanotelli, docente di Econometria all'Università di Milano e direttore dell'Osservatorio. “In particolare, si riducono le distanze tra le diverse tipologie di impresa in una direzione favorevole alla media grandezza, soluzione che rappresenta probabilmente il futuro dell’attività industrializzata”. Parallelamente, nel tessuto produttivo italiano si stabiliscono nuovi reticoli, che alterano le precedenti linee di demarcazione, anche di tipo territoriale: “è l'esaurimento del capitalismo molecolare – ricorda Zanotelli – un fenomeno che pur non traducendosi nella fine delle piccole realtà, pone una grossa ipoteca sulla sostenibilità delle formule tradizionali del fare impresa”. Estranee, cioè, a una filosofia basata sulla costruzione delle reti, sul superamento dei limiti dimensionali e su una declinazione consorziale dell’attività. Nel nuovo paradigma tutto si trasforma: il modo di produrre, la morfologia della filiera, la geografia industriale di un sistema, che, come testimonia il rapporto di mid-term, evidenzia un’inaspettata energia. “Abbiamo 174mila pionieri che nonostante le difficoltà decidono di investire, sono numeri che non ha nemmeno l’Inghilterra. Il settore nel 2012 sta tenendo: non solo per ciò che riguarda il credito e le assicurazioni, ma anche con riferimento all’industria in senso stretto. Diverso invece il discorso sull’edilizia, comparto in cui assistiamo a una pesante contrazione”. Significativi anche i dati sulla mobilità, dove tanto i dati del turnover complessivo dei posti di lavoro, quanto quelli tra associazioni e separazioni mostrano un buon grado di dinamismo. In questo contesto, l’interrogativo sul potenziale di sviluppo del sistema non può eludere la questione delle risorse per gli investimenti. Il tema dell’accesso al credito occupa costantemente cronache e analisi delle maggiori testate ma raramente è inquadrato in una prospettiva completa e articolata. Come sostiene Zanotelli, “l'approccio deve essere sostanzialmente rovesciato: l’imprenditore non deve concepire il proposito di chiedere i soldi alla banca, ma quello di indurre quest’ultima a credere di poter concludere un accordo vantaggioso”. Una possibilità realizzabile solo a patto che l’imprenditore disponga di un piano affidabile e persuasivo, comprensivo cioè di parametri e indicatori utili a illustrare compiutamente la prospettiva dell’azienda. “Cosa che avviene davvero di rado – conclude il direttore dell’Osservatorio – e che indica quale sia uno dei versanti su cui lavorare con maggiore attenzione”. Il sistema bancario, d’altronde, è restio ad accettare indiscriminatamente capi di imputazione sullo stato delle cose. “Il settore – spiega Alessandro Cataldo, responsabile Corporate Banking Italy Network-UniCredit – ha
  • 2. guadagnato molto in passato, è vero, ma oggi la crisi la sta pagando. E UniCredit l'anno scorso ha avuto un funding gap di 120 miliardi di euro, a dimostrazione del fatto che investe più di quanto raccolga”. Progetti, crescita e opportunità, d’altronde, sono merce ormai piuttosto rara. “Le richieste di finanziamento – aggiunge Cataldo – fanno riferimento a interventi di ristrutturazione sempre più sul pregresso. Evidentemente, se cessiamo di fare credito ipotechiamo il nostro futuro. Ma è anche necessario farlo in maniera professionale: non seguendo una logica mutualistica o a pioggia, bensì mettendo l'azienda in condizione di ripartire”. La logica è in insomma quella di sostenere il soggetto in difficoltà se dimostra, superata la fase più acuta della crisi, di poter camminare con le proprie gambe: una dote, questa, che può essere favorita dall’assunzione di una visuale “allargata” nel modello di fare impresa”. L'Italia che noi vediamo quotidianamente – aggiunge il manager UniCredit – è un Paese a due velocità: ci confrontiamo cioè con realtà che soffrono tantissimo, soprattutto se al servizio della domanda interna, e con una minoranza di soggetti che essendosi dati una mission di tipo internazionale, subiscono la crisi ma a ritmi diversi. Alcuni hanno raggiunto perfino delle buone crescite”. Ma come si guadagna la capacità di competere sui mercati esteri per aprire, eventualmente, nuovi segmenti e canali per l’export? Tra gli interventi dei partecipanti quello di Isabella Falautano, responsabile fondazioni e associazioni internazionali per veDrò, individua lucidamente alcune priorità, “È urgente che l’Italia rilanci una politica industriale diversa e moderna – spiega Falautano – e che concepisca l'ancoraggio ai mercati esteri non solo in termini di export, ma anche come internazionalizzazione attiva, cioè come presenza con investimenti diretti esteri in mercati di sbocco nuovi”. E se la tendenza delle imprese a contare su finanziamenti a pioggia è il riflesso di una mentalità diffusa, presente specularmente anche nelle istituzioni attraverso ad esempio politiche di incentivi prive di qualsiasi elemento strategico, la responsabile fondazioni di veDrò sottolinea l’importanza di altri dimensioni di valore. Innanzitutto quello della “cultura”, da intendersi sia come patrimonio materiale che come concettualizzazione di una visione e di una progettualità condivise. “La proiezione verso l’estero non può essere perseguita senza l’internazionalizzazione del capitale umano. Un'impresa è fatta di persone: cambiarne la mentalità, arricchendola, è essenziale. Infine, impariamo a raccontarci meglio all'estero, valorizzando con uno storytelling efficace le nostre eccellenze e capacità”. E il prossimo anno l’Osservatorio entrerà proprio nelle pieghe di questo cambiamento, spostando la propria attenzione su due oggetti di analisi fortemente connotati in termini di contemporaneità: la galassia delle start- up, le cosiddette avanguardie, e il mondo delle “imprese di necessità”. Quelle imprese eredità della crisi realizzate da chi, dopo avere perso il lavoro, ha deciso di avviare una propria attività produttiva. Giocando sulla capacità di rinnovarsi, fino a re-inventarsi, una personale e coraggiosa scommessa.