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"Ecosistemi Aperti”
     Dai mobile stores alle piattaforme di social network, ”- il business digitale diventa
                                        free...mium"

A partire dal 2008 ambienti come Facebook, Myspace, Apple App Store, Google Android,
Nokia Ovi hanno fatto breccia nelle case di milioni di persone nel mondo generando, di
conseguenza, una massiccia attenzione mediatica. Le piattaforme citate, insieme a molte
altre già disponibili o in lancio, rientrano nell’ambito degli Ecosistemi Aperti, ovvero spazi
digitali (online e/o mobile) dove l’utente entra per condividere, socializzare/personalizzare
creando un bacino estremamente appetibile per tutte quelle aziende che intendano
distribuire un contenuto/servizio senza barriere di ingresso e contrattuali.
Provando a dare una inquadratura metodologica, gli Ecosistemi Aperti si reggono su tre
pilastri con una duplice chiave di lettura, lato utente e lato impresa.

Globalizzazione: gli utenti possono interagire con applicazioni prodotte in ogni parte del
mondo, superando i confini nazionali tipici di altri seller digitali. Le aziende devono
immediatamente confrontarsi con un pubblico mondiale rendendo il progetto
immediatamente adattabile ed appetibile a gusti estremamente diversificati.

“Less is More”: agli utenti deve essere garantita facilità di apprendimento, usufruizione
immediata e gratificazione istantanea in un ambiente, spesso, amicale. Per le aziende il
contenuto è ora contestualizzato nell’ambiente e nel realizzarlo bisogna basarsi su fattori
quali viralità, immediatezza e “one touch gameplay”

Business Model: gli utenti sono attratti dalla iniziale ed apparente gratuità dei prodotti,
istintivamente cannibalizzano tutto, provano e sperimentano rimanendo fidelizzati nel
tempo solo ai prodotti più meritevoli. Le aziende si confrontano, spesso per la prima volta,
con il modello Freemium. Non sarà più la forza vendita a dettare modi e tempi al reparto
sviluppo, ma la stessa evoluzione del contenuto richiederà un progressivo adattamento
delle strategie di monetizzazione

Proprio quest’ultimo aspetto, merita una attenzione diffusa in virtù di nuovi modelli di
monetizzazione che stanno rivoluzionando il concetto tradizionale di “pay per download”.
Navigando su Facebook o Flirtmatic (un social network votato al dating) spesso ci si
imbatte in “virtual gifts”, regali virtuali che gli utenti possono spedire reciprocamente in
segno di amicizia, affetto, status symbol o flirt. Nell’applicazione per Facebook “Birthday
Cards”, la ricorrenza del compleanno viene scandita attraverso la scelta e l’invio di una
immagine virtuale, sia esso un cocktail piuttosto che un orsetto, generalmente ad un
prezzo vicino al dollaro. Per capire l’entità del fenomeno, basti considerare che il 10%(1)
del fatturato complessivo 2008 di Facebook è stato generato proprio dai virtual gifts.

L’elemento di generosità trova il suo radicamento in un ulteriore business model, “virtual
charity” già utilizzato sia attraverso servizi “stand alone” sia come meccanica interna ad
altre tipologie. Causes è l’applicazione numero due su Facebook, ben 35 milioni di utenti
attivi mensili vi entrano per iscriversi ad una delle duecentomila cause umanitarie,
condividere informazioni e donare denaro reale. In poco tempo è stata donata una
somma superiore al milione di dollari, ed il gruppo più gettonato è stato “Students for a
Free Tibet”. Solo una parte delle somme raccolte viene devoluta come ben evidenziato in
“Farmville”, applicazione numero uno su Facebook con oltre 60 milioni di MAU. In questo
gioco è stata lanciata una campagna speciale a favore della popolazione di Haiti, gli
agricoltori virtuali venivano invitati ad acquistare piante di patate dolci ed il 50% della
micron transazione devoluta ad enti umanitari. In un mese di iniziativa, sono stati donati
$487,500 ed altrettanti nelle tasche di Zynga, start up americana nata due anni fa per
sviluppare in ambito ecosistemi aperti e che si appresta a chiudere il bilancio 2009 con un
fatturato di circa $150 milioni.

