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LA DISCIPLINA IN MATERIA DI ETICHETTATURA
DEI PRODOTTI ALIMENTARI À LA CROISÉE DES CHEMINS.
COMMENTO ALLA SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA
DEL 23 NOVEMBRE 2006 IN CAUSA N. C-315/05
Sommario: I. Premesse - II. Le questioni pregiudiziali e la decisione della Corte di
giustizia: rilevanza della normativa nazionale in tema di disciplina sanzionatoria in
ragione della parziale armonizzazione della direttiva n. 2000/13/Ce - III. Gli obiter
dicta e il coordinamento della disciplina in tema di etichettatura con le disposizioni
del regolamento n. 178/2002/Ce.
I. Premesse
La legislazione in materia di produzione e commercializzazione di pro-
dotti alimentari nel mercato unico è stata oggetto negli ultimi anni di una pro-
fonda opera di revisione sia dal punto di vista sostanziale, relativamente alle
posizioni di garanzia proprie degli operatori economici, sia dal punto di vista
formale, attraverso l’abrogazione delle numerose direttive verticali (di prodot-
to) e la loro sostituzione con regolamenti, direttamente applicabili. Tale ri-
forma ha perseguito come dichiarati obbiettivi di politica alimentare, la sem-
plificazione delle numerose e minuziose disposizioni, in precedenza applica-
bili, la concentrazione delle responsabilità sugli operatori alimentari e la "re-
sponsabilizzazione" di questi ultimi1
.
La legislazione alimentare persegue due funzioni generali: l’una di tutela
della salute dei consumatori attraverso le norme igienico-sanitarie, l’altra avente
ad oggetto la tutela degli interessi economici dell’acquirente finale (consuma-
tore), affidata essenzialmente alle disposizioni sull’etichettatura, la pubblicità
1
Si veda «Libro Verde della Commissione sui principi generali della legislazione in materia ali-
mentare nell’Unione europea», Doc. Com(1997)176 def. e «Libro Bianco sulla sicurezza alimenta-
re» del 12 gennaio 2000, Doc. Com(1999)719 def. Su questi temi F. CAPELLI, Responsabilità degli
operatori del settore alimentare, in questa Rivista, 2006, p. 391 e L. COSTATO, Principi di diritto
alimentare, in Dir. e giur. agr. e dell’amb., 2002, p. 348.
DIRITTO COMUNITARIO E DEGLI SCAMBI INTERNAZIONALI, FASC. 4/2006, PP. 677-692
© EDITORIALE SCIENTIFICA SRL
678 Giurisprudenza
e, più in generale, la presentazione del prodotto2
.
La fonte principale della legislazione alimentare è il regolamento n.
178/2002/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2002
«che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare,
istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel
campo della sicurezza alimentare»3
, integrato da una serie di normative con-
tenute in altri atti legislativi, regolamenti, direttive e decisioni, di natura verti-
cale concernenti le diverse categorie di prodotto4
.
Tale regolamento, centrale nella legislazione alimentare, che ha lo scopo
di «garantire un livello elevato di tutela della salute umana e degli interessi
dei consumatori», contiene «i principi generali da applicare nella Comunità e
a livello nazionale in materia di alimenti e mangimi in generale, e di sicurezza
degli alimenti e dei mangimi in particolare» (art. 1, par. 1 e 2 del regolamento
n. 178/2002/Ce).
Devesi segnalare che, all’interno della legislazione alimentare5
, la disci-
plina relativa alla etichettatura, presentazione e pubblicità dei prodotti alimen-
2
Sul punto F. CAPELLI, Responsabilità degli operatori, cit. supra, nota 1.
3
In Guce n. L 31 del 1° febbraio 2002, p. 1 ss. Per una prima lettura organica del regolamento v.
AA.VV., La sicurezza alimentare nell’Unione europea (reg. n. 178/02/CE del Parlamento europeo
e del Consiglio), in Nuove leggi civ. comm., 2003, nn. 1-2. Per una introduzione al diritto alimenta-
re: V. PACILEO, II diritto degli alimenti, profili civili, penali e amministrativi, Padova, Cedam,
2003; F. CAPELLI - V. SILANO - B. KLAUS, Nuova disciplina del settore alimentare e Autorità euro-
pea per la sicurezza alimentare, Milano, Giuffrè, 2006 e R. O’ROURKE, European Food Law, Lon-
dra, Sweet and Maxwell, 2005.
4
Le disposizioni del regolamento n. 178/2002/Ce sugli obblighi generali di sicurezza sono sta-
te implementate dal c.d. pacchetto igiene, un insieme di regolamenti e direttive in materia di igiene
e relativi controlli. I principali atti costituenti il pacchetto igiene sono: regolamento n. 852/2004/Ce
del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 «sull’igiene dei prodotti alimentari», in
Gu-Ue n. L 226 del 25 giugno 2004, p. 3 ss.; regolamento n. 853/2004/Ce del Parlamento europeo
e del Consiglio del 29 aprile 2004 «che stabilisce norme specifiche in materia d’igiene per gli ali-
menti di origine animale», in Gu-Ue n. L 226 del 25 giugno 2004, p. 22 ss.; regolamento n.
854/2004/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 «che stabilisce norme spe-
cifiche per l’organizzazione di controlli ufficiali sui prodotti di origine animale destinati al consu-
mo umano», in Gu-Ue n. L 226 del 25 giugno 2004, p. 83 ss.; regolamento n. 882/2004/Ce del Par-
lamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 «relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare
la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul be-
nessere degli animali», in Gu-Ue n. L 191 del 28 maggio 2004, p. 1 ss. e la direttiva n. 2004/41/Ce
del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 «che abroga alcune direttive recanti
norme sull’igiene dei prodotti alimentari e le disposizioni sanitarie per la produzione e la commer-
cializzazione di determinati prodotti di origine animale destinati al consumo umano e che modifica le
direttive n. 89/662/Cee del Consiglio e n. 92/118/Cee e la decisione n. 95/408/Ce del Consiglio», in
Gu-Ue n. L 195 del 2 giugno 2004, p. 12 ss. Esulando dall’oggetto del presente contributo, si omette la
dettagliata elencazione dei restanti atti di attuazione, rinviando per approfondimenti a F. AVERSANO
- V. PACILEO, Prodotti alimentari e legislazione, Bologna, Edagricole, 2006; M. ASTUTI - F.
CASTOLDI, Pacchetto igiene, le nuove norme comunitarie, Lavis, II Sole 24 Ore, 2006; F. CAPELLI,
La Direttiva "Killer", le norme di igiene e le sanzioni applicabili nel settore alimentare a partire
dal 1° gennaio 2006, in Alimenta, 2006, n. 5, p. 100.
5
In base all’art. 3, n. 1. del regolamento n. 178/2002/Ce, la legislazione alimentare è l’insieme
delle «leggi, regolamenti e disposizioni amministrative riguardanti gli alimenti in generale, e la
sicurezza degli alimenti in particolare, sia nella Comunità che a livello nazionale» relativa a «tutte
le fasi di produzione, trasformazione e distribuzione degli alimenti e anche dei mangimi prodotti
per gli animali destinati alla produzione alimentare o ad essi somministrati».
comunitaria 679
tari, è contenuta nella direttiva n. 2000/13/Ce del Parlamento europeo e del
Consiglio 20 marzo 2000, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli
Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti ali-
mentari, nonché la relativa pubblicità6
, recepita dall’ordinamento italiano con
dlgvo n. 109/927
.
