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News 26/SSL/2016
Lunedì, 27 Giugno 2016
Benefici previdenziali ex lavoratori amianto, istruzioni operative dell’Inps.
ROMA – Pubblicato da Inps il 21 giugno 2016 il messaggio n.2769 che fornisce
istruzioni e indicazioni per la domanda per i benefici previdenziali da presentare
entro il 30 giugno 2016 per i lavoratori ex occupati in imprese di scoibentazione e
bonifica amianto; affetti da patologia asbesto correlata.
Il messaggio si riferisce a quanto disposto dal decreto del 29 aprile 2016 pubblicato
in GU lo scorso 10 giugno (in merito alla Legge 28 dicembre 2015 n. 208 Stabilità
2016) che ricordiamo ha definito “i i criteri e le modalità di ripartizione delle risorse
del fondo finalizzato all’accompagnamento alla quiescenza, entro l’anno 2018, dei
lavoratori di cui all’art. 1, comma 117, della Legge 23 dicembre 2014, n. 190 che non
maturino i requisiti previsti da tale disposizione”.
Così l’articolo 1 comma 117 citato “In deroga a quanto disposto dall’articolo 24 del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22
dicembre 2011, n. 214, le disposizioni di cui al comma 2 dell’articolo 13 della legge
27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni, si applicano ai fini del
conseguimento del diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico nel corso
dell’anno 2015, senza la corresponsione di ratei arretrati, sulla base della normativa
vigente prima dell’entrata in vigore del citato decreto-legge n. 201 del 2011, anche
agli ex lavoratori occupati nelle imprese che hanno svolto attività di scoibentazione
e bonifica, che hanno cessato il loro rapporto di lavoro per effetto della chiusura,
dismissione o fallimento dell’impresa presso cui erano occupati e il cui sito è
interessato da piano di bonifica da parte dell’ente territoriale, che non hanno
maturato i requisiti anagrafici e contributivi previsti dalla normativa vigente,
che risultano ammalati con patologia asbesto-correlata accertata e riconosciuta ai
sensi dell’articolo 13, comma 7, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive
modificazioni”.
Destinatari del provvedimento come indicato dalla circolare Inps sono quindi i
lavoratori:
“a) che non svolgono alcuna attività lavorativa alla data di presentazione della
domanda di cui al successivo punto 5;
b) in possesso dei requisiti anagrafici e contributivi che, con i benefici di cui al
successivo punto 4, in base alle disposizioni in materia di requisiti di accesso e di
regime delle decorrenze vigenti prima della data di entrata in vigore del citato
decreto legge n. 201 del 2011, conseguono il diritto alla decorrenza del trattamento
pensionistico nel corso degli anni 2016, 2017 e 2018”.
I benefici di cui possono godere sono: sussidio per accompagnamento alla
pensione (dal 1° gennaio 2016 e fino al 31 dicembre 2018), decorrenza alla pensione
di anzianità anni 2016, 2017 e non oltre il 31 dicembre 2018.
“Ai trattamenti pensionistici di anzianità […] si applica la disciplina in materia di
regime delle decorrenze vigenti prima dell’entrata in vigore del decreto legge n.
201 del 2011, ovvero, la c.d. finestra mobile di cui all’articolo 12 del citato decreto
legge 31 maggio 2010, n. 78, come modificato in particolare dall’articolo 18,
comma 22 ter, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 che stabilisce nei confronti di coloro che accedono
alla pensione con un’anzianità contributiva non inferiore a 40 anni
indipendentemente dall’età un ulteriore posticipo della decorrenza del trattamento
pensionistico”.
“Verifica del diritto alla maggiorazione amianto legge 208/2015”. Inps indica quindi i
dettagli e i termini per presentare le domande. La scadenza come detto è il 30
giugno 2016. Il modulo utilizzabile è l’AP99. Le domande possono essere presentate
anche tramite patronato. In caso di diniego del beneficio, si potrà ricorrere presso la
Sede competente entro 30 giorni dalla data di ricevimento del provvedimento.
(Articolo di Corrado de Paolis)
Info: Inps messaggio n.2769 del 21 giugno 2016
Fonte: quotidianosicurezza.it
Uffici, in GU le norme tecniche di prevenzione incendi, decreto 8 giugno 2016.
ROMA – Regola tecnica verticale per la prevenzione incendi negli uffici. Pubblicato
sulla Gazzetta Ufficiale n.145 del 23 giugno 2016 il decreto del Ministero dell’Interno 8
giugno 2016 Approvazione di norme tecniche di prevenzione incendi per le attività
di ufficio, ai sensi dell’articolo 15 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139.
Applicazione
Le norme, il cui decreto entrerà in vigore tra un mese (il trentesimo giorno dalla
pubblicazione in GU avvenuta ieri 23 giugno) potranno essere applicate alle attività
esistenti alla data di entrata in vigore del provvedimento, indicate dal numero 71
all’allegato 1 del Decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011, n.
151. Ovvero: aziende ed uffici con oltre 300 persone presenti (Categoria A fino a
500 persone; B oltre 500 e fino a 800 persone; C oltre 800 persone). Potranno essere
applicate in alternativa a quanto previsto dal Decreto Ministeriale 22 febbraio 2006.
Per effetto della pubblicazione del decreto vengono contestualmente
modificati ‘allegato 1 del Decreto del Ministro dell’interno 3 agosto 2015, nella
sezione V Regole tecniche verticali al quale viene aggiunto il capitolo «V.4 – Uffici»,
ancora l’art. 1, comma 2 del decreto del Ministro dell’interno 3 agosto 2015 nel
quale dopo la lettera h) è aggiunta la lettera “i) decreto del Ministro dell’interno 22
febbraio 2006 recante Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi
per la progettazione, la costruzione e l’esercizio di edifici e/o locali destinati ad
uffici”. Il comma 1 dell’articolo 2 ancora del decreto 3 agosto 2015 con l’aggiunta
del numero 71 al passaggio seguente:
“Le norme tecniche di cui all’articolo 1 si possono applicare alla progettazione, alla
realizzazione e all’esercizio delle attività di cui all’allegato I del decreto del
Presidente della Repubblica 1 agosto 2011, n. 151, individuate con i numeri: 9; 14; da
27 a 40; da 42 a 47 ; da 50 a 54; 56; 57; 63; 64;70; 75, limitatamente ai depositi di
mezzi rotabili e ai locali adibiti al ricovero di natanti e aeromobili; 76”.
Regola verticale
Entrando nel dettaglio della regola tecnica verticale e dell’integrazione con
l’allegato I Norme tecniche di prevenzione incendi del decreto del 3 agosto 2015, il
documento riporta indicazioni sulla classificazione degli uffici (in relazione al numero
massimo di presenti: OA, OB, OC; massima quota di piani HA, HB, HC, HD, HE), aree
di attività – uffici, archivi, affollamento, carico di incendio specifico, apparecchi
elettrici elettronici, locali rilevanti per la sicurezza antincendio, altre aree (TA, TM, TO,
TK, TT, TZ).
Quindi profili di rischio (metodologia, capitolo G.3), strategia antincendio (misure
regola tecnica orizzontale, capitoli V.1 o V.3), reazione al fuoco (GM2, GM3),
resistenza al fuoco (capitolo S.2 e Tabella V,4-1), compartimentazione (S.3 e S.6 e
tabella V.4-2), gestione sicurezza antincendio, controllo dell’incendio (S.6 e tabella
V.4-3, UNI 10799 e V.4-4, UNI EN 12845 e V.4-5), vani degli ascensori (tabella S.9-3,
capitolo V.3, tipo SB). (Articolo di Corrado de Paolis)
Info: GU 23 giugno 2016 Norme tecniche prevenzione incendi uffici
Fonte: quotidianosicurezza.it
D.lgs. 231/2001: i modelli organizzativi e il risk management.
Un intervento si sofferma sul modello di organizzazione e gestione nelle imprese. Il
D.Lgs. 231/2001, la responsabilità amministrativa, i reati presupposto, i modelli
organizzativi e il sistema di risk management.
Urbino, 21 Giu – L’ Università di Urbino “Carlo Bo” ha organizzato in questi anni diversi
seminari, conferenze e convegni per affrontare le tematiche correlate agli aspetti
normativi e giuridici della tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. E gli
interventi in questi incontri spesso ci permettono di fare un riepilogo delle norme
vigenti e di approfondirne e chiarirne alcuni dettagli.
Per questo motivo presentiamo oggi un intervento che si sofferma sui modelli di
organizzazione e sul Decreto legislativo n. 231/2001 relativo ad una serie di incontri,
organizzati nel 2015 dall’Università, dal titolo “Quale salute e sicurezza per i lavoratori
nelle imprese? Metodologie didattiche attive testimonianze e studi di caso”.
In particolare il 4 maggio 2015 l’Ing Luigi Pastorelli (Gruppo Schultz - Risk Manager -
Docente di Teoria del Rischio - Università La Cattolica del Sacro Cuore, Roma) ha
presentato una relazione su “Il modello di organizzazione e gestione nelle imprese”
in cui ha ricordato che l’8 giugno 2001 è stato emanato il D.Lgs. 231/2001 recante
‘Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società
e delle associazioni anche prive di personalità giuridica’, che ha inteso “adeguare
la normativa interna in materia di responsabilità delle persone giuridiche ad alcune
convenzioni internazionali”.
Tale disciplina “ha introdotto, per la prima volta in Italia, una peculiare forma di
responsabilità degli enti per alcuni reati commessi nell’interesse o a vantaggio degli
stessi, da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di
direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria
e funzionale, nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione ed il
controllo dello stesso e, infine, da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di
uno dei soggetti sopra indicati”. E tale responsabilità “si aggiunge a quella della
persona fisica che ha realizzato materialmente il fatto”. Dunque il decreto –
continua la relazione - “mira a coinvolgere, nella punizione di taluni illeciti penali, il
patrimonio degli enti che abbiano tratto un vantaggio dalla commissione
dell’illecito. Per tutti gli illeciti commessi è sempre prevista l’applicazione di una
sanzione pecuniaria; per i casi più gravi sono previste anche misure interdittive quali
la sospensione o revoca di licenze e concessioni, il divieto di contrarre con la P.A.,
l’interdizione dall’esercizio dell’attività, l’esclusione o revoca di finanziamenti e
contributi, il divieto di pubblicizzare beni e servizi”.
Rimandiamo ad una lettura integrale degli atti dell’intervento che riporta anche un
elenco aggiornato dei reati “la cui commissione da parte dei dipendenti delle
Società, nel caso in cui essi rivestano una posizione apicale ovvero siano sottoposti
all’altrui controllo e vigilanza, determina, al ricorrere dei presupposti previsti dal
D.Lgs. 231/2001, l’insorgenza della responsabilità amministrativa della Società”.
