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artigianato alimentare trentino: la filiera dei piccoli
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                                                                                                                        alimentare trentino:
                                                                                                                         la filiera dei piccoli




                   CEii Trentino                                                                                 2010
Sede legale: via San Daniele Comboni 7, 38122 Trento
     Uffici: via del Commercio 30, 38121 Trento
         Tel. 0461 420530 - Fax 0461 428842
                www.ceii.it - info@ceii.it                                                                              Rapporto di ricerca a cura di Sergio Remi
CEii Trentino
Artigianato Alimentare Trentino: la filiera dei piccoli
Intervento a valere sul Fondo per gli interventi diretti a qualificare l’attività artigiana,
ex L.P. 11/2002, art. 17.




Hanno collaborato alla realizzazione:                         Si ringraziano:
Sergio Remi - curatore della ricerca;                         Paolo Spagni - Dirigente Generale
Luciana Melluso, Paola Piazzi;                                Dipartimento Industria, Artigianato e Miniere,
Claudio Filippi - Area Studi, Associazione                    Provincia autonoma di Trento;
Artigiani e Piccole Imprese della Provincia di Trento;        Daniele Bernardi - Dirigente Servizio Industria
Silvia Gadotti, Sara Formolo e Massimo Zorzi                  e Artigianato, Provincia autonoma di Trento;
CEii Trentino.                                                Vito Cofler - Direttore Ufficio Artigianato,
                                                              Provincia autonoma di Trento.
ARTIGIANATO ALIMENTARE TRENTINO:
       LA FILIERA DEI PICCOLI




             2010
In Trentino, così come in molti altri territori italiani, il settore ali-
                                        mentare è una leva eccezionale. Laddove si punta su qualità ed
                                        eccellenza, diviene trainante per l’ambito economico-produtti-
                                        vo e per il turismo.

                                        In questo comparto molto attive sono le imprese artigiane,
                                        per loro natura caratterizzate da una forte “personalizzazione”
                                        dell’attività svolta: la lavorazione artigianale – che coinvolge di-
                                        rettamente l’imprenditore e i suoi collaboratori – implica un ap-
                                        porto di creatività e originalità non standardizzabili. Sono tratti
                                        questi che valorizzano la produzione, contribuendo a conferirle
                                        quei caratteri di qualità ed eccellenza che vengono sempre più
Foto Magrone. Archivio Ufficio Stampa
                                        spesso premiati da cittadini e turisti.
Provincia autonoma di Trento

Le aziende di trasformazione alimentare iscritte all’Albo delle Imprese Artigiane della Provincia au-
tonoma di Trento sono oltre 400 e danno lavoro a più di 1.500 persone. Tra di esse vi sono pasticce-
rie, panifici, aziende che lavorano frutta, ortaggi, carni. Un panorama ricchissimo che fonda le sue
radici su robuste basi tradizionali, ma punta anche sull’innovazione. Un mondo descritto in questa
ricerca attraverso l’analisi di un campione di piccole imprese. Il lettore potrà così conoscere alcuni
tratti distintivi del settore come la distribuzione geografica delle aziende, i mercati e la clientela di
riferimento, il fatturato medio e la loro storia.

Questa ricerca ha un utile obiettivo: rappresentare le modalità che le imprese dell’artigianato adot-
tano per far fronte alla competizione. Tra le strategie vincenti utilizzate emergono l’attenzione alla
qualità dei prodotti ed il legame con il territorio. Un legame fatto di azioni concrete come la cre-
azione di reti di imprese (quali le affermate Strade del Vino e dei Sapori del Trentino e il progetto
ST.ART, Strade dell’Artigianato) o la partecipazione ad altri eventi promozionali.

L’impegno dell’Assessorato è da sempre rivolto alla promozione delle eccellenze. Ha voluto realizza-
re questa ricerca per approfondire la conoscenza di un settore di nicchia e farne emergere le poten-
zialità interne come lo stretto raccordo fra il territorio, l’artigianato e il turismo ed il forte legame tra
l’artigianato e l’agricoltura in un’ottica di filiera corta per lo sfruttamento intelligente delle risorse.

Una localizzazione che non deriva certo da un ripiegarsi su se stessi per paura della globalizzazio-
ne, anzi. È invece ricerca e valorizzazione di eccellenze, tratti distintivi e originalità: tutti elementi in
grado di far conoscere le aziende trentine anche nel resto d’Italia e all’estero.

Questa ricerca è insomma uno strumento indispensabile per chi già lavora nel settore, per chi lo
promuove e per gli amministratori che lo regolamentano. Ma è un testo prezioso anche per i giova-
ni che vogliono conoscere questo mondo, magari per decidere un giorno di entrarvi.




                                                                       Alessandro Olivi

                                                      Assessore all’Industria, Artigianato e Commercio

                                                              della Provincia autonoma di Trento
È con grande piacere che mi appresto a scrivere queste righe di
                                     prefazione alla ricerca sull’artigianato alimentare. Si tratta in-
                                     fatti di un settore più che mai nevralgico non solo per la nostra
                                     Associazione ma per l’intera economia provinciale.

                                     In Trentino non potremo mai puntare sui grandi numeri ma,
                                     sempre di più, sarà la qualità ad essere premiata e a risultare
                                     vincente. E allora lasciatemi dire che sotto questo punto di vi-
                                     sta non dobbiamo temere rivali: l’impresa artigiana proprio con
                                     le sue produzioni alimentari di qualità è un pezzo importante
                                     dell’identità di un luogo e, allo stesso tempo, un mezzo per tra-
                                     smettere cultura. Cultura con la “C” maiuscola visto e considera-
to che ciò che viene proposto dai nostri associati è qualcosa che esprime secoli di tradizione, storie
trasmesse di generazione in generazione e che finiscono oggi, come tre secoli fa, sulle nostre tavole.

Dietro queste realtà produttive ci sono singole persone, intere famiglie, giovani, che hanno scelto
di difendere la propria storia e il proprio legame con la terra, attraverso produzioni alimentari di
qualità, radicate innanzitutto nella tradizione dei luoghi. A muovere queste persone è la passione
per il lavoro manuale, il piacere di gesti socialmente riconoscibili: il lavoro artigianale riflette infatti
il desiderio “di fare cose” che la gente capisce e apprezza. Il tutto senza dimenticare che chi opera in
Trentino è soggetto a rigidi controlli igienico-sanitari, garantiti dalla legislazione in materia.

Altro elemento da non sottovalutare riguarda il fatto che la maggior parte degli artigiani attribu-
isce ai prodotti di provenienza locale una maggiore qualità e sono quindi attivamente impegnati
nella costruzioni di legami di fornitura a livello provinciale: selezionando i fornitori, creando rela-
zioni stabili con le aziende agricole fornitrici e, in alcuni casi, investendo direttamente in attività
primarie. Proprio a tal proposito credo sia necessario considerare l’esigenza di promuovere per le
aziende uno sviluppo volto a una maggior conoscenza delle opportunità offerte dalla risorse agri-
cole locali determinando, per questa via, una convinzione condivisa della necessità strategica di
connettere la trasformazione alimentare “trentina” alla base produttiva agricola “trentina”.

Andando al di là del binomio che lega a doppio filo le imprese artigiane impegnate nelle produzio-
ni alimentari e le realtà agricole è fondamentale non dimenticare che tra turismo e gastronomia
in Trentino è in atto una forte sinergia e la valorizzazione dei prodotti locali rappresenta un impor-
tante valore aggiunto per il prodotto turistico. La ricchezza, l’unicità e l’identità del nostro territorio
passa non solo attraverso l’ambiente incontaminato, le bellezze naturali, i monumenti e musei ma
anche attraverso i sapori e i saperi che secolo dopo secolo di sono mantenuti intatti nelle nostre
vallate.




                                                                 Roberto De Laurentis

                                                 Presidente Associazione Artigiani e Piccole Imprese
                                                              della Provincia di Trento
artigianato alimentare trentno: la filiera dei piccoli




Indice

1. Qualità e tipicità alimentare come strategia di sviluppo del territorio                 9

2. I valori dell’artigianato alimentare                                                    13

3. La specificità trentina                                                                 17

4. Il campione delle imprese artigiane analizzate                                          21
   4.1 Classe economica                                                                    21
   4.2 Distribuzione territoriale                                                          23
   4.3 Forma giuridica delle imprese analizzate                                            24

5. Addetti e fatturato                                                                     27

6. Storie di imprese, famiglie e persone                                                   37

7. Il mercato dell’impresa artigiana                                                       45
   7.1 I mercati serviti dall’azienda                                                      45
   7.2 I canali commerciali utilizzati dalle aziende                                       46
   7.3 Tipologia di clientela                                                              51
   7.4. La percezione del mercato                                                          54

8. I mercati di approvvigionamento dell’impresa                                            61

9. Le produzioni                                                                           75
   9.1 Le produzioni che caratterizzano l’impresa                                          75
   9.2 Le specificità della produzione artigiana                                           78
   9.3 Produzione, utilizzazione e commercializzazione di prodotti tradizionali trentini   84

10. Reti d’impresa                                                                         95

11. Partecipazioni ad eventi                                                               99
artigianato alimentare trentno: la filiera dei piccoli




12. Strategie d’impresa                                                                         105
   12.1 I fattori di forza: la qualità come leva competitiva                                    106
   12.2 Fattori di debolezza dell’impresa: il difficile equilibrio tra impresa e mercato        107
   12.3 Gli obiettivi strategici e gli investimenti delle imprese                               110
   12.4 La domanda di politiche                                                                 112

13. Conclusioni                                                                                 117
   13.1 Comunità, territorio e mondo                                                            117
   13.2 La piattaforma agroalimentare tra luoghi e flussi                                       120
   13.3 Chiudere la filiera dei piccoli: comunicazione, garanzia e logistica                    123
      13.3.1 Comunicare le specificità dell’artigianato alimentare                              123
      13.3.2 Garanzia: la certificazione “dal basso”                                            125
      13.3.3 Logistica: valorizzare il binomio artigianato di qualità/agricoltura di montagna   126

Ringraziamenti                                                                                  129

Contatti                                                                                        131
artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli




1. Qualità e tipicità alimentare come strategia
di sviluppo del territorio

Le produzioni agroalimentari rivestono un ruolo di particolare rilievo per il nostro Paese, non solo
dal punto di vista economico. Secondo comparto, dopo il metalmeccanico, per entità del valore
aggiunto, l’agroalimentare contribuisce in modo determinante a definire l’immagine del Made
in Italy nel mondo, con crescenti sinergie con lo sviluppo turistico, e ben rappresenta il mosaico
delle molteplici realtà territoriali che compongono l’identità culturale nazionale.
Il radicamento nel territorio costituisce l’elemento distintivo nella varietà della produzione ali-
mentare italiana e al tempo stesso la più importante risorsa per fronteggiare, con la qualità e la
specificità della gamma, la crescente globalizzazione dei mercati che ci vedrebbe senz’altro soc-
combere in materia di costi. Un’offerta fortemente caratterizzata sul fronte della tipicità è del resto
in grado di rispondere più efficacemente alle tendenze emergenti nel consumo che premiano la
ricerca del gusto, della genuinità, del valore nutrizionale.
Il 70 per cento delle produzioni agroalimentari tradizionali italiane1 è espressione di sistemi territo-
riali marginali – in particolare montani e collinari – dove svolge un ruolo insostituibile di presidio
del territorio a partire da un bacino di conoscenze e di varietà produttive che costituisce, in questi
ambiti, una parte di assoluto rilievo dell’identità delle comunità locali. Conservare e valorizzare
le metodiche tradizionali di lavorazione significa disegnare un futuro per quei contesti locali di
grande pregio.
La qualità italiana è fatta di tanti piccoli campanili disseminati nei piccoli comuni: le tante Città
della castagna, del miele, del vino, del tartufo, della nocciola. Città che hanno fatto della cultu-
ra “del buon vivere”, dell’ospitalità e della valorizzazione delle proprie tradizioni culturali ed eno-
gastronomiche, la cifra del proprio sviluppo. In un mix tra cultura urbana e cultura del contado
che fa sì che sul territorio si realizzi quel piccolo miracolo che chiamiamo Made in Italy, fatto di
oggetti, simboli che si fanno merce, che sono elementi distintivi di quel nodo gordiano tra cultu-
ra materiale e cultura alta.
Il tratto distintivo delle produzioni agroalimentari italiane è il coraggio di puntare sull’eccellenza:
per esempio quella dei 204 prodotti agroalimentari italiani certificati DOP e IGP che ci fanno gua-
dagnare il primato europeo e circa 9 miliardi di euro all’anno.
Il forte legame di queste produzioni con il territorio è testimoniato dalle più di duecento DE.CO.
(le Denominazioni Comunali nate dallo straordinario intuito di Luigi Veronelli ) con cui i Municipi


1
  Prodotti agroalimentari i cui metodi di lavorazione, conservazione e stagionatura sono consolidati nel tempo, secondo
regole tradizionali, per un periodo non inferiore ai venticinque anni (D.M. 18 luglio 2000). I prodotti tradizionali sono in
continua crescita. Quelli riportati nel censimento pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 2007 sono 4.377: tramandati da
agricoltori e artigiani i 1.301 tipi di pane, pasta e biscotti, le 1.230 verdure fresche e lavorate, i 730 salami, prosciutti, carni
fresche e insaccati di diverso genere, i 454 formaggi e le 147 bevande tra analcoliche, liquori e distillati. Il 50% ha un nome
che evoca il territorio anche attraverso locuzioni dialettali.

                                                                                                                                       9
artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli




     italiani hanno riconosciuto un prodotto agricolo, un prodotto dell’artigianato alimentare, un piat-
     to tipico, come parte integrante della propria storia, della propria identità, delle proprie strategie
     di marketing territoriale.
     Il filo conduttore che unisce e qualifica queste esperienze è la valorizzazione della qualità e della
     diversità a fronte di processi di omologazione. Se da un lato, infatti, il fenomeno della globalizza-
     zione tende ad appiattire le differenze, proponendo modelli mediani che non appartengono a
     nessuno e generano, inevitabilmente, mediocrità, dall’altro lato si va diffondendo una domanda
     ed un’offerta di nuove soluzioni che vanno nella direzione della ricerca e della diffusione dell’ec-
     cellenza, senza farne necessariamente un fenomeno di élite, ma proponendolo come fatto cultu-
     rale e in quanto tale universale.
     È in quest’ambito che diventa strategico rafforzare i circuiti come quelli delle strade dei vini e dei
     sapori, le azioni di certificazione e marketing dei prodotti tipici che sempre più, in tempi di un
     sistema impazzito nello stressare la produzione agroalimentare, hanno spazi non solo economici,
     ma di cultura e qualità della vita. Come evidenziato da una recente ricerca del Censis2 nessun
     altro Paese, oltre l’Italia, può vantare 140 strade del vino e dei sapori che attraversano 1.300 co-
     muni, contando più di 3.300 cantine, oltre 4 mila ristoranti, 33 mila prodotti vitivinicoli e quasi 400
     denominazioni territoriali di vini.
     Nel campo delle produzioni alimentari riaffermare la propria specificità locale è il mezzo per tro-
     vare un corretto spazio e ruolo in una globalizzazione che non sia omologante. Come già avve-
     nuto con i nostri vini DOC conosciuti in tutto il mondo, tipicità e marchi di origine diventano i
     mezzi per affermare una differenziazione dei sistemi produttivi, dei processi di trasformazione,
     per affermare le specificità locali nel mercato globale.
     Chiaramente, nessuno pensa che il nostro Paese possa reggere la sfida della competizione in-
     ternazionale con castagne, miele e nocciole, o “...di sostituire la Fiat con il barolo e i tartufi3”. Ma
     parlando di sviluppo territoriale nella globalizzazione varrebbe la pena di indagare il rapporto che
     esiste tra una “Città della nocciola” come Alba e una multinazionale globale e leader nel sistema
     agroalimentare come ormai è la Ferrero o la risonanza internazionale che ha avuto Carlo Petrini
     con Slow food e la sua Università del Gusto o, ancora, il modello Chiantishire di gran moda nei
     paesi anglosassoni.
     Secondo la Federazione italiana dei pubblici esercizi sono almeno tre milioni e mezzo all’anno in
     Italia le presenze straniere determinate dal turismo eno-gastronomico, un flusso di fascia alta che
     potrebbe essere maggiormente attirato nelle aree oggi a rischio di abbandono, con ricadute di
     grande rilievo per la qualità dello sviluppo locale.
     Sempre secondo una recente indagine di Coldiretti, il souvenir enogastronomico tipico del luo-
     go di vacanza è il preferito dai quindici milioni di italiani e dagli stranieri che hanno trascorso le
     festività natalizie in Italia. Una tendenza in rapido sviluppo favorita – si legge nell’indagine Coldi-

     2
         Censis 2009 - 7° Rapporto “Osservatorio sul turismo del vino e delle Città del vino”.
     3
      Il riferimento è ad una polemica apparsa qualche anno fa sulla stampa dove, ad un’affermazione di Giuseppe De Rita che
     sosteneva che, a fronte della crisi del manifatturiero, gli italiani preferiscono investire “nel barolo e negli agriturismi”, Giulio
     Sapelli rispose che “ ... De Rita pensa di sostituire la Fiat con i produttori di Barolo ed i cercatori di Tartufi”.

10
artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli




retti – dal moltiplicarsi delle occasioni di valorizzazione dei prodotti locali che si è verificata nei
principali luoghi di villeggiatura, con percorsi enogastronomici, città del gusto, feste e mercatini
di ogni tipo. Il turismo enogastronomico vale, infatti, – continua la Coldiretti – cinque miliardi e si
conferma il vero motore della vacanza Made in Italy.
Produrre buon cibo e intrattenimento nella competizione globale non è certo sufficiente, ma
è anche vero che il deficit di quantità nella globalizzazione è alla ricerca della qualità italiana
per reggere la sfida. La strada delle produzioni tipiche e di eccellenza è una strada certamente
densa di retorica e luoghi comuni, ma allo stesso tempo potenzialmente capace di creare, per
le produzioni agroalimentari, spazi che non siano del tutto dipendenti dal potere commerciale
dell’industria e della grande distribuzione. Spazi cioè in cui possano essere valorizzate le produ-
zioni tipicamente regionali e locali, le sole che, a detta dei più, potrebbero assicurare la continuità
delle imprese esistenti e la nascita di nuove.




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artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli




2. I valori dell’artigianato alimentare

In questo contesto, i processi produttivi dell’artigianato alimentare, con antica e diffusa tradizione
nel nostro Paese – pur non avendo una connotazione territoriale univoca – rivestono un ruolo
centrale e meritano una distinzione specifica al fine di salvaguardarne le caratteristiche a fronte
delle omologhe produzioni industriali.
L’imprenditoria artigiana del settore alimentare è un riferimento di qualità e prestigio. Si tratta di
un patrimonio apprezzato e ricercato in tutto il mondo che fonda le sue origini nella grande va-
rietà di prodotti regionali, nella genuinità delle materie prime, nel rispetto dei processi tradizionali
e nella rigida applicazione di regole a garanzia dei consumatori.
Homo faber, artefice, maestro d’arte, imprenditore di se stesso. Nelle sue diverse definizioni, l’ar-
tigiano ha attraversato la storia italiana, caratterizzandone l’evoluzione economica, artistica e
culturale ed imprimendovi la propria cifra stilistica. Ciò appare particolarmente evidente se si
pensa al ruolo che ha avuto l’artigianato nel tramandare, rielaborandole, le innumerevoli culture
gastronomiche del nostro Paese.
Alimentarsi senza l’artigianato significherebbe oggi dover rinunciare ai mille gusti e sapori della
nostra tradizione: dai diversi tipi di pane, alle innumerevoli varietà di formaggi, alla pasticceria più
raffinata, alle erbe sapientemente selezionate dall’erborista, ai salumi che arricchiscono le tavole
dei buongustai di tutto il mondo.
Sono stati gli artigiani, a seguito dei flussi migratori di fine ’800 e di tutta la prima metà del ’900,
che hanno diffuso la nostra cultura alimentare all’estero. Basta pensare alla diffusione di pizzerie
italiane in tutte le città del mondo o al flusso migratorio di gelatieri italiani nei paesi di lingua
tedesca4. Ancor prima, si potrebbe parlare dei nostri maestri pasticceri nelle corti europee.
Oggi l’artigianato va oltre lo stereotipo che lo lega ai vecchi mestieri ricchi di tradizione e poveri
di futuro. L’impresa artigiana è moderna perché, recuperando valori della tradizione e rendendoli
spendibili nella produzione di valore e di senso, collega passato a futuro.
La qualità dell’ars artigiana torna al centro dell’evoluzione produttiva. Artigiano vuol dire autono-
mia, creatività, personalizzazione nella produzione di beni e servizi che sono moderni in senso
positivo, che usano la tecnologia per quello che serve, ma vi aggiungono il design, il gusto este-
tico, la disponibilità a capire e servire i bisogni specifici del cliente, il rapporto col territorio e con
la sua storia, la mediazione culturale con significati che “fanno parlare” i prodotti con l’alfabeto
della moda, degli stili di vita, delle nuove tendenze di consumo. Artigianato vuol dire identità,
senso: rapporto tra il produttore che dà significato al suo lavoro e l’utilizzatore che lo recepisce,
legandolo al proprio bisogno identitario.