Sia la direttiva che il decreto di recepimento sono però formulati in chia-
ve oggettiva, giacché le disposizioni ivi contenute evitano di indicare i desti-
natari degli obblighi e delle relative sanzioni in tema di etichettatura dei pro-
dotti alimentari «preconfezionati», prodotti cioè finiti, pronti per essere offerti
in vendita tal quali al consumatore8
.
Si deve inoltre sottolineare che la disciplina sanzionatoria per le violazio-
ni del dlgvo n. 109/92 prevede principalmente l’irrogazione di sanzioni am-
ministrative pecuniarie, soggette al procedimento di cui alla legge n. 689 del
24 novembre 1981 (Modifiche al sistema penale),9
in eventuale concorso con
ipotesi di reato come la frode in commercio10
. Occorre poi precisare che
6
In Guce n. L 109 del 6 maggio 2000, p. 29 ss. più volte modificata. In argomento: L.
COSTATO, Compendio di diritto alimentare, Padova, Cedam, 2002, p. 239 ss.; V. MAGLIO, La tra-
sparenza dei prodotti alimentari: la funzione dell’etichettatura nella tutela del consumatore, in
Contratto Impresa/Europa, 2001, p. 311 ss.; V. PACILEO, Il diritto degli alimenti, cit. supra, nota 3,
p. 320-323 e R. O’ROURKE, European Food Law, cit. supra, nota 3, p. 55-74 e p. 129-138.
7
Dlgvo n. 109 del 27 gennaio 1992, «Attuazione delle direttive n. 89/395/Cee e n. 89/396/Cee
concernenti l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari», in Guri n. 39
del 17 febbraio 1992, più volte modificato ed integrato.
8
Più precisamente per «prodotto alimentare in imballaggio preconfezionato» si intende «l’unità
di vendita destinata ad essere presentata come tale al consumatore finale ed alle collettività, costi-
tuita da un prodotto alimentare e dall’imballaggio in cui è stato confezionato prima di essere messo
in vendita, avvolta interamente o in parte da tale imballaggio, ma comunque in modo che il conte-
nuto non possa essere modificato senza che l’imballaggio sia aperto o alterato» (art. 1, par. 3, lett.
b. direttiva n. 2000/13/Ce). Si osserva anche che nell’ordinamento italiano, in aggiunta alla nozione
di prodotto «preconfezionato», esiste una diversa fattispecie: il prodotto alimentare «pre-incartato»
definito dall’art. 2, 2° comma, lett. d. come «l’unità di vendita costituita da un prodotto alimentare
e dall’involucro nel quale è stato posto o avvolto negli esercizi di vendita». Interessante, in tema di
distinzioni tra le due categorie di prodotti alimentari, cui conseguono diversi obblighi di etichetta-
tura, la decisione della Cassazione civile, sez. I, 13 settembre 2002 n. 13412 (Benoit Lheureux) se-
condo cui «costituisce "prodotto alimentare preconfezionato" quello che corrisponde alle caratteri-
stiche stabilite dalla disposizione dell’art. 1, comma 2, lett. b. del d.lg. n. 109 del 1992 senza che
abbia rilievo qualsiasi riferimento al luogo di confezionamento. Ne consegue che tale prodotto, sia
esso imballato all’interno dello stesso esercizio di vendita o in un luogo diverso, deve indicare in
etichetta il termine minimo di conservazione con la conseguenza che, ai sensi delle lett. b. e d. del-
la predetta disposizione normativa, la differenza tra prodotto alimentare "preconfezionato" e pro-
dotto "preincartato" – per il primo dei quali soltanto esiste l’obbligo di indicazione del termine mi-
nimo di conservazione – non va individuata in ragione del luogo in cui avviene l’imballaggio, ben-
sì delle caratteristiche dell’imballaggio stesso». Sul tema, in senso critico rispetto alla giurispru-
denza sviluppatasi sul punto: G. DE GIOVANNI, Le etichette dei prodotti alimentari, Bologna, Eda-
gricole, 2004, p. 9 ss.
9
In Guri n. 329 del 30 novembre 1981.
10
La sussistenza di un rapporto di specialità tra il dlgvo n. 109/92 (art. 2) e l’art. 515 c.p. è sta-
to escluso dalla Cassazione penale n. 16062 del 20 aprile 2001, in DVD JurisData. Sul tema delle
frodi alimentari, V. PACILEO, Il diritto degli alimenti, cit. supra, nota 3, e C. CORRERA, La difesa
del consumatore dalle frodi in commercio, Milano, Giuffrè, 2002. Per dovere di esposizione si pre-
cisa che la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari può anche essere oggetto di un pro-
680 Giurisprudenza
l’irrogazione di sanzioni amministrative, in quanto soggette ai principi gene-
rali di cui alla legge n. 689/81, richiede la sussistenza della condotta materiale
e – almeno – della «colpa», la cui insussistenza è onere dell’ingiunto dimo-
strare.
Con riferimento al contesto brevemente delineato, acquista ora rilievo la
sentenza della Corte di giustizia del 23 novembre 2006 in causa n. C-315/05,
Lidl Italia Srl c. Comune di Arcole (d’ora in avanti sentenza Lidl), che ha for-
nito la risposta a due questioni pregiudiziali introdotte dal Giudice di pace di
Monselice, adito ex legge n. 689/81 dal legale rappresentante della catena di-
stributiva Lidl sanzionato per aver posto in vendita una bevanda alcolica de-
nominata «amaro alle erbe», sulla cui etichetta era indicato un titolo alcolo-
metrico volumico di 35% non corrispondente a quello effettivo (33,91%)11
.
II. Le questioni pregiudiziali e la decisione della Corte di giustizia: rile-
vanza della normativa nazionale in tema di disciplina sanzionatoria in
ragione della parziale armonizzazione della direttiva n. 2000/13/Ce
Le due questioni pregiudiziali formulate dal giudice remittente sono state
le seguenti:
1. Se la direttiva n. 2000/13/Ce (...), per quanto riguarda i prodotti pre-
confezionati di cui all’art. 1 della [detta] direttiva (...), debba essere interpre-
tata nel senso che gli obblighi normativi in essa previsti, ed in particolare
quelli di cui agli artt. 2, 3 e 12, debbano essere considerati imposti esclusiva-
mente al produttore dell’alimento preconfezionato;
2. In caso di risposta affermativa al primo quesito, se gli artt. 2, 3 e 12
della direttiva n. 2000/13/Ce debbano essere interpretati nel senso che esclu-
dono che il semplice distributore, situato all'interno di uno Stato membro, di
un prodotto preconfezionato (come definito dall’art. 1 della direttiva n.
2000/13/Ce) da un operatore situato in uno Stato membro diverso dal primo -
possa essere considerato responsabile di una violazione contestata da un’Au-
torità pubblica, consistente nella differenza tra il valore (nella fattispecie tito-
lo alcolometrico) indicato dal produttore sull’etichetta del prodotto alimentare
preconfezionato e venga di conseguenza sanzionato anche se lo stesso (il
semplice distributore) si limita a commercializzare il prodotto alimentare così
come consegnato dal produttore dell’alimento stesso.
cedimento da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato come pure dell’Autorità
garante per le comunicazioni.