L’intervento ricorda poi che l’art. 9 della Legge 3 agosto 2007 n. 123 ha “introdotto
nel D.Lgs. 231/01 l’art. 25-septies “Omicidio colposo e lesioni colpose gravi o
gravissime, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela
dell'igiene e della salute sul lavoro”, successivamente modificato dal D.Lgs. 9 aprile
2008 n. 81. E indica che le categorie dei cosiddetti “reati presupposto” potranno
“essere incrementate da ulteriori fattispecie meritevoli di tutela, attraverso specifiche
previsioni normative”.
La relazione segnala poi che istituita la responsabilità amministrativa degli enti,
“l’articolo 6 del Decreto stabilisce che l’ente non ne risponde nel caso in cui dimostri
di aver adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, un
Modello idoneo a prevenire Reati della specie di quello verificatosi”.
In particolare “ove il reato venga commesso da soggetti che rivestono funzioni di
rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità
organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, nonché da soggetti che
esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso, l’ente non risponde
se prova che:
- l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della
commissione del fatto, un Modello idoneo a prevenire reati della specie di quello
verificatosi;
- il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei Modelli e di curare il loro
aggiornamento sia stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi
poteri di iniziativa e di controllo;
- non vi sia stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di controllo
in ordine ai Modelli;
- i soggetti abbiano commesso il reato eludendo fraudolentemente i Modelli”.
Nel caso, invece, che il reato venga commesso da “soggetti sottoposti alla direzione
o alla vigilanza di uno dei soggetti sopra indicati, l’ente è responsabile se la
commissione del reato è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di
direzione e vigilanza”. Tuttavia tale inosservanza è esclusa qualora l’ente, prima
della commissione del reato, abbia adottato ed efficacemente attuato Modelli
idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi, secondo una valutazione
che deve necessariamente essere a priori”.
In particolare i modelli di organizzazione devono “rispondere alle seguenti esigenze:
- “individuare le attività nel cui ambito possano essere commessi i reati previsti dal
Decreto;
- prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione
delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire;
- individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la
commissione di tali reati;
- predisporre un adeguato sistema di controllo interno in grado di prevenire o ridurre
il rischio di commissione dei Reati attraverso la struttura organizzativa, le attività e le
regole attuate dal management e dal personale interno volte a fornire una
ragionevole sicurezza in merito al raggiungimento delle finalità delle operazioni
gestionali, di attendibilità delle informazioni aziendali, e di conformità alle leggi, ai
regolamenti ed alle politiche interne;
- prevedere obblighi di informazione nei confronti dell’organismo deputato a vigilare
sul funzionamento e l’osservanza dei Modelli;
- introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle
misure indicate nei Modelli”.
Inoltre – continua la relazione - l’articolo 6 del Decreto dispone che i Modelli
“possano essere adottati sulla base di codici di comportamento redatti da
associazioni rappresentative di categoria, comunicati al Ministero della Giustizia.
Resta inteso che la scelta di non adeguare i Modelli ad alcune specifiche indicazioni
di cui alle Linee Guida, non inficia la validità degli stessi. I Modelli, infatti, dovendo
essere predisposti con riferimento alla realtà concreta della società, ben possono
discostarsi dalle Linee Guida che, per loro natura, hanno carattere generale”.
Riguardo ai modelli di organizzazione il relatore, da un punto di vista metodico e
applicativo, ricorda che “per ogni fase del processo produttivo deve essere definito
il dettaglio delle attività e le figure di riferimento. Devono essere dettagliati i
riferimenti a specifica documentazione di rilievo al fine di fornire ai soggetti
responsabili gli strumenti per l’ottimale svolgimento delle proprie mansioni in
coerenza con le procedure aziendali”. Inoltre l’Azienda deve fornire chiare istruzioni
“in merito alle attività di reporting che le varie funzioni aziendali sono tenute ad
implementare, delineando per ogni differente tipologia di reportistica, i soggetti
responsabili e la frequenza di inoltro. A richiesta può essere predisposta un’analisi ad
hoc su temi specifici, ed in generale la funzione aziendale è tenuta a fornire qualsiasi
dato o informazione utile all’esecuzione di controlli e verifiche”.
Si indica poi che l’Azienda deve “sviluppare un sistema di Risk Management con la
finalità di identificare, valutare e gestire gli elementi di rischio che potrebbero
ostacolare la realizzazione degli obiettivi prefissati e le cui conseguenze potrebbero
minare la solvibilità dell’Azienda”.
Si ricorda, a questo proposito, che il sistema di gestione dei rischi è basato su
processi di:
- identificazione del rischio: “volto ad individuare i fattori rilevanti;
- misurazione del rischio: volto a quantificare l’impatto economico in termini di
perdita media attesa;
- governance del rischio: volto a definire e monitorare attraverso azioni manageriali i
rischi rilevati;
- cultura del risk management: volta ad accrescere la creazione del valore,
minimizzando i possibili impatti negativi”.
La relazione si sofferma poi sul manuale di Risk Management che “permette di
definire e regolare le modalità operative seguite per la gestione e il monitoraggio
dei rischi a cui l’Azienda risulta esposta, prevedendo in particolare che la revisione
dei rischi venga effettuata in modo continuo e con cadenza almeno trimestrale”. E
sono descritte le fasi in cui si deve articolare il lavoro di “aggiornamento della
mappatura delle Attività Sensibili, sulle cui basi si deve predisporre il Modello:
- audit: “l’identificazione delle Attività Sensibili deve essere attuata attraverso il
previo esame della documentazione aziendale (statuto, verbali del Consiglio di
Amministrazione, principali procedure in essere, procure, ecc..) e una serie di
interviste con i soggetti chiave nell’ambito della struttura aziendale (Amministratore
Delegato, Responsabile Amministrazione, ecc.) mirate all’individuazione delle
Attività Sensibili e dei controlli esistenti sulle stesse. Altresì deve essere, portata a
termine una ricognizione sulla passata attività della Società allo scopo di verificare
se si fossero create situazioni a rischio e le relative cause;
- mappatura rischi: il percorso di costruzione del Modello deve prevedere
l’individuazione delle tipologie di reato plausibilmente realizzabili nella Società (‘
Reati Presupposto’), e l’individuazione delle Attività Sensibili (o Processi aziendali) nel
cui ambito i Reati potrebbero essere in concreto realizzati;
- risk survey: sulla base della situazione reale (controlli e procedure esistenti in
relazione alle Attività Sensibili), si devono individuare le azioni di miglioramento delle
procedure interne e dei requisiti organizzativi essenziali per la definizione di un
Modello ‘specifico’ di organizzazione, gestione e monitoraggio ai sensi del D.Lgs.
231/2001”.
Infine la relazione si sofferma sull’analisi di singoli casi e ricorda che la politica per la
sicurezza e salute sul lavoro adottata dalla Società “deve porsi l’obiettivo di porre in
essere tutte le azioni aziendali necessarie nell’ottica di salvaguardare la salute e la
sicurezza di tutti i lavoratori”. E tale politica deve comprendere:
- “l'impegno a fornire le risorse umane e strumentali necessarie;
- l'impegno al miglioramento continuo ed alla prevenzione;
- l'impegno a considerare tali tematiche come parte integrante della gestione
aziendale;
- l'impegno a garantire che i Destinatari, nei limiti delle rispettive attribuzioni, siano
sensibilizzati a svolgere la propria attività nel rispetto delle norme sulla tutela della
salute e sicurezza;
- l'impegno al coinvolgimento ed alla consultazione dei Lavoratori, anche attraverso
il loro RLS; - l'impegno ad un riesame periodico della politica per la salute e sicurezza
adottato al fine di garantire la sua costante adeguatezza alla struttura organizzativa
e produttiva della Società”. (Articolo di Tiziano Menduto).
“ Il modello di organizzazione e gestione nelle imprese”, a cura dell’Ing Luigi Pastorelli (Gruppo Schultz
- Risk Manager - Docente di Teoria del Rischio - Università La Cattolica del Sacro Cuore, Roma -
Direttore Scientifico Big Data Lab, Tor Vergata, Roma - Direttore Scientifico Scuola CTU/CTP),
intervento nella serie di incontri dal titolo “Quale salute e sicurezza per i lavoratori nelle imprese?
Metodologie didattiche attive testimonianze e studi di caso” (formato PDF, 943 kB).
Decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 - Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone
giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo
11 della legge 29 settembre 2000, n. 300.
Leggi gli altri articoli di PuntoSicuro su SGSL, Modelli organizzativi, decreto 231.
Fonte: puntosicuro.it
Rischio stress-lavoro correlato: il carico di lavoro.
Quali indicazioni operative sono richiamate per modulare l’intensità del
carico di lavoro, al fine di prevenire o ridurre lo stress sul lavoro? Le buone
pratiche per la progettazione del sistema lavorativo tratte da UNI EN ISO
10075-2.
Pubblichiamo un estratto del Convegno “L’importanza della normazione
tecnica volontaria per capire e valutare il livello di benessere psicofisico,
sicurezza sul lavoro e performance produttiva. Norme ergonomiche UNI EN
ISO e buone prassi sul problema del carico mentale e dello stress lavoro-
correlato”, organizzato dall’Ente Italiano di Normazione (UNI), per richiamare
l’attenzione dei principali stakeholders italiani (economici e istituzionali) sulla
normazione tecnica volontaria e sulla sua influenza nella politica economica
nazionale.
Le buone pratiche per la progettazione del sistema lavorativo tratte da UNI EN
ISO 10075-2
La progettazione del sistema dovrà tenere conto di due variabili molto
significative:
A) INTENSITÀ del carico di lavoro che dipende da più fattori come compiti
lavorativi, attrezzature, contesto operativo.
B) DURATA E FORME DELL’ESPOSIZIONE al carico di lavoro legate
all’organizzazione temporale del lavoro.
Quali indicazioni operative (di buona pratica) sono richiamate per modulare
L’INTENSITÀ DEL CARICO DI LAVORO, al fine di prevenire o ridurre disagio
psicofisico e stress?
1. Gli obiettivi del sistema vanno definiti con chiarezza: quali, quanti e loro
priorità (ad es. sicurezza prima di produttività).
2. A fronte di compiti troppo complessi, il lavoratore non deve prendere
troppe decisioni in una limitata unità di tempo; se la complessità non può
essere ridotta al lavoratore vanno forniti “supporti decisionali”.
3. In presenza di molteplici richieste o sollecitazioni, occorre valutare se è più
opportuno un comportamento lavorativo che fa fronte alle questioni che si
presentano per prime (strategia semplice) oppure affrontare le questioni in
ordine di importanza (strategia gerarchica complessa).
4. E’ indispensabile l’adeguatezza delle informazioni da elaborare nel senso
che non si può decidere sulla base di informazioni insufficienti, né si può essere
indotti a filtrare solo quelle utili (decidendo personalmente fra le molte
disponibili).
5. Non si può chiedere all’operatore di “interpretare le informazioni” che, per
contro, vanno presentate in modo chiaro, analogico e convergente (quando
si tratta di decidere sullo stato generale del sistema).