4
  In Germania esistono circa 3.600 gelaterie italiane collocate nei luoghi più prestigiosi delle città tedesche. La gelateria
italiana è diventata un pezzo di storia tedesca, tant’è vero che a Bonn nel Museo nazionale della storia tedesca è stata
ricostruita l’ambientazione di una gelateria italiana degli anni ’50.

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     Quello delle imprese artigiane del settore alimentare è un patrimonio di gusto e di creatività, ma
     è anche serbatoio di occupazione. L’artigianato dell’alimentazione in Italia secondo dati Confar-
     tigianato al 2005 contava 80.160 aziende (pari all’82% del totale delle imprese italiane del settore
     alimentare) con 238.596 addetti (equivalenti al 54,5% del totale degli addetti del settore alimen-
     tare). Imprese che crescono ad un ritmo del 4% annuo. L’ultimo dato disponibile al 2009 è di
     83.216 aziende.

     Tabella 1: Artigianato - Settore Agroalimentare in Italia




     Fonte: Confartigianato (2005)




     Sono le piccole imprese a portare avanti il buon nome dell’Italia in tavola. Il recente rapporto
     Ismea - Federalimentare, a tale proposito parla chiaro: il 90% delle aziende del settore alimentare
     sta sotto i dieci dipendenti.
     Le tipologie dell’impresa artigiana alimentare possono, chiaramente, essere diverse:
     •   spesso si tratta di microimprese familiari – non strettamente individuali – dove l’artigiano fa
         tutto. È il tipico tessuto dell’artigianato alimentare di immediata prossimità (panifici, pastifici,
         pasticcerie, gastronomie,...) rivolto a servire in parte maggiore – se non esclusivamente – i
         residenti del territorio in cui è insediato;
     •   numerose sono anche le imprese che, seppur di piccola dimensione, sono fortemente orien-
         tate alla valorizzazione su larga scala di prodotti alimentari di eccellenza, raggiungendo il
         mercato nazionale e presentando rilevanti proiezioni su quello estero, anche extra UE;
     •   consistente anche il numero delle imprese artigiane alimentari con caratteristiche distrettuali
         che operano in rete e nelle filiere di fornitura nell’ambito dei numerosi distretti agroalimentari
         italiani;

14
artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli




•   significative, dal punto di vista evolutivo del settore, sono le imprese artigiane che investono
    verticalmente sull’intera filiera, dalla produzione primaria (agricoltura, prevalentemente biolo-
    gica) alle successive fasi di trasformazione, commercializzazione dei prodotti agro-alimentari
    e servizi derivati (ristorazione, ospitalità).
Per tutte le tipologie d’impresa i fattori chiave di successo sono legati al rapporto fra locale e
globale, ovvero fra mantenimento dell’identità e capacità o possibilità di utilizzarla per “aprirsi” ai
mercati non di prossimità, restando al contempo “riparati” dalle minacce provenienti dall’esterno,
in primis sotto forma di omologazione dei comportamenti di consumo.
L’impresa artigiana, che è in sé spontanea espressione del “locale”, si trova dunque a confrontarsi
con dinamiche che, se da un lato ne premiano i propri caratteri originali e distintivi, dall’altro im-
pongono l’evoluzione delle sue capacità di rapporto con il nuovo sistema competitivo.
Il dato sulla piccola dimensione delle imprese appare un punto di debolezza, ma diviene un
punto di forza in un’ottica di rete e di legame con il territorio. Con questo approccio, la piccola
impresa ha maggiori chance di successo rispetto alla grande.
Le necessità di valorizzare la matrice fondamentalmente distintiva e non omologata delle pro-
duzioni artigiane, di esaltarne la dimensione territoriale e di filiera e di accorciare la distanza tra
produttore e consumatore, rappresentano le priorità strategiche dell’artigianato alimentare.
Condizione importante è, a tale proposito, la valorizzazione del binomio “qualità artigianale
e agricoltura regionale” attraverso la costruzione di un rapporto più stretto con i produttori
agricoli che assicurano l’approvvigionamento di materie prime locali di qualità. Le aziende agri-
cole e quelle dell’artigianato di trasformazione devono legarsi tra loro. Occorre lavorare in questa
direzione, individuando strategie per dare notorietà al territorio inteso come integrazione tra
produzioni agricole e alimentari.
La tracciabilità, cioè la possibilità di risalire con precisione al produttore ed ai sistemi di produ-
zione utilizzati, sta diventando l’elemento che fa la differenza nel settore alimentare. Ciò è parti-
colarmente vero se si pensa che da qualche tempo la tutela delle produzioni artigiane subisce
continui e inquietanti attacchi, soprattutto da parte degli organismi europei e internazionali che,
nel nome dell’aspetto più negativo della globalizzazione, tendono a cancellare le peculiarità e le
originalità delle produzioni, consentendo la nascita di surrogati tra l’altro discutibili anche sotto
l’aspetto igienico-sanitario. Si pensi al cioccolato, alla pasta fatta in casa, a formaggi tipicamente
italiani che improvvisamente diventano realizzabili, in qualsiasi luogo, con processi industriali di
dubbia qualità.
Come dimostrato da diverse ricerche, le principali minacce alla tipicità delle produzioni dell’ar-
tigianato alimentare italiano non vengono dai cinesi – che in questo campo non sono ancora
capaci di imitarci – ma dalle industrie europee e statunitensi, che si appropriano indebitamente
di denominazioni di prodotti tipici italiani.
Altrettanto importante è la possibilità di collegarsi con i circuiti del turismo e della ristorazio-
ne di qualità. Le piccole imprese, che non dispongono di marchi forti, devono avere l’opportu-
nità di legarsi a marchi territoriali che coinvolgono le tipicità affermate da certificazioni europee

                                                                                                          15
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     come DOP e IGP, ma anche risorse turistiche, ristorazione, valorizzazione delle tipicità locali. Si
     tratta di proporre in modo capillare la promozione dei prodotti alimentari artigianali ad ogni oc-
     casione possibile, collegandoli con le politiche turistiche, economiche, di sviluppo territoriale, di
     educazione alimentare nelle scuole.
     Puntare sui valori qualitativi significa anche far leva sugli aspetti salutistici e di genuinità dei pro-
     dotti, così sentiti dai consumatori. L’artigianato alimentare per vincere la sfida della competitività
     deve essere in grado di immettere sul mercato prodotti e servizi che per qualità e tipicità, inno-
     vazione o tradizione, abbiano un valore aggiunto, particolare e riconoscibile dal consumatore. Il
     valore della qualità poggia sulla capacità delle imprese di cogliere le diverse esigenze dei consu-
     matori e di evidenziare le caratteristiche distintive del prodotto proposto.
     La maggior attenzione sviluppata nel corso dell’ultimo decennio dei consumatori verso prodotti
     alimentari di qualità, normalmente prodotti dalle imprese artigiane, influenzano positivamente
     le dinamiche settoriali. Ciò risulta evidente anche in un periodo di crisi economica come quello
     attuale dove – secondo l’ultima rilevazione Coldiretti-SWG sulle abitudini alimentari degli italia-
     ni – aumenta del 6 per cento la spesa delle famiglie in vini a denominazione di origine e cresce
     dell’8 per cento la percentuale dei cittadini che acquista regolarmente prodotti a denominazione
     di origine (sono il 28 per cento) e del 23 per cento di quelli che comperano cibi biologici, i quali
     però interessano una fetta più ridotta della popolazione (il 16 per cento). A sostenere il consumo
     di prodotti biologici – si legge nello studio della Coldiretti – è la ricerca di sicurezza alimentare a
     fronte del ripetersi di emergenze alimentari – dal maiale irlandese alla diossina, al latte cinese alla
     melanina, alla mozzarella “blu” – ma anche del diffondersi di stili di vita più attenti all’ambiente,
     che la crisi non sembra intaccare.
     Il rapporto diretto con il consumatore è strategico per le imprese artigiane dell’alimentare, anche
     sul fronte dei servizi. Da più parti – ma in particolare nelle località turistiche – emergono forti
     istanze affinché le imprese dell’artigianato alimentare possano effettuare la vendita diretta per il
     consumo sul posto dei propri prodotti, utilizzando appositi locali ed arredi dedicati alla ristorazio-
     ne. La necessità è quella di una maggiore integrazione dell’artigianato nella filiera turistica e gli
     artigiani chiedono semplicemente di accorciare la filiera così come accade, per fare un esempio,
     negli agriturismi e nelle aziende agricole dove la degustazione dei prodotti sul posto è quasi
     d’obbligo.
     La filiera corta è un vantaggio per tutte le categorie e permette, oltre ad abbattere i costi legati ai
     passaggi da produzione a distribuzione, di immettere sul mercato della vendita al dettaglio prodotti
     freschi, quindi sicuramente più genuini. Estendere questa possibilità significa anche permettere alle
     imprese di capire le tendenze del mercato e di studiare strategie mirate ed intelligenti.
     Gli interventi di valorizzazione dell’artigianato alimentare non possono, infine, non considerare
     l’aspetto occupazionale e di promozione di nuova imprenditorialità giovanile, in un settore in
     cui è difficile reperire mano d’opera e vi è un problema di ricambio generazionale pur a fronte di
     una comprovata richiesta del mercato. I giovani non vengono per niente incentivati a conoscere
     e a scegliere le tante specializzazioni del settore che pure garantiscono ottime professionalità e
     consentono anche buoni guadagni.

16
artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli




3. La specificità trentina

Il settore agroalimentare nella Provincia di Trento appare piuttosto diversificato. Accanto a com-
parti che presentano risultati molto interessanti e che possono essere considerati trainanti per
l’economia trentina (in particolare quello afferente alle filiere agroalimentari in ambito cooperati-
vo), esiste un comparto di produzione primaria in cui a prevalere è la dimensione della microim-
presa agricola – spesso con ruoli di integrazione rispetto ad altri redditi familiari – in bilico tra
posizioni di marginalità (che sono tipiche dell’agricoltura di montagna) e processi di modernizza-
zione volti a ridefinirne la funzione economica, sociale e territoriale.
Filiere agroalimentari e microimpresa agricola esprimono strategie speculari che, mettendo a
frutto il diffondersi di una nuova cultura alimentare, ridefiniscono il rapporto con i mercati di
sbocco. Da una parte, si persegue un nuovo rapporto con la grande distribuzione organizzata
quale veicolo privilegiato di penetrazione di sempre nuovi mercati, ed in cui svolgono un ruolo
sempre più importante gli aspetti di qualità, tipicità e sicurezza alimentare. Dall’altra, si punta ad
accorciare la filiera attraverso la costituzione di mercati locali che pongono in relazione diretta
produttore e consumatore, valorizzando i prodotti biologici e tradizionali in settori di nicchia
caratterizzati da una forte tipicità.
Ad esclusione di alcune affermate centrali cooperative – e aziende private – la trasformazione
alimentare trentina è fortemente caratterizzata dalla presenza di imprese di piccola e picco-
lissima dimensione afferenti a diversi settori (commerciale, agricolo, artigiano). Secondo i dati
riportati dal “Piano della sicurezza alimentare 2008-2010” della Provincia autonoma di Trento su
1.445 imprese di trasformazione alimentare esistenti in Trentino, solo 59 superano i dieci
dipendenti. I dati di dettaglio riportati nel piano provinciale sono i seguenti:
•   Nel comparto utilizzazione e trasformazione del latte5 operano 152 imprese, 10 delle qua-
    li con più di 10 addetti. Il latte trentino è prevalentemente destinato alla trasformazione in
    prodotti tradizionali; di 1.435.000 quintali di latte bovino prodotti e sottoposti al regime delle
    quote, 19.000 quintali (0,8 per cento) rientrano nella vendita diretta da parte di n. 55 aziende,
    mentre il restante è venduto per essere trasformato da terzi. Il latte ovino ha al momento sul
    territorio provinciale scarso o nullo peso per l’alimentazione umana sia in forma diretta sia
    trasformato; il latte caprino (5.000 quintali) prodotto da circa 51 allevamenti, viene utilizzato
    direttamente presso le singole aziende per la produzione di formaggi tradizionali.

5
  Il latte trentino è destinato alle seguenti tipologie di prodotti: Latte crudo - Latte trattato termicamente - Asiago DOP
d’allevo - Asiago DOP pressato - Caciotta - Caciotta a pasta filata - Canestrato - Caprino - Caprino di Cavalese - Casada - Ca-
solet - Dolomiti - Fontal - Grana Padano - Trentingrana DOP - Misto capra - Montagna - Monte Baldo - Monte Baldo primo
fiore - Monteson - Mozzarella - Nostrano - Nostrano d’alpe - Nostrano de Casel - Nostrano di malga - Nostrano di Primiero
- Nostrano Fiavè - Nostrano misto capra - Nostrano semigrasso - Nostrano Valchiese - Nostrano Val di Fassa - Provola - Pro-
volone Valpadana DOP - Puzzone di Moena - Solandro di malga - Solandro magro - Spressa delle Giudicarie DOP - Tosela
- Tre Valli - Vezzena - Zighera - Ricotta affumicata (o poina fumàda) - Ricotta di capra affumicata (o poina de caòra fumada)
- Ricotta di capra fresca (o poina de caòra fresca) - Ricotta o poìna - Burro di malga. Rispetto a questo, peraltro incompleto,
catalogo delle produzioni trentine, non si dispone di una mappa dei siti di produzione, in quanto le autorizzazioni sono
state e vengono rilasciate agli stabilimenti in base a una categoria generale. Il principale e più rinomato prodotto lattiero
caseario della provincia è il Trentingrana al quale è destinato il 47,1 per cento del latte trentino (676.350 quintali).

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artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli




     •   Le macellerie6 sono 380, di queste 254 con annesso laboratorio di produzione di prodotti a
         base di carne. Le imprese con più di 10 addetti sono solo 10.
     •   La lavorazione di prodotti ittici comprende 16 aziende, tutte di dimensione contenuta. Gli
         allevamenti sono 80. La pescicoltura trentina, con specifico riferimento alla troticoltura, è as-
         solutamente elevata e alimenta una crescente presenza oltreché di prodotti carnei anche di
         uova, avannotti e soggetti adulti sui mercati del prodotto vivo. Il catalogo dei prodotti ittici
         trasformati annovera: filetti di salmonide, paté, sisam, filetto affumicato e marinato, polpette e
         sugo, hamburger.
     •   Le aziende registrate per la lavorazione del miele7 sono 79, a fronte di molte centinaia di
         aziende che comunque producono miele e altri prodotti dell’alveare come forma di inte-
         grazione del reddito dell’azienda agricola. Secondo il più recente censimento del settore in
         Trentino ci sono 1.512 apicoltori, in gran parte hobbisti e semiprofessionisti, che si prendono
         cura di 23.057 alveari.
     •   Nel comparto pane, pasta e prodotti da forno8 troviamo 266 imprese. Solo 7 hanno più di
         10 addetti. Una ripartizione per produzioni vede: 177 aziende autorizzate alla produzione di
         pane, 71 aziende di prodotti di pasticceria, 14 aziende di produzione di pasta.




     6
       La trasformazione delle carni, principalmente suine, ma anche equine e ovi-caprine, fa riferimento generalmente a
     più prodotti tra i seguenti a carattere tradizionale: Barbusto (moretto) - Brusti (baldonazzi) - Cacciatore nostrano all’aglio
     di Caderzone - Cacciatori - Carèn de pégora en salamoia (carne di pecora in salamoia) - Carne affumicata di asino - Carne
     di cavallo affumicata - Carne di pecora in salamoia - Carne “fumada” della Val di Cembra - Carne “fumada” di Siror - Carne
     salada del Trentino - Carne salada di capra - Carne salada di pecora - Carne “salmistrada” della Val di Cembra - Carré affumi-
     cato - Ciuiga del Banale - Ciuighe - Coppa affumicata - Cotechino di maiale trentino - Figadèt - Frìtole (sìzole) - Guanciale
     affumicato - Lardo - Lardo “fumà” trentino - Lonzino - Lucanica cauriota fresca o affumicata - Lucanica di capra - Lucanica di
     pecora - Lucanica mochena di cavallo - Lucanica mochena piccante - Lucanica mochena stagionata o affumicata - Lucani-
     ca secca della Val di Cembra - Luganega del Trentino - Mortadella Bologna IGP - Mortandela - Mortandela affumicata della
     Valle di Non - Pancetta affumicata trentina - Pancetta arrotolata - Pancetta arrotolata all’aglio della Val Rendena - Pancetta
     nostrana all’aglio di Caderzone - Pancetta stagionata - Pasta di lucaniche - Pezate di agnello (pezate de agnelo) - Probusto
     - Salame - Salame all’aglio - Salame all’aglio della Val Rendena - Salame all’aglio di Caderzone - Salame di cavallo - Salamela
     fresca all’aglio di Caderzone - Salsiccia trentina fresca (o luganegheta o salziza fresca) - Scorzèta - Sopressa - Speck del
     Trentino - Stinco di maiale precotto - Wurstel.
     7
       I prodotti dell’apicoltura trentina sono: Miele di castagno - Miele di lampone - Miele di melata di abete - Miele di
     melata di Metcalfa - Miele di melo - Miele di rododendro (miel di rasabèch) - Miele di rovo - Miele di tarassaco - Miele di
     tiglio - Miele in favo - Miele millefiori - Polline e pappa reale.
     8
       Il repertorio dei prodotti trentini appartenenti alle categorie pane e pasta comprende: Bastoncini al cumino - Bastoncini
     al pomodoro - Bechi-panzalini - Bina - Chifel - Filone casareccio - Focaccia ai pomodori - Focaccia al coriandolo - Focaccia
     pasquale - Focaccia schiacciata - Pan co’ le frìtole - Pan de sòrc - Pan de segàla - Pan di Molche (Pam de molche) - Pan di
     segale al cumino - Pane alle castagne - Pane al papavero - Pane d’avena - Pan taià o Gramolato - Schiacciatina - Gratini
     - Grissini salati - Krapfen salati - Schiacciatina - Ravioli trentini. La pasticceria tipica trentina comprende: Basini de Trent -
     Beca - Biscotti di farina gialla di Storo - Brazedèl - Buzòla - Canederli dolci - Chifelini - Ciambella ai mirtilli - Cròfani - Crema
     fritta - Crostata - Crostata di fiori di zucca - Dolce di Trento - Fiadoni - Focaccia alla Trentina - Frittelle di mele - Frittelle di
     mele alla Grappa giovane trentina - Fugassa di Varena - Gelato artigianale - Gnocchi al cioccolato - Grostoli - Krapfen - Lo-
     sanghe fritte - Mele alla crema - Mele in camicia - Pane all’uva trentino - Pere agli amaretti - Pinza - Pinza de lat - Pinza de
     peri - Pinza de pomi - Rosada - Stollen alle mele e cannella - Straboi - Stràuli (stràboli o fortaie) - Strudel - Teste di moro -
     Torta al biscotto - Torta alle mandorla - Torta amaretti e ricotta- Torta bianca - Torta de erbe - Torta de fregolòti - Torta delle
     rose - Torta di bozzoletti - Torta di carote - Torta di grano saraceno - Torta di mele - Torta di nocciole - Torta di noci - Torta
     di pere - Torta di ricotta - Torta Sacher - Tortolèti coi puriòni - Zelten o Celteno o Pane di frutta.

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artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli




•   Le aziende registrate per la lavorazione/trasformazione di frutta e ortaggi9 sono 61. Solo 3
    hanno più di 10 addetti.
•   Le imprese oggetto di registrazione ai fini della produzione di distillati10 sono 55, delle quali
    4 hanno più di 10 addetti.
•   Le aziende di produzione del vino sono 215, delle quali 13 hanno più di 10 addetti. In Trentino
    vengono prodotti annualmente circa un milione di quintali di uva interamente destinati alla
    trasformazione nei vini DOC e IGT.
•   Le imprese autorizzate alla produzione di acque minerali e altre bevande sono 3, tutte con
    più di 10 addetti. Queste imprese producono 8 diverse acque provenienti da altrettante fonti.
•   Le imprese autorizzate alla produzione di olio sono 5. La Provincia di Trento annovera al
    momento un solo prodotto tutelato: DOP Olio extravergine di oliva “Garda-Trentino“.
•   Oltre alle suddette tipologie di trasformazione alimentare, in Provincia di Trento sono presenti:
    13 aziende che lavorano il caffè; 2 aziende che producono aceto; 2 imprese che lavorano e
    confezionano spezie e condimenti.
Secondo i dati riportati nel documento della PAT “Strategie per lo sviluppo dei prodotti di qualità
nelle aree montane europee: il caso trentino” del giugno 2005, in Provincia di Trento si contano:
•   106 prodotti tradizionali ai sensi del Decreto Ministeriale 350/1999;
•   6 DOC e 3 IGT;
•   6 DOP e 1 IGP ai sensi del Reg. (CEE) 2081/1992;
•   1 STG ai sensi del Reg. (CEE) 2082/1992;
•   più di 300 aziende la cui attività è certificata come “biologica” ai sensi del Reg. (CEE) 2092/1991;
•   10 prodotti inclusi nella lista di Slow Food.
Il logo territoriale “TRENTINO” distingue i prodotti delle filiere agroalimentari che rientrano anche
tra queste tipologie. Le aziende che producono prodotti tipici sono 138, tra cui molte aziende
dell’artigianato.