11
Ad avviso dello scrivente, il soggetto "ingannato" non sembra essere stato tanto il consuma-
tore, acquirente di una bottiglia di amaro avente solo nominalmente un volume alcolimetrico del
35%, quanto il venditore finale probabilmente ignaro del mendacio, invero di rilevanza minima,
dedotto in contestazione.
comunitaria 681
La Corte, come già l’Avvocato Generale,12
non ha dubbi: «la direttiva n.
2000/13/Ce, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri
concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché
la relativa pubblicità, devono essere interpretati nel senso che non ostano ad
una normativa di uno Stato membro, come quella controversa nella causa
principale, che prevede la possibilità per un operatore, stabilito in tale Stato
membro, che distribuisce una bevanda alcolica destinata ad essere consegnata
come tale, ai sensi dell’art. 1 di detta direttiva, e prodotta da un operatore sta-
bilito in un altro Stato membro, di essere considerato responsabile di una vio-
lazione di detta normativa, constatata da una pubblica autorità, derivante dal-
l’inesattezza del titolo alcolometrico volumico indicato dal produttore sull’e-
tichetta di detto prodotto, e di subire conseguentemente una sanzione ammini-
strativa pecuniaria, mentre esso si limita, nella sua qualità di semplice distri-
butore, a commercializzare tale prodotto così come a lui consegnato da detto
produttore».
A questa conclusione la Corte è giunta in base ai consueti canoni inter-
pretativi di una direttiva, secondo cui, ai fini dell’interpretazione di una nor-
ma di diritto comunitario, si deve tener conto non soltanto del suo tenore let-
terale, ma anche del sistema, del contesto della norma e degli scopi perseguiti
dalla normativa di cui essa fa parte.
Orbene, dal tenore letterale della direttiva n. 2000/13/Ce non è dato evin-
cere quale sia l’ambito soggettivo delle disposizioni in materia di etichettatu-
ra, se cioè la responsabilità incomba esclusivamente sul fabbricante del pro-
dotto finito («preconfezionato»), oppure anche su altri soggetti, in primis, il
commerciante al dettaglio13
.
Dovendo quindi allargare l’indagine anche al sistema, al contesto e alla
ratio della disciplina, il testo della direttiva n. 2000/13/Ce, come pure la pre-
vigente direttiva n. 79/112/Cee, contiene, come unici riferimenti potenzial-
mente utilizzabili per la risoluzione delle questioni pregiudiziali poste: a. il
considerando n. 6 secondo cui «qualsiasi regolamentazione relativa all’eti-
chettatura dei prodotti alimentari deve essere fondata anzitutto sulla necessità
di informare e tutelare i consumatori»; b. la definizione di prodotto alimentare
pre-confezionato di cui all’art. 1, par. 3, lett. b.; c. l’art. 3, n. 1 punto 7 recante
l’obbligo di menzionare in etichetta «il nome o la ragione sociale e l’indirizzo
del fabbricante o del condizionatore o di un venditore stabilito nella Comunità».
12
Cfr. conclusioni dell’Avvocato Generale Christine Stix-Hackl presentate il 12 settembre
2006, disponibili sul sito istituzionale della Corte di giustizia.
13
Per commercio al dettaglio si intende «l’attività svolta da chiunque professionalmente acqui-
sta merci in nome e per conto proprio e le rivende, su aree private in sede fissa o mediante altre
forme di distribuzione, direttamente al consumatore finale» (cfr. art. 4, lett. b. del dlgvo 31 marzo
1998, n. 114 – «Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’art. 4,
comma 4, della l. 15 marzo 1997, n. 59», in Guri n. 95 del 24 aprile 1998, suppl. ord.
682 Giurisprudenza
Quest’ultima disposizione, secondo la giurisprudenza della Corte deve
essere intesa come rispondente all’obiettivo principale di «consentire che i re-
sponsabili del prodotto, tra i quali, oltre ai produttori e ai condizionatori, si
trovano anche i venditori, siano facilmente identificabili dal consumatore fi-
nale affinchè questi possa, se del caso, comunicare loro le sue critiche positi-
ve o negative relative al prodotto acquistato»14
.
Si aggiunga che questa disposizione, già presente nella precedente diret-
tiva n. 79/112/Cee e così recepita dall’art. 3 del dpr n. 322 del 18 maggio
198215
, è stata interpretata dalla Corte di cassazione nel senso che «l’art. 3,
lett. h., d.p.r. 18 maggio 1982 n. 322 - secondo il quale l’etichettatura dei
prodotti alimentari deve indicare "la sede del fabbricante o del confezionatore
o di un venditore stabilito nella Comunità economica europea" - va interpreta-
to nel senso che la locuzione "stabilito nella Comunità" si riferisce al solo
venditore»16
.
A ben riflettere, dunque, la disposizione richiamata dalla Corte di giusti-
zia riguarda un obbligo di informazione che nulla ha a che vedere con la re-
sponsabilità per la relativa violazione, mirando piuttosto a rendere possibile,
nell’interesse del consumatore, l’individuazione del soggetto civilmente re-
sponsabile per eventuali vizi, difetti o difformità.
Posta questa precisazione, si deve riconoscere che le sole categorie di ri-
ferimento per la disposizione dell’art. 3, n. 1, punto 7 della direttiva n.
2000/13/Ce sono quelle della responsabilità civile di tipo contrattuale per vizi
della cosa o di tipo extracontrattuale per danni del prodotto oggetto di scam-
bio. Nel primo caso, la disposizione (nazionale) che impone l’indicazione del
produttore o di un venditore stabilito nell’Unione europea, non è – come noto
– elemento necessario per azionare la responsabilità per vizi ex art. 1494 c.c.
Lo stesso dicasi per il secondo titolo di responsabilità, declinato nella fatti-
specie dell’illecito aquiliano, mentre per le ipotesi di responsabilità per danno
da prodotto difettoso, la disciplina, armonizzata a livello comunitario sin dal
198517
, prevede la responsabilità meramente sussidiaria e residuale del vendi-
14
Cfr. sentenza Lidl, punto 46.
15
Oggi sostituito dall’art. 3, lett. e., dlgvo n. 109/92.
16
Cfr. Cass. 22 aprile 1998, n. 4079, in Foro it., 1998, I, c. 2131.
17
Cfr. direttiva n. 85/374/Cee del Consiglio, del 25 luglio 1985, relativa al ravvicinamento del-
le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di re-
sponsabilità per danno da prodotti difettosi, in Guce n. L 210 del 7 agosto 1985, p. 29. Per il rece-
pimento di tale direttiva nell’ordinamento italiano si veda il decreto del Presidente della Repubbli-
ca n. 224 del 24 maggio 1988, «Attuazione della direttiva Cee numero 85/374 relativa al ravvici-
namento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in mate-
ria di responsabilità per danno da prodotti difettosi, ai sensi dell’art. 15 della legge 16 aprile 1987,
n. 183», in Guri n. 146 del 23 giugno 1988. La disciplina della responsabilità per danno da prodot-
to difettoso, modificata dal dlgvo n. 25 del 2 febbraio 2001, attuazione della direttiva n.