6. Occorre distinguere fra segnali utili e segnali irrilevanti consentendo, ove
necessario, la personalizzazione della segnaletica più critica per adattarla al
meglio alla sensorialità del lavoratore: può essere utile codificare in modo
dedicato i segnali, attraverso l’uso di forme, colori, etc.
7. Posto che displaysinformativi ridondanti possono aiutare l’operatore nei
controlli incrociati, è tuttavia necessario: evitare la ridondanza eccessiva (se
distraente) preferendo una ridondanza programmata, secondo le specifiche
esigenze operative.
8. Vanno evitati displaysinformativi e manovre di comando incongruenti,
rispetto alle aspettative “analogiche” e culturali del lavoratore.
9. Per elaborare le informazioni viene consigliata una strategia cognitiva di
tipo seriale (via via che si presentano), a meno che non sia indispensabile
un’elaborazione in parallelo se occorre una rappresentazione mentale di
tutto il contesto operativo.
10. Nel rispetto dei limiti naturali dell’uomo, è opportuno optare per uno
svolgimento sequenziale dei compiti attentivi, orientandosi - se necessario - su
uno svolgimento contemporaneo di compiti attentivi e compiti automatizzati,
dopo aver verificato l’irrilevanza di eventuali, possibili errori.
11. Dovrebbero essere evitati i ritardi di tempo del sistema per non obbligare
l’operatore ad anticipare mentalmente le risposte attese.
12. E’ necessario che la rappresentazione mentale delle funzioni di sistema o
di processo sia coerente e completa per non richiedere all’operatore un
dispendio supplementare di energia per controllare il sistema stesso.
13. L’intensità del carico di lavoro dipende anche dai giudizi che l’operatore
deve esprimere su dati o parametri: se sono giudizi relativi il carico è meno
pesante perché si affidano a criteri di riferimento presenti a livello percettivo,
laddove quelli assoluti presuppongono un’avvenuta e meno affidabile
memorizzazione.
14. Quanto alla memoria di lavoro (a breve termine) è necessario non
sovraccaricarla con informazioni seriali in rapida successione: all’operatore
deve essere dato un tempo sufficiente per trattenere e memorizzare le
informazioni più importanti.
15. Anche la memoria a lungo termine non va sovraccaricata con
informazioni non necessarie:
va invece aiutata con funzioni di supporto per evitare che l’operatore
gestisca informazioni troppo complesse.
16. Il livello di intensità del carico di lavoro dipende anche da come viene
chiamata in causa la memoria: riconoscere ciò che è già depositato in
memoria (attraverso la visualizzazione di più alternative) è meglio che
richiamarlo (ricordarlo) senza alcun riferimento o aiuto.
17. E’ auspicabile la presenza di supporti decisionali: dispositivi di feedback a
conferma delle azioni compiute per contrastare eventuali conseguenze
negative.
18. La possibilità di “controllare” adeguatamente il processo lavorativo
dipende anche da: - Movimenti/gesti lavorativi ben “dimensionati”
(compatibilità display/comando)
- Ordini di comando “corti”
- Una risposta rapida del sistema all’input informativo (con feedback di ritorno
all’operatore).
19. E’ auspicabile la massima semplificazione della dimensionalità delle
prestazioni motorie
nel senso che:
- Le prestazioni non dovrebbero richiedere più movimenti simultanei (ad es.
spostamento+rotazione+piegamento)
- Ove necessario, va facilitato l’eventuale accoppiamento di dimensioni
motorie diverse.
20. Eventuali dinamiche di controllo/comando, lunghe e complesse,
richiedono il supporto di sistemi tecnici (come ad es. integratori, differenziatori
o amplificatori).
21. Il livello di intensità del carico lavorativo è strettamente correlato anche
alle condizioni fisiche dell’ambiente di lavoro ( microclima, illuminazione,
rumore, etc.) che influenzano anche carico mentale ed attività cognitiva.
22. E’ importante una buona interazione relazionale per cui va previsto il
supporto sociale di colleghi e superiori, specie nelle decisioni critiche.
23. Per evitare tensioni, dovute alla dipendenza da compiti svolti da altri, è
opportuno utilizzare - ad esempio - modulatori o buffers per non incalzare il
lavoratore (a favore di un’accettabile autonomia operativa).
24. Va evitata la pressione temporale (troppo da fare in poco tempo) perché
il sovraccarico, incide sia sulla salute psicofisica, sia sulla sicurezza perché
l’operatore è indotto a cercare pericolose “scorciatoie”, nel tentativo di
evitare carico e tensione.
25. Una maggior tranquillità del lavoratore va attribuita ad un sistema
progettato per essere tollerante all’errore, pertanto il sistema:
- Deve chiedere conferma di azioni o gesti critici prima di renderli esecutivi
(ribadita la necessità del feedback)
- L’ultima azione dell’operatore dovrà essere reversibile.
26. Per evitare o ridurre errori o incidenti il sistema deve essere in grado di
minimizzare le conseguenze negative, legate ai comportamenti e gesti
dell’uomo, attraverso l’introduzione di “barriere di sicurezza” per contrastare
eventi imprevisti dovuti sia a problemi sistemici di base che ad azioni insicure,
da ascrivere a precondizioni psicologiche e stress.
27. In tal caso, le indicazioni di buona pratica focalizzano l’attenzione
soprattutto sulla relazione esponenziale fra tempo di lavoro e grado di
affaticamento sui problemi legati a fatica mentale e stati assimilabili
(monotonia, ridotta vigilanza e saturazione mentale).
Paola Cenni
Eur.Erg., Commissione Ergonomia UNI
Normazione tecnica volontaria e benessere psicofisico, sicurezza sul lavoro e
performance produttiva. Le Norme ergonomiche UNI EN ISO e buone prassi
sul problema del carico mentale e dello stress lavoro-correlato
Fonte: puntosicuro.it
Regolamento europeo 2016/425: le nuove categorie di rischio dei DPI.
Indicazioni sul nuovo Regolamento (UE) 2016/425 del Parlamento Europeo e del
Consiglio del 9 marzo 2016 sui dispositivi di protezione individuale. Focus sulle
categorie di rischio, sulla valutazione della conformità e sulla documentazione
tecnica.
Strasburgo, 24 Giu – Il nuovo Regolamento (UE) 2016/425 del Parlamento Europeo e
del Consiglio del 9 marzo 2016 sui dispositivi di protezione individuale, che abroga la
Direttiva 89/686/CEE del 21 dicembre 1989, è stato pubblicato il 31 marzo sulla
Gazzetta Ufficiale della UE, è entrato in vigore il ventesimo giorno successivo alla
pubblicazione, ma si applica – con alcune eccezioni - a decorrere dal 21 aprile
2018. Sarà infatti da questa data che sarà abrogata la Direttiva 89/686/CEE.
Abbiamo dunque il tempo e l’obbligo, come giornale di informazione in materia di
sicurezza, di approfondire alcuni dei punti del nuovo Regolamento per favorire
un’idonea conoscenza e un’adeguata applicazione.
Uno dei primi punti su cui ci soffermiamo è un aspetto già affrontato in passato,
generalmente con riferimento a quanto contenuto nel decreto legislativo 4
dicembre 1992, n. 475 (Attuazione della direttiva 89/686/CEE del Consiglio del 21
dicembre 1989, in materia di ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri
relative ai dispositivi di protezione individuale): la divisione in categorie dei DPI.
Riprendiamo parzialmente uno dei “considerando” contenuti nel nuovo
Regolamento: “al fine di tener conto dei progressi e delle conoscenze in ambito
tecnico o dei nuovi dati scientifici, dovrebbe essere delegato alla Commissione il
potere di adottare atti conformemente all'articolo 290 del trattato sul
funzionamento dell'Unione europea relativamente alla modifica delle categorie di
rischi dai quali il DPI è destinato a proteggere gli utilizzatori”.
La nuova divisione in categorie - di cui si fa riferimento all’articolo 18 del Capo IV del
Regolamento 2016/425 – è contenuta nell’allegato I. Le definizioni delle singole
categorie, formulate in modo semplice, si basano in particolare sull’entità del rischio
da cui il DPI deve proteggere. E la categoria III è estesa a ulteriori rischi, rispetto a
quelli riportati nel D.Lgs. 475/1992.
L’Allegato I contiene infatti le nuove categorie di rischio dei DPI.
Le categorie di rischio da cui i dispositivi di protezione individuale sono destinati a
proteggere gli utilizzatori sono tre.
La categoria I “comprende esclusivamente i seguenti rischi minimi:
a) lesioni meccaniche superficiali;
b) contatto con prodotti per la pulizia poco aggressivi o contatto prolungato con
l'acqua;
c) contatto con superfici calde che non superino i 50 °C;
d) lesioni oculari dovute all'esposizione alla luce del sole (diverse dalle lesioni dovute
all'osservazione del sole);
e) condizioni atmosferiche di natura non estrema”.
La categoria III comprende “esclusivamente i rischi che possono causare
conseguenze molto gravi quali morte o danni alla salute irreversibili con riguardo a
quanto segue:
a) sostanze e miscele pericolose per la salute;
b) atmosfere con carenza di ossigeno;
c) agenti biologici nocivi;
d) radiazioni ionizzanti;
e) ambienti ad alta temperatura aventi effetti comparabili a quelli di una
temperatura dell'aria di almeno 100 °C;
f) ambienti a bassa temperatura aventi effetti comparabili a quelli di una
temperatura dell'aria di – 50 °C o inferiore;
g) cadute dall'alto;
h) scosse elettriche e lavoro sotto tensione;
i) annegamento;
j) tagli da seghe a catena portatili;
k) getti ad alta pressione;
l) ferite da proiettile o da coltello;
m) rumore nocivo”.
E la categoria II “comprende i rischi diversi da quelli elencati nelle categorie I e III”.
Ricordiamo che la categoria di rischio dei DPI, come ricordato nel Capo IV
(Valutazione della conformità) è importante per le procedure di valutazione della
conformità dei DPI (la dichiarazione di conformità UE attesta il rispetto dei requisiti
essenziali di salute e di sicurezza).
In particolare le procedure di valutazione della conformità da seguire, per ognuna
delle categorie di rischio di cui all'allegato I, “sono le seguenti:
a) categoria I: controllo interno della produzione (modulo A) di cui all'allegato IV;
b) categoria II: esame UE del tipo (modulo B) di cui all'allegato V seguito dalla
conformità al tipo basata sul controllo interno della produzione (modulo C) di cui
all'allegato VI;
c) categoria III: esame UE del tipo (modulo B) di cui all'allegato V e una delle
seguenti:
i) conformità al tipo basata sul controllo interno della produzione unito a prove del
prodotto sotto controllo ufficiale effettuate ad intervalli casuali (modulo C2) di cui
all'allegato VII;
ii) conformità al tipo basata sulla garanzia di qualità del processo di produzione
(modulo D) di cui all'allegato VIII.
A titolo di deroga, per i DPI prodotti come unità singole per adattarsi ad un singolo
utilizzatore e classificati secondo la categoria III, può essere seguita la procedura di
cui alla lettera b)”.