9
 Il catalogo dei prodotti tipici orto frutticoli trentini annovera: Marone trentino - Mela del trentino - Frutti di bosco del
trentino - Fragola del trentino - Noce del Bleggio - Pere antiche trentine - Susina di Dro - Mela Val di Non (DOP) Asparago
di Zambana - Broccolo di Torbole e S. Massenza - Carota della Val di Gresta - Cavoli Cappucci della Val di Gresta - Mais spin
o nostrano della Valsugana - Mais nostrano di Storo - Patata trentina di montagna - Sedano Rapa della Val di Gresta. Tra i
prodotti trasformati troviamo: Confettura di pomodori rossi - Confettura di pomodori verdi - Cotognata - Crauti - Crauti
trentini - Funghi essiccati - Lamponi sciroppati - Marmellata di frutti di bosco - Marmellata di lamponi - Marmellata di
mele cotogne - Marmellata di mirtilli - Marmellata di mirtilli rossi (conserva de garnètole) - Marmellata di ribes (conserva
de ùa spinèla) - Persecche - Persicata - Soppressata di persecche - Verde o verdòle - Peverada - Salsa ai funghi - Salsa alla
senape - Salsa al rafano - Salsa di cren; Salsa di mele - Sciroppo di lampone - Sciroppo di mirtillo nero - Sciroppo di ribes
nero - Sciroppo di sambuco (dulzen).
10
   Il catalogo del distillati trentini comprende: Amaro Valle di Ledro - Distillato di ciliegie - Distillato di corniole - Distillato
di lamponi - Distillato di amarene - Distillato di mele - Distillato di mele cotogne - Distillato di pere - Distillato di ribes -
Distillato di sambuco - Distillato di sorbole - Distillato di susine - Genziana (acquavite di genziana) - Ginepro (acquavite di
ginepro) o Gin distillato - Grappa giovane trentina (metodo Tullio Zadra) - Imperatoria o acquavite di imperatoria - Nocino
- Picco Rosso - Stomatica Folletto.

                                                                                                                                        19
artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli




     Nel complesso, le imprese di trasformazione alimentare iscritte all’Albo delle Imprese Arti-
     giane della Provincia di Trento sono 410 e danno lavoro a 1.552 addetti. Tali aziende sono suddi-
     vise nelle categorie produttive riportate nella tabella seguente.

     Tabella 2: Imprese artigiane del settore alimentare in Provincia di Trento




     Fonte: Albo delle Imprese Artigiane della Provincia di Trento - CCIAA di Trento




20
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4. Il campione delle imprese artigiane analizzate

La presente indagine è stata rivolta a 100 imprese dell’artigianato alimentare trentino attraverso
la somministrazione di un questionario strutturato e un’intervista qualitativa volta a ricostruire il
caso aziendale. Le interviste sono state rivolte direttamente agli imprenditori (90% dei casi) o a
dipendenti, collaboratori o famigliari, a patto che fossero ben consapevoli degli aspetti indagati.
Considerate le tematiche dell’indagine e gli obiettivi conoscitivi riguardanti gli specifici casi azien-
dali le interviste sono state realizzate di persona in modo da chiarire all’istante ogni dubbio su
eventuali domande o modalità di risposta e di procedere ai necessari approfondimenti sul caso
d’impresa.



4.1 Classe economica
La definizione del campione di imprese da analizzare ha dovuto confrontarsi con un’articolazione
del settore dell’artigianato alimentare trentino resa complessa da dimensioni strutturali diverse
(classi di addetti) ma ancor più dall’appartenenza ad attività settoriali assai differenti (classi eco-
nomiche) e dalla preponderanza di alcune classi economiche su altre: si pensi, ad esempio, al
consistente numero di panifici, pasticcerie o pizzerie al taglio iscritte all’Albo delle Imprese Arti-
giane e, di contro, all’esiguità di altre classi – pur rappresentative delle tradizioni gastronomiche
trentine – che oltre all’artigianato possono fare riferimento anche ad altri settori quali il commer-
cio, l’agricoltura, la cooperazione e l’industria (macellerie, vini, formaggi, confetture, ecc.).
La scelta del campione è stata funzionale alle esigenze della ricerca che, se da un lato nascevano
dal bisogno di pervenire ad una conoscenza meno mediata dai dati statistici in merito ai compor-
tamenti imprenditoriali e di marketing delle imprese artigiane nella loro articolazione, dall’altro
aveva anche obiettivi divulgativi e promozionali riguardanti la presentazione di casi aziendali
significativi nell’ambito di una guida turistico-gastronomica dell’artigianato alimentare trentino.
Questa seconda esigenza ha fortemente condizionato la definizione del campione portando
all’individuazione – attraverso la consultazione di esperti – di imprese che fossero in qualche
modo caratterizzate sul piano della qualità e tipicità del prodotto, del legame con il territorio, del-
le strategie produttive e commerciali. Ad influire sul campione delle imprese intervistate è stata
poi, naturalmente, la disponibilità delle stesse ad essere coinvolte nell’indagine.
Alla fine possiamo affermare che ne è risultato un campione comunque coerente con gli aspetti
conoscitivi che ci eravamo proposti di esaminare, ovvero con gli scopi della ricerca che sono
quelli di dare rappresentazione delle principali modalità di stare al gioco competitivo delle im-
prese artigianali trentine del settore alimentare.
Nonostante il campione non sia stato costruito con rigidi criteri di rappresentatività statistica
dell’universo delle imprese artigiane trentine del settore alimentare, il confronto tra le imprese
intervistate e quelle iscritte all’Albo provinciale delle Imprese Artigiane evidenzia come sia stato
mantenuto un criterio di proporzionalità.

                                                                                                           21
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     Si rilevano chiaramente delle discrepanze in alcuni settori come ad esempio i panifici (dato il consi-
     stente numero di queste aziende) o delle pizze al taglio, che sono comunque di scarso significato ri-
     spetto alle finalità di questa indagine, incentrata sugli aspetti di valorizzazione delle tipicità trentine.
     Per altri settori, in cui si possono maggiormente individuare queste tipicità, si può anche indivi-
     duare una buona rappresentatività del campione: abbiamo, infatti, intervistato il 75% delle azien-
     de artigiane di lavorazione di frutta, verdura e funghi presenti in Provincia di Trento, il 71,4% delle
     macellerie artigiane, il 63% delle distillerie, il 23,7% delle pasticcerie, ecc.
     Come specificato precedentemente, non bisogna inoltre dimenticare la scarsa rappresentativi-
     tà dell’artigianato in diversi settori di punta dell’agroalimentare della Provincia di Trento: basti
     pensare al settore vinicolo dove operano solo due imprese artigiane o al settore caseario dove vi
     sono solo 6 imprese artigiane a fronte di un grande numero di imprese appartenenti al settore
     cooperativo, commerciale o agricolo.

     Tabella 3: Imprese intervistate per classe di produzione alimentare
     (confronto con dati imprese iscritte all’Albo Artigiani della Provincia di Trento)




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4.2 Distribuzione territoriale
Per quanto riguarda la distribuzione territoriale del campione la figura 1 descrive la localizzazione
per comprensorio e per comune delle 100 imprese intervistate. Un confronto tra la localizzazione
delle imprese intervistate e la distribuzione per comprensorio della totalità delle imprese dell’ar-
tigianato alimentare trentino è riportata nella tabella 4.
Figura 1: Distribuzione territoriale delle imprese intervistate per comprensorio e per comune




                                                                                                                                                           23
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     Tabella 4: Imprese intervistate e totali per comprensorio




     4.3 Forma giuridica delle imprese analizzate
     Un altro fattore importante per caratterizzare il campione di imprese intervistate è la forma giu-
     ridica che consente di studiare il percorso di “maturazione” organizzativa che va dalla forma in-
     dividuale alle società di capitali. Le società di capitale non solo danno la possibilità di limitare il
     rischio, ma consentono anche – nella forma della Srl pluripersonale – di acquisire con una certa
     facilità soci e di modificare la struttura societaria del rischio e del capitale. Naturalmente, le Srl e
     le Spa sono strutture che richiedono una certa formalizzazione della contabilità, dei poteri e degli
     atti societari, segnando un punto di distacco – almeno sul piano formale – dall’identificazione tra
     azienda e persona che prevale ancora in molte microaziende. La forma giuridica, in questo senso,
     è un indizio piuttosto rilevante di evoluzione organizzativa di un’azienda. Come si vede dalla se-
     guente figura 2 la ditta individuale è nettamente maggioritaria: quasi la metà del campione (48
     imprese). Abbiamo uno sviluppo in senso societario con la S.n.c. (32 aziende). Mentre le società
     di capitali – esclusivamente Srl – sono solo 13. Limitate a solo 7 casi sono le Società in acco-
     mandita semplice (S.a.s.): questo tipo di società, nasce solitamente quando ci sono dei soggetti
     capitalisti che vogliono investire, ma limitare il proprio rischio, e soggetti imprenditori che sono
     in possesso di una parte limitata di capitali.




24
artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli




Figura 2: Percentuale imprese intervistate per forma giuridica




                              s.r.l. 13%




            s.n.c. 32%                                                  ditta individuale 48%




                                           s.a.s 7%




Sui motivi di tale distribuzione di forme societarie il peso maggiore lo hanno la scarsa dimensione
delle imprese, la scarsa consapevolezza dei benefici connessi all’adozione di forme giuridiche più
avanzate e, probabilmente, anche una certa inerzia storica. In passato, infatti, dal punto di vista for-
male, l’impresa artigiana era costretta ad assumere la forma giuridica di società di persone, mentre
la microimpresa industriale poteva assumere anche la forma di società di capitali; questa differenza
formale oggi non sussiste più, ma l’eredità storica da una parte, e i minori costi dall’altra, fanno sì che
la quasi totalità delle microimprese artigiane assuma tuttora la forma giuridica della società di per-
sone. Ne deriva la frequente commistione tra la famiglia dell’imprenditore – con il coinvolgimento
del patrimonio familiare e dei familiari che prestano la propria opera – e l’impresa.
L’incrocio tra forma giuridica e classe economica delle aziende intervistate (tabella 5) non evi-
denzia specifici caratteri, anche per il fatto che la diversa consistenza numerica delle aziende
nelle diverse classi economiche non consente dei confronti. Anche l’incrocio tra forma giuridica e
numero di occupati nell’azienda (compresi titolari, soci e familiari coadiuvanti) non fa emergere –
come ci si potrebbe aspettare – una tendenziale evoluzione della forma giuridica con il crescere
degli addetti, al contrario si evidenzia il caso limite di due ditte individuali con più di 10 addetti.
Va comunque specificato che si tratta di attività in cui incide fortemente il lavoro part time e sta-
gionale (tabella 6). Esula da questo lavoro un ulteriore esame delle motivazioni di convenienza
giuridico-economica, vogliamo solamente ricordare che essa è espressione non solo del numero
di addetti ma anche del livello assoluto del fatturato e di motivazioni collegate ai rapporti di pa-
rentela all’interno dell’azienda.
                                                                                                              25
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     Tabella 5: Forma giuridica per classe economica




     Tabella 6: Forma giuridica per classe di addetti




26
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5. Addetti e fatturato

Tra le 100 imprese esaminate, il numero medio di occupati per impresa è di 5,9 persone,
comprendendo, oltre ai dipendenti, anche i titolari, i soci ed i familiari attivi.

Tabella 7: Valori minimi massimi e medi di occupati nelle aziende




In totale, nelle cento aziende analizzate lavorano 582 persone, di cui: 187 titolari e soci; 38
famigliari coadiuvanti, 256 dipendenti a tempo pieno e 114 dipendenti part-time o stagionali.
Le aziende con un solo addetto (il titolare) sono 5: un’azienda di produzione di specialità
gastronomiche, una distilleria, un’azienda di produzione di pasta alimentare, una torrefazione e
una gelateria. All’estremo opposto troviamo 3 aziende con più di 20 addetti: un’importante
catena di panetterie che, oltre al titolare e a un familiare coadiuvante, dà lavoro a 22 dipendenti
a tempo pieno e a 6 dipendenti stagionali; un’azienda di produzione gelati che, oltre al titolare,
occupa 12 dipendenti a tempo pieno e 10 dipendenti stagionali; un’azienda di macellazione che,
oltre ai due titolari, occupa 20 addetti a tempo pieno. La classe che raccoglie la maggiore per-
centuale di imprese (54%) è quella da 2 a 5 addetti. Una ripartizione delle aziende per numero
di addetti è schematizzata nella seguente figura 3.




                                                                                                      27
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     Figura 3: Percentuale aziende per classi di addetti (compresi titolari e famigliari coadiuvanti)


                               più di 20 occupati 3%
                                                             1 solo occupato (il titolare) 5%
                da 11 a 20 occupati 8%




          da 6 a 10 occupati 30%


                                                                                   da 2 a 5 occupati 54%




     L’89% delle imprese indagate rientrano nella classe delle microimprese (meno di 10 addet-
     ti) mentre solo l’11% del campione può essere classificato come piccola impresa (fino a 50
     addetti).
     La preponderanza di microimprese denota una resistenza alla crescita dimensionale. Nella mi-
     croimpresa, infatti, l’imprenditore è in grado di controllare direttamente tutti gli aspetti della vita
     aziendale, di assumere le decisioni in prima persona. Nella sua figura s’identificano sia il manage-
     ment sia la proprietà: è assente la proprietà cui rispondere, mancano gli azionisti che chiedono
     dividendi nel breve periodo e l’imprenditore può decidere liberamente, investendo o meno a
     lungo termine, sacrificando delle entrate momentanee per stabilizzare relazioni e rapporti con
     clienti e partner strategici. La crescita dell’impresa, motivo di fierezza per l’imprenditore, può co-
     stituire allo stesso tempo un trauma, dal momento che oltre una certa dimensione comporta la
     delega di molte funzioni e la perdita del controllo totale e assoluto dell’impresa. Crescono inoltre
     l’impegno e il rischio dell’imprenditore e le modalità di reperimento di nuove commesse: con pic-
     cole dimensioni è più facile reperire il lavoro necessario per garantirsi un determinato ammontare
     di fatturato, è spesso il cliente che cerca il fornitore e non viceversa; per elevati volumi di fatturato
     e di lavoro, al contrario, diventa indispensabile un maggiore impegno per reperire un numero di
     commesse sufficiente a coprire tutti i costi: occorre che l’imprenditore distolga la propria atten-
     zione e parte degli investimenti dagli aspetti produttivi e intensifichi gli sforzi più strettamente
     commerciali e di marketing. Questi aspetti contribuiscono a limitare la disponibilità dell’im-
     prenditore a fare crescere la propria impresa, soprattutto oltre la soglia dei dieci addetti:
28
artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli




è proprio questa la soglia oltre la quale si rende indispensabile una riorganizzazione dell’azienda
con l’introduzione di nuove figure professionali cui delegare funzioni organizzative e gestionali e
cresce l’impegno commerciale necessario per mantenere più consistenti livelli di fatturato.
Nelle imprese considerate la media dei soli dipendenti a tempo pieno è di 2,6 addetti per
azienda, con un range che va da 44 aziende senza alcun dipendente a tempo pieno al già
citato caso di una catena di panetterie con più di 20 addetti. Un quarto del campione si colloca
nella classe tra 2 e 5 dipendenti.

Figura 4: Percentuale aziende per classi di dipendenti a tempo pieno


                    da 11 a 22 dipendenti 5%

         da 6 a 10 dipendenti 11%




                                                                             nessun dipendente
                                                                             a tempo pieno 44%
 da 2 a 5 dipendenti 25%




                                    un solo dipendente 15%




Le aziende che utilizzano dipendenti part time o stagionali sono 45, a testimonianza del ca-
rattere stagionale di molte produzioni dell’artigianato alimentare e di carichi di lavoro che spesso si
concentrano in concomitanza di particolari ricorrenze, come le festività natalizie o estive. Il ricorso a
dipendenti part-time o stagionali – che come vedremo nei successivi capitoli vengono utilizzati sia
per funzioni di produzione sia per funzioni di vendita – riguarda tutte le classi economiche analiz-
zate. Il numero massimo di dipendenti part-time o stagionali lo troviamo in due gelaterie (10 e 11
addetti). Le aziende che utilizzano unicamente dipendenti part-time o stagionali sono 21.
I dati relativi alla distribuzione dei dipendenti per le principali classi economiche analizzate è sche-
matizzata dalla seguente tabella da cui si evince come il maggiore dato medio di dipendenti a
tempo pieno si individua nelle panetterie con 5,9 dipendenti a tempo pieno per azienda
(dato che però è condizionato dalla presenza di un’azienda che gestisce una catena di panifici),
mentre il maggiore dato medio di lavoratori part-time e stagionali è rilevabile nelle gelaterie
(2,3 dipendenti).
                                                                                                            29
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     Tabella 8: Numero di dipendenti per le principali classi economiche




     Nonostante le resistenze alla crescita dimensionale precedentemente descritte l’andamento
     del numero degli occupati in azienda rappresenta un interessante indicatore dell’andamento
     congiunturale del settore. Rispetto a tale dato solo il 14% delle aziende intervistate ha di-
     chiarato una contrazione degli occupati in azienda nel corso degli ultimi tre anni. Per il 52%
     delle aziende gli occupati sono rimasti stabili e per il 30% delle aziende gli occupati sono
     cresciuti nonostante l’attuale situazione di crisi generale. Dato che conferma il carattere an-
     ticiclico svolto dal settore dell’artigianato alimentare, evidenziato anche da diverse rilevazioni a
     livello nazionale.
     Una ripartizione per classe economica evidenzia come gli andamenti (positivi o negativi) dell’oc-
     cupazione si distribuiscono in tutte le classi economiche analizzate: ciò porta a pensare che l’an-
     damento positivo o negativo dell’occupazione non dipenda tanto dall’andamento generale del-
     lo specifico settore, quanto piuttosto dalla situazione di mercato e dalle strategie delle singole
     aziende. Nel complesso si può rilevare una tendenza alla diminuzione degli occupati nelle panet-
     terie, nella lavorazione frutta e verdura, nella produzione cioccolato. Mentre la tendenza all’au-
     mento degli occupati è stata maggiormente segnalata da: pasticcerie, macellerie, pizze al taglio,
     gelati, gastronomie, produzioni di pasta alimentare, caseifici, moliture cereali, lavorazione pesce.




30
artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli




Figura 5: Andamento degli occupati in azienda negli ultimi tre anni


                                 non risponde 4%




                                                                      cresciuti 30%




           rimasti stabili 52%




                                                               diminuiti 14%




Figura 6: Andamento degli occupati negli ultimi tre anni per classe economica




                                                                                      31
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     Dal punto di vista delle classi di fatturato, il gruppo si presenta estremamente eterogeneo, pas-
     sando dai 30.000 euro di fatturato annuo agli oltre 3 milioni di euro. Il dato medio di fatturato
     per azienda è di 600.513 euro (sulla base di 72 risposte su 100). Una ripartizione delle aziende
     per classi di fatturato è schematizzata dal seguente grafico da cui emerge, in primo luogo, l’alta
     percentuale di aziende che non hanno fornito il dato. Per il resto le aziende si distribuiscono omo-
     geneamente tra le varie classi di fatturato, con una leggera prevalenza delle classi da 500.000 al
     milione di euro e da 100.000 a 200.000 euro.

     Figura 7: Percentuale aziende per classe di fatturato


                                                                  < di 100.000 euro 10%


          fatturato non dichiarato 28%

                                                                                 da 100.000 a < 200.000 euro
                                                                                                21%




               da 1 MLN di euro
             a 3,5 MNL di euro 11%
                                                                             da 200.000 a < 500.000 euro
                                                                                          15%

                                     da 500.000 a < di 1 MLN di euro
                                                  15%




     La classe economica di appartenenza non sembra avere particolare influenza sulla collocazione
     delle aziende rispetto alle classi di fatturato. Tra le imprese che superano il milione di euro di
     fatturato troviamo diversi settori: due panifici, una gelateria, due macellerie, due distillerie, due
     aziende di lavorazione di frutta, verdura e funghi, un’azienda di lavorazione e conservazione pe-
     sce, un’azienda di produzione aceti.




32
artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli




Tabella 9: Numero aziende per classe economica per classe di fatturato




Il fatturato è anche espressione del numero di addetti, pur se il peso di questi ultimi sul fatturato
dipenda da molti altri fattori: dalla tipologia dei processi produttivi, dall’organizzazione del lavoro
e dal grado di automazione ed innovazione degli impianti e non da ultimo dall’età dell’impresa.




                                                                                                          33
artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli




     Tabella 10: Numero aziende per classe di fatturato e numero di occupati




     Il fatturato medio per addetto – calcolato sulle 72 aziende che hanno fornito il dato sul fattura-
     to e dividendo tale dato per numero di addetti di queste 72 aziende – si attesta sui 78.000 euro,
     con valori minimi di 25.000 euro e valori massimi di 375.000 euro.

     Tabella 11: Fatturato medio per addetto




     Considerando gli andamenti del fatturato negli ultimi tre anni emerge come quasi la metà
     delle imprese intervistate – nonostante la fase di crisi economica iniziata nel 2008 – sia riuscita
     ad incrementare i propri fatturati, con andamenti positivi che si attestano, nella maggioranza dei
     casi, su crescite del 5% e 10%. Il 28% delle imprese dichiara di aver conseguito una stabilità nella
     dinamica dei ricavi. Un più ridotto 14% lamenta, invece, recenti andamenti negativi dei fatturati
     che si attestano sul 5% - 10%, con il caso limite di un’azienda che ha dichiarato un 70% di calo di
     fatturato.