1999/34/Ce, è oggi confluita nel dlgvo n. 206 del 6 settembre 2005, «Codice del consumo, a norma
dell’art. 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229», in Guri n. 235 dell’8 ottobre 2005, suppl. ord., sub
Titolo II della Parte IV, artt. 114-127. In tema di responsabilità per danno da prodotto difettoso,
comunitaria 683
tore per il caso che il produttore non sia individuato dal consumatore18
. Con la
sentenza in rassegna, però, si è espressamente escluso qualsiasi margine di
inter-relazione tra la direttiva n. 2000/13/Ce e la direttiva n. 85/374/Cee19
, ra-
gione per la quale il richiamo dell’art. 3, n. 1, punto 7 della direttiva n.
2000/13/Ce perde valenza argomentativa ai fini della individuazione dei con-
fini di responsabilità (sanzionata con pene amministrative) dei diversi opera-
tori alimentari.
E, infatti, il nucleo centrale della motivazione è fondato sul riconosci-
mento che la direttiva n. 2000/13/Ce ha dato luogo ad un’armonizzazione in-
completa per quanto attiene l’identificazione dei soggetti tenuti ad osservare
gli obblighi di conformità e, conseguentemente, esposti al rischio delle san-
zioni previste dall’ordinamento dello Stato membro nel quale le infrazioni
vengono contestate.
Da questo assunto, discende il ricorso a quella giurisprudenza della Corte
di giustizia in base alla quale, se una materia non è disciplinata da una diretti-
va comportante un’armonizzazione completa, gli Stati membri restano in li-
nea di principio competenti a prescrivere norme in materia, purché le norme
non siano tali da compromettere seriamente il risultato prescritto dalla diretti-
va di cui trattasi20
.
Posta in questi termini la fattispecie, è facile per la Corte sostenere che
una normativa nazionale, come quella della causa principale, che può riferirsi,
in caso di violazione di un obbligo in materia di etichettatura imposto dalla
direttiva n. 2000/13/Ce, tanto alla responsabilità del produttore quanto a quel-
la dei distributori, non è tale da pregiudicare il risultato perseguito da tale di-
rettiva. Di più, questa normativa è giudicata dalla Corte come «manifestamen-
te idonea» a contribuire al conseguimento dell’obbiettivo di informazione e di
protezione del consumatore finale dei prodotti alimentari21
.
Tale affermazione – in sé perentoria – può forse essere corretta osservan-
do che i fattori funzionali al raggiungimento di uno scopo (idoneità all’ob-
biettivo perseguito), cioè l’informazione del consumatore, non possono ridur-
si esclusivamente ad un allargamento della cerchia dei soggetti obbligati a ga-
senza pretesa di completezza, si veda: G. ALPA - M. BIN - P. CENDON, La responsabilità del produt-
tore, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da F. Galgano,
XIII, Padova, Cedam, 1989; F. GALGANO, Responsabilità del produttore, in Contratto e Impresa,
1986, p. 995 ss.; G. PONZANELLI, Estensione della responsabilità oggettiva anche all’agricoltore,
all’allevatore, al pescatore e al cacciatore, in Danno e resp., 2001, p. 792.
18
Con sentenza del 10 gennaio 2006 in causa n. C-402/03, Skov e Bilka, in Raccolta, 2006, I,
p. 199 la Corte di giustizia ha escluso che, in base alla armonizzazione avvenuta sul tema, una legi-
slazione nazionale possa prevedere un autonomo titolo di responsabilità oggettiva in capo al distri-
butore.
19
Cfr. sentenza Lidl, punti da 54 a 57.
20
Cfr. F. CAPELLI, Direttive di armonizzazione totale, direttive di armonizzazione parziale e
direttive opzionali, in questa Rivista, 2000, p. 755.
21
Cfr. sentenza Lidl, punto 49 s.
684 Giurisprudenza
rantire la conformità dei prodotti alle norme applicabili. Sul punto si tornerà
più avanti, premendo qui porre la seguente precisazione: il giudice comunita-
rio non si è pronunciato nel senso della indefettibilità della responsabilità dei
distributori per le violazioni delle norme sull’etichettatura; ha, invece, stabili-
to che considerare i distributori tra i soggetti responsabili per inottemperanze
agli obblighi previsti non è astrattamente in contrasto con la direttiva n.
2000/13/Ce, alla luce dell’obbiettivo di tutela del consumatore.
Tradotta negli schemi propri dell’ordinamento italiano, questa statuizione
della Corte non innova quanto si può desumere de iure condito dal citato
dlgvo n. 109/92 e dalla legge pure citata n. 689/81, secondo cui – come si ri-
cava dall’interpretazione dell’autorità giudiziaria – deve escludersi l’esistenza
di una responsabilità oggettiva, dovendosi al contrario ritenere imprescindibi-
le, anche per l’irrogazione di sanzioni amministrative, l’elemento della colpa.
III. Gli obiter dicta ed il coordinamento della disciplina in tema di eti-
chettatura con le disposizioni del regolamento n. 178/2002/Ce
Da quanto in precedenza chiarito, la quaestio iuris posta all’attenzione
della Corte potrebbe essere considerata risolta. Ma il giudice comunitario ha
avuto cura di completare la sua statuizione con un paio di riferimenti al rego-
lamento n. 178/2002/Ce, sulla cui portata è opportuno soffermarsi.
Con un primo obiter dictum22
, la Corte ritiene che il regolamento n.
178/2002/Ce non sia applicabile al caso di specie perché i fatti contestati nella
causa principale sono stati compiuti prima dell’entrata in vigore degli artt. 1-
21 del regolamento stesso (1° gennaio 2005)23
. Da ciò dovrebbe quindi dedur-
si che, secondo la Corte, se le disposizioni dei capi I e II del regolamento n.
178/2002/Ce fossero state applicabili alla fattispecie di causa, avrebbero con-
tribuito alla soluzione delle questioni pregiudiziali in essa sollevate, anche se
riguardanti la tutela degli interessi economici dell’acquirente-consumatore di
prodotti alimentari.
Dovrebbe trarsene, a rigore, un canone interpretativo secondo cui la norma-
tiva in tema di etichettatura e, conseguentemente, la delimitazione degli obbli-
ghi e delle responsabilità degli operatori alimentari in subiecta materia, deve
essere coordinata con il sovra-ordinato regolamento n. 178/2002/Ce, recante i
principi e gli obblighi generali della legislazione alimentare.
Il ragionamento della Corte, per quanto non esplicitato dalla motivazione
della sentenza, sembrerebbe basato sulla circostanza che, rientrando la disci-
plina della etichettatura nella nozione di «legislazione alimentare», la stessa
22
Cfr. sentenza Lidl, punto 53.
23
Cfr. art. 65, comma 2° del regolamento n. 178/2002/Ce.
comunitaria 685
sia soggetta ai principi generali ed ai requisiti specifici posti dal regolamento
n. 178/2002/Ce.
Ciò spiegherebbe il richiamo della Corte all’art. 17 del regolamento n.
178/2002/Ce per affermare che «risulta che spetta agli operatori del settore
alimentare garantire che nelle imprese da essi controllate gli alimenti soddi-
sfino le disposizioni della legislazione alimentare inerenti alle loro attività in
tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione e veri-
ficare che tali disposizioni siano soddisfatte».24
La Corte, dopo questa puntua-
lizzazione, non indugia, però, in altre precisazioni, né fornisce elementi utili
per approfondire gli obblighi scaturenti dalla direttiva n. 2000/13/Ce e le re-
sponsabilità connesse.