Riportiamo infine qualche indicazione (Allegato III) sulla documentazione tecnica
per i dispositivi di protezione individuale.
Infatti la documentazione tecnica deve specificare i mezzi utilizzati dal fabbricante
per garantire la conformità dei dispositivi di protezione individuale ai requisiti
essenziali di salute e di sicurezza applicabili cui fa riferimento l'articolo 5 del
Regolamento e stabiliti nell'allegato II dello stesso.
Concludiamo segnalando (Allegato III) che la documentazione tecnica deve
“comprendere almeno gli elementi seguenti:
a) una descrizione completa del DPI e dell'uso cui è destinato;
b) una valutazione dei rischi da cui il DPI è destinato a proteggere;
c) un elenco dei requisiti essenziali di salute e di sicurezza applicabili al DPI;
d) disegni e schemi di progettazione e fabbricazione del DPI e dei suoi componenti,
sottoinsiemi e circuiti;
e) le descrizioni e le spiegazioni necessarie alla comprensione dei disegni e degli
schemi di cui alla lettera d) e del funzionamento del DPI;
f)i riferimenti delle norme armonizzate di cui all'articolo 14 che sono state applicate
per la progettazione e la fabbricazione del DPI. In caso di applicazione parziale
delle norme armonizzate, la documentazione deve specificare le parti che sono
state applicate;
g) se le norme armonizzate non sono state applicate o lo sono state solo
parzialmente, la descrizione delle altre specifiche tecniche che sono state applicate
al fine di soddisfare i requisiti essenziali di salute e di sicurezza applicabili;
h) i risultati dei calcoli di progettazione, delle ispezioni e degli esami effettuati per
verificare la conformità del DPI ai requisiti essenziali di salute e di sicurezza
applicabili;
i) relazioni sulle prove effettuate per verificare la conformità del DPI ai requisiti
essenziali di salute e di sicurezza applicabili e, se del caso, per stabilire la relativa
classe di protezione;
j) una descrizione dei mezzi usati dal fabbricante durante la produzione del DPI per
garantire la conformità del DPI fabbricato alle specifiche di progettazione;
k) una copia delle istruzioni e delle informazioni del fabbricante che figurano
nell'allegato II, punto 1.4;
l) per i DPI prodotti come unità singole per adattarsi a un singolo utilizzatore, tutte le
istruzioni necessarie per la fabbricazione di tali DPI sulla base del modello di base
approvato;
m) per i DPI prodotti in serie in cui ciascun articolo è fabbricato per adattarsi a un
singolo utilizzatore, una descrizione delle misure che devono essere prese dal
fabbricante durante il montaggio e il processo di produzione per garantire che
ciascun esemplare di DPI sia conforme al tipo omologato e ai requisiti essenziali di
salute e di sicurezza applicabili”.
Regolamento (UE) 2016/425 del parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo
2016 sui dispositivi di protezione individuale e che abroga la direttiva 89/686/CEE del
Consiglio (Testo rilevante ai fini del SEE).
Consiglio delle Comunità Europee - Direttiva 89/686/CEE del 21 dicembre 1989,
concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri relative ai
dispositivi di protezione individuale.
Fonte: puntosicuro.it
Le caratteristiche di un buon piano di sicurezza e di coordinamento.
Una pubblicazione dell’Inail sulla progettazione della sicurezza nei cantieri si
sofferma sul piano di sicurezza e di coordinamento. La fase di progettazione e di
esecuzione, la relazione tecnica e le caratteristiche di un buon PSC.
Roma, 24 Giu – Nei cantieri edili i piani di sicurezza non devono essere un elenco
astratto dei rischi del comparto, ma devono fare riferimento ai rischi reali del
cantiere e devono essere un efficace strumento applicativo di gestione di tali rischi.
A parlare in questi termini dei piani di sicurezza nei cantieri è un documento Inail su
cui PuntoSicuro si è più volte soffermato in questi mesi, un documento - dal titolo “
La progettazione della sicurezza nel cantiere”, elaborato dal Dipartimento
Innovazioni Tecnologiche e Sicurezza degli Impianti, Prodotti ed Insediamenti
Antropici e a cura di Raffaele Sabatino e Antonio Di Muro – che oltre a parlare di
piani di sicurezza e dei nuovi modelli semplificati ( DI 9 settembre 2014) si sofferma
sulla presentazione di alcuni modelli applicativi.
Al di là dei modelli applicativi, il documento dedica un capitolo alla descrizione del
Piano di sicurezza e di coordinamento (PSC), un piano che contiene: “una relazione
tecnica che illustra e descrive le informazioni che caratterizzano l’opera da
realizzare, una serie di prescrizioni, ovvero di indicazioni di carattere procedurale,
organizzativo e comportamentale correlate alla complessità dell'opera ed alle
eventuali fasi critiche dei processi lavorativi previsti, la stima dei costi della sicurezza
e gli allegati del caso, quali grafici e/o diagrammi”.
Il PSC riguarda sia la fase di progettazione che la fase di esecuzione dell’opera.
In particolare il contenuto del PSC “viene deciso in fase di progettazione e dipende
dalle scelte progettuali e organizzative, avendo in obiettivo la riduzione, al minimo,
dei rischi per i lavoratori. Mentre le scelte progettuali riguardano fondamentalmente
i materiali e le tecnologie da impiegare; le scelte organizzative si riferiscono, invece,
alla pianificazione spazio-temporale dei lavori”.
Si segnala che il committente (o il responsabile dei lavori) deve “trasmettere il PSC a
tutte le imprese invitate a presentare un’offerta per l’esecuzione dei lavori; in caso di
opera pubblica il PSC va inviato a tutti i partecipanti della gara d’appalto. Prima
che inizino i lavori, l’impresa affidataria deve trasmettere il PSC alle imprese
esecutrici e ai lavoratori autonomi; contestualmente le imprese esecutrici debbono
trasmettere il proprio POS all’impresa affidataria, la quale, a sua volta, lo invia al CSE;
le imprese e lavoratori autonomi sono tenuti a rispettare POS e PSC.
Le imprese esecutrici possono proporre, in funzione della propria tecnologia, delle
modifiche al PSC presentato in fase di progettazione”.
Si segnala che prima dell’accettazione del PSC, “il datore di lavoro delle imprese
esecutrici è tenuto a consultare l’RLS ed a fornire eventuali chiarimenti; da parte sua
il RLS può formulare nuove proposte. Tali verifiche debbono essere effettuate entro
15 giorni dalla ricezione, per poi dare inizio ai lavori”.
Veniamo alla fase di esecuzione.
Durante questa fase dei lavori il PSC è un “punto di riferimento non solo i per datori di
lavoro e i responsabili ma anche per tutti i lavoratori e gli addetti che sono presenti
all’interno del cantiere”. È essenziale “per la tutela della sicurezza di chi lavora
all’interno del cantiere e, soprattutto, è necessario per permettere lo svolgimento in
sicurezza di tutte quelle attività lavorative da eseguire in contemporanea in diverse
aree del cantiere, senza esporre a rischio i lavoratori”.
Si segnala che una volta avviati i lavori è necessario “controllare che quanto
riportato nel PSC sia effettivamente in linea con lo svolgimento dei lavori. Questa
attività è compito del CSE il quale deve costantemente verificare la compatibilità
del PSC con l’andamento dei lavori all’interno del singolo cantiere. In caso di
incompatibilità tra il PSC ed i lavori in corso è obbligatorio sospendere gli stessi per
rimodulare il coordinamento e l’organizzazione del cantiere, in relazione al PSC, il
quale, dovendo possedere caratteristiche di documento dinamico, potrà (e dovrà)
essere modificato (dal CSE) per adeguarsi ai mutamenti all’interno del cantiere”.
Il documento, che si sofferma anche sulla notifica preliminare di inizio lavori, un
documento indispensabile per la vigilanza degli enti preposti al controllo della
sicurezza nei cantieri edili,
segnala dunque che il PSC rappresenta “lo strumento finalizzato all'individuazione,
l'analisi e la valutazione dei rischi e delle conseguenti procedure, degli
apprestamenti e delle attrezzature atte a garantire, per tutta la durata dei lavori, il
rispetto delle norme per la prevenzione degli infortuni e la tutela della salute dei
lavoratori, nonché della stima dei relativi costi, che non sono soggetti al ribasso nelle
offerte delle imprese esecutrici”.
Inoltre il PSC contiene le misure di prevenzione dei rischi risultanti dalla eventuale
presenza simultanea o successiva di più imprese o dei lavoratori autonomi ed è
redatto anche al fine di prevedere, quando ciò risulti necessario, l'utilizzazione di
impianti comuni quali infrastrutture, mezzi logistici e di protezione collettiva.
L'elaborazione del PSC deve, ad esempio, considerare:
- i rischi che l'area circostante comporta per il cantiere;
- i rischi che il cantiere può comportare per l'area circostante;
- i rischi causati dalle specifiche lavorazioni, dai materiali utilizzati e dagli impianti e
attrezzature;
- i rischi di interferenza tra le diverse lavorazioni di più imprese.
E la relazione tecnica deve “contenere i dati del cantiere, la descrizione sintetica
ma completa dell'intervento, la descrizione dell'organizzazione del cantiere, delle
specifiche lavorazioni e attrezzature e i numeri telefonici utili per servizio di pronto
soccorso, Vigili del Fuoco, Polizia locale. Il documento deve riportare i nominativi di
tutte le figure con compiti di sicurezza e in particolare: committente, responsabile
dei lavori, coordinatore della sicurezza in fase di progettazione, coordinatore della
sicurezza in fase di esecuzione, datori di lavoro delle imprese esecutrici, lavoratori
autonomi”.
Infine al Piano di sicurezza e di coordinamento devono essere allegati: “il
cronoprogramma dei lavori, le tavole grafiche esplicative di progetto (progetto del
cantiere, tavola tecnica degli scavi, ecc.) e la stima dei costi della sicurezza, non
soggetti a ribasso”.
Rimandando ad un altro articolo la presentazione dell’aspetto di analisi dei rischi del
PSC, concludiamo la presentazione del capitolo dedicato al PSC riportando le
caratteristiche di un buon PSC:
- “puntuale indicazione delle lavorazioni con suddivisione in sottofasi, sub-sottofasi,
ecc.;
- facilità di lettura e comprensione in termini di grafica e di contenuti;
- rappresentazione grafica e fotografica dello stato dei luoghi, della sequenzialità
delle attività da realizzare, delle misure di sicurezza previste, delle opere
provvisionali, ecc.;
- dettaglio di livello prossimo al POS, ad eccezione degli aspetti organizzativi di
competenza esclusiva dell’impresa;
- puntuale ricognizione delle interferenze ambientali (linee elettriche aeree, ostacoli
fissi, sottoservizi, ecc.) e delle misure da porre in essere per la loro gestione;
- cronoprogramma reale, con precisa individuazione delle interferenze e delle
procedure di sicurezza derivanti da attuare per la loro riduzione nei limiti di
accettabilità;
- valutazione analitica del rischio e le misure di sicurezza conseguenti;
- progettazione dell’area di cantiere in termini di apprestamenti igienico assistenziali,
attrezzature fisse, recinzioni, in linea con i rischi valutati e che trovi riscontro nella
valutazione dei costi della sicurezza;
- precisa indicazione delle voci di costo della sicurezza, con valutazione analitica
degli stessi”.