In Sorority Life, una community femminile realizzata da Playdom, l’elemento di
personalizzazione e decorazione dei propri spazi è il cardine per comprendere l’acquisto di
“Virtual Goods”, oggetti virtuali come capi di abbigliamento o suppellettili per il proprio
appartamento. Recentemente gli stessi utenti hanno richiesto una Wolksvagen Beetle di
colore rosa e l’azienda l’ha inserita tra gli oggetti acquistabili generando oltre $100.000
dollari nei primi due giorni di disponibilità. I virtual goods spesso sono ad edizione limitata
o in tema con un particolare periodo dell’anno. Lo scorso Natale, Playfish ha introdotto
alberi ed ornamenti natalizi nel suo mondo virtuale “Pet Society”. Gli utenti hanno risposto
acquistando circa 20 milioni di oggetti, ad un prezzo variabile dal free ai 2 dollari. Se per
molti potranno sembrare numeri ingiustificati, la ragione di questo successo risiede nella
possibilità di far ammirare siffatti status symbol virtuali ad un bacino di migliaia di amici al
contrario di eventuali ornamenti reali che rimangono circoscritti alla ristretta cerchia di
parenti e amici che vengono a farci visita nella casa reale.

Una economia, qualsiasi essa sia, si basa su una unità di misura che consente di
interfacciarsi con il mondo circostante. Anche il mondo digitale ha tratto beneficio dal
parallelo reale, introducendo “Virtual Currency”, monetazione che permette agli utenti di
acquistare soldi virtuali in cambio di soldi reali. Se molti produttori creano e gestiscono “in-
house” questa soluzione, social networks come HI5 (circa 63 milioni di utenti
principalmente localizzati in Sud America) hanno creato una infrastruttura interna da
utilizzare sia sui servizi interni che” third party”. Questa scelta, in fieri anche su Myspace e
Facebook, consente ai social networks di diversificare le fonti di revenues oltre alla
classica pubblicità entrando in una spartizione della torta che altrimenti sarebbe a totale
appannaggio della società che ha sviluppato l’applicazione.

Fin’ora abbiamo esaminato modalità dirette di monetizzazione tra l’utente ed il produttore
del contenuto/servizio, ma altrettanto importante è la fonte indiretta che ha trovato la sua
massima espressione nei sistemi di “Reselling” e “Offer Platforms”.

Tap Tap Revenge, l’ applicazione iPhone più scaricata nel 2008, ha da poco introdotto la
possibilità di scaricare brani musicali collegati al gioco, con $.99 sarà possibile acquistare
2 extra brani di artisti famosi, mentre con $ 2.99 se ne ottengono 6. Questo è uno dei tanti
esempi di reselling nell’ambito degli ecosistemi aperti, altro caso emblematico è iLike.
Recentemente acquistata da Myspace per 20 milioni di dollari, questa applicazione per
social networks consente agli appassionati di musica di condividere la passione con
milioni di altre persone. Il business model si basa sulla vendita di biglietti per concerti,
brani musicali e suonerie ottenendo dai parter selezionati un fee per ogni acquisto tramite
circuiti come itunes e TicketMaster.
Se la pubblicità tradizionale rappresenta una fetta, sebbene secondaria della possibile
torta, si segnala nel 2009 l’avvento di forme di advertising indiretto. Start up come
SuperReward, Offerpal e TrialPay si pongono al centro di un triangolo composto dal
consumatore finale, l’inserzionista ed il proprietario dell’applicazione. All’utente viene
chiesto di compiere determinate azioni (partecipare ad un sondaggio, acquistare un
servizio o iscriversi ad un sito) in cambio di moneta o oggetti virtuali spendibili
nell’applicazione. Il fornitore di questo servizio trattiene circa un 20% della somma ed il
restante viene corrisposto allo sviluppatore. Una innovativa variante al tema arriva da
Gambit che chiede agli utenti di compiere azioni lavorative come ricercare determinati
indirizzi postali/telefonici piuttosto che tradurre una porzione di testo e così via.

Questi business model, non esaustivi ed in continua evoluzione, dimostrano la vitalità della
nuova “App Economy” che nel 2009 dovrebbe assestarsi su un fatturato vicino ai 6
miliardi di dollari. La sfida è aperta,il Web 3.0 potrebbe essere totalmente diverso da
quello fin qui ipotizzato. Se nella sua fase iniziale internet era la scoperta di siti e url,
attualmente è dominata dal concetto dei motori di ricerca, nell’immediato futuro le
applicazioni potranno diventare contenuto e servizio allo stesso tempo.