Orbene, il collegamento tra la direttiva sulla etichettatura dei prodotti ali-
mentari e il regolamento n. 178/2002/Ce è ricavabile dall’art. 1 di tale rego-
lamento che, come già anticipato, fa rientrare nel suo campo di applicazione
non solo la tutela della salute del consumatore ma anche quella dei suoi inte-
ressi economici. Tuttavia, se è pacifico che la disciplina in tema di etichettatu-
ra rientri nella nozione di legislazione alimentare, non è altrettanto pacifico
che le regole sull’etichettatura dei prodotti alimentari e, soprattutto, le respon-
sabilità connesse all’inosservanza di tali regole, siano interamente condizio-
nate dal regolamento n. 178/2002/Ce.
Invero, esaminando gli articoli sub capi I (artt. 1-3) e II (artt. 4-20), si no-
ta subito che il regolamento n. 178/2002/Ce si occupa in via principale degli
aspetti sanitari connessi alle operazioni di produzione e commercializzazione
degli alimenti, prendendo in considerazione il tema della etichettatura solo in
quanto questa influisce sulla sicurezza del consumo alimentare.
L’art. 14 del regolamento n. 178/2002/Ce (requisiti di sicurezza degli a-
limenti), nel delineare la nozione di alimento «a rischio», con l’indicazione
degli obblighi di protezione posti a carico dell’operatore alimentare, fa riferi-
mento anche alle «informazioni messe a disposizione del consumatore, com-
prese le informazioni riportate sull’etichetta o altre informazioni generalmen-
te accessibili al consumatore sul modo di evitare specifici effetti nocivi per la
salute provocati da un alimento o categoria di alimenti»25
. Identica imposta-
zione si trova all’art. 18 in tema di rintracciabilità ove si pone in essere un
collegamento tra la funzione di rintracciabilità, che è uno strumento di gestio-
ne della sicurezza alimentare, e l’etichettatura (par. 4).
Ulteriore conferma si trae dalla lettura delle altre disposizioni in materia
di sicurezza alimentare contenute, ad esempio, nel regolamento n.
2073/2005/Ce sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari26
24
Cfr. sentenza Lidl, punto 53.
25
Cfr. art. 14, par. 3 del regolamento n. 178/2002/Ce.
26
Cfr. regolamento n. 2073/2005/Ce della Commissione del 15 novembre 2005 sui criteri mi-
686 Giurisprudenza
nella parte in cui si prevede l’obbligo della menzione di particolari avvertenze
d’uso sulle confezioni di taluni alimenti soggetti naturaliter a contaminazione
batteriologica.
In particolare, al di fuori dell’ambito afferente alla tutela della salute del-
la persona-consumatore, il regolamento n. 178/2002/Ce demanda la tutela de-
gli interessi economici degli acquirenti-consumatori alla pertinente legisla-
zione in materia di etichettatura, pubblicità e presentazione degli alimenti. In
tal senso, expressis verbis, l’art. 16 del regolamento n. 178/2002/Ce stabilisce
che «fatte salve disposizioni più specifiche della legislazione alimentare, l’eti-
chettatura, la pubblicità e la presentazione degli alimenti o mangimi, compresi
la loro forma, il loro aspetto o confezionamento, i materiali di confezio-
namento usati, il modo in cui gli alimenti o mangimi sono disposti, il contesto
in cui sono esposti e le informazioni rese disponibili su di essi attraverso
qualsiasi mezzo, non devono trarre in inganno i consumatori»27
.
Ad avviso dello scrivente, questa disposizione impedisce di ricondurre in
via automatica l’interpretazione della direttiva n. 2000/13/Ce al regolamento
sulla sicurezza alimentare, così come sembrerebbe emergere da una prima let-
tura della sentenza in rassegna. La disposizione dell’art. 16 del regolamento
n. 178/2002/Ce, infatti, malgrado una certa imprecisione, può essere ragione-
volmente interpretata come una – peraltro legittima – separazione tra la disci-
plina in tema di sicurezza alimentare e quella sull’etichettatura dei prodotti
alimentari con riferimento agli aspetti strettamente commerciali.
Questa interpretazione trova il conforto nella sentenza n. 401/1992 della
Corte costituzionale italiana, secondo cui «Il decreto legislativo n. 109 del
1992 riordina, con normativa organica, l’intera materia della etichettatura,
presentazione e pubblicità degli alimenti abrogando espressamente le prece-
denti disposizioni. Lo scopo della nuova disciplina è quello della protezione
del consumatore. Si tratta pertanto di normativa che solo di riflesso coinvolge
gli aspetti relativi all’igiene e sanità degli alimenti, di competenza regionale,
ma che attiene invece precipuamente alla materia del "commercio" di compe-
tenza dello Stato»28
.
Si osserva inoltre che un’altra disposizione del regolamento n.
178/2002/Ce regola i rapporti tra questo ed altre fonti comunitarie: l’art. 21
crobiologici applicabili ai prodotti alimentari, in Gu-Ue n. L 338 del 22 dicembre 2005, p. 1 e retti-
fica in Gu-Ue n. L 278 del 10 ottobre 2006, p. 32.
27
Per dovere di esposizione si precisa che nella proposta iniziale della Commissione, tale di-
sposizione si trovava sub art. 8 (Tutela degli interessi dei consumatori), quindi all’interno della se-
zione 1 in materia di principi generali della legislazione alimentare. Durante l’iter legislativo inve-
ce tale disposizione fu espunta dall’art. 8 per essere inserita in un autonomo articolo all’interno del-
la sezione 4 (Requisiti generali della legislazione alimentare) del capo 2.
28
Cfr. Corte costituzionale, 26 ottobre 1992, n. 401 in DVD JurisData. Sul punto ampiamente
V. PACILEO, Il diritto degli alimenti, cit. supra, nota 3 il quale ricorda anche che il dlgvo n. 109/92
fu emanato in forza dell’art. 45 della legge delega n. 428/90 in tema di tutela dei consumatori.
comunitaria 687
stabilisce che gli artt. 4-20 del regolamento n. 178/2002/Ce si applicano «sen-
za pregiudizio» della direttiva n. 85/374/Cee in materia di responsabilità per
danno da prodotti difettosi. Dal raffronto tra questo articolo e la disposizione
dell’art. 16 emerge certamente una differenza: l’art. 16 del regolamento n.
178/2002/Ce dispone il divieto di inganno per il consumatore, peraltro già
previsto dalla direttiva n. 2000/13/Ce, facendo, però, salva la disciplina sul-
l’etichettatura, mentre l’art. 21 del regolamento n. 178/2002/Ce si limita esclu-
sivamente a lasciare impregiudicata l’applicazione della direttiva sulla re-
sponsabilità da prodotto difettoso29
. Malgrado la segnalata differenza, tutta-
via, resta il dato testuale dell’art. 16 del regolamento n. 178/2002/Ce che non
autorizza a considerare l’interpretazione della disciplina sull’etichettatura dei
prodotti alimentari come condizionata tout court dalle disposizioni del rego-
lamento n. 178/2002/Ce.