34
artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli




Figura 8: Andamento del fatturato nei precedenti tre anni


                          non risponde 10%           diminuito 14%




          cresciuto 48%                                                rimasto stabile 28%




Decisamente più ottimistiche le previsioni di crescita dei fatturati nei prossimi tre anni dove
ben il 63% delle aziende si aspetta una crescita del proprio fatturato che in 24 casi si attesta sul
10%, anche se non mancano numerose previsioni di crescita del fatturato del 20, 30 e 40%.

Figura 9: Previsione andamento fatturato nei prossimi tre anni


                    non risponde 12%             diminuzione 1%




                                                                     stabilità 24%




                  crescita 63%




                                                                                                       35
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     Figura 10: Numero aziende per percentuali di crescita del fatturato negli ultimi tre anni
     e per previsioni di crescita del fatturato nei prossimi tre anni




36
artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli




6. Storie di imprese, famiglie e persone

Le imprese esaminate nella loro consistenza attuale sono il frutto di una storia aziendale – che
quasi sempre è personale e familiare – e che ha come punto di riferimento principale la data di
fondazione dell’azienda (o di subentro rispetto ai veri fondatori).

Figura 11: Anno di fondazione dell’azienda




A parte le 13 aziende che non hanno comunicato la data di fondazione – quasi sempre perché
era difficile ricostruire l’anno preciso di inizio dell’attività avviata dai padri o dai nonni – il primo
dato di interesse è il carattere “storico” di alcune botteghe artigiane. Vi sono ben 10 aziende,
tra quelle intervistate, che nascono prima del 1910.
I più antichi laboratori artigiani coinvolti nell’indagine sono: una distilleria fondata nel 1849; un
panificio fondato nel 1850; una distilleria fondata nel 1852; una distilleria fondata nel 1872; e un
mulino fondato nel 1877. In sostanza, le produzioni di grappa e pane sono le attività artigiane
dell’economia di sussistenza che caratterizzava il Trentino alla fine dell’800.
Il periodo tra le due guerre vede la nascita di due imprese artigiane: un biscottificio, diventato poi
molto famoso in Trentino, e un panificio. Seguono gli anni della ricostruzione e del boom econo-
mico con la nascita di 6 imprese negli anni ’50 e di 10 imprese negli anni ’60.
Durante gli anni ’70 si rileva una leggera flessione nel numero di imprese avviate e, successiva-
mente, un costante incremento che dagli anni ’80 prosegue fino ai nostri giorni, confermando
una tendenza che si rileva anche a livello nazionale.
In verità, parte delle aziende sono state “rifondate” nel senso di un subentro ai vecchi titolari a
cui generalmente è corrisposto un cambiamento nella forma giuridica, un ammodernamento
                                                                                                            37
artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli




     dell’impresa e, certamente, dei cambiamenti nelle modalità gestionali, pur nel mantenimento
     delle caratteristiche artigiane e qualitative. Tali subentri sono in prevalenza avvenuti in ambito
     familiare, con il susseguirsi delle generazioni alla guida dell’azienda. Dato testimoniato dal 42%
     degli attuali titolari che hanno dichiarato di avere ereditato l’impresa dal padre, o comunque
     da congiunti.
     Generalmente si tratta di seconde o terze generazioni che hanno sperimentato il lavoro già quan-
     do studiavano e, con il passare degli anni, hanno acquisito sempre maggiori responsabilità e
     margini di iniziativa, sino a diventare titolari dell’azienda, magari affiancati dai padri con i loro
     saperi taciti e con la loro esperienza. Dunque, più che di “passaggio generazione” nell’impresa
     artigiana appare appropriato parlare di “convivenza generazionale”, intesa come fase di tran-
     sizione dove è la cogestione l’aspetto più interessante e strategico. Ai saperi informali dei padri
     si sono affiancati quelli più “modernizzanti” dei figli che tendono a spostare la cultura artigiana
     verso una matrice più “imprenditiva”.

     Figura 12: L’attività è stata ereditata dal padre?




                                                                  42%




                     58%




     Sono ancora attivi imprenditori nati negli anni ’30, anche se la classe di età in cui si concentra il
     maggior numero di risposte è quella degli imprenditori nati negli anni ’60, un terzo dei quali ha
     ereditato l’attività paterna. Un maggior numero di casi di successioni nell’attività d’impresa carat-
     terizza gli imprenditori nati negli anni ’70.




38
artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli




Figura 13: Numero di imprenditori per anno di nascita dell’imprenditore
e successione imprenditoriale




Appare ancora ridotta la quota dei titolari d’impresa che hanno dai 20 ai 30 anni: solo 4 im-
prenditori, due dei quali gestiscono l’impresa ereditata dal padre. Comunque, tale dato non va
interpretato come una carenza assoluta di giovani nel settore dell’artigianato alimentare, ma più
semplicemente significa che in diverse aziende non è ancora avvenuto il passaggio di testimone
nella conduzione dell’azienda: sono in totale 23 le aziende che dichiarano di avere uno o più
figli coinvolti nell’attività di impresa.
Il ruolo della tradizione familiare nel settore dell’artigianato alimentare è testimoniato anche dalle
risposte riguardanti la precedente occupazione dell’attuale titolare.

Tabella 12: Precedente occupazione dell’attuale titolare




La maggior parte delle precedenti posizioni lavorative – come autonomo o come dipendente – si
collocano nell’ambito della stessa impresa (44%), presumibilmente nell’impresa di famiglia visto
che il dato supera di soli due punti percentuali il numero di imprenditori che hanno dichiarato di
avere ereditato l’impresa dal padre (42%).
Significativo anche il numero di precedenti posizioni lavorative in altre imprese dello stesso
settore – in particolare come dipendente – dato che conferma come lo spin off aziendale rap-
presenti un’importante modalità di formazione di nuove imprese nel settore dell’artigianato ali-
                                                                                                         39
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     mentare. È, infatti, presumibile che la maggior parte di queste 23 segnalazioni si riferisca ad ex
     dipendenti di imprese del settore alimentare che, una volta acquisita una certa professionalità
     nell’ambito del lavoro dipendente, hanno deciso di avviare un’attività in proprio.
     È alto anche il numero delle segnalazioni – circa un quarto del campione – di imprenditori che
     provengono da imprese di altri settori, dato che testimonia l’appeal del settore dell’artigianato
     alimentare come ambito per l’avvio di nuove iniziative imprenditoriali.
     Una ripartizione dei titolari d’impresa per titolo di studio è schematizzata dalla seguente figura
     14 da cui emerge una relativa prevalenza di imprenditori con la licenza di media inferiore (32%)
     seguita dal diploma di scuola professionale (29%) e di maturità (23%).
     Nel complesso, tra le 100 imprese indagate, troviamo 13 artigiani che hanno svolto studi uni-
     versitari (diploma di laurea breve o diploma di laurea). La presenza di laureati si riscontra in
     aziende appartenenti alle seguenti classi economiche: 4 distillerie, 3 panetterie, 2 pasticcerie,
     un’erboristeria, un’azienda di lavorazione di frutta e verdura, un’azienda di lavorazione del pesce,
     una di molitura cereali.
     La ripartizione del titolo di studio per classi di età (figura 15) evidenzia come la presenza di
     laureati è riscontrabile già nella generazione dei nati negli anni ‘40. Con le generazioni degli anni
     ’70 e anni ’80 cominciano ad avere rilevanza i diplomi di laurea breve. Le tre licenze elementari
     riguardano unicamente gli imprenditori nati negli anni ’30.

     Figura 14: Imprenditori per titolo di studio


                                                             licenza elementare 3%
                                             laurea 9%

                diploma laurea breve 4%

                                                                             licenza media inferiore
                                                                                avviamento 32%


          diploma maturità 23%




                                          diploma professionale 29%




40
artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli




Figura 15: Numero imprenditori per anno di nascita e titolo di studio




Oltre ai summenzionati percorsi scolastici, ben 66 artigiani hanno dichiarato di avere parte-
cipato ad attività di formazione o specializzazione inerenti all’attività svolta. Ai tradizionali
corsi di specializzazione per panettieri, pasticceri, cioccolatieri, casari, macellai, molitori – in alcuni
casi svolti al di fuori del Trentino – si affianca la partecipazione a corsi per degustatori ANAG11,
seguiti dai titolari di distillerie. Si rilevano alcune partecipazioni anche a corsi sulla valorizzazio-
ne di prodotti tipici (Accademia d’Impresa, Consorzio Produttori Trentini di Salumi, Slow food),
a corsi di sommelier e a corsi di dietetica e produzioni alimentari per celiaci. Abbastanza
diffusa è anche la partecipazione a corsi di formazione tenuti da ditte fornitrici di tecnologie per
la produzione alimentare e a corsi incentrati sulle metodologie di gestione d’impresa, svolti
in buona parte dall’associazione di categoria.
In totale sono 11 gli artigiani che hanno dichiarato di avere avuto esperienze di docenza
nell’ambito di corsi di formazione professionali, scuole alberghiere o altri istituti seconda-
ri. In alcuni casi si è trattato di esperienze che denotano un forte impegno sociale degli artigiani:
come nei citati casi di docenze effettuate presso istituzioni e associazioni che operano per il recu-
pero di giovani in difficoltà (è il caso ad esempio dei corsi di formazione sull’artigianato alimen-
tare realizzati presso la Comunità di San Patrignano) o per l’inserimento lavorativo di immigrati
extracomunitari. Si tratta di esperienze che evidenziano il forte ruolo che l’artigianato svolge
nei processi di inclusione sociale.



11
     Associazione Nazionale Assaggiatori Grappa ed Acqueviti.

                                                                                                              41
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     La partecipazione a corsi di formazione esterni continua ad essere una pratica consolidata di
     aggiornamento professionale per un consistente numero imprese analizzate: il 47% dichiara di
     acquisire competenze necessarie all’attività d’impresa partecipando a corsi di formazione
     esterni ed il 29% a quelli organizzati dall’associazione di categoria.

     Tabella 13: Canali attraverso i quali l’impresa acquisisce le conoscenze di cui ha bisogno




     L’artigianato ha comunque una lunga storia e propri sistemi di sviluppo e trasmissione della co-
     noscenza che gli consentono di innovare nel solco della tradizione. La quotidiana esperienza
     fatta sul lavoro continua ad essere il principale ambito attraverso cui le imprese artigiane ag-
     giornano e consolidano le proprie competenze produttive (82% delle segnalazioni). L’attenzione
     alle tradizioni locali (66 segnalazioni) ed il passaggio generazionale delle tecniche produt-
     tive (44 segnalazioni) sono le strade maestre che consentono storicamente all’impresa artigiana
     di innovare le proprie produzioni e riprodurre i propri processi produttivi. Proprio per il suo fon-
     damento pratico, l’artigianato costituisce una pratica sociale che si apprende sul campo, attra-
     verso il rapporto diretto dell’apprendista con l’artigiano. Mentre nell’industria il sapere codificato
     che viene incorporato in una macchina è facilmente moltiplicabile (riproducendo la macchina
     in molti esemplari identici tra loro), il sapere posseduto da un artigiano si trasmette ad altri solo
     attraverso il lungo e complesso processo di apprendistato (o di imitazione).
     Ma oltre alle conoscenze contestuali – patrimonio di ogni artigiano e di ogni azienda, spesso
     gelosamente custodito – oggi servono competenze che abbiano un carattere più formale e co-
42
artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli




dificato, riguardanti tecnologie e mercati, per le quali le imprese analizzate si affidano alla par-
tecipazione a fiere di settore (44 segnalazioni) e al trasferimento di conoscenze da parte di
committenti, clienti e fornitori (34 segnalazioni).
La presenza di donne titolari d’impresa, nell’ambito del campione di imprese indagato, è del
22%. Solo 4 imprenditrici hanno ereditato l’impresa dal padre: la maggior parte ha sviluppato le
proprie competenze presso altre imprese alimentari e ha avviato, successivamente, una propria
attività. La distribuzione di imprenditrici nell’ambito delle varie classi economiche è illustrata nella
seguente figura.

Figura 16: Numero aziende per classe economica e sesso del titolare




Il ruolo svolto dalle donne nell’impresa artigiana non può certamente essere descritto unicamen-
te con il numero delle titolari di impresa, ma va ricondotto ai diversi ruoli che esse svolgono in
imprese che sono in buona parte a carattere familiare.
In totale sono 30 le aziende che hanno dichiarato di avvalersi dei familiari coadiuvanti
nello svolgimento di funzioni aziendali: la ripartizione di tali funzioni tra titolari, familiari co-
adiuvanti e dipendenti a tempo pieno e tempo parziale è schematizzata dalla seguente tabella.




                                                                                                           43
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     Tabella 14: Svolgimento delle funzioni aziendali (Chi fa cosa?)




     Il primo aspetto macroscopico rilevabile da questa tabella riguarda l’assunzione di tutti i ruoli
     di lavoro da parte del titolare (o dei titolari) che spesso è assunta come verità assiomatica
     “l’artigiano fa tutto”. Un dato analogo riguarda i familiari anche loro coinvolti in tutte le funzioni
     dell’azienda, con una leggera preminenza per le funzioni di vendita. Ai dipendenti – che siano
     a tempo pieno o a tempo parziale – sono, invece, riservate le funzioni di produzione e vendita.




44
artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli




7. Il mercato dell’impresa artigiana

7.1 I mercati serviti dall’azienda
La percentuale di composizione del fatturato, utilizzata per indicare i mercati di vendita, rappre-
senta il valore medio della percentuale di fatturato realizzata in una particolare destinazione di
vendita.
Nel complesso le 100 imprese intervistate realizzano mediamente il 53,7% del proprio fatturato
sul mercato strettamente locale – valle, città, paese – tale dato scende al 28,9% se si prende a
riferimento il mercato provinciale, per poi posizionarsi su valori inferiori al 10% riguardo ai mercati
extraprovinciali.

Tabella 15: Percentuale di fatturato a seconda della destinazione delle vendite




Le aziende che hanno dichiarato di realizzare la totalità del loro fatturato sul mercato stretta-
mente locale sono il 35%, si tratta in sostanza di imprese che svolgono un servizio di prossimità
rivolto a residenti e turisti ed usano quasi esclusivamente il canale commerciale costituito dal
proprio punto vendita (panifici, pasticcerie, gastronomie, pizze al taglio, ecc.).
Di contro le aziende che dichiarano di realizzare una parte del loro fatturato (fino ad un massi-
mo del 50%) sui mercati esteri sono il 18%, tra queste aziende troviamo un buon numero di
distillerie, diversi produttori di specialità gastronomiche particolarmente rinomate, due impor-
tanti aziende artigiane di lavorazione di prodotti di macellazione, un biscottificio e un’azienda di
produzione aceti. A caratterizzare queste imprese sono in alcuni casi le produzioni di alta gam-
ma – solitamente associate alla capacità di agganciarsi a prestigiosi canali commerciali di livello
internazionale – e in altri casi la maggiore dimensione di impresa associata ai canali della GDO.
La presenza sul mercato provinciale caratterizza un’articolata tipologia di classi produttive, pra-
ticamente tutte le aziende del campione, ad esclusione di quelle che hanno dichiarato di operare
unicamente sul mercato strettamente locale. In particolare le imprese che fanno quasi esclusiva-
mente riferimento al mercato provinciale sono: le imprese che si caratterizzano per la produzione
                                                                                                          45
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     di servizi (moliture, torrefazioni, catering); le imprese che più si avvicinano ad un tipo di produzio-
     ne industriale e/o che hanno saputo conquistarsi una certa fama a livello provinciale e le imprese
     maggiormente orientate alla fornitura di esercizi turistici in particolare alberghi e ristoranti. Sul
     mercato prevalentemente provinciale troviamo anche aziende specializzate in settori di nicchia,
     come ad esempio le produzioni biologiche, che pur essendo di piccolissima dimensione non
     possono avere come riferimento il solo mercato di prossimità.
     Sul mercato nazionale opera circa il 35% delle imprese analizzate. Il principale sbocco è chiara-
     mente il mercato del Nord Est dove il 34% delle imprese analizzate dichiara di realizzare una quo-
     ta del proprio fatturato (fino ad un massimo del 50%), seguono il Nord Ovest, sbocco di mercato
     per il 25% delle imprese, il Centro Italia 14% ed infine il Sud Italia con il 10%. Le imprese che
     presentano una rilevante quota di fatturato sul mercato nazionale sono quelle capaci di utilizzare
     circuiti commerciali specializzati in prodotti di qualità; quelle che commercializzano attraverso la
     GDO e le imprese di subfornitura che forniscono semilavorati o prodotti finiti ad altre aziende che
     lo commercializzano con marchio proprio.
     Anche la quantificazione dei volumi di vendita realizzati dalle imprese sui diversi mercati evi-
     denzia l’assoluta preminenza dei mercati locali e provinciale.

     Tabella 16: Volumi di vendita sui diversi mercati




     7.2 I canali commerciali utilizzati dalle aziende
     Relativamente ai canali commerciali utilizzati dall’azienda la strategia più percorsa (e anche quella
     più vincente secondo quanto emerso dalla campagna di interviste) è quella di mixare diverse
     formule di vendita. Infatti, la strategia multilivello permette di incontrare diverse “popolazioni” di
     consumatori, differenziando i prezzi a seconda delle situazioni e, quindi, poiché si agisce su seg-
     menti a valori aggiunti diversi, modulando la propria struttura di costi e ricavi.
     Nel complesso le imprese che realizzano la totalità del proprio fatturato su un unico canale
     commerciale (in prevalenza il negozio) sono solo 22. Tutte le altre operano su molteplici canali
     con diversificate percentuali di vendita e in alcuni casi diversificando anche la produzione o il
     packaging in funzione dei diversi canali.
     In sostanza, accanto alla commercializzazione diretta si mettono in atto più strategie di commer-
46
artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli




cializzazione indiretta: quella del “B2B” (dove il margine è ridotto), quella d’élite (dove il margine
è alto) e quella della vendita tramite vetrine terze (dove il margine è spartito con il gestore dello
spazio). I rapporti con la GDO ci sono quando è necessario “smaltire” una certa quantità della
propria produzione.
Il dato medio di fatturato realizzato sui diversi canali commerciali è riportato nella seguente ta-
bella, da cui si rileva la preponderanza della vendita diretta al pubblico tramite negozio (46,3%).

Tabella 17: Percentuale di fatturato per canale commerciale




A distanza troviamo la vendita dei propri prodotti artigianali attraverso i supermercati su cui vie-
ne realizzato un dato medio di fatturato dell’11,1%. Le aziende che commercializzano attraverso i
supermercati sono 37. La percentuale di fatturato su questo canale si attesta, per la maggioranza
delle imprese, sul 10-20%. C’è solo un’impresa – una molitura cereali – che realizza su questo
canale il 90% del proprio fatturato.
Gli alberghi e ristoranti rappresentano il terzo canale per dato medio di fatturato (9,7%) ma il se-
condo canale per numero di imprese che lo utilizzano (49 imprese). Ne consegue che, nonostan-
te l’ampio utilizzo di questo canale, le quote di fatturato realizzato sono basse (inferiori al 10%).
Solo una torrefazione dichiara di realizzare su questo canale più del 90% del proprio fatturato.
La vendita ad altri esercizi commerciali al dettaglio produce una percentuale di fatturato me-
dio dell’8,1% e coinvolge 35 imprese. Anche in questo caso le quote di fatturato si attestano su
percentuali abbastanza basse. Le due aziende che dichiarano di realizzare almeno il 70% del pro-
prio fatturato su questo canale sono una gelateria e una produzione di cioccolato.
                                                                                                         47
artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli




     Lo spaccio aziendale rappresenta un canale di vendita su cui viene realizzato il 7,8% del fat-
     turato. Le aziende che utilizzano questo canale – principalmente le distillerie – solitamente as-
     sociano alla vendita anche un’attività di accoglienza aziendale, ovvero, l’attività produttiva e
     commerciale è assistita da un’attività di divulgazione culturale volta ad illustrare le caratteristiche
     del prodotto e dei processi produttivi. Accogliendo visitatori è possibile interagire direttamente
     con i potenziali consumatori che saranno maggiormente disposti a spendere, poiché alla soddi-
     sfazione data dal prodotto “in sé” si somma quella esperienziale. L’importante è tenere sempre ali-
     mentato il flusso di presenze e l’estetica (e quindi la manutenzione) della propria sede. In questo
     caso la localizzazione della propria impresa non è per niente secondaria, anzi più è attrattivo e
     riconosciuto il territorio nel quale si opera e maggiori sono le possibilità di relazioni con operatori
     depositari di know how, più l’impresa può essere inserita all’interno di circuiti e sistemi strutturati,
     quindi costanti, rendendo meno aleatorio l’apporto di queste iniziative al fatturato aziendale.
     La vendita attraverso negozi di prodotti tipici trentini coinvolge un terzo delle imprese inda-
     gate (33) con un dato medio di fatturato realizzato su questo canale del 6,3%. Le aziende che
     dichiarano di realizzare il 50% del proprio fatturato su questo canale sono: una distilleria, una
     molitura cereali e una pasticceria.
     La subfornitura è una modalità di vendita che coinvolge complessivamente 21 imprese. Sono
     imprese che realizzano una quota del proprio fatturato vendendo semilavorati ad altre azien-
     de (6) o vendendo prodotti finiti ad altre aziende che lo commercializzano con marchio
     proprio (15). Le percentuali medie di fatturato realizzati su questo canale sono contenute: rispet-
     tivamente dell’1,2% e del 4,2%. Tra i subfornitori di prodotti finiti che realizzano più del 50%
     del loro fatturato con questa modalità troviamo: un’impresa dolciaria, un salumificio e un’azienda
     di lavorazione funghi che lavora per un’importante multinazionale del settore agroalimentare.
     Tra i fornitori di semilavorati che realizzano più del 70% del loro fatturato con questa modalità
     troviamo unicamente un’importante impresa trentina di lavorazione carni.
     La vendita tramite le cantine è un canale commerciale con importanti potenzialità di sviluppo,
     dal momento che queste costituiscono una rete diffusa per tutto il Trentino a stretto contatto con
     i flussi del turismo enogastronomico. Tale canale, per il momento, interessa solo 8 imprese: tre
     distillerie, un caseificio, un salumificio, una pasticceria, un importante biscottificio e un’azienda
     di produzione di specialità gastronomiche. Particolarmente interessante il caso di quest’ultima
     azienda che vende il 100% della sua produzione – anche a livello internazionale – attraverso i
     canali commerciali di un’importante azienda vinicola trentina.
     Anche gli agriturismi e i bed & breakfast rappresentano un interessante canale commerciale
     per il momento praticato da sole 8 aziende: due panifici, due aziende di molitura cereali, due
     distillerie, un birrificio e un caseificio. Per tutte queste aziende la percentuale di vendita su questo
     canale si attesta al di sotto del 20%.