INAIL - Dipartimento Innovazioni Tecnologiche e Sicurezza degli Impianti, Prodotti ed Insediamenti
Antropici, “ La progettazione della sicurezza nel cantiere”, documento curato da Raffaele Sabatino
(INAIL, Dipartimento Innovazioni Tecnologiche) e Antonio Di Muro (Professore a contratto presso
l'Università degli Studi di Roma "La Sapienza", Coordinatore della sicurezza in fase di progettazione ed
esecuzione per conto di Enti pubblici e privati), con la collaborazione di Andrea Cordisco e Daniela
Gallo, edizione 2015 (formato PDF, 48.38 MB).
Algoritmo cantieri (Formato XLS, 260 kB).
Fonte: puntosicuro.it

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News SSL 26 2016

  • 1. News 26/SSL/2016 Lunedì, 27 Giugno 2016 Benefici previdenziali ex lavoratori amianto, istruzioni operative dell’Inps. ROMA – Pubblicato da Inps il 21 giugno 2016 il messaggio n.2769 che fornisce istruzioni e indicazioni per la domanda per i benefici previdenziali da presentare entro il 30 giugno 2016 per i lavoratori ex occupati in imprese di scoibentazione e bonifica amianto; affetti da patologia asbesto correlata. Il messaggio si riferisce a quanto disposto dal decreto del 29 aprile 2016 pubblicato in GU lo scorso 10 giugno (in merito alla Legge 28 dicembre 2015 n. 208 Stabilità 2016) che ricordiamo ha definito “i i criteri e le modalità di ripartizione delle risorse del fondo finalizzato all’accompagnamento alla quiescenza, entro l’anno 2018, dei lavoratori di cui all’art. 1, comma 117, della Legge 23 dicembre 2014, n. 190 che non maturino i requisiti previsti da tale disposizione”. Così l’articolo 1 comma 117 citato “In deroga a quanto disposto dall’articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, le disposizioni di cui al comma 2 dell’articolo 13 della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni, si applicano ai fini del conseguimento del diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico nel corso dell’anno 2015, senza la corresponsione di ratei arretrati, sulla base della normativa vigente prima dell’entrata in vigore del citato decreto-legge n. 201 del 2011, anche agli ex lavoratori occupati nelle imprese che hanno svolto attività di scoibentazione e bonifica, che hanno cessato il loro rapporto di lavoro per effetto della chiusura, dismissione o fallimento dell’impresa presso cui erano occupati e il cui sito è interessato da piano di bonifica da parte dell’ente territoriale, che non hanno maturato i requisiti anagrafici e contributivi previsti dalla normativa vigente, che risultano ammalati con patologia asbesto-correlata accertata e riconosciuta ai sensi dell’articolo 13, comma 7, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni”. Destinatari del provvedimento come indicato dalla circolare Inps sono quindi i lavoratori: “a) che non svolgono alcuna attività lavorativa alla data di presentazione della
  • 2. domanda di cui al successivo punto 5; b) in possesso dei requisiti anagrafici e contributivi che, con i benefici di cui al successivo punto 4, in base alle disposizioni in materia di requisiti di accesso e di regime delle decorrenze vigenti prima della data di entrata in vigore del citato decreto legge n. 201 del 2011, conseguono il diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico nel corso degli anni 2016, 2017 e 2018”. I benefici di cui possono godere sono: sussidio per accompagnamento alla pensione (dal 1° gennaio 2016 e fino al 31 dicembre 2018), decorrenza alla pensione di anzianità anni 2016, 2017 e non oltre il 31 dicembre 2018. “Ai trattamenti pensionistici di anzianità […] si applica la disciplina in materia di regime delle decorrenze vigenti prima dell’entrata in vigore del decreto legge n. 201 del 2011, ovvero, la c.d. finestra mobile di cui all’articolo 12 del citato decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, come modificato in particolare dall’articolo 18, comma 22 ter, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 che stabilisce nei confronti di coloro che accedono alla pensione con un’anzianità contributiva non inferiore a 40 anni indipendentemente dall’età un ulteriore posticipo della decorrenza del trattamento pensionistico”. “Verifica del diritto alla maggiorazione amianto legge 208/2015”. Inps indica quindi i dettagli e i termini per presentare le domande. La scadenza come detto è il 30 giugno 2016. Il modulo utilizzabile è l’AP99. Le domande possono essere presentate anche tramite patronato. In caso di diniego del beneficio, si potrà ricorrere presso la Sede competente entro 30 giorni dalla data di ricevimento del provvedimento. (Articolo di Corrado de Paolis) Info: Inps messaggio n.2769 del 21 giugno 2016 Fonte: quotidianosicurezza.it Uffici, in GU le norme tecniche di prevenzione incendi, decreto 8 giugno 2016. ROMA – Regola tecnica verticale per la prevenzione incendi negli uffici. Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.145 del 23 giugno 2016 il decreto del Ministero dell’Interno 8 giugno 2016 Approvazione di norme tecniche di prevenzione incendi per le attività di ufficio, ai sensi dell’articolo 15 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139. Applicazione Le norme, il cui decreto entrerà in vigore tra un mese (il trentesimo giorno dalla pubblicazione in GU avvenuta ieri 23 giugno) potranno essere applicate alle attività
  • 3. esistenti alla data di entrata in vigore del provvedimento, indicate dal numero 71 all’allegato 1 del Decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011, n. 151. Ovvero: aziende ed uffici con oltre 300 persone presenti (Categoria A fino a 500 persone; B oltre 500 e fino a 800 persone; C oltre 800 persone). Potranno essere applicate in alternativa a quanto previsto dal Decreto Ministeriale 22 febbraio 2006. Per effetto della pubblicazione del decreto vengono contestualmente modificati ‘allegato 1 del Decreto del Ministro dell’interno 3 agosto 2015, nella sezione V Regole tecniche verticali al quale viene aggiunto il capitolo «V.4 – Uffici», ancora l’art. 1, comma 2 del decreto del Ministro dell’interno 3 agosto 2015 nel quale dopo la lettera h) è aggiunta la lettera “i) decreto del Ministro dell’interno 22 febbraio 2006 recante Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, la costruzione e l’esercizio di edifici e/o locali destinati ad uffici”. Il comma 1 dell’articolo 2 ancora del decreto 3 agosto 2015 con l’aggiunta del numero 71 al passaggio seguente: “Le norme tecniche di cui all’articolo 1 si possono applicare alla progettazione, alla realizzazione e all’esercizio delle attività di cui all’allegato I del decreto del Presidente della Repubblica 1 agosto 2011, n. 151, individuate con i numeri: 9; 14; da 27 a 40; da 42 a 47 ; da 50 a 54; 56; 57; 63; 64;70; 75, limitatamente ai depositi di mezzi rotabili e ai locali adibiti al ricovero di natanti e aeromobili; 76”. Regola verticale Entrando nel dettaglio della regola tecnica verticale e dell’integrazione con l’allegato I Norme tecniche di prevenzione incendi del decreto del 3 agosto 2015, il documento riporta indicazioni sulla classificazione degli uffici (in relazione al numero massimo di presenti: OA, OB, OC; massima quota di piani HA, HB, HC, HD, HE), aree di attività – uffici, archivi, affollamento, carico di incendio specifico, apparecchi elettrici elettronici, locali rilevanti per la sicurezza antincendio, altre aree (TA, TM, TO, TK, TT, TZ). Quindi profili di rischio (metodologia, capitolo G.3), strategia antincendio (misure regola tecnica orizzontale, capitoli V.1 o V.3), reazione al fuoco (GM2, GM3), resistenza al fuoco (capitolo S.2 e Tabella V,4-1), compartimentazione (S.3 e S.6 e tabella V.4-2), gestione sicurezza antincendio, controllo dell’incendio (S.6 e tabella V.4-3, UNI 10799 e V.4-4, UNI EN 12845 e V.4-5), vani degli ascensori (tabella S.9-3, capitolo V.3, tipo SB). (Articolo di Corrado de Paolis) Info: GU 23 giugno 2016 Norme tecniche prevenzione incendi uffici Fonte: quotidianosicurezza.it
  • 4. D.lgs. 231/2001: i modelli organizzativi e il risk management. Un intervento si sofferma sul modello di organizzazione e gestione nelle imprese. Il D.Lgs. 231/2001, la responsabilità amministrativa, i reati presupposto, i modelli organizzativi e il sistema di risk management. Urbino, 21 Giu – L’ Università di Urbino “Carlo Bo” ha organizzato in questi anni diversi seminari, conferenze e convegni per affrontare le tematiche correlate agli aspetti normativi e giuridici della tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. E gli interventi in questi incontri spesso ci permettono di fare un riepilogo delle norme vigenti e di approfondirne e chiarirne alcuni dettagli. Per questo motivo presentiamo oggi un intervento che si sofferma sui modelli di organizzazione e sul Decreto legislativo n. 231/2001 relativo ad una serie di incontri, organizzati nel 2015 dall’Università, dal titolo “Quale salute e sicurezza per i lavoratori nelle imprese? Metodologie didattiche attive testimonianze e studi di caso”. In particolare il 4 maggio 2015 l’Ing Luigi Pastorelli (Gruppo Schultz - Risk Manager - Docente di Teoria del Rischio - Università La Cattolica del Sacro Cuore, Roma) ha presentato una relazione su “Il modello di organizzazione e gestione nelle imprese” in cui ha ricordato che l’8 giugno 2001 è stato emanato il D.Lgs. 231/2001 recante ‘Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica’, che ha inteso “adeguare la normativa interna in materia di responsabilità delle persone giuridiche ad alcune convenzioni internazionali”. Tale disciplina “ha introdotto, per la prima volta in Italia, una peculiare forma di responsabilità degli enti per alcuni reati commessi nell’interesse o a vantaggio degli stessi, da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione ed il controllo dello stesso e, infine, da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti sopra indicati”. E tale responsabilità “si aggiunge a quella della persona fisica che ha realizzato materialmente il fatto”. Dunque il decreto – continua la relazione - “mira a coinvolgere, nella punizione di taluni illeciti penali, il patrimonio degli enti che abbiano tratto un vantaggio dalla commissione dell’illecito. Per tutti gli illeciti commessi è sempre prevista l’applicazione di una sanzione pecuniaria; per i casi più gravi sono previste anche misure interdittive quali
  • 5. la sospensione o revoca di licenze e concessioni, il divieto di contrarre con la P.A., l’interdizione dall’esercizio dell’attività, l’esclusione o revoca di finanziamenti e contributi, il divieto di pubblicizzare beni e servizi”. Rimandiamo ad una lettura integrale degli atti dell’intervento che riporta anche un elenco aggiornato dei reati “la cui commissione da parte dei dipendenti delle Società, nel caso in cui essi rivestano una posizione apicale ovvero siano sottoposti all’altrui controllo e vigilanza, determina, al ricorrere dei presupposti previsti dal D.Lgs. 231/2001, l’insorgenza della responsabilità amministrativa della Società”. L’intervento ricorda poi che l’art. 9 della Legge 3 agosto 2007 n. 123 ha “introdotto nel D.Lgs. 231/01 l’art. 25-septies “Omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell'igiene e della salute sul lavoro”, successivamente modificato dal D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81. E indica che le categorie dei cosiddetti “reati presupposto” potranno “essere incrementate da ulteriori fattispecie meritevoli di tutela, attraverso specifiche previsioni normative”. La relazione segnala poi che istituita la responsabilità amministrativa degli enti, “l’articolo 6 del Decreto stabilisce che l’ente non ne risponde nel caso in cui dimostri di aver adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, un Modello idoneo a prevenire Reati della specie di quello verificatosi”. In particolare “ove il reato venga commesso da soggetti che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, nonché da soggetti che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso, l’ente non risponde se prova che: - l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, un Modello idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi; - il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei Modelli e di curare il loro aggiornamento sia stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo; - non vi sia stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di controllo in ordine ai Modelli; - i soggetti abbiano commesso il reato eludendo fraudolentemente i Modelli”.