Da un altro angolo visuale si può anche osservare che l’affermazione in
base alla quale, in tema di individuazione dei destinatari degli obblighi e
sanzioni sull’etichettatura dei prodotti alimentari si possa ricorrere in sede
interpretativa alle disposizioni del regolamento n. 178/2002/Ce, presenta
elementi di contraddizione con l’assunto chiave della sentenza stessa, cioè
il riconoscimento della parziale armonizzazione introdotta dalla direttiva n.
2000/13/Ce in fatto di determinazione dei soggetti sanzionabili.
Approfondendo quanto appena esposto, si può sostenere che il confronto
tra le due discipline normative, l’una in tema di etichettatura, l’altra in tema di
sicurezza alimentare, non può portare ad una parificazione del final retailer
con il produttore dell’alimento «preconfezionato».
A tal riguardo, è agevole osservare che la legislazione alimentare solo in
rarissimi casi impone i medesimi obblighi indistintamente su qualsivoglia o-
peratore della filiera alimentare. Al contrario, un’indagine sulle norme di di-
ritto alimentare, anche di recente adozione, dimostra come l’onere di ottem-
peranza agli obblighi legali – conformità legale del prodotto alimentare, del
processo produttivo e della organizzazione aziendale – sia ripartito tra i fab-
bricanti o condizionatori del prodotto finito (preconfezionato), movimentato-
ri, produttori di materie prime (agricole, solitamente esclusi) e distributori fi-
nali in ragione delle «rispettive attività».
A questo proposito, ad esempio, è un fatto che nonostante l’attuazione
del regolamento n. 178/2002/Ce via pacchetto igiene, la produzione "prima-
ria" (zootecnia inclusa) resti ancora beneficiaria di una "eccezione agricola"
che la esenta sine die dal rispetto delle metodologie H.A.C.C.P.30
. Al capo
29
Cfr. F. ALBISINNI, in La sicurezza alimentare, sub art. 21, in Nuove leggi civ. comm., 2003,
nn. 1-2, p. 284.
30
Hazard Analysis and Critical Control Points - Analisi di rischio e punti critici di controllo.
La metodologia H.A.C.C.P. rappresenta un approccio di tipo preventivo, sistematico e documenta-
to alla sicurezza alimentare attraverso il quale si procede sistematicamente ad un’analisi dei poten-
688 Giurisprudenza
opposto della filiera (dove opera il fìnal retailer), non sono rare le disposizio-
ni inserite agli allegati II e ss. del regolamento n. 852/2004/Ce (o anche del
regolamento n. 853/2004/Ce) che espressamente esonerano il distributore da
alcuni obblighi ivi previsti.
Una segmentazione delle responsabilità per violazione della legislazione
alimentare sembra dunque rientrare nel sistema del regolamento n.
178/2002/Ce. In primo luogo, la concentrazione in capo all’operatore privato
di un oneroso, quanto ampio, obbligo di conformità, professata al conside-
rando n. 30,31
è principio cui corrisponde quello della "auto-responsabilizza-
zione": in tale contesto la garanzia del rispetto delle prescrizioni applicabili
alla produzione e commercializzazione di generi alimentari non può essere con-
fusa in una abnorme assegnazione di responsabilità non connessa a normali e
"pertinenti" attività, sia pure esercitabili con elevati livelli di diligenza profes-
sionale.
A titolo esemplificativo si può fare riferimento alla disciplina degli ob-
blighi di gestione della «crisi sanitaria» (fattispecie ben diversa da quella rela-
tiva a una informazione «decettiva»): l’art. 19 del regolamento n.
178/2002/Ce diversifica l’ampiezza degli obblighi (ritiro-richiamo, notizia al-
la autorità competente, informazione al consumatore) tra il fabbricante-condi-
zionatore del prodotto finito da un lato, e l’operatore responsabile delle attivi-
tà di vendita al dettaglio, dall’altro, in ragione di un fattore preciso: l’eserci-
zio delle «rispettive attività». Di più, il regolamento, e così anche il dlgvo n.
190/2006 recante la disciplina sanzionatoria italiana32
, opera una distinzione
all’interno delle attività svolte abitualmente dal distributore: più precisamen-
te, in base all’art. 5 del dlgvo n. 190/2006, per quelle attività che non incido-
ziali pericoli insiti nelle trasformazioni alimentari, identificando i punti di processo in cui i pericoli
possono essere tenuti sotto controllo, consentendo così di definire quali di essi risultano determi-
nanti per la salubrità dell’alimento e quindi a presidio della tutela della salute del consumatore. In
argomento: Codex Alimentarius, Guidelines for application of the Hazard Analysis Critical Con-
trol Point (HACCP), Alinorm, Rome, 1993; W.H.O. (World Health Organisation), Hazard Analysis
Critical Control Point System, Concept and Application, doc. WHO/FNU/FOS/95.7, Rome, 1995
e, pure, European Commission, Health & Consumer Protection Directorate-General, Guidance do-
cument on the implementation of procedures based on the HACCP principles, and on the facilita-
tion of the implementation of the HACCP principles in certain food businesses, del 16 novembre
2005, disponibile sul sito della Direzione generale "SANCO" accessibile da: www.europea.eu. In
merito alla rilevanza della standardizzazione del Codex sui commerci transnazionali: D.
BEVILACQUA, The Codex Alimentarius Commission and its Influence on European and National
Food Policy, in European Food and Feed Law, 2006, n. 1, p. 3.
31
In base al considerando n. 30, «gli operatori del settore alimentare sono in grado, meglio di
chiunque altro, di elaborare sistemi sicuri per l’approvvigionamento alimentare e per garantire la
sicurezza dei prodotti forniti; essi dovrebbero pertanto essere legalmente responsabili, in via prin-
cipale, della sicurezza degli alimenti».
32
Dlgvo del 23 maggio 2006, n. 190, recante «Disciplina sanzionatoria per la violazione delle
disposizioni di cui al regolamento n. 178/2002/Ce che stabilisce i principi e i requisiti generali del-
la legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure
nel campo della sicurezza alimentare», in Guri n. 118 del 23 maggio 2006, p. 4. Sul punto D.
PISANELLO, La disciplina sanzionatoria per la violazione degli obblighi generali di sicurezza ex
art. 18, 19 e 20 del regolamento n. 178/2002, in Alimenta, n. 6/2006, p. 123 e nn. 7-8/2006, p. 147.
comunitaria 689
no sul confezionamento, sull’etichettatura, sulla sicurezza o sull’integrità del-
l’alimento e rispetto alle quali vige un regime di responsabilità limitato «entro
i limiti delle rispettive attività», detti operatori devono «avviare procedure per
ritirare dal mercato i prodotti non conformi ai requisiti di sicurezza alimentare
e contribuire a garantire la sicurezza degli alimenti trasmettendo al riguardo le
informazioni necessarie ai fini della loro rintracciabilità, collaborando agli in-
terventi dei responsabili della produzione, della trasformazione e della lavo-
razione e/o delle autorità competenti»33
.
Malgrado tali precisi riferimenti, la sentenza della Corte, richiamato l’art.