A cura di Fabio Viola
Founder @ Mobile Idea e DigitalFun s.r.l.
Curatore mobile & social al master in Digital Entertainment presso l’Università IULM




1) http://lsvp.wordpress.com/2008/09/02/facebook-selling-digital-gifts-at-a-35m-run-rate/

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  • 1. "Ecosistemi Aperti” Dai mobile stores alle piattaforme di social network, ”- il business digitale diventa free...mium" A partire dal 2008 ambienti come Facebook, Myspace, Apple App Store, Google Android, Nokia Ovi hanno fatto breccia nelle case di milioni di persone nel mondo generando, di conseguenza, una massiccia attenzione mediatica. Le piattaforme citate, insieme a molte altre già disponibili o in lancio, rientrano nell’ambito degli Ecosistemi Aperti, ovvero spazi digitali (online e/o mobile) dove l’utente entra per condividere, socializzare/personalizzare creando un bacino estremamente appetibile per tutte quelle aziende che intendano distribuire un contenuto/servizio senza barriere di ingresso e contrattuali. Provando a dare una inquadratura metodologica, gli Ecosistemi Aperti si reggono su tre pilastri con una duplice chiave di lettura, lato utente e lato impresa. Globalizzazione: gli utenti possono interagire con applicazioni prodotte in ogni parte del mondo, superando i confini nazionali tipici di altri seller digitali. Le aziende devono immediatamente confrontarsi con un pubblico mondiale rendendo il progetto immediatamente adattabile ed appetibile a gusti estremamente diversificati. “Less is More”: agli utenti deve essere garantita facilità di apprendimento, usufruizione immediata e gratificazione istantanea in un ambiente, spesso, amicale. Per le aziende il contenuto è ora contestualizzato nell’ambiente e nel realizzarlo bisogna basarsi su fattori quali viralità, immediatezza e “one touch gameplay” Business Model: gli utenti sono attratti dalla iniziale ed apparente gratuità dei prodotti, istintivamente cannibalizzano tutto, provano e sperimentano rimanendo fidelizzati nel tempo solo ai prodotti più meritevoli. Le aziende si confrontano, spesso per la prima volta, con il modello Freemium. Non sarà più la forza vendita a dettare modi e tempi al reparto sviluppo, ma la stessa evoluzione del contenuto richiederà un progressivo adattamento delle strategie di monetizzazione Proprio quest’ultimo aspetto, merita una attenzione diffusa in virtù di nuovi modelli di monetizzazione che stanno rivoluzionando il concetto tradizionale di “pay per download”. Navigando su Facebook o Flirtmatic (un social network votato al dating) spesso ci si imbatte in “virtual gifts”, regali virtuali che gli utenti possono spedire reciprocamente in segno di amicizia, affetto, status symbol o flirt. Nell’applicazione per Facebook “Birthday Cards”, la ricorrenza del compleanno viene scandita attraverso la scelta e l’invio di una immagine virtuale, sia esso un cocktail piuttosto che un orsetto, generalmente ad un prezzo vicino al dollaro. Per capire l’entità del fenomeno, basti considerare che il 10%(1) del fatturato complessivo 2008 di Facebook è stato generato proprio dai virtual gifts. L’elemento di generosità trova il suo radicamento in un ulteriore business model, “virtual charity” già utilizzato sia attraverso servizi “stand alone” sia come meccanica interna ad altre tipologie. Causes è l’applicazione numero due su Facebook, ben 35 milioni di utenti attivi mensili vi entrano per iscriversi ad una delle duecentomila cause umanitarie, condividere informazioni e donare denaro reale. In poco tempo è stata donata una somma superiore al milione di dollari, ed il gruppo più gettonato è stato “Students for a Free Tibet”. Solo una parte delle somme raccolte viene devoluta come ben evidenziato in “Farmville”, applicazione numero uno su Facebook con oltre 60 milioni di MAU. In questo gioco è stata lanciata una campagna speciale a favore della popolazione di Haiti, gli