  • 6. Nel caso, invece, che il reato venga commesso da “soggetti sottoposti alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti sopra indicati, l’ente è responsabile se la commissione del reato è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione e vigilanza”. Tuttavia tale inosservanza è esclusa qualora l’ente, prima della commissione del reato, abbia adottato ed efficacemente attuato Modelli idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi, secondo una valutazione che deve necessariamente essere a priori”. In particolare i modelli di organizzazione devono “rispondere alle seguenti esigenze: - “individuare le attività nel cui ambito possano essere commessi i reati previsti dal Decreto; - prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire; - individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione di tali reati; - predisporre un adeguato sistema di controllo interno in grado di prevenire o ridurre il rischio di commissione dei Reati attraverso la struttura organizzativa, le attività e le regole attuate dal management e dal personale interno volte a fornire una ragionevole sicurezza in merito al raggiungimento delle finalità delle operazioni gestionali, di attendibilità delle informazioni aziendali, e di conformità alle leggi, ai regolamenti ed alle politiche interne; - prevedere obblighi di informazione nei confronti dell’organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei Modelli; - introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nei Modelli”. Inoltre – continua la relazione - l’articolo 6 del Decreto dispone che i Modelli “possano essere adottati sulla base di codici di comportamento redatti da associazioni rappresentative di categoria, comunicati al Ministero della Giustizia. Resta inteso che la scelta di non adeguare i Modelli ad alcune specifiche indicazioni di cui alle Linee Guida, non inficia la validità degli stessi. I Modelli, infatti, dovendo essere predisposti con riferimento alla realtà concreta della società, ben possono discostarsi dalle Linee Guida che, per loro natura, hanno carattere generale”. Riguardo ai modelli di organizzazione il relatore, da un punto di vista metodico e applicativo, ricorda che “per ogni fase del processo produttivo deve essere definito il dettaglio delle attività e le figure di riferimento. Devono essere dettagliati i riferimenti a specifica documentazione di rilievo al fine di fornire ai soggetti
  • 7. responsabili gli strumenti per l’ottimale svolgimento delle proprie mansioni in coerenza con le procedure aziendali”. Inoltre l’Azienda deve fornire chiare istruzioni “in merito alle attività di reporting che le varie funzioni aziendali sono tenute ad implementare, delineando per ogni differente tipologia di reportistica, i soggetti responsabili e la frequenza di inoltro. A richiesta può essere predisposta un’analisi ad hoc su temi specifici, ed in generale la funzione aziendale è tenuta a fornire qualsiasi dato o informazione utile all’esecuzione di controlli e verifiche”. Si indica poi che l’Azienda deve “sviluppare un sistema di Risk Management con la finalità di identificare, valutare e gestire gli elementi di rischio che potrebbero ostacolare la realizzazione degli obiettivi prefissati e le cui conseguenze potrebbero minare la solvibilità dell’Azienda”. Si ricorda, a questo proposito, che il sistema di gestione dei rischi è basato su processi di: - identificazione del rischio: “volto ad individuare i fattori rilevanti; - misurazione del rischio: volto a quantificare l’impatto economico in termini di perdita media attesa; - governance del rischio: volto a definire e monitorare attraverso azioni manageriali i rischi rilevati; - cultura del risk management: volta ad accrescere la creazione del valore, minimizzando i possibili impatti negativi”. La relazione si sofferma poi sul manuale di Risk Management che “permette di definire e regolare le modalità operative seguite per la gestione e il monitoraggio dei rischi a cui l’Azienda risulta esposta, prevedendo in particolare che la revisione dei rischi venga effettuata in modo continuo e con cadenza almeno trimestrale”. E sono descritte le fasi in cui si deve articolare il lavoro di “aggiornamento della mappatura delle Attività Sensibili, sulle cui basi si deve predisporre il Modello: - audit: “l’identificazione delle Attività Sensibili deve essere attuata attraverso il previo esame della documentazione aziendale (statuto, verbali del Consiglio di Amministrazione, principali procedure in essere, procure, ecc..) e una serie di interviste con i soggetti chiave nell’ambito della struttura aziendale (Amministratore Delegato, Responsabile Amministrazione, ecc.) mirate all’individuazione delle Attività Sensibili e dei controlli esistenti sulle stesse. Altresì deve essere, portata a termine una ricognizione sulla passata attività della Società allo scopo di verificare se si fossero create situazioni a rischio e le relative cause; - mappatura rischi: il percorso di costruzione del Modello deve prevedere
  • 8. l’individuazione delle tipologie di reato plausibilmente realizzabili nella Società (‘ Reati Presupposto’), e l’individuazione delle Attività Sensibili (o Processi aziendali) nel cui ambito i Reati potrebbero essere in concreto realizzati; - risk survey: sulla base della situazione reale (controlli e procedure esistenti in relazione alle Attività Sensibili), si devono individuare le azioni di miglioramento delle procedure interne e dei requisiti organizzativi essenziali per la definizione di un Modello ‘specifico’ di organizzazione, gestione e monitoraggio ai sensi del D.Lgs. 231/2001”. Infine la relazione si sofferma sull’analisi di singoli casi e ricorda che la politica per la sicurezza e salute sul lavoro adottata dalla Società “deve porsi l’obiettivo di porre in essere tutte le azioni aziendali necessarie nell’ottica di salvaguardare la salute e la sicurezza di tutti i lavoratori”. E tale politica deve comprendere: - “l'impegno a fornire le risorse umane e strumentali necessarie; - l'impegno al miglioramento continuo ed alla prevenzione; - l'impegno a considerare tali tematiche come parte integrante della gestione aziendale; - l'impegno a garantire che i Destinatari, nei limiti delle rispettive attribuzioni, siano sensibilizzati a svolgere la propria attività nel rispetto delle norme sulla tutela della salute e sicurezza; - l'impegno al coinvolgimento ed alla consultazione dei Lavoratori, anche attraverso il loro RLS; - l'impegno ad un riesame periodico della politica per la salute e sicurezza adottato al fine di garantire la sua costante adeguatezza alla struttura organizzativa e produttiva della Società”. (Articolo di Tiziano Menduto). “ Il modello di organizzazione e gestione nelle imprese”, a cura dell’Ing Luigi Pastorelli (Gruppo Schultz - Risk Manager - Docente di Teoria del Rischio - Università La Cattolica del Sacro Cuore, Roma - Direttore Scientifico Big Data Lab, Tor Vergata, Roma - Direttore Scientifico Scuola CTU/CTP), intervento nella serie di incontri dal titolo “Quale salute e sicurezza per i lavoratori nelle imprese? Metodologie didattiche attive testimonianze e studi di caso” (formato PDF, 943 kB). Decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 - Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300. Leggi gli altri articoli di PuntoSicuro su SGSL, Modelli organizzativi, decreto 231.