17 del regolamento n. 178/2002/Ce, in forza del quale le imprese alimentari
devono garantire la piena conformità dei prodotti alla legislazione alimentare,
omette però di precisare i limiti delle conseguenti responsabilità per le ipotesi
di mancata osservanza delle disposizioni in materia di etichettatura. Ponendo-
si nella direzione tracciata dalla Corte, per cui occorre leggere la portata sog-
gettiva degli obblighi in tema di etichettatura tenendo presente il regolamento
n. 178/2002/Ce, è quindi opportuno chiedersi se il meccanismo di imputazio-
ne-ripartizione degli oneri e responsabilità predisposto da questo regolamen-
to, e rigorosamente ancorato all’elemento delle «rispettive attività», possa es-
sere riferito anche alle fattispecie di violazione degli obblighi in base alla di-
rettiva n. 2000/13/Ce.
Per rispondere a questo quesito si può preliminarmente osservare che il
ragionare in termini di «rispettive attività» ha una corrispondenza con il con-
cetto della «diligenza esigibile» dall’operatore professionale ed è dunque af-
ferente all’elemento della «colpa», concetto imprescindibile della responsabi-
lità penale (o depenalizzata) in diritto italiano34
. Come si è detto l’ordinamento
italiano, con il preminente ruolo assegnato all’elemento soggettivo, richiede in
ogni caso la sussistenza della violazione di una norma di diligenza, perizia o
prudenza ovvero di leggi o regolamenti, ordini o discipline (art. 43 cod. pen.).
Ciò posto, la soluzione affermativa sembra la più corretta e consequen-
ziale ai dati normativi pertinenti che peraltro sono già ampiamente presenti
nella legislazione italiana: in aggiunta alle considerazioni già svolte, può esse-
re utile richiamare il disposto dell’art. 19 della legge 30 aprile 1962 n. 283
sull’igiene degli alimenti35
secondo cui «le sanzioni previste dalla presente
33
È in considerazione di questa distinzione che, con riferimento ai due obblighi da ultimo cita-
ti, il dlgvo n. 190/2006 prevede in capo al distributore finale specifiche sanzioni di importo signifi-
cativamente inferiore rispetto a quelle comminate al produttore per la violazione dell’obbligo di
ritiro (da 500 a 3.000 euro) e per la mancata attuazione «per quanto di competenza» degli interventi
predisposti dai responsabili della produzione, della trasformazione e della lavorazione e dalle auto-
rità competenti, ai fini del ritiro o richiamo degli alimenti o mangimi.
34
Nel caso di specie, si tratterà quindi di accertare la eventuale rimproverabilità della condotta
tenuta dal dettagliante consistente nella omissione di un controllo su un prodotto quale quello pre-
confezionato; controllo che, al massimo, potrà essere "a campione" e mai esigibile per tutti i lotti e
tutte le partite di tutte le categorie di prodotti posti in vendita.
35
Legge 30 aprile 1962, n. 283, «Modifica degli artt. 242, 243, 247, 250 e 262 del t.u. delle
690 Giurisprudenza
legge non si applicano al commerciante che vende, pone in vendita o comun-
que distribuisce per il consumo prodotti in confezioni originali, qualora la non
corrispondenza alle prescrizioni della legge stessa riguardi i requisiti intrinse-
ci o la composizione dei prodotti o le condizioni interne dei recipienti e sem-
pre che il commerciante non sia a conoscenza della violazione o la confezione
originale non presenti segni di alterazione». In merito a questa disposizione è
stato giustamente osservato che l’esonero da responsabilità è da ricollegare
alla contraddizione che deriverebbe dal pretendere dal rivenditore controlli
che comporterebbero, attraverso l’effrazione della chiusura di sicurezza, la
manipolazione del prodotto, con perdita di quella garanzia igienica che solo la
conservazione dell’alimento integro, nella trafila dal produttore al consumato-
re, può assicurare.36
Ora, anche se la disciplina italiana ora richiamata attiene
alla gestione della sicurezza igienico-sanitaria degli alimenti, la stessa mens
legis sottesa alla scriminante dell’art. 19 l. n. 283/62 dovrebbe essere ritenuta
applicabile, a fortiori ratione, ai casi di violazione delle disposizioni inerenti
alla tutela degli interessi commerciali del consumatore di prodotti alimentari,
quali quelle previste dal dlgvo n. 109/92. Più precisamente, se la non confor-
mità alla legislazione in materia di etichettatura costituisce un vizio intrinseco e
non percepibile dall’esterno, non si vede come possa concludersi nel senso di
un addebito di responsabilità, per colpa, al distributore finale37
.
Infine, l’affermazione in forza della quale la direttiva n. 2000/13/Ce deve
essere letta alla luce del regolamento n. 178/2002/Ce, induce anche ad un ter-
zo e più generale ordine di riflessioni.
Posto che, stando alla sentenza qui in rassegna, il regolamento n.
178/2002/Ce è applicabile alle fattispecie disciplinate dalla direttiva n.
2000/13/Ce, si deve segnalare che ex art. 17, par. 5, del regolamento n.
178/2002/Ce «gli Stati membri determinano inoltre le misure e le sanzioni da
applicare in caso di violazione della legislazione sugli alimenti e sui mangimi.
Le misure e le sanzioni devono essere effettive, proporzionate e dissuasive»38
.
La Corte non ha citato questa disposizione bensì ha richiamato la propria giu-
risprudenza con riferimento all’art. 10 del Trattato Ce, secondo la quale le
violazioni del diritto comunitario devono essere punite, sotto il profilo sostan-
ziale e procedurale, con sanzioni effettive, proporzionali e dissuasive39
.
leggi sanitarie approvato con r.d. 27 luglio 1934, n. 1265. Disciplina igienica della produzione e
della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande», in Guri n. 139 del 4 giugno 1962.
36
In questi termini V. PACILEO, Il diritto degli alimenti, cit. supra, nota 3, p. 507.
37
Cfr. F. CAPELLI, Responsabilità degli operatori, cit. supra, nota 1, p. 406.
38
Si veda anche art. 55, par. 1 regolamento n. 882/2004/Ce, cit. supra, nota 4, secondo cui «gli
Stati membri stabiliscono le regole in materia di sanzioni applicabili in caso di violazione della
normativa sui mangimi e sugli alimenti e di altre disposizioni comunitarie concernenti la tutela del-
la salute e del benessere degli animali e prendono tutte le misure necessarie per assicurare che sia-
no attuate. Le sanzioni previste devono essere effettive, proporzionate e dissuasive».
39
Cfr. sentenza Lidl, punto 58.
comunitaria 691
Come già anticipato, la Corte ha ritenuto di valutare idonea alla tutela del
consumatore una normativa nazionale che astrattamente assegni la stessa po-
sizione di garanzia tra chi il prodotto lo immette finito verso il consumatore
finale e chi professionalmente compra un prodotto finito per rivenderlo al
consumatore.
Volendo eludere il rischio di una mera petizione di principio, si deve ri-
conoscere che appare logicamente inesatto ritenere che il semplice allarga-
mento numerico dei soggetti obbligati, e quindi responsabili, possa conside-
rarsi come strumento idoneo a rafforzare la tutela del consumatore. Sembre-
rebbe, piuttosto, preferibile che la valutazione della idoneità allo scopo fosse
affermata, più concretamente, prendendo in considerazione la sussistenza dei
caratteri di dissuasività, proporzionalità ed efficacia che devono essere riferiti,
più che alla sanzione in sé considerata, all’apparato sanzionatorio nazionale
inteso come insieme coordinato di norme in tema di modalità di controllo, ac-
certamento e sanzione dei diversi operatori alimentari.