  • 2. agricoltori virtuali venivano invitati ad acquistare piante di patate dolci ed il 50% della micron transazione devoluta ad enti umanitari. In un mese di iniziativa, sono stati donati $487,500 ed altrettanti nelle tasche di Zynga, start up americana nata due anni fa per sviluppare in ambito ecosistemi aperti e che si appresta a chiudere il bilancio 2009 con un fatturato di circa $150 milioni. In Sorority Life, una community femminile realizzata da Playdom, l’elemento di personalizzazione e decorazione dei propri spazi è il cardine per comprendere l’acquisto di “Virtual Goods”, oggetti virtuali come capi di abbigliamento o suppellettili per il proprio appartamento. Recentemente gli stessi utenti hanno richiesto una Wolksvagen Beetle di colore rosa e l’azienda l’ha inserita tra gli oggetti acquistabili generando oltre $100.000 dollari nei primi due giorni di disponibilità. I virtual goods spesso sono ad edizione limitata o in tema con un particolare periodo dell’anno. Lo scorso Natale, Playfish ha introdotto alberi ed ornamenti natalizi nel suo mondo virtuale “Pet Society”. Gli utenti hanno risposto acquistando circa 20 milioni di oggetti, ad un prezzo variabile dal free ai 2 dollari. Se per molti potranno sembrare numeri ingiustificati, la ragione di questo successo risiede nella possibilità di far ammirare siffatti status symbol virtuali ad un bacino di migliaia di amici al contrario di eventuali ornamenti reali che rimangono circoscritti alla ristretta cerchia di parenti e amici che vengono a farci visita nella casa reale. Una economia, qualsiasi essa sia, si basa su una unità di misura che consente di interfacciarsi con il mondo circostante. Anche il mondo digitale ha tratto beneficio dal parallelo reale, introducendo “Virtual Currency”, monetazione che permette agli utenti di acquistare soldi virtuali in cambio di soldi reali. Se molti produttori creano e gestiscono “in- house” questa soluzione, social networks come HI5 (circa 63 milioni di utenti principalmente localizzati in Sud America) hanno creato una infrastruttura interna da utilizzare sia sui servizi interni che” third party”. Questa scelta, in fieri anche su Myspace e Facebook, consente ai social networks di diversificare le fonti di revenues oltre alla classica pubblicità entrando in una spartizione della torta che altrimenti sarebbe a totale appannaggio della società che ha sviluppato l’applicazione. Fin’ora abbiamo esaminato modalità dirette di monetizzazione tra l’utente ed il produttore del contenuto/servizio, ma altrettanto importante è la fonte indiretta che ha trovato la sua massima espressione nei sistemi di “Reselling” e “Offer Platforms”. Tap Tap Revenge, l’ applicazione iPhone più scaricata nel 2008, ha da poco introdotto la possibilità di scaricare brani musicali collegati al gioco, con $.99 sarà possibile acquistare 2 extra brani di artisti famosi, mentre con $ 2.99 se ne ottengono 6. Questo è uno dei tanti esempi di reselling nell’ambito degli ecosistemi aperti, altro caso emblematico è iLike. Recentemente acquistata da Myspace per 20 milioni di dollari, questa applicazione per social networks consente agli appassionati di musica di condividere la passione con milioni di altre persone. Il business model si basa sulla vendita di biglietti per concerti, brani musicali e suonerie ottenendo dai parter selezionati un fee per ogni acquisto tramite circuiti come itunes e TicketMaster. Se la pubblicità tradizionale rappresenta una fetta, sebbene secondaria della possibile torta, si segnala nel 2009 l’avvento di forme di advertising indiretto. Start up come SuperReward, Offerpal e TrialPay si pongono al centro di un triangolo composto dal consumatore finale, l’inserzionista ed il proprietario dell’applicazione. All’utente viene chiesto di compiere determinate azioni (partecipare ad un sondaggio, acquistare un servizio o iscriversi ad un sito) in cambio di moneta o oggetti virtuali spendibili nell’applicazione. Il fornitore di questo servizio trattiene circa un 20% della somma ed il
  • 3. restante viene corrisposto allo sviluppatore. Una innovativa variante al tema arriva da Gambit che chiede agli utenti di compiere azioni lavorative come ricercare determinati indirizzi postali/telefonici piuttosto che tradurre una porzione di testo e così via. Questi business model, non esaustivi ed in continua evoluzione, dimostrano la vitalità della nuova “App Economy” che nel 2009 dovrebbe assestarsi su un fatturato vicino ai 6 miliardi di dollari. La sfida è aperta,il Web 3.0 potrebbe essere totalmente diverso da quello fin qui ipotizzato. Se nella sua fase iniziale internet era la scoperta di siti e url, attualmente è dominata dal concetto dei motori di ricerca, nell’immediato futuro le applicazioni potranno diventare contenuto e servizio allo stesso tempo. A cura di Fabio Viola Founder @ Mobile Idea e DigitalFun s.r.l. Curatore mobile & social al master in Digital Entertainment presso l’Università IULM 1) http://lsvp.wordpress.com/2008/09/02/facebook-selling-digital-gifts-at-a-35m-run-rate/