48
artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli




Le vendite on line sono praticate da 7 aziende. Anche in questo caso le quote di vendita si atte-
stano al di sotto del 30%, mentre il dato medio sul fatturato riguardante questo canale commer-
ciale si attesta su un risicato 0,5%.

Tabella 18: Volumi di vendita realizzati sui diversi canali commerciali




                                                                                                    49
50
     Tabella 19: Numero aziende per utilizzo di canale commerciale e percentuale di fatturato sul canale
                                                                                                           artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli
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La filiera dei piccoli

  • 1. artigianato alimentare trentino: la filiera dei piccoli artigianato alimentare trentino: la filiera dei piccoli CEii Trentino 2010 Sede legale: via San Daniele Comboni 7, 38122 Trento Uffici: via del Commercio 30, 38121 Trento Tel. 0461 420530 - Fax 0461 428842 www.ceii.it - info@ceii.it Rapporto di ricerca a cura di Sergio Remi
  • 2. CEii Trentino Artigianato Alimentare Trentino: la filiera dei piccoli Intervento a valere sul Fondo per gli interventi diretti a qualificare l’attività artigiana, ex L.P. 11/2002, art. 17. Hanno collaborato alla realizzazione: Si ringraziano: Sergio Remi - curatore della ricerca; Paolo Spagni - Dirigente Generale Luciana Melluso, Paola Piazzi; Dipartimento Industria, Artigianato e Miniere, Claudio Filippi - Area Studi, Associazione Provincia autonoma di Trento; Artigiani e Piccole Imprese della Provincia di Trento; Daniele Bernardi - Dirigente Servizio Industria Silvia Gadotti, Sara Formolo e Massimo Zorzi e Artigianato, Provincia autonoma di Trento; CEii Trentino. Vito Cofler - Direttore Ufficio Artigianato, Provincia autonoma di Trento.
  • 3. ARTIGIANATO ALIMENTARE TRENTINO: LA FILIERA DEI PICCOLI 2010
  • 4. In Trentino, così come in molti altri territori italiani, il settore ali- mentare è una leva eccezionale. Laddove si punta su qualità ed eccellenza, diviene trainante per l’ambito economico-produtti- vo e per il turismo. In questo comparto molto attive sono le imprese artigiane, per loro natura caratterizzate da una forte “personalizzazione” dell’attività svolta: la lavorazione artigianale – che coinvolge di- rettamente l’imprenditore e i suoi collaboratori – implica un ap- porto di creatività e originalità non standardizzabili. Sono tratti questi che valorizzano la produzione, contribuendo a conferirle quei caratteri di qualità ed eccellenza che vengono sempre più Foto Magrone. Archivio Ufficio Stampa spesso premiati da cittadini e turisti. Provincia autonoma di Trento Le aziende di trasformazione alimentare iscritte all’Albo delle Imprese Artigiane della Provincia au- tonoma di Trento sono oltre 400 e danno lavoro a più di 1.500 persone. Tra di esse vi sono pasticce- rie, panifici, aziende che lavorano frutta, ortaggi, carni. Un panorama ricchissimo che fonda le sue radici su robuste basi tradizionali, ma punta anche sull’innovazione. Un mondo descritto in questa ricerca attraverso l’analisi di un campione di piccole imprese. Il lettore potrà così conoscere alcuni tratti distintivi del settore come la distribuzione geografica delle aziende, i mercati e la clientela di riferimento, il fatturato medio e la loro storia. Questa ricerca ha un utile obiettivo: rappresentare le modalità che le imprese dell’artigianato adot- tano per far fronte alla competizione. Tra le strategie vincenti utilizzate emergono l’attenzione alla qualità dei prodotti ed il legame con il territorio. Un legame fatto di azioni concrete come la cre- azione di reti di imprese (quali le affermate Strade del Vino e dei Sapori del Trentino e il progetto ST.ART, Strade dell’Artigianato) o la partecipazione ad altri eventi promozionali. L’impegno dell’Assessorato è da sempre rivolto alla promozione delle eccellenze. Ha voluto realizza- re questa ricerca per approfondire la conoscenza di un settore di nicchia e farne emergere le poten-
  • 5. zialità interne come lo stretto raccordo fra il territorio, l’artigianato e il turismo ed il forte legame tra l’artigianato e l’agricoltura in un’ottica di filiera corta per lo sfruttamento intelligente delle risorse. Una localizzazione che non deriva certo da un ripiegarsi su se stessi per paura della globalizzazio- ne, anzi. È invece ricerca e valorizzazione di eccellenze, tratti distintivi e originalità: tutti elementi in grado di far conoscere le aziende trentine anche nel resto d’Italia e all’estero. Questa ricerca è insomma uno strumento indispensabile per chi già lavora nel settore, per chi lo promuove e per gli amministratori che lo regolamentano. Ma è un testo prezioso anche per i giova- ni che vogliono conoscere questo mondo, magari per decidere un giorno di entrarvi. Alessandro Olivi Assessore all’Industria, Artigianato e Commercio della Provincia autonoma di Trento
  • 6. È con grande piacere che mi appresto a scrivere queste righe di prefazione alla ricerca sull’artigianato alimentare. Si tratta in- fatti di un settore più che mai nevralgico non solo per la nostra Associazione ma per l’intera economia provinciale. In Trentino non potremo mai puntare sui grandi numeri ma, sempre di più, sarà la qualità ad essere premiata e a risultare vincente. E allora lasciatemi dire che sotto questo punto di vi- sta non dobbiamo temere rivali: l’impresa artigiana proprio con le sue produzioni alimentari di qualità è un pezzo importante dell’identità di un luogo e, allo stesso tempo, un mezzo per tra- smettere cultura. Cultura con la “C” maiuscola visto e considera- to che ciò che viene proposto dai nostri associati è qualcosa che esprime secoli di tradizione, storie trasmesse di generazione in generazione e che finiscono oggi, come tre secoli fa, sulle nostre tavole. Dietro queste realtà produttive ci sono singole persone, intere famiglie, giovani, che hanno scelto di difendere la propria storia e il proprio legame con la terra, attraverso produzioni alimentari di qualità, radicate innanzitutto nella tradizione dei luoghi. A muovere queste persone è la passione per il lavoro manuale, il piacere di gesti socialmente riconoscibili: il lavoro artigianale riflette infatti il desiderio “di fare cose” che la gente capisce e apprezza. Il tutto senza dimenticare che chi opera in Trentino è soggetto a rigidi controlli igienico-sanitari, garantiti dalla legislazione in materia. Altro elemento da non sottovalutare riguarda il fatto che la maggior parte degli artigiani attribu- isce ai prodotti di provenienza locale una maggiore qualità e sono quindi attivamente impegnati nella costruzioni di legami di fornitura a livello provinciale: selezionando i fornitori, creando rela- zioni stabili con le aziende agricole fornitrici e, in alcuni casi, investendo direttamente in attività primarie. Proprio a tal proposito credo sia necessario considerare l’esigenza di promuovere per le aziende uno sviluppo volto a una maggior conoscenza delle opportunità offerte dalla risorse agri- cole locali determinando, per questa via, una convinzione condivisa della necessità strategica di
  • 7. connettere la trasformazione alimentare “trentina” alla base produttiva agricola “trentina”. Andando al di là del binomio che lega a doppio filo le imprese artigiane impegnate nelle produzio- ni alimentari e le realtà agricole è fondamentale non dimenticare che tra turismo e gastronomia in Trentino è in atto una forte sinergia e la valorizzazione dei prodotti locali rappresenta un impor- tante valore aggiunto per il prodotto turistico. La ricchezza, l’unicità e l’identità del nostro territorio passa non solo attraverso l’ambiente incontaminato, le bellezze naturali, i monumenti e musei ma anche attraverso i sapori e i saperi che secolo dopo secolo di sono mantenuti intatti nelle nostre vallate. Roberto De Laurentis Presidente Associazione Artigiani e Piccole Imprese della Provincia di Trento
  • 8. artigianato alimentare trentno: la filiera dei piccoli Indice 1. Qualità e tipicità alimentare come strategia di sviluppo del territorio 9 2. I valori dell’artigianato alimentare 13 3. La specificità trentina 17 4. Il campione delle imprese artigiane analizzate 21 4.1 Classe economica 21 4.2 Distribuzione territoriale 23 4.3 Forma giuridica delle imprese analizzate 24 5. Addetti e fatturato 27 6. Storie di imprese, famiglie e persone 37 7. Il mercato dell’impresa artigiana 45 7.1 I mercati serviti dall’azienda 45 7.2 I canali commerciali utilizzati dalle aziende 46 7.3 Tipologia di clientela 51 7.4. La percezione del mercato 54 8. I mercati di approvvigionamento dell’impresa 61 9. Le produzioni 75 9.1 Le produzioni che caratterizzano l’impresa 75 9.2 Le specificità della produzione artigiana 78 9.3 Produzione, utilizzazione e commercializzazione di prodotti tradizionali trentini 84 10. Reti d’impresa 95 11. Partecipazioni ad eventi 99
  • 9. artigianato alimentare trentno: la filiera dei piccoli 12. Strategie d’impresa 105 12.1 I fattori di forza: la qualità come leva competitiva 106 12.2 Fattori di debolezza dell’impresa: il difficile equilibrio tra impresa e mercato 107 12.3 Gli obiettivi strategici e gli investimenti delle imprese 110 12.4 La domanda di politiche 112 13. Conclusioni 117 13.1 Comunità, territorio e mondo 117 13.2 La piattaforma agroalimentare tra luoghi e flussi 120 13.3 Chiudere la filiera dei piccoli: comunicazione, garanzia e logistica 123 13.3.1 Comunicare le specificità dell’artigianato alimentare 123 13.3.2 Garanzia: la certificazione “dal basso” 125 13.3.3 Logistica: valorizzare il binomio artigianato di qualità/agricoltura di montagna 126 Ringraziamenti 129 Contatti 131
  • 10.
  • 11. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli 1. Qualità e tipicità alimentare come strategia di sviluppo del territorio Le produzioni agroalimentari rivestono un ruolo di particolare rilievo per il nostro Paese, non solo dal punto di vista economico. Secondo comparto, dopo il metalmeccanico, per entità del valore aggiunto, l’agroalimentare contribuisce in modo determinante a definire l’immagine del Made in Italy nel mondo, con crescenti sinergie con lo sviluppo turistico, e ben rappresenta il mosaico delle molteplici realtà territoriali che compongono l’identità culturale nazionale. Il radicamento nel territorio costituisce l’elemento distintivo nella varietà della produzione ali- mentare italiana e al tempo stesso la più importante risorsa per fronteggiare, con la qualità e la specificità della gamma, la crescente globalizzazione dei mercati che ci vedrebbe senz’altro soc- combere in materia di costi. Un’offerta fortemente caratterizzata sul fronte della tipicità è del resto in grado di rispondere più efficacemente alle tendenze emergenti nel consumo che premiano la ricerca del gusto, della genuinità, del valore nutrizionale. Il 70 per cento delle produzioni agroalimentari tradizionali italiane1 è espressione di sistemi territo- riali marginali – in particolare montani e collinari – dove svolge un ruolo insostituibile di presidio del territorio a partire da un bacino di conoscenze e di varietà produttive che costituisce, in questi ambiti, una parte di assoluto rilievo dell’identità delle comunità locali. Conservare e valorizzare le metodiche tradizionali di lavorazione significa disegnare un futuro per quei contesti locali di grande pregio. La qualità italiana è fatta di tanti piccoli campanili disseminati nei piccoli comuni: le tante Città della castagna, del miele, del vino, del tartufo, della nocciola. Città che hanno fatto della cultu- ra “del buon vivere”, dell’ospitalità e della valorizzazione delle proprie tradizioni culturali ed eno- gastronomiche, la cifra del proprio sviluppo. In un mix tra cultura urbana e cultura del contado che fa sì che sul territorio si realizzi quel piccolo miracolo che chiamiamo Made in Italy, fatto di oggetti, simboli che si fanno merce, che sono elementi distintivi di quel nodo gordiano tra cultu- ra materiale e cultura alta. Il tratto distintivo delle produzioni agroalimentari italiane è il coraggio di puntare sull’eccellenza: per esempio quella dei 204 prodotti agroalimentari italiani certificati DOP e IGP che ci fanno gua- dagnare il primato europeo e circa 9 miliardi di euro all’anno. Il forte legame di queste produzioni con il territorio è testimoniato dalle più di duecento DE.CO. (le Denominazioni Comunali nate dallo straordinario intuito di Luigi Veronelli ) con cui i Municipi 1 Prodotti agroalimentari i cui metodi di lavorazione, conservazione e stagionatura sono consolidati nel tempo, secondo regole tradizionali, per un periodo non inferiore ai venticinque anni (D.M. 18 luglio 2000). I prodotti tradizionali sono in continua crescita. Quelli riportati nel censimento pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 2007 sono 4.377: tramandati da agricoltori e artigiani i 1.301 tipi di pane, pasta e biscotti, le 1.230 verdure fresche e lavorate, i 730 salami, prosciutti, carni fresche e insaccati di diverso genere, i 454 formaggi e le 147 bevande tra analcoliche, liquori e distillati. Il 50% ha un nome che evoca il territorio anche attraverso locuzioni dialettali. 9
  • 12. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli italiani hanno riconosciuto un prodotto agricolo, un prodotto dell’artigianato alimentare, un piat- to tipico, come parte integrante della propria storia, della propria identità, delle proprie strategie di marketing territoriale. Il filo conduttore che unisce e qualifica queste esperienze è la valorizzazione della qualità e della diversità a fronte di processi di omologazione. Se da un lato, infatti, il fenomeno della globalizza- zione tende ad appiattire le differenze, proponendo modelli mediani che non appartengono a nessuno e generano, inevitabilmente, mediocrità, dall’altro lato si va diffondendo una domanda ed un’offerta di nuove soluzioni che vanno nella direzione della ricerca e della diffusione dell’ec- cellenza, senza farne necessariamente un fenomeno di élite, ma proponendolo come fatto cultu- rale e in quanto tale universale. È in quest’ambito che diventa strategico rafforzare i circuiti come quelli delle strade dei vini e dei sapori, le azioni di certificazione e marketing dei prodotti tipici che sempre più, in tempi di un sistema impazzito nello stressare la produzione agroalimentare, hanno spazi non solo economici, ma di cultura e qualità della vita. Come evidenziato da una recente ricerca del Censis2 nessun altro Paese, oltre l’Italia, può vantare 140 strade del vino e dei sapori che attraversano 1.300 co- muni, contando più di 3.300 cantine, oltre 4 mila ristoranti, 33 mila prodotti vitivinicoli e quasi 400 denominazioni territoriali di vini. Nel campo delle produzioni alimentari riaffermare la propria specificità locale è il mezzo per tro- vare un corretto spazio e ruolo in una globalizzazione che non sia omologante. Come già avve- nuto con i nostri vini DOC conosciuti in tutto il mondo, tipicità e marchi di origine diventano i mezzi per affermare una differenziazione dei sistemi produttivi, dei processi di trasformazione, per affermare le specificità locali nel mercato globale. Chiaramente, nessuno pensa che il nostro Paese possa reggere la sfida della competizione in- ternazionale con castagne, miele e nocciole, o “...di sostituire la Fiat con il barolo e i tartufi3”. Ma parlando di sviluppo territoriale nella globalizzazione varrebbe la pena di indagare il rapporto che esiste tra una “Città della nocciola” come Alba e una multinazionale globale e leader nel sistema agroalimentare come ormai è la Ferrero o la risonanza internazionale che ha avuto Carlo Petrini con Slow food e la sua Università del Gusto o, ancora, il modello Chiantishire di gran moda nei paesi anglosassoni. Secondo la Federazione italiana dei pubblici esercizi sono almeno tre milioni e mezzo all’anno in Italia le presenze straniere determinate dal turismo eno-gastronomico, un flusso di fascia alta che potrebbe essere maggiormente attirato nelle aree oggi a rischio di abbandono, con ricadute di grande rilievo per la qualità dello sviluppo locale. Sempre secondo una recente indagine di Coldiretti, il souvenir enogastronomico tipico del luo- go di vacanza è il preferito dai quindici milioni di italiani e dagli stranieri che hanno trascorso le festività natalizie in Italia. Una tendenza in rapido sviluppo favorita – si legge nell’indagine Coldi- 2 Censis 2009 - 7° Rapporto “Osservatorio sul turismo del vino e delle Città del vino”. 3 Il riferimento è ad una polemica apparsa qualche anno fa sulla stampa dove, ad un’affermazione di Giuseppe De Rita che sosteneva che, a fronte della crisi del manifatturiero, gli italiani preferiscono investire “nel barolo e negli agriturismi”, Giulio Sapelli rispose che “ ... De Rita pensa di sostituire la Fiat con i produttori di Barolo ed i cercatori di Tartufi”. 10
  • 13. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli retti – dal moltiplicarsi delle occasioni di valorizzazione dei prodotti locali che si è verificata nei principali luoghi di villeggiatura, con percorsi enogastronomici, città del gusto, feste e mercatini di ogni tipo. Il turismo enogastronomico vale, infatti, – continua la Coldiretti – cinque miliardi e si conferma il vero motore della vacanza Made in Italy. Produrre buon cibo e intrattenimento nella competizione globale non è certo sufficiente, ma è anche vero che il deficit di quantità nella globalizzazione è alla ricerca della qualità italiana per reggere la sfida. La strada delle produzioni tipiche e di eccellenza è una strada certamente densa di retorica e luoghi comuni, ma allo stesso tempo potenzialmente capace di creare, per le produzioni agroalimentari, spazi che non siano del tutto dipendenti dal potere commerciale dell’industria e della grande distribuzione. Spazi cioè in cui possano essere valorizzate le produ- zioni tipicamente regionali e locali, le sole che, a detta dei più, potrebbero assicurare la continuità delle imprese esistenti e la nascita di nuove. 11
  • 14.
  • 15. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli 2. I valori dell’artigianato alimentare In questo contesto, i processi produttivi dell’artigianato alimentare, con antica e diffusa tradizione nel nostro Paese – pur non avendo una connotazione territoriale univoca – rivestono un ruolo centrale e meritano una distinzione specifica al fine di salvaguardarne le caratteristiche a fronte delle omologhe produzioni industriali. L’imprenditoria artigiana del settore alimentare è un riferimento di qualità e prestigio. Si tratta di un patrimonio apprezzato e ricercato in tutto il mondo che fonda le sue origini nella grande va- rietà di prodotti regionali, nella genuinità delle materie prime, nel rispetto dei processi tradizionali e nella rigida applicazione di regole a garanzia dei consumatori. Homo faber, artefice, maestro d’arte, imprenditore di se stesso. Nelle sue diverse definizioni, l’ar- tigiano ha attraversato la storia italiana, caratterizzandone l’evoluzione economica, artistica e culturale ed imprimendovi la propria cifra stilistica. Ciò appare particolarmente evidente se si pensa al ruolo che ha avuto l’artigianato nel tramandare, rielaborandole, le innumerevoli culture gastronomiche del nostro Paese. Alimentarsi senza l’artigianato significherebbe oggi dover rinunciare ai mille gusti e sapori della nostra tradizione: dai diversi tipi di pane, alle innumerevoli varietà di formaggi, alla pasticceria più raffinata, alle erbe sapientemente selezionate dall’erborista, ai salumi che arricchiscono le tavole dei buongustai di tutto il mondo. Sono stati gli artigiani, a seguito dei flussi migratori di fine ’800 e di tutta la prima metà del ’900, che hanno diffuso la nostra cultura alimentare all’estero. Basta pensare alla diffusione di pizzerie italiane in tutte le città del mondo o al flusso migratorio di gelatieri italiani nei paesi di lingua tedesca4. Ancor prima, si potrebbe parlare dei nostri maestri pasticceri nelle corti europee. Oggi l’artigianato va oltre lo stereotipo che lo lega ai vecchi mestieri ricchi di tradizione e poveri di futuro. L’impresa artigiana è moderna perché, recuperando valori della tradizione e rendendoli spendibili nella produzione di valore e di senso, collega passato a futuro. La qualità dell’ars artigiana torna al centro dell’evoluzione produttiva. Artigiano vuol dire autono- mia, creatività, personalizzazione nella produzione di beni e servizi che sono moderni in senso positivo, che usano la tecnologia per quello che serve, ma vi aggiungono il design, il gusto este- tico, la disponibilità a capire e servire i bisogni specifici del cliente, il rapporto col territorio e con la sua storia, la mediazione culturale con significati che “fanno parlare” i prodotti con l’alfabeto della moda, degli stili di vita, delle nuove tendenze di consumo. Artigianato vuol dire identità, senso: rapporto tra il produttore che dà significato al suo lavoro e l’utilizzatore che lo recepisce, legandolo al proprio bisogno identitario. 4 In Germania esistono circa 3.600 gelaterie italiane collocate nei luoghi più prestigiosi delle città tedesche. La gelateria italiana è diventata un pezzo di storia tedesca, tant’è vero che a Bonn nel Museo nazionale della storia tedesca è stata ricostruita l’ambientazione di una gelateria italiana degli anni ’50. 13