  • 9. Fonte: puntosicuro.it Rischio stress-lavoro correlato: il carico di lavoro. Quali indicazioni operative sono richiamate per modulare l’intensità del carico di lavoro, al fine di prevenire o ridurre lo stress sul lavoro? Le buone pratiche per la progettazione del sistema lavorativo tratte da UNI EN ISO 10075-2. Pubblichiamo un estratto del Convegno “L’importanza della normazione tecnica volontaria per capire e valutare il livello di benessere psicofisico, sicurezza sul lavoro e performance produttiva. Norme ergonomiche UNI EN ISO e buone prassi sul problema del carico mentale e dello stress lavoro- correlato”, organizzato dall’Ente Italiano di Normazione (UNI), per richiamare l’attenzione dei principali stakeholders italiani (economici e istituzionali) sulla normazione tecnica volontaria e sulla sua influenza nella politica economica nazionale. Le buone pratiche per la progettazione del sistema lavorativo tratte da UNI EN ISO 10075-2 La progettazione del sistema dovrà tenere conto di due variabili molto significative: A) INTENSITÀ del carico di lavoro che dipende da più fattori come compiti lavorativi, attrezzature, contesto operativo. B) DURATA E FORME DELL’ESPOSIZIONE al carico di lavoro legate all’organizzazione temporale del lavoro. Quali indicazioni operative (di buona pratica) sono richiamate per modulare L’INTENSITÀ DEL CARICO DI LAVORO, al fine di prevenire o ridurre disagio psicofisico e stress? 1. Gli obiettivi del sistema vanno definiti con chiarezza: quali, quanti e loro priorità (ad es. sicurezza prima di produttività). 2. A fronte di compiti troppo complessi, il lavoratore non deve prendere troppe decisioni in una limitata unità di tempo; se la complessità non può essere ridotta al lavoratore vanno forniti “supporti decisionali”. 3. In presenza di molteplici richieste o sollecitazioni, occorre valutare se è più
  • 10. opportuno un comportamento lavorativo che fa fronte alle questioni che si presentano per prime (strategia semplice) oppure affrontare le questioni in ordine di importanza (strategia gerarchica complessa). 4. E’ indispensabile l’adeguatezza delle informazioni da elaborare nel senso che non si può decidere sulla base di informazioni insufficienti, né si può essere indotti a filtrare solo quelle utili (decidendo personalmente fra le molte disponibili). 5. Non si può chiedere all’operatore di “interpretare le informazioni” che, per contro, vanno presentate in modo chiaro, analogico e convergente (quando si tratta di decidere sullo stato generale del sistema). 6. Occorre distinguere fra segnali utili e segnali irrilevanti consentendo, ove necessario, la personalizzazione della segnaletica più critica per adattarla al meglio alla sensorialità del lavoratore: può essere utile codificare in modo dedicato i segnali, attraverso l’uso di forme, colori, etc. 7. Posto che displaysinformativi ridondanti possono aiutare l’operatore nei controlli incrociati, è tuttavia necessario: evitare la ridondanza eccessiva (se distraente) preferendo una ridondanza programmata, secondo le specifiche esigenze operative. 8. Vanno evitati displaysinformativi e manovre di comando incongruenti, rispetto alle aspettative “analogiche” e culturali del lavoratore. 9. Per elaborare le informazioni viene consigliata una strategia cognitiva di tipo seriale (via via che si presentano), a meno che non sia indispensabile un’elaborazione in parallelo se occorre una rappresentazione mentale di tutto il contesto operativo. 10. Nel rispetto dei limiti naturali dell’uomo, è opportuno optare per uno svolgimento sequenziale dei compiti attentivi, orientandosi - se necessario - su uno svolgimento contemporaneo di compiti attentivi e compiti automatizzati, dopo aver verificato l’irrilevanza di eventuali, possibili errori. 11. Dovrebbero essere evitati i ritardi di tempo del sistema per non obbligare l’operatore ad anticipare mentalmente le risposte attese. 12. E’ necessario che la rappresentazione mentale delle funzioni di sistema o di processo sia coerente e completa per non richiedere all’operatore un dispendio supplementare di energia per controllare il sistema stesso. 13. L’intensità del carico di lavoro dipende anche dai giudizi che l’operatore deve esprimere su dati o parametri: se sono giudizi relativi il carico è meno pesante perché si affidano a criteri di riferimento presenti a livello percettivo, laddove quelli assoluti presuppongono un’avvenuta e meno affidabile
  • 11. memorizzazione. 14. Quanto alla memoria di lavoro (a breve termine) è necessario non sovraccaricarla con informazioni seriali in rapida successione: all’operatore deve essere dato un tempo sufficiente per trattenere e memorizzare le informazioni più importanti. 15. Anche la memoria a lungo termine non va sovraccaricata con informazioni non necessarie: va invece aiutata con funzioni di supporto per evitare che l’operatore gestisca informazioni troppo complesse. 16. Il livello di intensità del carico di lavoro dipende anche da come viene chiamata in causa la memoria: riconoscere ciò che è già depositato in memoria (attraverso la visualizzazione di più alternative) è meglio che richiamarlo (ricordarlo) senza alcun riferimento o aiuto. 17. E’ auspicabile la presenza di supporti decisionali: dispositivi di feedback a conferma delle azioni compiute per contrastare eventuali conseguenze negative. 18. La possibilità di “controllare” adeguatamente il processo lavorativo dipende anche da: - Movimenti/gesti lavorativi ben “dimensionati” (compatibilità display/comando) - Ordini di comando “corti” - Una risposta rapida del sistema all’input informativo (con feedback di ritorno all’operatore). 19. E’ auspicabile la massima semplificazione della dimensionalità delle prestazioni motorie nel senso che: - Le prestazioni non dovrebbero richiedere più movimenti simultanei (ad es. spostamento+rotazione+piegamento) - Ove necessario, va facilitato l’eventuale accoppiamento di dimensioni motorie diverse. 20. Eventuali dinamiche di controllo/comando, lunghe e complesse, richiedono il supporto di sistemi tecnici (come ad es. integratori, differenziatori o amplificatori). 21. Il livello di intensità del carico lavorativo è strettamente correlato anche alle condizioni fisiche dell’ambiente di lavoro ( microclima, illuminazione, rumore, etc.) che influenzano anche carico mentale ed attività cognitiva. 22. E’ importante una buona interazione relazionale per cui va previsto il supporto sociale di colleghi e superiori, specie nelle decisioni critiche.
  • 12. 23. Per evitare tensioni, dovute alla dipendenza da compiti svolti da altri, è opportuno utilizzare - ad esempio - modulatori o buffers per non incalzare il lavoratore (a favore di un’accettabile autonomia operativa). 24. Va evitata la pressione temporale (troppo da fare in poco tempo) perché il sovraccarico, incide sia sulla salute psicofisica, sia sulla sicurezza perché l’operatore è indotto a cercare pericolose “scorciatoie”, nel tentativo di evitare carico e tensione. 25. Una maggior tranquillità del lavoratore va attribuita ad un sistema progettato per essere tollerante all’errore, pertanto il sistema: - Deve chiedere conferma di azioni o gesti critici prima di renderli esecutivi (ribadita la necessità del feedback) - L’ultima azione dell’operatore dovrà essere reversibile. 26. Per evitare o ridurre errori o incidenti il sistema deve essere in grado di minimizzare le conseguenze negative, legate ai comportamenti e gesti dell’uomo, attraverso l’introduzione di “barriere di sicurezza” per contrastare eventi imprevisti dovuti sia a problemi sistemici di base che ad azioni insicure, da ascrivere a precondizioni psicologiche e stress. 27. In tal caso, le indicazioni di buona pratica focalizzano l’attenzione soprattutto sulla relazione esponenziale fra tempo di lavoro e grado di affaticamento sui problemi legati a fatica mentale e stati assimilabili (monotonia, ridotta vigilanza e saturazione mentale). Paola Cenni Eur.Erg., Commissione Ergonomia UNI Normazione tecnica volontaria e benessere psicofisico, sicurezza sul lavoro e performance produttiva. Le Norme ergonomiche UNI EN ISO e buone prassi sul problema del carico mentale e dello stress lavoro-correlato Fonte: puntosicuro.it Regolamento europeo 2016/425: le nuove categorie di rischio dei DPI. Indicazioni sul nuovo Regolamento (UE) 2016/425 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016 sui dispositivi di protezione individuale. Focus sulle categorie di rischio, sulla valutazione della conformità e sulla documentazione
  • 13. tecnica. Strasburgo, 24 Giu – Il nuovo Regolamento (UE) 2016/425 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016 sui dispositivi di protezione individuale, che abroga la Direttiva 89/686/CEE del 21 dicembre 1989, è stato pubblicato il 31 marzo sulla Gazzetta Ufficiale della UE, è entrato in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione, ma si applica – con alcune eccezioni - a decorrere dal 21 aprile 2018. Sarà infatti da questa data che sarà abrogata la Direttiva 89/686/CEE. Abbiamo dunque il tempo e l’obbligo, come giornale di informazione in materia di sicurezza, di approfondire alcuni dei punti del nuovo Regolamento per favorire un’idonea conoscenza e un’adeguata applicazione. Uno dei primi punti su cui ci soffermiamo è un aspetto già affrontato in passato, generalmente con riferimento a quanto contenuto nel decreto legislativo 4 dicembre 1992, n. 475 (Attuazione della direttiva 89/686/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1989, in materia di ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai dispositivi di protezione individuale): la divisione in categorie dei DPI. Riprendiamo parzialmente uno dei “considerando” contenuti nel nuovo Regolamento: “al fine di tener conto dei progressi e delle conoscenze in ambito tecnico o dei nuovi dati scientifici, dovrebbe essere delegato alla Commissione il potere di adottare atti conformemente all'articolo 290 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea relativamente alla modifica delle categorie di rischi dai quali il DPI è destinato a proteggere gli utilizzatori”. La nuova divisione in categorie - di cui si fa riferimento all’articolo 18 del Capo IV del Regolamento 2016/425 – è contenuta nell’allegato I. Le definizioni delle singole categorie, formulate in modo semplice, si basano in particolare sull’entità del rischio da cui il DPI deve proteggere. E la categoria III è estesa a ulteriori rischi, rispetto a quelli riportati nel D.Lgs. 475/1992. L’Allegato I contiene infatti le nuove categorie di rischio dei DPI. Le categorie di rischio da cui i dispositivi di protezione individuale sono destinati a proteggere gli utilizzatori sono tre.
  • 14. La categoria I “comprende esclusivamente i seguenti rischi minimi: a) lesioni meccaniche superficiali; b) contatto con prodotti per la pulizia poco aggressivi o contatto prolungato con l'acqua; c) contatto con superfici calde che non superino i 50 °C; d) lesioni oculari dovute all'esposizione alla luce del sole (diverse dalle lesioni dovute all'osservazione del sole); e) condizioni atmosferiche di natura non estrema”. La categoria III comprende “esclusivamente i rischi che possono causare conseguenze molto gravi quali morte o danni alla salute irreversibili con riguardo a quanto segue: a) sostanze e miscele pericolose per la salute; b) atmosfere con carenza di ossigeno; c) agenti biologici nocivi; d) radiazioni ionizzanti; e) ambienti ad alta temperatura aventi effetti comparabili a quelli di una temperatura dell'aria di almeno 100 °C; f) ambienti a bassa temperatura aventi effetti comparabili a quelli di una temperatura dell'aria di – 50 °C o inferiore; g) cadute dall'alto; h) scosse elettriche e lavoro sotto tensione; i) annegamento; j) tagli da seghe a catena portatili; k) getti ad alta pressione; l) ferite da proiettile o da coltello; m) rumore nocivo”. E la categoria II “comprende i rischi diversi da quelli elencati nelle categorie I e III”. Ricordiamo che la categoria di rischio dei DPI, come ricordato nel Capo IV (Valutazione della conformità) è importante per le procedure di valutazione della conformità dei DPI (la dichiarazione di conformità UE attesta il rispetto dei requisiti essenziali di salute e di sicurezza). In particolare le procedure di valutazione della conformità da seguire, per ognuna delle categorie di rischio di cui all'allegato I, “sono le seguenti: a) categoria I: controllo interno della produzione (modulo A) di cui all'allegato IV;
  • 15. b) categoria II: esame UE del tipo (modulo B) di cui all'allegato V seguito dalla conformità al tipo basata sul controllo interno della produzione (modulo C) di cui all'allegato VI; c) categoria III: esame UE del tipo (modulo B) di cui all'allegato V e una delle seguenti: i) conformità al tipo basata sul controllo interno della produzione unito a prove del prodotto sotto controllo ufficiale effettuate ad intervalli casuali (modulo C2) di cui all'allegato VII; ii) conformità al tipo basata sulla garanzia di qualità del processo di produzione (modulo D) di cui all'allegato VIII. A titolo di deroga, per i DPI prodotti come unità singole per adattarsi ad un singolo utilizzatore e classificati secondo la categoria III, può essere seguita la procedura di cui alla lettera b)”. Riportiamo infine qualche indicazione (Allegato III) sulla documentazione tecnica per i dispositivi di protezione individuale. Infatti la documentazione tecnica deve specificare i mezzi utilizzati dal fabbricante per garantire la conformità dei dispositivi di protezione individuale ai requisiti essenziali di salute e di sicurezza applicabili cui fa riferimento l'articolo 5 del Regolamento e stabiliti nell'allegato II dello stesso. Concludiamo segnalando (Allegato III) che la documentazione tecnica deve “comprendere almeno gli elementi seguenti: a) una descrizione completa del DPI e dell'uso cui è destinato; b) una valutazione dei rischi da cui il DPI è destinato a proteggere; c) un elenco dei requisiti essenziali di salute e di sicurezza applicabili al DPI; d) disegni e schemi di progettazione e fabbricazione del DPI e dei suoi componenti, sottoinsiemi e circuiti; e) le descrizioni e le spiegazioni necessarie alla comprensione dei disegni e degli schemi di cui alla lettera d) e del funzionamento del DPI; f)i riferimenti delle norme armonizzate di cui all'articolo 14 che sono state applicate per la progettazione e la fabbricazione del DPI. In caso di applicazione parziale delle norme armonizzate, la documentazione deve specificare le parti che sono state applicate; g) se le norme armonizzate non sono state applicate o lo sono state solo parzialmente, la descrizione delle altre specifiche tecniche che sono state applicate
  • 16. al fine di soddisfare i requisiti essenziali di salute e di sicurezza applicabili; h) i risultati dei calcoli di progettazione, delle ispezioni e degli esami effettuati per verificare la conformità del DPI ai requisiti essenziali di salute e di sicurezza applicabili; i) relazioni sulle prove effettuate per verificare la conformità del DPI ai requisiti essenziali di salute e di sicurezza applicabili e, se del caso, per stabilire la relativa classe di protezione; j) una descrizione dei mezzi usati dal fabbricante durante la produzione del DPI per garantire la conformità del DPI fabbricato alle specifiche di progettazione; k) una copia delle istruzioni e delle informazioni del fabbricante che figurano nell'allegato II, punto 1.4; l) per i DPI prodotti come unità singole per adattarsi a un singolo utilizzatore, tutte le istruzioni necessarie per la fabbricazione di tali DPI sulla base del modello di base approvato; m) per i DPI prodotti in serie in cui ciascun articolo è fabbricato per adattarsi a un singolo utilizzatore, una descrizione delle misure che devono essere prese dal fabbricante durante il montaggio e il processo di produzione per garantire che ciascun esemplare di DPI sia conforme al tipo omologato e ai requisiti essenziali di salute e di sicurezza applicabili”. Regolamento (UE) 2016/425 del parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016 sui dispositivi di protezione individuale e che abroga la direttiva 89/686/CEE del Consiglio (Testo rilevante ai fini del SEE). Consiglio delle Comunità Europee - Direttiva 89/686/CEE del 21 dicembre 1989, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri relative ai dispositivi di protezione individuale. Fonte: puntosicuro.it Le caratteristiche di un buon piano di sicurezza e di coordinamento. Una pubblicazione dell’Inail sulla progettazione della sicurezza nei cantieri si sofferma sul piano di sicurezza e di coordinamento. La fase di progettazione e di esecuzione, la relazione tecnica e le caratteristiche di un buon PSC.