  • 16. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli Quello delle imprese artigiane del settore alimentare è un patrimonio di gusto e di creatività, ma è anche serbatoio di occupazione. L’artigianato dell’alimentazione in Italia secondo dati Confar- tigianato al 2005 contava 80.160 aziende (pari all’82% del totale delle imprese italiane del settore alimentare) con 238.596 addetti (equivalenti al 54,5% del totale degli addetti del settore alimen- tare). Imprese che crescono ad un ritmo del 4% annuo. L’ultimo dato disponibile al 2009 è di 83.216 aziende. Tabella 1: Artigianato - Settore Agroalimentare in Italia Fonte: Confartigianato (2005) Sono le piccole imprese a portare avanti il buon nome dell’Italia in tavola. Il recente rapporto Ismea - Federalimentare, a tale proposito parla chiaro: il 90% delle aziende del settore alimentare sta sotto i dieci dipendenti. Le tipologie dell’impresa artigiana alimentare possono, chiaramente, essere diverse: • spesso si tratta di microimprese familiari – non strettamente individuali – dove l’artigiano fa tutto. È il tipico tessuto dell’artigianato alimentare di immediata prossimità (panifici, pastifici, pasticcerie, gastronomie,...) rivolto a servire in parte maggiore – se non esclusivamente – i residenti del territorio in cui è insediato; • numerose sono anche le imprese che, seppur di piccola dimensione, sono fortemente orien- tate alla valorizzazione su larga scala di prodotti alimentari di eccellenza, raggiungendo il mercato nazionale e presentando rilevanti proiezioni su quello estero, anche extra UE; • consistente anche il numero delle imprese artigiane alimentari con caratteristiche distrettuali che operano in rete e nelle filiere di fornitura nell’ambito dei numerosi distretti agroalimentari italiani; 14
  • 17. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli • significative, dal punto di vista evolutivo del settore, sono le imprese artigiane che investono verticalmente sull’intera filiera, dalla produzione primaria (agricoltura, prevalentemente biolo- gica) alle successive fasi di trasformazione, commercializzazione dei prodotti agro-alimentari e servizi derivati (ristorazione, ospitalità). Per tutte le tipologie d’impresa i fattori chiave di successo sono legati al rapporto fra locale e globale, ovvero fra mantenimento dell’identità e capacità o possibilità di utilizzarla per “aprirsi” ai mercati non di prossimità, restando al contempo “riparati” dalle minacce provenienti dall’esterno, in primis sotto forma di omologazione dei comportamenti di consumo. L’impresa artigiana, che è in sé spontanea espressione del “locale”, si trova dunque a confrontarsi con dinamiche che, se da un lato ne premiano i propri caratteri originali e distintivi, dall’altro im- pongono l’evoluzione delle sue capacità di rapporto con il nuovo sistema competitivo. Il dato sulla piccola dimensione delle imprese appare un punto di debolezza, ma diviene un punto di forza in un’ottica di rete e di legame con il territorio. Con questo approccio, la piccola impresa ha maggiori chance di successo rispetto alla grande. Le necessità di valorizzare la matrice fondamentalmente distintiva e non omologata delle pro- duzioni artigiane, di esaltarne la dimensione territoriale e di filiera e di accorciare la distanza tra produttore e consumatore, rappresentano le priorità strategiche dell’artigianato alimentare. Condizione importante è, a tale proposito, la valorizzazione del binomio “qualità artigianale e agricoltura regionale” attraverso la costruzione di un rapporto più stretto con i produttori agricoli che assicurano l’approvvigionamento di materie prime locali di qualità. Le aziende agri- cole e quelle dell’artigianato di trasformazione devono legarsi tra loro. Occorre lavorare in questa direzione, individuando strategie per dare notorietà al territorio inteso come integrazione tra produzioni agricole e alimentari. La tracciabilità, cioè la possibilità di risalire con precisione al produttore ed ai sistemi di produ- zione utilizzati, sta diventando l’elemento che fa la differenza nel settore alimentare. Ciò è parti- colarmente vero se si pensa che da qualche tempo la tutela delle produzioni artigiane subisce continui e inquietanti attacchi, soprattutto da parte degli organismi europei e internazionali che, nel nome dell’aspetto più negativo della globalizzazione, tendono a cancellare le peculiarità e le originalità delle produzioni, consentendo la nascita di surrogati tra l’altro discutibili anche sotto l’aspetto igienico-sanitario. Si pensi al cioccolato, alla pasta fatta in casa, a formaggi tipicamente italiani che improvvisamente diventano realizzabili, in qualsiasi luogo, con processi industriali di dubbia qualità. Come dimostrato da diverse ricerche, le principali minacce alla tipicità delle produzioni dell’ar- tigianato alimentare italiano non vengono dai cinesi – che in questo campo non sono ancora capaci di imitarci – ma dalle industrie europee e statunitensi, che si appropriano indebitamente di denominazioni di prodotti tipici italiani. Altrettanto importante è la possibilità di collegarsi con i circuiti del turismo e della ristorazio- ne di qualità. Le piccole imprese, che non dispongono di marchi forti, devono avere l’opportu- nità di legarsi a marchi territoriali che coinvolgono le tipicità affermate da certificazioni europee 15
  • 18. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli come DOP e IGP, ma anche risorse turistiche, ristorazione, valorizzazione delle tipicità locali. Si tratta di proporre in modo capillare la promozione dei prodotti alimentari artigianali ad ogni oc- casione possibile, collegandoli con le politiche turistiche, economiche, di sviluppo territoriale, di educazione alimentare nelle scuole. Puntare sui valori qualitativi significa anche far leva sugli aspetti salutistici e di genuinità dei pro- dotti, così sentiti dai consumatori. L’artigianato alimentare per vincere la sfida della competitività deve essere in grado di immettere sul mercato prodotti e servizi che per qualità e tipicità, inno- vazione o tradizione, abbiano un valore aggiunto, particolare e riconoscibile dal consumatore. Il valore della qualità poggia sulla capacità delle imprese di cogliere le diverse esigenze dei consu- matori e di evidenziare le caratteristiche distintive del prodotto proposto. La maggior attenzione sviluppata nel corso dell’ultimo decennio dei consumatori verso prodotti alimentari di qualità, normalmente prodotti dalle imprese artigiane, influenzano positivamente le dinamiche settoriali. Ciò risulta evidente anche in un periodo di crisi economica come quello attuale dove – secondo l’ultima rilevazione Coldiretti-SWG sulle abitudini alimentari degli italia- ni – aumenta del 6 per cento la spesa delle famiglie in vini a denominazione di origine e cresce dell’8 per cento la percentuale dei cittadini che acquista regolarmente prodotti a denominazione di origine (sono il 28 per cento) e del 23 per cento di quelli che comperano cibi biologici, i quali però interessano una fetta più ridotta della popolazione (il 16 per cento). A sostenere il consumo di prodotti biologici – si legge nello studio della Coldiretti – è la ricerca di sicurezza alimentare a fronte del ripetersi di emergenze alimentari – dal maiale irlandese alla diossina, al latte cinese alla melanina, alla mozzarella “blu” – ma anche del diffondersi di stili di vita più attenti all’ambiente, che la crisi non sembra intaccare. Il rapporto diretto con il consumatore è strategico per le imprese artigiane dell’alimentare, anche sul fronte dei servizi. Da più parti – ma in particolare nelle località turistiche – emergono forti istanze affinché le imprese dell’artigianato alimentare possano effettuare la vendita diretta per il consumo sul posto dei propri prodotti, utilizzando appositi locali ed arredi dedicati alla ristorazio- ne. La necessità è quella di una maggiore integrazione dell’artigianato nella filiera turistica e gli artigiani chiedono semplicemente di accorciare la filiera così come accade, per fare un esempio, negli agriturismi e nelle aziende agricole dove la degustazione dei prodotti sul posto è quasi d’obbligo. La filiera corta è un vantaggio per tutte le categorie e permette, oltre ad abbattere i costi legati ai passaggi da produzione a distribuzione, di immettere sul mercato della vendita al dettaglio prodotti freschi, quindi sicuramente più genuini. Estendere questa possibilità significa anche permettere alle imprese di capire le tendenze del mercato e di studiare strategie mirate ed intelligenti. Gli interventi di valorizzazione dell’artigianato alimentare non possono, infine, non considerare l’aspetto occupazionale e di promozione di nuova imprenditorialità giovanile, in un settore in cui è difficile reperire mano d’opera e vi è un problema di ricambio generazionale pur a fronte di una comprovata richiesta del mercato. I giovani non vengono per niente incentivati a conoscere e a scegliere le tante specializzazioni del settore che pure garantiscono ottime professionalità e consentono anche buoni guadagni. 16
  • 19. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli 3. La specificità trentina Il settore agroalimentare nella Provincia di Trento appare piuttosto diversificato. Accanto a com- parti che presentano risultati molto interessanti e che possono essere considerati trainanti per l’economia trentina (in particolare quello afferente alle filiere agroalimentari in ambito cooperati- vo), esiste un comparto di produzione primaria in cui a prevalere è la dimensione della microim- presa agricola – spesso con ruoli di integrazione rispetto ad altri redditi familiari – in bilico tra posizioni di marginalità (che sono tipiche dell’agricoltura di montagna) e processi di modernizza- zione volti a ridefinirne la funzione economica, sociale e territoriale. Filiere agroalimentari e microimpresa agricola esprimono strategie speculari che, mettendo a frutto il diffondersi di una nuova cultura alimentare, ridefiniscono il rapporto con i mercati di sbocco. Da una parte, si persegue un nuovo rapporto con la grande distribuzione organizzata quale veicolo privilegiato di penetrazione di sempre nuovi mercati, ed in cui svolgono un ruolo sempre più importante gli aspetti di qualità, tipicità e sicurezza alimentare. Dall’altra, si punta ad accorciare la filiera attraverso la costituzione di mercati locali che pongono in relazione diretta produttore e consumatore, valorizzando i prodotti biologici e tradizionali in settori di nicchia caratterizzati da una forte tipicità. Ad esclusione di alcune affermate centrali cooperative – e aziende private – la trasformazione alimentare trentina è fortemente caratterizzata dalla presenza di imprese di piccola e picco- lissima dimensione afferenti a diversi settori (commerciale, agricolo, artigiano). Secondo i dati riportati dal “Piano della sicurezza alimentare 2008-2010” della Provincia autonoma di Trento su 1.445 imprese di trasformazione alimentare esistenti in Trentino, solo 59 superano i dieci dipendenti. I dati di dettaglio riportati nel piano provinciale sono i seguenti: • Nel comparto utilizzazione e trasformazione del latte5 operano 152 imprese, 10 delle qua- li con più di 10 addetti. Il latte trentino è prevalentemente destinato alla trasformazione in prodotti tradizionali; di 1.435.000 quintali di latte bovino prodotti e sottoposti al regime delle quote, 19.000 quintali (0,8 per cento) rientrano nella vendita diretta da parte di n. 55 aziende, mentre il restante è venduto per essere trasformato da terzi. Il latte ovino ha al momento sul territorio provinciale scarso o nullo peso per l’alimentazione umana sia in forma diretta sia trasformato; il latte caprino (5.000 quintali) prodotto da circa 51 allevamenti, viene utilizzato direttamente presso le singole aziende per la produzione di formaggi tradizionali. 5 Il latte trentino è destinato alle seguenti tipologie di prodotti: Latte crudo - Latte trattato termicamente - Asiago DOP d’allevo - Asiago DOP pressato - Caciotta - Caciotta a pasta filata - Canestrato - Caprino - Caprino di Cavalese - Casada - Ca- solet - Dolomiti - Fontal - Grana Padano - Trentingrana DOP - Misto capra - Montagna - Monte Baldo - Monte Baldo primo fiore - Monteson - Mozzarella - Nostrano - Nostrano d’alpe - Nostrano de Casel - Nostrano di malga - Nostrano di Primiero - Nostrano Fiavè - Nostrano misto capra - Nostrano semigrasso - Nostrano Valchiese - Nostrano Val di Fassa - Provola - Pro- volone Valpadana DOP - Puzzone di Moena - Solandro di malga - Solandro magro - Spressa delle Giudicarie DOP - Tosela - Tre Valli - Vezzena - Zighera - Ricotta affumicata (o poina fumàda) - Ricotta di capra affumicata (o poina de caòra fumada) - Ricotta di capra fresca (o poina de caòra fresca) - Ricotta o poìna - Burro di malga. Rispetto a questo, peraltro incompleto, catalogo delle produzioni trentine, non si dispone di una mappa dei siti di produzione, in quanto le autorizzazioni sono state e vengono rilasciate agli stabilimenti in base a una categoria generale. Il principale e più rinomato prodotto lattiero caseario della provincia è il Trentingrana al quale è destinato il 47,1 per cento del latte trentino (676.350 quintali). 17
  • 20. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli • Le macellerie6 sono 380, di queste 254 con annesso laboratorio di produzione di prodotti a base di carne. Le imprese con più di 10 addetti sono solo 10. • La lavorazione di prodotti ittici comprende 16 aziende, tutte di dimensione contenuta. Gli allevamenti sono 80. La pescicoltura trentina, con specifico riferimento alla troticoltura, è as- solutamente elevata e alimenta una crescente presenza oltreché di prodotti carnei anche di uova, avannotti e soggetti adulti sui mercati del prodotto vivo. Il catalogo dei prodotti ittici trasformati annovera: filetti di salmonide, paté, sisam, filetto affumicato e marinato, polpette e sugo, hamburger. • Le aziende registrate per la lavorazione del miele7 sono 79, a fronte di molte centinaia di aziende che comunque producono miele e altri prodotti dell’alveare come forma di inte- grazione del reddito dell’azienda agricola. Secondo il più recente censimento del settore in Trentino ci sono 1.512 apicoltori, in gran parte hobbisti e semiprofessionisti, che si prendono cura di 23.057 alveari. • Nel comparto pane, pasta e prodotti da forno8 troviamo 266 imprese. Solo 7 hanno più di 10 addetti. Una ripartizione per produzioni vede: 177 aziende autorizzate alla produzione di pane, 71 aziende di prodotti di pasticceria, 14 aziende di produzione di pasta. 6 La trasformazione delle carni, principalmente suine, ma anche equine e ovi-caprine, fa riferimento generalmente a più prodotti tra i seguenti a carattere tradizionale: Barbusto (moretto) - Brusti (baldonazzi) - Cacciatore nostrano all’aglio di Caderzone - Cacciatori - Carèn de pégora en salamoia (carne di pecora in salamoia) - Carne affumicata di asino - Carne di cavallo affumicata - Carne di pecora in salamoia - Carne “fumada” della Val di Cembra - Carne “fumada” di Siror - Carne salada del Trentino - Carne salada di capra - Carne salada di pecora - Carne “salmistrada” della Val di Cembra - Carré affumi- cato - Ciuiga del Banale - Ciuighe - Coppa affumicata - Cotechino di maiale trentino - Figadèt - Frìtole (sìzole) - Guanciale affumicato - Lardo - Lardo “fumà” trentino - Lonzino - Lucanica cauriota fresca o affumicata - Lucanica di capra - Lucanica di pecora - Lucanica mochena di cavallo - Lucanica mochena piccante - Lucanica mochena stagionata o affumicata - Lucani- ca secca della Val di Cembra - Luganega del Trentino - Mortadella Bologna IGP - Mortandela - Mortandela affumicata della Valle di Non - Pancetta affumicata trentina - Pancetta arrotolata - Pancetta arrotolata all’aglio della Val Rendena - Pancetta nostrana all’aglio di Caderzone - Pancetta stagionata - Pasta di lucaniche - Pezate di agnello (pezate de agnelo) - Probusto - Salame - Salame all’aglio - Salame all’aglio della Val Rendena - Salame all’aglio di Caderzone - Salame di cavallo - Salamela fresca all’aglio di Caderzone - Salsiccia trentina fresca (o luganegheta o salziza fresca) - Scorzèta - Sopressa - Speck del Trentino - Stinco di maiale precotto - Wurstel. 7 I prodotti dell’apicoltura trentina sono: Miele di castagno - Miele di lampone - Miele di melata di abete - Miele di melata di Metcalfa - Miele di melo - Miele di rododendro (miel di rasabèch) - Miele di rovo - Miele di tarassaco - Miele di tiglio - Miele in favo - Miele millefiori - Polline e pappa reale. 8 Il repertorio dei prodotti trentini appartenenti alle categorie pane e pasta comprende: Bastoncini al cumino - Bastoncini al pomodoro - Bechi-panzalini - Bina - Chifel - Filone casareccio - Focaccia ai pomodori - Focaccia al coriandolo - Focaccia pasquale - Focaccia schiacciata - Pan co’ le frìtole - Pan de sòrc - Pan de segàla - Pan di Molche (Pam de molche) - Pan di segale al cumino - Pane alle castagne - Pane al papavero - Pane d’avena - Pan taià o Gramolato - Schiacciatina - Gratini - Grissini salati - Krapfen salati - Schiacciatina - Ravioli trentini. La pasticceria tipica trentina comprende: Basini de Trent - Beca - Biscotti di farina gialla di Storo - Brazedèl - Buzòla - Canederli dolci - Chifelini - Ciambella ai mirtilli - Cròfani - Crema fritta - Crostata - Crostata di fiori di zucca - Dolce di Trento - Fiadoni - Focaccia alla Trentina - Frittelle di mele - Frittelle di mele alla Grappa giovane trentina - Fugassa di Varena - Gelato artigianale - Gnocchi al cioccolato - Grostoli - Krapfen - Lo- sanghe fritte - Mele alla crema - Mele in camicia - Pane all’uva trentino - Pere agli amaretti - Pinza - Pinza de lat - Pinza de peri - Pinza de pomi - Rosada - Stollen alle mele e cannella - Straboi - Stràuli (stràboli o fortaie) - Strudel - Teste di moro - Torta al biscotto - Torta alle mandorla - Torta amaretti e ricotta- Torta bianca - Torta de erbe - Torta de fregolòti - Torta delle rose - Torta di bozzoletti - Torta di carote - Torta di grano saraceno - Torta di mele - Torta di nocciole - Torta di noci - Torta di pere - Torta di ricotta - Torta Sacher - Tortolèti coi puriòni - Zelten o Celteno o Pane di frutta. 18
  • 21. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli • Le aziende registrate per la lavorazione/trasformazione di frutta e ortaggi9 sono 61. Solo 3 hanno più di 10 addetti. • Le imprese oggetto di registrazione ai fini della produzione di distillati10 sono 55, delle quali 4 hanno più di 10 addetti. • Le aziende di produzione del vino sono 215, delle quali 13 hanno più di 10 addetti. In Trentino vengono prodotti annualmente circa un milione di quintali di uva interamente destinati alla trasformazione nei vini DOC e IGT. • Le imprese autorizzate alla produzione di acque minerali e altre bevande sono 3, tutte con più di 10 addetti. Queste imprese producono 8 diverse acque provenienti da altrettante fonti. • Le imprese autorizzate alla produzione di olio sono 5. La Provincia di Trento annovera al momento un solo prodotto tutelato: DOP Olio extravergine di oliva “Garda-Trentino“. • Oltre alle suddette tipologie di trasformazione alimentare, in Provincia di Trento sono presenti: 13 aziende che lavorano il caffè; 2 aziende che producono aceto; 2 imprese che lavorano e confezionano spezie e condimenti. Secondo i dati riportati nel documento della PAT “Strategie per lo sviluppo dei prodotti di qualità nelle aree montane europee: il caso trentino” del giugno 2005, in Provincia di Trento si contano: • 106 prodotti tradizionali ai sensi del Decreto Ministeriale 350/1999; • 6 DOC e 3 IGT; • 6 DOP e 1 IGP ai sensi del Reg. (CEE) 2081/1992; • 1 STG ai sensi del Reg. (CEE) 2082/1992; • più di 300 aziende la cui attività è certificata come “biologica” ai sensi del Reg. (CEE) 2092/1991; • 10 prodotti inclusi nella lista di Slow Food. Il logo territoriale “TRENTINO” distingue i prodotti delle filiere agroalimentari che rientrano anche tra queste tipologie. Le aziende che producono prodotti tipici sono 138, tra cui molte aziende dell’artigianato. 9 Il catalogo dei prodotti tipici orto frutticoli trentini annovera: Marone trentino - Mela del trentino - Frutti di bosco del trentino - Fragola del trentino - Noce del Bleggio - Pere antiche trentine - Susina di Dro - Mela Val di Non (DOP) Asparago di Zambana - Broccolo di Torbole e S. Massenza - Carota della Val di Gresta - Cavoli Cappucci della Val di Gresta - Mais spin o nostrano della Valsugana - Mais nostrano di Storo - Patata trentina di montagna - Sedano Rapa della Val di Gresta. Tra i prodotti trasformati troviamo: Confettura di pomodori rossi - Confettura di pomodori verdi - Cotognata - Crauti - Crauti trentini - Funghi essiccati - Lamponi sciroppati - Marmellata di frutti di bosco - Marmellata di lamponi - Marmellata di mele cotogne - Marmellata di mirtilli - Marmellata di mirtilli rossi (conserva de garnètole) - Marmellata di ribes (conserva de ùa spinèla) - Persecche - Persicata - Soppressata di persecche - Verde o verdòle - Peverada - Salsa ai funghi - Salsa alla senape - Salsa al rafano - Salsa di cren; Salsa di mele - Sciroppo di lampone - Sciroppo di mirtillo nero - Sciroppo di ribes nero - Sciroppo di sambuco (dulzen). 10 Il catalogo del distillati trentini comprende: Amaro Valle di Ledro - Distillato di ciliegie - Distillato di corniole - Distillato di lamponi - Distillato di amarene - Distillato di mele - Distillato di mele cotogne - Distillato di pere - Distillato di ribes - Distillato di sambuco - Distillato di sorbole - Distillato di susine - Genziana (acquavite di genziana) - Ginepro (acquavite di ginepro) o Gin distillato - Grappa giovane trentina (metodo Tullio Zadra) - Imperatoria o acquavite di imperatoria - Nocino - Picco Rosso - Stomatica Folletto. 19
  • 22. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli Nel complesso, le imprese di trasformazione alimentare iscritte all’Albo delle Imprese Arti- giane della Provincia di Trento sono 410 e danno lavoro a 1.552 addetti. Tali aziende sono suddi- vise nelle categorie produttive riportate nella tabella seguente. Tabella 2: Imprese artigiane del settore alimentare in Provincia di Trento Fonte: Albo delle Imprese Artigiane della Provincia di Trento - CCIAA di Trento 20
  • 23. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli 4. Il campione delle imprese artigiane analizzate La presente indagine è stata rivolta a 100 imprese dell’artigianato alimentare trentino attraverso la somministrazione di un questionario strutturato e un’intervista qualitativa volta a ricostruire il caso aziendale. Le interviste sono state rivolte direttamente agli imprenditori (90% dei casi) o a dipendenti, collaboratori o famigliari, a patto che fossero ben consapevoli degli aspetti indagati. Considerate le tematiche dell’indagine e gli obiettivi conoscitivi riguardanti gli specifici casi azien- dali le interviste sono state realizzate di persona in modo da chiarire all’istante ogni dubbio su eventuali domande o modalità di risposta e di procedere ai necessari approfondimenti sul caso d’impresa. 4.1 Classe economica La definizione del campione di imprese da analizzare ha dovuto confrontarsi con un’articolazione del settore dell’artigianato alimentare trentino resa complessa da dimensioni strutturali diverse (classi di addetti) ma ancor più dall’appartenenza ad attività settoriali assai differenti (classi eco- nomiche) e dalla preponderanza di alcune classi economiche su altre: si pensi, ad esempio, al consistente numero di panifici, pasticcerie o pizzerie al taglio iscritte all’Albo delle Imprese Arti- giane e, di contro, all’esiguità di altre classi – pur rappresentative delle tradizioni gastronomiche trentine – che oltre all’artigianato possono fare riferimento anche ad altri settori quali il commer- cio, l’agricoltura, la cooperazione e l’industria (macellerie, vini, formaggi, confetture, ecc.). La scelta del campione è stata funzionale alle esigenze della ricerca che, se da un lato nascevano dal bisogno di pervenire ad una conoscenza meno mediata dai dati statistici in merito ai compor- tamenti imprenditoriali e di marketing delle imprese artigiane nella loro articolazione, dall’altro aveva anche obiettivi divulgativi e promozionali riguardanti la presentazione di casi aziendali significativi nell’ambito di una guida turistico-gastronomica dell’artigianato alimentare trentino. Questa seconda esigenza ha fortemente condizionato la definizione del campione portando all’individuazione – attraverso la consultazione di esperti – di imprese che fossero in qualche modo caratterizzate sul piano della qualità e tipicità del prodotto, del legame con il territorio, del- le strategie produttive e commerciali. Ad influire sul campione delle imprese intervistate è stata poi, naturalmente, la disponibilità delle stesse ad essere coinvolte nell’indagine. Alla fine possiamo affermare che ne è risultato un campione comunque coerente con gli aspetti conoscitivi che ci eravamo proposti di esaminare, ovvero con gli scopi della ricerca che sono quelli di dare rappresentazione delle principali modalità di stare al gioco competitivo delle im- prese artigianali trentine del settore alimentare. Nonostante il campione non sia stato costruito con rigidi criteri di rappresentatività statistica dell’universo delle imprese artigiane trentine del settore alimentare, il confronto tra le imprese intervistate e quelle iscritte all’Albo provinciale delle Imprese Artigiane evidenzia come sia stato mantenuto un criterio di proporzionalità. 21
  • 24. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli Si rilevano chiaramente delle discrepanze in alcuni settori come ad esempio i panifici (dato il consi- stente numero di queste aziende) o delle pizze al taglio, che sono comunque di scarso significato ri- spetto alle finalità di questa indagine, incentrata sugli aspetti di valorizzazione delle tipicità trentine. Per altri settori, in cui si possono maggiormente individuare queste tipicità, si può anche indivi- duare una buona rappresentatività del campione: abbiamo, infatti, intervistato il 75% delle azien- de artigiane di lavorazione di frutta, verdura e funghi presenti in Provincia di Trento, il 71,4% delle macellerie artigiane, il 63% delle distillerie, il 23,7% delle pasticcerie, ecc. Come specificato precedentemente, non bisogna inoltre dimenticare la scarsa rappresentativi- tà dell’artigianato in diversi settori di punta dell’agroalimentare della Provincia di Trento: basti pensare al settore vinicolo dove operano solo due imprese artigiane o al settore caseario dove vi sono solo 6 imprese artigiane a fronte di un grande numero di imprese appartenenti al settore cooperativo, commerciale o agricolo. Tabella 3: Imprese intervistate per classe di produzione alimentare (confronto con dati imprese iscritte all’Albo Artigiani della Provincia di Trento) 22
  • 25. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli 4.2 Distribuzione territoriale Per quanto riguarda la distribuzione territoriale del campione la figura 1 descrive la localizzazione per comprensorio e per comune delle 100 imprese intervistate. Un confronto tra la localizzazione delle imprese intervistate e la distribuzione per comprensorio della totalità delle imprese dell’ar- tigianato alimentare trentino è riportata nella tabella 4. Figura 1: Distribuzione territoriale delle imprese intervistate per comprensorio e per comune 23
  • 26. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli Tabella 4: Imprese intervistate e totali per comprensorio 4.3 Forma giuridica delle imprese analizzate Un altro fattore importante per caratterizzare il campione di imprese intervistate è la forma giu- ridica che consente di studiare il percorso di “maturazione” organizzativa che va dalla forma in- dividuale alle società di capitali. Le società di capitale non solo danno la possibilità di limitare il rischio, ma consentono anche – nella forma della Srl pluripersonale – di acquisire con una certa facilità soci e di modificare la struttura societaria del rischio e del capitale. Naturalmente, le Srl e le Spa sono strutture che richiedono una certa formalizzazione della contabilità, dei poteri e degli atti societari, segnando un punto di distacco – almeno sul piano formale – dall’identificazione tra azienda e persona che prevale ancora in molte microaziende. La forma giuridica, in questo senso, è un indizio piuttosto rilevante di evoluzione organizzativa di un’azienda. Come si vede dalla se- guente figura 2 la ditta individuale è nettamente maggioritaria: quasi la metà del campione (48 imprese). Abbiamo uno sviluppo in senso societario con la S.n.c. (32 aziende). Mentre le società di capitali – esclusivamente Srl – sono solo 13. Limitate a solo 7 casi sono le Società in acco- mandita semplice (S.a.s.): questo tipo di società, nasce solitamente quando ci sono dei soggetti capitalisti che vogliono investire, ma limitare il proprio rischio, e soggetti imprenditori che sono in possesso di una parte limitata di capitali. 24
  • 27. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli Figura 2: Percentuale imprese intervistate per forma giuridica s.r.l. 13% s.n.c. 32% ditta individuale 48% s.a.s 7% Sui motivi di tale distribuzione di forme societarie il peso maggiore lo hanno la scarsa dimensione delle imprese, la scarsa consapevolezza dei benefici connessi all’adozione di forme giuridiche più avanzate e, probabilmente, anche una certa inerzia storica. In passato, infatti, dal punto di vista for- male, l’impresa artigiana era costretta ad assumere la forma giuridica di società di persone, mentre la microimpresa industriale poteva assumere anche la forma di società di capitali; questa differenza formale oggi non sussiste più, ma l’eredità storica da una parte, e i minori costi dall’altra, fanno sì che la quasi totalità delle microimprese artigiane assuma tuttora la forma giuridica della società di per- sone. Ne deriva la frequente commistione tra la famiglia dell’imprenditore – con il coinvolgimento del patrimonio familiare e dei familiari che prestano la propria opera – e l’impresa. L’incrocio tra forma giuridica e classe economica delle aziende intervistate (tabella 5) non evi- denzia specifici caratteri, anche per il fatto che la diversa consistenza numerica delle aziende nelle diverse classi economiche non consente dei confronti. Anche l’incrocio tra forma giuridica e numero di occupati nell’azienda (compresi titolari, soci e familiari coadiuvanti) non fa emergere – come ci si potrebbe aspettare – una tendenziale evoluzione della forma giuridica con il crescere degli addetti, al contrario si evidenzia il caso limite di due ditte individuali con più di 10 addetti. Va comunque specificato che si tratta di attività in cui incide fortemente il lavoro part time e sta- gionale (tabella 6). Esula da questo lavoro un ulteriore esame delle motivazioni di convenienza giuridico-economica, vogliamo solamente ricordare che essa è espressione non solo del numero di addetti ma anche del livello assoluto del fatturato e di motivazioni collegate ai rapporti di pa- rentela all’interno dell’azienda. 25
  • 28. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli Tabella 5: Forma giuridica per classe economica Tabella 6: Forma giuridica per classe di addetti 26
  • 29. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli 5. Addetti e fatturato Tra le 100 imprese esaminate, il numero medio di occupati per impresa è di 5,9 persone, comprendendo, oltre ai dipendenti, anche i titolari, i soci ed i familiari attivi. Tabella 7: Valori minimi massimi e medi di occupati nelle aziende In totale, nelle cento aziende analizzate lavorano 582 persone, di cui: 187 titolari e soci; 38 famigliari coadiuvanti, 256 dipendenti a tempo pieno e 114 dipendenti part-time o stagionali. Le aziende con un solo addetto (il titolare) sono 5: un’azienda di produzione di specialità gastronomiche, una distilleria, un’azienda di produzione di pasta alimentare, una torrefazione e una gelateria. All’estremo opposto troviamo 3 aziende con più di 20 addetti: un’importante catena di panetterie che, oltre al titolare e a un familiare coadiuvante, dà lavoro a 22 dipendenti a tempo pieno e a 6 dipendenti stagionali; un’azienda di produzione gelati che, oltre al titolare, occupa 12 dipendenti a tempo pieno e 10 dipendenti stagionali; un’azienda di macellazione che, oltre ai due titolari, occupa 20 addetti a tempo pieno. La classe che raccoglie la maggiore per- centuale di imprese (54%) è quella da 2 a 5 addetti. Una ripartizione delle aziende per numero di addetti è schematizzata nella seguente figura 3. 27
  • 30. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli Figura 3: Percentuale aziende per classi di addetti (compresi titolari e famigliari coadiuvanti) più di 20 occupati 3% 1 solo occupato (il titolare) 5% da 11 a 20 occupati 8% da 6 a 10 occupati 30% da 2 a 5 occupati 54% L’89% delle imprese indagate rientrano nella classe delle microimprese (meno di 10 addet- ti) mentre solo l’11% del campione può essere classificato come piccola impresa (fino a 50 addetti). La preponderanza di microimprese denota una resistenza alla crescita dimensionale. Nella mi- croimpresa, infatti, l’imprenditore è in grado di controllare direttamente tutti gli aspetti della vita aziendale, di assumere le decisioni in prima persona. Nella sua figura s’identificano sia il manage- ment sia la proprietà: è assente la proprietà cui rispondere, mancano gli azionisti che chiedono dividendi nel breve periodo e l’imprenditore può decidere liberamente, investendo o meno a lungo termine, sacrificando delle entrate momentanee per stabilizzare relazioni e rapporti con clienti e partner strategici. La crescita dell’impresa, motivo di fierezza per l’imprenditore, può co- stituire allo stesso tempo un trauma, dal momento che oltre una certa dimensione comporta la delega di molte funzioni e la perdita del controllo totale e assoluto dell’impresa. Crescono inoltre l’impegno e il rischio dell’imprenditore e le modalità di reperimento di nuove commesse: con pic- cole dimensioni è più facile reperire il lavoro necessario per garantirsi un determinato ammontare di fatturato, è spesso il cliente che cerca il fornitore e non viceversa; per elevati volumi di fatturato e di lavoro, al contrario, diventa indispensabile un maggiore impegno per reperire un numero di commesse sufficiente a coprire tutti i costi: occorre che l’imprenditore distolga la propria atten- zione e parte degli investimenti dagli aspetti produttivi e intensifichi gli sforzi più strettamente commerciali e di marketing. Questi aspetti contribuiscono a limitare la disponibilità dell’im- prenditore a fare crescere la propria impresa, soprattutto oltre la soglia dei dieci addetti: 28
  • 31. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli è proprio questa la soglia oltre la quale si rende indispensabile una riorganizzazione dell’azienda con l’introduzione di nuove figure professionali cui delegare funzioni organizzative e gestionali e cresce l’impegno commerciale necessario per mantenere più consistenti livelli di fatturato. Nelle imprese considerate la media dei soli dipendenti a tempo pieno è di 2,6 addetti per azienda, con un range che va da 44 aziende senza alcun dipendente a tempo pieno al già citato caso di una catena di panetterie con più di 20 addetti. Un quarto del campione si colloca nella classe tra 2 e 5 dipendenti. Figura 4: Percentuale aziende per classi di dipendenti a tempo pieno da 11 a 22 dipendenti 5% da 6 a 10 dipendenti 11% nessun dipendente a tempo pieno 44% da 2 a 5 dipendenti 25% un solo dipendente 15% Le aziende che utilizzano dipendenti part time o stagionali sono 45, a testimonianza del ca- rattere stagionale di molte produzioni dell’artigianato alimentare e di carichi di lavoro che spesso si concentrano in concomitanza di particolari ricorrenze, come le festività natalizie o estive. Il ricorso a dipendenti part-time o stagionali – che come vedremo nei successivi capitoli vengono utilizzati sia per funzioni di produzione sia per funzioni di vendita – riguarda tutte le classi economiche analiz- zate. Il numero massimo di dipendenti part-time o stagionali lo troviamo in due gelaterie (10 e 11 addetti). Le aziende che utilizzano unicamente dipendenti part-time o stagionali sono 21. I dati relativi alla distribuzione dei dipendenti per le principali classi economiche analizzate è sche- matizzata dalla seguente tabella da cui si evince come il maggiore dato medio di dipendenti a tempo pieno si individua nelle panetterie con 5,9 dipendenti a tempo pieno per azienda (dato che però è condizionato dalla presenza di un’azienda che gestisce una catena di panifici), mentre il maggiore dato medio di lavoratori part-time e stagionali è rilevabile nelle gelaterie (2,3 dipendenti). 29
  • 32. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli Tabella 8: Numero di dipendenti per le principali classi economiche Nonostante le resistenze alla crescita dimensionale precedentemente descritte l’andamento del numero degli occupati in azienda rappresenta un interessante indicatore dell’andamento congiunturale del settore. Rispetto a tale dato solo il 14% delle aziende intervistate ha di- chiarato una contrazione degli occupati in azienda nel corso degli ultimi tre anni. Per il 52% delle aziende gli occupati sono rimasti stabili e per il 30% delle aziende gli occupati sono cresciuti nonostante l’attuale situazione di crisi generale. Dato che conferma il carattere an- ticiclico svolto dal settore dell’artigianato alimentare, evidenziato anche da diverse rilevazioni a livello nazionale. Una ripartizione per classe economica evidenzia come gli andamenti (positivi o negativi) dell’oc- cupazione si distribuiscono in tutte le classi economiche analizzate: ciò porta a pensare che l’an- damento positivo o negativo dell’occupazione non dipenda tanto dall’andamento generale del- lo specifico settore, quanto piuttosto dalla situazione di mercato e dalle strategie delle singole aziende. Nel complesso si può rilevare una tendenza alla diminuzione degli occupati nelle panet- terie, nella lavorazione frutta e verdura, nella produzione cioccolato. Mentre la tendenza all’au- mento degli occupati è stata maggiormente segnalata da: pasticcerie, macellerie, pizze al taglio, gelati, gastronomie, produzioni di pasta alimentare, caseifici, moliture cereali, lavorazione pesce. 30
  • 33. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli Figura 5: Andamento degli occupati in azienda negli ultimi tre anni non risponde 4% cresciuti 30% rimasti stabili 52% diminuiti 14% Figura 6: Andamento degli occupati negli ultimi tre anni per classe economica 31
  • 34. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli Dal punto di vista delle classi di fatturato, il gruppo si presenta estremamente eterogeneo, pas- sando dai 30.000 euro di fatturato annuo agli oltre 3 milioni di euro. Il dato medio di fatturato per azienda è di 600.513 euro (sulla base di 72 risposte su 100). Una ripartizione delle aziende per classi di fatturato è schematizzata dal seguente grafico da cui emerge, in primo luogo, l’alta percentuale di aziende che non hanno fornito il dato. Per il resto le aziende si distribuiscono omo- geneamente tra le varie classi di fatturato, con una leggera prevalenza delle classi da 500.000 al milione di euro e da 100.000 a 200.000 euro. Figura 7: Percentuale aziende per classe di fatturato < di 100.000 euro 10% fatturato non dichiarato 28% da 100.000 a < 200.000 euro 21% da 1 MLN di euro a 3,5 MNL di euro 11% da 200.000 a < 500.000 euro 15% da 500.000 a < di 1 MLN di euro 15% La classe economica di appartenenza non sembra avere particolare influenza sulla collocazione delle aziende rispetto alle classi di fatturato. Tra le imprese che superano il milione di euro di fatturato troviamo diversi settori: due panifici, una gelateria, due macellerie, due distillerie, due aziende di lavorazione di frutta, verdura e funghi, un’azienda di lavorazione e conservazione pe- sce, un’azienda di produzione aceti. 32
  • 35. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli Tabella 9: Numero aziende per classe economica per classe di fatturato Il fatturato è anche espressione del numero di addetti, pur se il peso di questi ultimi sul fatturato dipenda da molti altri fattori: dalla tipologia dei processi produttivi, dall’organizzazione del lavoro e dal grado di automazione ed innovazione degli impianti e non da ultimo dall’età dell’impresa. 33
  • 36. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli Tabella 10: Numero aziende per classe di fatturato e numero di occupati Il fatturato medio per addetto – calcolato sulle 72 aziende che hanno fornito il dato sul fattura- to e dividendo tale dato per numero di addetti di queste 72 aziende – si attesta sui 78.000 euro, con valori minimi di 25.000 euro e valori massimi di 375.000 euro. Tabella 11: Fatturato medio per addetto Considerando gli andamenti del fatturato negli ultimi tre anni emerge come quasi la metà delle imprese intervistate – nonostante la fase di crisi economica iniziata nel 2008 – sia riuscita ad incrementare i propri fatturati, con andamenti positivi che si attestano, nella maggioranza dei casi, su crescite del 5% e 10%. Il 28% delle imprese dichiara di aver conseguito una stabilità nella dinamica dei ricavi. Un più ridotto 14% lamenta, invece, recenti andamenti negativi dei fatturati che si attestano sul 5% - 10%, con il caso limite di un’azienda che ha dichiarato un 70% di calo di fatturato. 34
  • 37. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli Figura 8: Andamento del fatturato nei precedenti tre anni non risponde 10% diminuito 14% cresciuto 48% rimasto stabile 28% Decisamente più ottimistiche le previsioni di crescita dei fatturati nei prossimi tre anni dove ben il 63% delle aziende si aspetta una crescita del proprio fatturato che in 24 casi si attesta sul 10%, anche se non mancano numerose previsioni di crescita del fatturato del 20, 30 e 40%. Figura 9: Previsione andamento fatturato nei prossimi tre anni non risponde 12% diminuzione 1% stabilità 24% crescita 63% 35
  • 38. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli Figura 10: Numero aziende per percentuali di crescita del fatturato negli ultimi tre anni e per previsioni di crescita del fatturato nei prossimi tre anni 36
  • 39. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli 6. Storie di imprese, famiglie e persone Le imprese esaminate nella loro consistenza attuale sono il frutto di una storia aziendale – che quasi sempre è personale e familiare – e che ha come punto di riferimento principale la data di fondazione dell’azienda (o di subentro rispetto ai veri fondatori). Figura 11: Anno di fondazione dell’azienda A parte le 13 aziende che non hanno comunicato la data di fondazione – quasi sempre perché era difficile ricostruire l’anno preciso di inizio dell’attività avviata dai padri o dai nonni – il primo dato di interesse è il carattere “storico” di alcune botteghe artigiane. Vi sono ben 10 aziende, tra quelle intervistate, che nascono prima del 1910. I più antichi laboratori artigiani coinvolti nell’indagine sono: una distilleria fondata nel 1849; un panificio fondato nel 1850; una distilleria fondata nel 1852; una distilleria fondata nel 1872; e un mulino fondato nel 1877. In sostanza, le produzioni di grappa e pane sono le attività artigiane dell’economia di sussistenza che caratterizzava il Trentino alla fine dell’800. Il periodo tra le due guerre vede la nascita di due imprese artigiane: un biscottificio, diventato poi molto famoso in Trentino, e un panificio. Seguono gli anni della ricostruzione e del boom econo- mico con la nascita di 6 imprese negli anni ’50 e di 10 imprese negli anni ’60. Durante gli anni ’70 si rileva una leggera flessione nel numero di imprese avviate e, successiva- mente, un costante incremento che dagli anni ’80 prosegue fino ai nostri giorni, confermando una tendenza che si rileva anche a livello nazionale. In verità, parte delle aziende sono state “rifondate” nel senso di un subentro ai vecchi titolari a cui generalmente è corrisposto un cambiamento nella forma giuridica, un ammodernamento 37