  • 17. Roma, 24 Giu – Nei cantieri edili i piani di sicurezza non devono essere un elenco astratto dei rischi del comparto, ma devono fare riferimento ai rischi reali del cantiere e devono essere un efficace strumento applicativo di gestione di tali rischi. A parlare in questi termini dei piani di sicurezza nei cantieri è un documento Inail su cui PuntoSicuro si è più volte soffermato in questi mesi, un documento - dal titolo “ La progettazione della sicurezza nel cantiere”, elaborato dal Dipartimento Innovazioni Tecnologiche e Sicurezza degli Impianti, Prodotti ed Insediamenti Antropici e a cura di Raffaele Sabatino e Antonio Di Muro – che oltre a parlare di piani di sicurezza e dei nuovi modelli semplificati ( DI 9 settembre 2014) si sofferma sulla presentazione di alcuni modelli applicativi. Al di là dei modelli applicativi, il documento dedica un capitolo alla descrizione del Piano di sicurezza e di coordinamento (PSC), un piano che contiene: “una relazione tecnica che illustra e descrive le informazioni che caratterizzano l’opera da realizzare, una serie di prescrizioni, ovvero di indicazioni di carattere procedurale, organizzativo e comportamentale correlate alla complessità dell'opera ed alle eventuali fasi critiche dei processi lavorativi previsti, la stima dei costi della sicurezza e gli allegati del caso, quali grafici e/o diagrammi”. Il PSC riguarda sia la fase di progettazione che la fase di esecuzione dell’opera. In particolare il contenuto del PSC “viene deciso in fase di progettazione e dipende dalle scelte progettuali e organizzative, avendo in obiettivo la riduzione, al minimo, dei rischi per i lavoratori. Mentre le scelte progettuali riguardano fondamentalmente i materiali e le tecnologie da impiegare; le scelte organizzative si riferiscono, invece, alla pianificazione spazio-temporale dei lavori”. Si segnala che il committente (o il responsabile dei lavori) deve “trasmettere il PSC a tutte le imprese invitate a presentare un’offerta per l’esecuzione dei lavori; in caso di opera pubblica il PSC va inviato a tutti i partecipanti della gara d’appalto. Prima che inizino i lavori, l’impresa affidataria deve trasmettere il PSC alle imprese esecutrici e ai lavoratori autonomi; contestualmente le imprese esecutrici debbono trasmettere il proprio POS all’impresa affidataria, la quale, a sua volta, lo invia al CSE; le imprese e lavoratori autonomi sono tenuti a rispettare POS e PSC. Le imprese esecutrici possono proporre, in funzione della propria tecnologia, delle modifiche al PSC presentato in fase di progettazione”. Si segnala che prima dell’accettazione del PSC, “il datore di lavoro delle imprese
  • 18. esecutrici è tenuto a consultare l’RLS ed a fornire eventuali chiarimenti; da parte sua il RLS può formulare nuove proposte. Tali verifiche debbono essere effettuate entro 15 giorni dalla ricezione, per poi dare inizio ai lavori”. Veniamo alla fase di esecuzione. Durante questa fase dei lavori il PSC è un “punto di riferimento non solo i per datori di lavoro e i responsabili ma anche per tutti i lavoratori e gli addetti che sono presenti all’interno del cantiere”. È essenziale “per la tutela della sicurezza di chi lavora all’interno del cantiere e, soprattutto, è necessario per permettere lo svolgimento in sicurezza di tutte quelle attività lavorative da eseguire in contemporanea in diverse aree del cantiere, senza esporre a rischio i lavoratori”. Si segnala che una volta avviati i lavori è necessario “controllare che quanto riportato nel PSC sia effettivamente in linea con lo svolgimento dei lavori. Questa attività è compito del CSE il quale deve costantemente verificare la compatibilità del PSC con l’andamento dei lavori all’interno del singolo cantiere. In caso di incompatibilità tra il PSC ed i lavori in corso è obbligatorio sospendere gli stessi per rimodulare il coordinamento e l’organizzazione del cantiere, in relazione al PSC, il quale, dovendo possedere caratteristiche di documento dinamico, potrà (e dovrà) essere modificato (dal CSE) per adeguarsi ai mutamenti all’interno del cantiere”. Il documento, che si sofferma anche sulla notifica preliminare di inizio lavori, un documento indispensabile per la vigilanza degli enti preposti al controllo della sicurezza nei cantieri edili, segnala dunque che il PSC rappresenta “lo strumento finalizzato all'individuazione, l'analisi e la valutazione dei rischi e delle conseguenti procedure, degli apprestamenti e delle attrezzature atte a garantire, per tutta la durata dei lavori, il rispetto delle norme per la prevenzione degli infortuni e la tutela della salute dei lavoratori, nonché della stima dei relativi costi, che non sono soggetti al ribasso nelle offerte delle imprese esecutrici”. Inoltre il PSC contiene le misure di prevenzione dei rischi risultanti dalla eventuale presenza simultanea o successiva di più imprese o dei lavoratori autonomi ed è redatto anche al fine di prevedere, quando ciò risulti necessario, l'utilizzazione di impianti comuni quali infrastrutture, mezzi logistici e di protezione collettiva. L'elaborazione del PSC deve, ad esempio, considerare: - i rischi che l'area circostante comporta per il cantiere;
  • 19. - i rischi che il cantiere può comportare per l'area circostante; - i rischi causati dalle specifiche lavorazioni, dai materiali utilizzati e dagli impianti e attrezzature; - i rischi di interferenza tra le diverse lavorazioni di più imprese. E la relazione tecnica deve “contenere i dati del cantiere, la descrizione sintetica ma completa dell'intervento, la descrizione dell'organizzazione del cantiere, delle specifiche lavorazioni e attrezzature e i numeri telefonici utili per servizio di pronto soccorso, Vigili del Fuoco, Polizia locale. Il documento deve riportare i nominativi di tutte le figure con compiti di sicurezza e in particolare: committente, responsabile dei lavori, coordinatore della sicurezza in fase di progettazione, coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione, datori di lavoro delle imprese esecutrici, lavoratori autonomi”. Infine al Piano di sicurezza e di coordinamento devono essere allegati: “il cronoprogramma dei lavori, le tavole grafiche esplicative di progetto (progetto del cantiere, tavola tecnica degli scavi, ecc.) e la stima dei costi della sicurezza, non soggetti a ribasso”. Rimandando ad un altro articolo la presentazione dell’aspetto di analisi dei rischi del PSC, concludiamo la presentazione del capitolo dedicato al PSC riportando le caratteristiche di un buon PSC: - “puntuale indicazione delle lavorazioni con suddivisione in sottofasi, sub-sottofasi, ecc.; - facilità di lettura e comprensione in termini di grafica e di contenuti; - rappresentazione grafica e fotografica dello stato dei luoghi, della sequenzialità delle attività da realizzare, delle misure di sicurezza previste, delle opere provvisionali, ecc.; - dettaglio di livello prossimo al POS, ad eccezione degli aspetti organizzativi di competenza esclusiva dell’impresa; - puntuale ricognizione delle interferenze ambientali (linee elettriche aeree, ostacoli fissi, sottoservizi, ecc.) e delle misure da porre in essere per la loro gestione; - cronoprogramma reale, con precisa individuazione delle interferenze e delle procedure di sicurezza derivanti da attuare per la loro riduzione nei limiti di accettabilità; - valutazione analitica del rischio e le misure di sicurezza conseguenti; - progettazione dell’area di cantiere in termini di apprestamenti igienico assistenziali,
  • 20. attrezzature fisse, recinzioni, in linea con i rischi valutati e che trovi riscontro nella valutazione dei costi della sicurezza; - precisa indicazione delle voci di costo della sicurezza, con valutazione analitica degli stessi”. INAIL - Dipartimento Innovazioni Tecnologiche e Sicurezza degli Impianti, Prodotti ed Insediamenti Antropici, “ La progettazione della sicurezza nel cantiere”, documento curato da Raffaele Sabatino (INAIL, Dipartimento Innovazioni Tecnologiche) e Antonio Di Muro (Professore a contratto presso l'Università degli Studi di Roma "La Sapienza", Coordinatore della sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione per conto di Enti pubblici e privati), con la collaborazione di Andrea Cordisco e Daniela Gallo, edizione 2015 (formato PDF, 48.38 MB). Algoritmo cantieri (Formato XLS, 260 kB). Fonte: puntosicuro.it