  • 40. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli dell’impresa e, certamente, dei cambiamenti nelle modalità gestionali, pur nel mantenimento delle caratteristiche artigiane e qualitative. Tali subentri sono in prevalenza avvenuti in ambito familiare, con il susseguirsi delle generazioni alla guida dell’azienda. Dato testimoniato dal 42% degli attuali titolari che hanno dichiarato di avere ereditato l’impresa dal padre, o comunque da congiunti. Generalmente si tratta di seconde o terze generazioni che hanno sperimentato il lavoro già quan- do studiavano e, con il passare degli anni, hanno acquisito sempre maggiori responsabilità e margini di iniziativa, sino a diventare titolari dell’azienda, magari affiancati dai padri con i loro saperi taciti e con la loro esperienza. Dunque, più che di “passaggio generazione” nell’impresa artigiana appare appropriato parlare di “convivenza generazionale”, intesa come fase di tran- sizione dove è la cogestione l’aspetto più interessante e strategico. Ai saperi informali dei padri si sono affiancati quelli più “modernizzanti” dei figli che tendono a spostare la cultura artigiana verso una matrice più “imprenditiva”. Figura 12: L’attività è stata ereditata dal padre? 42% 58% Sono ancora attivi imprenditori nati negli anni ’30, anche se la classe di età in cui si concentra il maggior numero di risposte è quella degli imprenditori nati negli anni ’60, un terzo dei quali ha ereditato l’attività paterna. Un maggior numero di casi di successioni nell’attività d’impresa carat- terizza gli imprenditori nati negli anni ’70. 38
  • 41. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli Figura 13: Numero di imprenditori per anno di nascita dell’imprenditore e successione imprenditoriale Appare ancora ridotta la quota dei titolari d’impresa che hanno dai 20 ai 30 anni: solo 4 im- prenditori, due dei quali gestiscono l’impresa ereditata dal padre. Comunque, tale dato non va interpretato come una carenza assoluta di giovani nel settore dell’artigianato alimentare, ma più semplicemente significa che in diverse aziende non è ancora avvenuto il passaggio di testimone nella conduzione dell’azienda: sono in totale 23 le aziende che dichiarano di avere uno o più figli coinvolti nell’attività di impresa. Il ruolo della tradizione familiare nel settore dell’artigianato alimentare è testimoniato anche dalle risposte riguardanti la precedente occupazione dell’attuale titolare. Tabella 12: Precedente occupazione dell’attuale titolare La maggior parte delle precedenti posizioni lavorative – come autonomo o come dipendente – si collocano nell’ambito della stessa impresa (44%), presumibilmente nell’impresa di famiglia visto che il dato supera di soli due punti percentuali il numero di imprenditori che hanno dichiarato di avere ereditato l’impresa dal padre (42%). Significativo anche il numero di precedenti posizioni lavorative in altre imprese dello stesso settore – in particolare come dipendente – dato che conferma come lo spin off aziendale rap- presenti un’importante modalità di formazione di nuove imprese nel settore dell’artigianato ali- 39
  • 42. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli mentare. È, infatti, presumibile che la maggior parte di queste 23 segnalazioni si riferisca ad ex dipendenti di imprese del settore alimentare che, una volta acquisita una certa professionalità nell’ambito del lavoro dipendente, hanno deciso di avviare un’attività in proprio. È alto anche il numero delle segnalazioni – circa un quarto del campione – di imprenditori che provengono da imprese di altri settori, dato che testimonia l’appeal del settore dell’artigianato alimentare come ambito per l’avvio di nuove iniziative imprenditoriali. Una ripartizione dei titolari d’impresa per titolo di studio è schematizzata dalla seguente figura 14 da cui emerge una relativa prevalenza di imprenditori con la licenza di media inferiore (32%) seguita dal diploma di scuola professionale (29%) e di maturità (23%). Nel complesso, tra le 100 imprese indagate, troviamo 13 artigiani che hanno svolto studi uni- versitari (diploma di laurea breve o diploma di laurea). La presenza di laureati si riscontra in aziende appartenenti alle seguenti classi economiche: 4 distillerie, 3 panetterie, 2 pasticcerie, un’erboristeria, un’azienda di lavorazione di frutta e verdura, un’azienda di lavorazione del pesce, una di molitura cereali. La ripartizione del titolo di studio per classi di età (figura 15) evidenzia come la presenza di laureati è riscontrabile già nella generazione dei nati negli anni ‘40. Con le generazioni degli anni ’70 e anni ’80 cominciano ad avere rilevanza i diplomi di laurea breve. Le tre licenze elementari riguardano unicamente gli imprenditori nati negli anni ’30. Figura 14: Imprenditori per titolo di studio licenza elementare 3% laurea 9% diploma laurea breve 4% licenza media inferiore avviamento 32% diploma maturità 23% diploma professionale 29% 40
  • 43. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli Figura 15: Numero imprenditori per anno di nascita e titolo di studio Oltre ai summenzionati percorsi scolastici, ben 66 artigiani hanno dichiarato di avere parte- cipato ad attività di formazione o specializzazione inerenti all’attività svolta. Ai tradizionali corsi di specializzazione per panettieri, pasticceri, cioccolatieri, casari, macellai, molitori – in alcuni casi svolti al di fuori del Trentino – si affianca la partecipazione a corsi per degustatori ANAG11, seguiti dai titolari di distillerie. Si rilevano alcune partecipazioni anche a corsi sulla valorizzazio- ne di prodotti tipici (Accademia d’Impresa, Consorzio Produttori Trentini di Salumi, Slow food), a corsi di sommelier e a corsi di dietetica e produzioni alimentari per celiaci. Abbastanza diffusa è anche la partecipazione a corsi di formazione tenuti da ditte fornitrici di tecnologie per la produzione alimentare e a corsi incentrati sulle metodologie di gestione d’impresa, svolti in buona parte dall’associazione di categoria. In totale sono 11 gli artigiani che hanno dichiarato di avere avuto esperienze di docenza nell’ambito di corsi di formazione professionali, scuole alberghiere o altri istituti seconda- ri. In alcuni casi si è trattato di esperienze che denotano un forte impegno sociale degli artigiani: come nei citati casi di docenze effettuate presso istituzioni e associazioni che operano per il recu- pero di giovani in difficoltà (è il caso ad esempio dei corsi di formazione sull’artigianato alimen- tare realizzati presso la Comunità di San Patrignano) o per l’inserimento lavorativo di immigrati extracomunitari. Si tratta di esperienze che evidenziano il forte ruolo che l’artigianato svolge nei processi di inclusione sociale. 11 Associazione Nazionale Assaggiatori Grappa ed Acqueviti. 41
  • 44. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli La partecipazione a corsi di formazione esterni continua ad essere una pratica consolidata di aggiornamento professionale per un consistente numero imprese analizzate: il 47% dichiara di acquisire competenze necessarie all’attività d’impresa partecipando a corsi di formazione esterni ed il 29% a quelli organizzati dall’associazione di categoria. Tabella 13: Canali attraverso i quali l’impresa acquisisce le conoscenze di cui ha bisogno L’artigianato ha comunque una lunga storia e propri sistemi di sviluppo e trasmissione della co- noscenza che gli consentono di innovare nel solco della tradizione. La quotidiana esperienza fatta sul lavoro continua ad essere il principale ambito attraverso cui le imprese artigiane ag- giornano e consolidano le proprie competenze produttive (82% delle segnalazioni). L’attenzione alle tradizioni locali (66 segnalazioni) ed il passaggio generazionale delle tecniche produt- tive (44 segnalazioni) sono le strade maestre che consentono storicamente all’impresa artigiana di innovare le proprie produzioni e riprodurre i propri processi produttivi. Proprio per il suo fon- damento pratico, l’artigianato costituisce una pratica sociale che si apprende sul campo, attra- verso il rapporto diretto dell’apprendista con l’artigiano. Mentre nell’industria il sapere codificato che viene incorporato in una macchina è facilmente moltiplicabile (riproducendo la macchina in molti esemplari identici tra loro), il sapere posseduto da un artigiano si trasmette ad altri solo attraverso il lungo e complesso processo di apprendistato (o di imitazione). Ma oltre alle conoscenze contestuali – patrimonio di ogni artigiano e di ogni azienda, spesso gelosamente custodito – oggi servono competenze che abbiano un carattere più formale e co- 42
  • 45. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli dificato, riguardanti tecnologie e mercati, per le quali le imprese analizzate si affidano alla par- tecipazione a fiere di settore (44 segnalazioni) e al trasferimento di conoscenze da parte di committenti, clienti e fornitori (34 segnalazioni). La presenza di donne titolari d’impresa, nell’ambito del campione di imprese indagato, è del 22%. Solo 4 imprenditrici hanno ereditato l’impresa dal padre: la maggior parte ha sviluppato le proprie competenze presso altre imprese alimentari e ha avviato, successivamente, una propria attività. La distribuzione di imprenditrici nell’ambito delle varie classi economiche è illustrata nella seguente figura. Figura 16: Numero aziende per classe economica e sesso del titolare Il ruolo svolto dalle donne nell’impresa artigiana non può certamente essere descritto unicamen- te con il numero delle titolari di impresa, ma va ricondotto ai diversi ruoli che esse svolgono in imprese che sono in buona parte a carattere familiare. In totale sono 30 le aziende che hanno dichiarato di avvalersi dei familiari coadiuvanti nello svolgimento di funzioni aziendali: la ripartizione di tali funzioni tra titolari, familiari co- adiuvanti e dipendenti a tempo pieno e tempo parziale è schematizzata dalla seguente tabella. 43
  • 46. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli Tabella 14: Svolgimento delle funzioni aziendali (Chi fa cosa?) Il primo aspetto macroscopico rilevabile da questa tabella riguarda l’assunzione di tutti i ruoli di lavoro da parte del titolare (o dei titolari) che spesso è assunta come verità assiomatica “l’artigiano fa tutto”. Un dato analogo riguarda i familiari anche loro coinvolti in tutte le funzioni dell’azienda, con una leggera preminenza per le funzioni di vendita. Ai dipendenti – che siano a tempo pieno o a tempo parziale – sono, invece, riservate le funzioni di produzione e vendita. 44
  • 47. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli 7. Il mercato dell’impresa artigiana 7.1 I mercati serviti dall’azienda La percentuale di composizione del fatturato, utilizzata per indicare i mercati di vendita, rappre- senta il valore medio della percentuale di fatturato realizzata in una particolare destinazione di vendita. Nel complesso le 100 imprese intervistate realizzano mediamente il 53,7% del proprio fatturato sul mercato strettamente locale – valle, città, paese – tale dato scende al 28,9% se si prende a riferimento il mercato provinciale, per poi posizionarsi su valori inferiori al 10% riguardo ai mercati extraprovinciali. Tabella 15: Percentuale di fatturato a seconda della destinazione delle vendite Le aziende che hanno dichiarato di realizzare la totalità del loro fatturato sul mercato stretta- mente locale sono il 35%, si tratta in sostanza di imprese che svolgono un servizio di prossimità rivolto a residenti e turisti ed usano quasi esclusivamente il canale commerciale costituito dal proprio punto vendita (panifici, pasticcerie, gastronomie, pizze al taglio, ecc.). Di contro le aziende che dichiarano di realizzare una parte del loro fatturato (fino ad un massi- mo del 50%) sui mercati esteri sono il 18%, tra queste aziende troviamo un buon numero di distillerie, diversi produttori di specialità gastronomiche particolarmente rinomate, due impor- tanti aziende artigiane di lavorazione di prodotti di macellazione, un biscottificio e un’azienda di produzione aceti. A caratterizzare queste imprese sono in alcuni casi le produzioni di alta gam- ma – solitamente associate alla capacità di agganciarsi a prestigiosi canali commerciali di livello internazionale – e in altri casi la maggiore dimensione di impresa associata ai canali della GDO. La presenza sul mercato provinciale caratterizza un’articolata tipologia di classi produttive, pra- ticamente tutte le aziende del campione, ad esclusione di quelle che hanno dichiarato di operare unicamente sul mercato strettamente locale. In particolare le imprese che fanno quasi esclusiva- mente riferimento al mercato provinciale sono: le imprese che si caratterizzano per la produzione 45
  • 48. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli di servizi (moliture, torrefazioni, catering); le imprese che più si avvicinano ad un tipo di produzio- ne industriale e/o che hanno saputo conquistarsi una certa fama a livello provinciale e le imprese maggiormente orientate alla fornitura di esercizi turistici in particolare alberghi e ristoranti. Sul mercato prevalentemente provinciale troviamo anche aziende specializzate in settori di nicchia, come ad esempio le produzioni biologiche, che pur essendo di piccolissima dimensione non possono avere come riferimento il solo mercato di prossimità. Sul mercato nazionale opera circa il 35% delle imprese analizzate. Il principale sbocco è chiara- mente il mercato del Nord Est dove il 34% delle imprese analizzate dichiara di realizzare una quo- ta del proprio fatturato (fino ad un massimo del 50%), seguono il Nord Ovest, sbocco di mercato per il 25% delle imprese, il Centro Italia 14% ed infine il Sud Italia con il 10%. Le imprese che presentano una rilevante quota di fatturato sul mercato nazionale sono quelle capaci di utilizzare circuiti commerciali specializzati in prodotti di qualità; quelle che commercializzano attraverso la GDO e le imprese di subfornitura che forniscono semilavorati o prodotti finiti ad altre aziende che lo commercializzano con marchio proprio. Anche la quantificazione dei volumi di vendita realizzati dalle imprese sui diversi mercati evi- denzia l’assoluta preminenza dei mercati locali e provinciale. Tabella 16: Volumi di vendita sui diversi mercati 7.2 I canali commerciali utilizzati dalle aziende Relativamente ai canali commerciali utilizzati dall’azienda la strategia più percorsa (e anche quella più vincente secondo quanto emerso dalla campagna di interviste) è quella di mixare diverse formule di vendita. Infatti, la strategia multilivello permette di incontrare diverse “popolazioni” di consumatori, differenziando i prezzi a seconda delle situazioni e, quindi, poiché si agisce su seg- menti a valori aggiunti diversi, modulando la propria struttura di costi e ricavi. Nel complesso le imprese che realizzano la totalità del proprio fatturato su un unico canale commerciale (in prevalenza il negozio) sono solo 22. Tutte le altre operano su molteplici canali con diversificate percentuali di vendita e in alcuni casi diversificando anche la produzione o il packaging in funzione dei diversi canali. In sostanza, accanto alla commercializzazione diretta si mettono in atto più strategie di commer- 46
  • 49. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli cializzazione indiretta: quella del “B2B” (dove il margine è ridotto), quella d’élite (dove il margine è alto) e quella della vendita tramite vetrine terze (dove il margine è spartito con il gestore dello spazio). I rapporti con la GDO ci sono quando è necessario “smaltire” una certa quantità della propria produzione. Il dato medio di fatturato realizzato sui diversi canali commerciali è riportato nella seguente ta- bella, da cui si rileva la preponderanza della vendita diretta al pubblico tramite negozio (46,3%). Tabella 17: Percentuale di fatturato per canale commerciale A distanza troviamo la vendita dei propri prodotti artigianali attraverso i supermercati su cui vie- ne realizzato un dato medio di fatturato dell’11,1%. Le aziende che commercializzano attraverso i supermercati sono 37. La percentuale di fatturato su questo canale si attesta, per la maggioranza delle imprese, sul 10-20%. C’è solo un’impresa – una molitura cereali – che realizza su questo canale il 90% del proprio fatturato. Gli alberghi e ristoranti rappresentano il terzo canale per dato medio di fatturato (9,7%) ma il se- condo canale per numero di imprese che lo utilizzano (49 imprese). Ne consegue che, nonostan- te l’ampio utilizzo di questo canale, le quote di fatturato realizzato sono basse (inferiori al 10%). Solo una torrefazione dichiara di realizzare su questo canale più del 90% del proprio fatturato. La vendita ad altri esercizi commerciali al dettaglio produce una percentuale di fatturato me- dio dell’8,1% e coinvolge 35 imprese. Anche in questo caso le quote di fatturato si attestano su percentuali abbastanza basse. Le due aziende che dichiarano di realizzare almeno il 70% del pro- prio fatturato su questo canale sono una gelateria e una produzione di cioccolato. 47
  • 50. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli Lo spaccio aziendale rappresenta un canale di vendita su cui viene realizzato il 7,8% del fat- turato. Le aziende che utilizzano questo canale – principalmente le distillerie – solitamente as- sociano alla vendita anche un’attività di accoglienza aziendale, ovvero, l’attività produttiva e commerciale è assistita da un’attività di divulgazione culturale volta ad illustrare le caratteristiche del prodotto e dei processi produttivi. Accogliendo visitatori è possibile interagire direttamente con i potenziali consumatori che saranno maggiormente disposti a spendere, poiché alla soddi- sfazione data dal prodotto “in sé” si somma quella esperienziale. L’importante è tenere sempre ali- mentato il flusso di presenze e l’estetica (e quindi la manutenzione) della propria sede. In questo caso la localizzazione della propria impresa non è per niente secondaria, anzi più è attrattivo e riconosciuto il territorio nel quale si opera e maggiori sono le possibilità di relazioni con operatori depositari di know how, più l’impresa può essere inserita all’interno di circuiti e sistemi strutturati, quindi costanti, rendendo meno aleatorio l’apporto di queste iniziative al fatturato aziendale. La vendita attraverso negozi di prodotti tipici trentini coinvolge un terzo delle imprese inda- gate (33) con un dato medio di fatturato realizzato su questo canale del 6,3%. Le aziende che dichiarano di realizzare il 50% del proprio fatturato su questo canale sono: una distilleria, una molitura cereali e una pasticceria. La subfornitura è una modalità di vendita che coinvolge complessivamente 21 imprese. Sono imprese che realizzano una quota del proprio fatturato vendendo semilavorati ad altre azien- de (6) o vendendo prodotti finiti ad altre aziende che lo commercializzano con marchio proprio (15). Le percentuali medie di fatturato realizzati su questo canale sono contenute: rispet- tivamente dell’1,2% e del 4,2%. Tra i subfornitori di prodotti finiti che realizzano più del 50% del loro fatturato con questa modalità troviamo: un’impresa dolciaria, un salumificio e un’azienda di lavorazione funghi che lavora per un’importante multinazionale del settore agroalimentare. Tra i fornitori di semilavorati che realizzano più del 70% del loro fatturato con questa modalità troviamo unicamente un’importante impresa trentina di lavorazione carni. La vendita tramite le cantine è un canale commerciale con importanti potenzialità di sviluppo, dal momento che queste costituiscono una rete diffusa per tutto il Trentino a stretto contatto con i flussi del turismo enogastronomico. Tale canale, per il momento, interessa solo 8 imprese: tre distillerie, un caseificio, un salumificio, una pasticceria, un importante biscottificio e un’azienda di produzione di specialità gastronomiche. Particolarmente interessante il caso di quest’ultima azienda che vende il 100% della sua produzione – anche a livello internazionale – attraverso i canali commerciali di un’importante azienda vinicola trentina. Anche gli agriturismi e i bed & breakfast rappresentano un interessante canale commerciale per il momento praticato da sole 8 aziende: due panifici, due aziende di molitura cereali, due distillerie, un birrificio e un caseificio. Per tutte queste aziende la percentuale di vendita su questo canale si attesta al di sotto del 20%. 48
  • 51. artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli Le vendite on line sono praticate da 7 aziende. Anche in questo caso le quote di vendita si atte- stano al di sotto del 30%, mentre il dato medio sul fatturato riguardante questo canale commer- ciale si attesta su un risicato 0,5%. Tabella 18: Volumi di vendita realizzati sui diversi canali commerciali 49
  • 52. 50 Tabella 19: Numero aziende per utilizzo di canale commerciale e percentuale di fatturato sul canale artigianato alimentare trentIno : la filiera dei piccoli