Si può poi riconoscere che il requisito della «proporzionalità» ripropone
la imprescindibilità di un rapporto tra condotta materiale, diligenza richiesta
dall’ordinamento all’operatore (colpa) e gravità della lesione al bene tutelato.
Soprattutto, l’apparato sanzionatorio deve essere dissuasivo. Perché ciò si
verifichi appare decisivo che la condotta esigibile rientri nelle capacità tecni-
co-gestionali dell’impresa e risulti economicamente giustificata a seguito di
una analisi costi-benefici. Ora, che un sistema normativo nazionale, che pre-
veda una indistinta imputabilità tanto al fabbricante quanto al venditore al
dettaglio di violazioni di norme afferenti ad aspetti strettamente commerciali,
onerando quindi entrambi i soggetti dei relativi costi, possa razionalmente
porsi come effettivamente dissuasivo, resta una ipotesi tutta da dimostrare.
Alla luce di queste considerazioni, pur non dimenticando che la defini-
zione dei criteri di imputazione dei diversi tipi di responsabilità è riservata al
legislatore che si avvale del contributo giurisprudenziale, è il caso di segnala-
re che nell’ordinamento italiano e comunitario non mancano ipotesi di distri-
buzione dei rischi in base alle quali si tiene conto della "tasca" del soggetto
che, più degli altri, è in grado di gestirli. La concentrazione ovvero ripartizio-
ne della responsabilità in base a criteri elaborati dalla analisi economica del
diritto non è nuova nell’ordinamento comunitario e nemmeno ignota alla giu-
risprudenza della Corte40
.
40
In argomento, senza pretesa di completezza, si veda: A. CALABRESI, Costo degli incidenti,
efficienza e distribuzione della ricchezza: sui limiti dell’analisi economica del diritto, in Riv. crit.
dir. priv., 1985; A. VIOLANTE, Responsabilità oggettiva e causalità flessibile, Napoli, Edizioni
Scientifiche Italiane, 1999; G. CLERICO, Attività economica e rischio di danno. Come la struttura
del capitale e la priorità di rivalsa sul capitale sociale influenzano la precauzione dell’impresa, in
Riv. crit. dir. priv., 2000, p. 71-106, G. B. FERRI, Garanzia, rischio e responsabilità oggettiva, in
Riv. dir. comm., 2006, p. 867 ss.
692 Giurisprudenza
Un criterio non troppo dissimile si trova pure alla base del regolamento n.
178/2002/Ce secondo il quale le diverse «posizioni di garanzia» dei soggetti
operanti lungo la filiera sono individuate, come s’è detto, in ragione del «gra-
do di controllo» sul prodotto o, meglio, del controllo sulle condizioni di sicu-
rezza degli alimenti oggetto delle rispettive attività imprenditoriali.
Non a caso, forse, la direttiva n. 85/374/Cee era stata espressamente ri-
chiamata dal ricorso del giudice rimettente: la Corte ha trattato la disciplina
comunitaria per danno da prodotto difettoso strettamente valutandola, e, così
comprensibilmente negandola, come unica ipotesi di responsabilità del pro-
duttore-distributore senza considerarla, nemmeno come ipotesi di lavoro, co-
me espressione di un orientamento di ripartizione degli oneri connessi alla
produzione e commercio di beni industriali, sia pure con riferimento ai rischi
di responsabilità civile, penale o amministrativa.
Tale conclusione della Corte, per quanto tecnicamente fondata alla luce
delle distinzioni concettuali tra responsabilità civile e sanzioni afflittive, la-
scia però pendente una discrasia tra i sistemi di imputazione delle diverse re-
sponsabilità dell’impresa alimentare all’interno dei vari Stati membri, le qua-
li, pur connesse a «titoli» differenti, sempre più sono attratte dalla priorità di
tutela del consumatore, senza che questo porti ad una uniformità dei criteri di
ripartizione dei rischi giuridici connessi alle attività imprenditoriali di produ-
zione, movimentazione, certificazione e distribuzione dei prodotti.
Daniele Pisanello

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  • 1. LA DISCIPLINA IN MATERIA DI ETICHETTATURA DEI PRODOTTI ALIMENTARI À LA CROISÉE DES CHEMINS. COMMENTO ALLA SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA DEL 23 NOVEMBRE 2006 IN CAUSA N. C-315/05 Sommario: I. Premesse - II. Le questioni pregiudiziali e la decisione della Corte di giustizia: rilevanza della normativa nazionale in tema di disciplina sanzionatoria in ragione della parziale armonizzazione della direttiva n. 2000/13/Ce - III. Gli obiter dicta e il coordinamento della disciplina in tema di etichettatura con le disposizioni del regolamento n. 178/2002/Ce. I. Premesse La legislazione in materia di produzione e commercializzazione di pro- dotti alimentari nel mercato unico è stata oggetto negli ultimi anni di una pro- fonda opera di revisione sia dal punto di vista sostanziale, relativamente alle posizioni di garanzia proprie degli operatori economici, sia dal punto di vista formale, attraverso l’abrogazione delle numerose direttive verticali (di prodot- to) e la loro sostituzione con regolamenti, direttamente applicabili. Tale ri- forma ha perseguito come dichiarati obbiettivi di politica alimentare, la sem- plificazione delle numerose e minuziose disposizioni, in precedenza applica- bili, la concentrazione delle responsabilità sugli operatori alimentari e la "re- sponsabilizzazione" di questi ultimi1 . La legislazione alimentare persegue due funzioni generali: l’una di tutela della salute dei consumatori attraverso le norme igienico-sanitarie, l’altra avente ad oggetto la tutela degli interessi economici dell’acquirente finale (consuma- tore), affidata essenzialmente alle disposizioni sull’etichettatura, la pubblicità 1 Si veda «Libro Verde della Commissione sui principi generali della legislazione in materia ali- mentare nell’Unione europea», Doc. Com(1997)176 def. e «Libro Bianco sulla sicurezza alimenta- re» del 12 gennaio 2000, Doc. Com(1999)719 def. Su questi temi F. CAPELLI, Responsabilità degli operatori del settore alimentare, in questa Rivista, 2006, p. 391 e L. COSTATO, Principi di diritto alimentare, in Dir. e giur. agr. e dell’amb., 2002, p. 348. DIRITTO COMUNITARIO E DEGLI SCAMBI INTERNAZIONALI, FASC. 4/2006, PP. 677-692 © EDITORIALE SCIENTIFICA SRL
  • 2. 678 Giurisprudenza e, più in generale, la presentazione del prodotto2 . La fonte principale della legislazione alimentare è il regolamento n. 178/2002/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2002 «che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare»3 , integrato da una serie di normative con- tenute in altri atti legislativi, regolamenti, direttive e decisioni, di natura verti- cale concernenti le diverse categorie di prodotto4 . Tale regolamento, centrale nella legislazione alimentare, che ha lo scopo di «garantire un livello elevato di tutela della salute umana e degli interessi dei consumatori», contiene «i principi generali da applicare nella Comunità e a livello nazionale in materia di alimenti e mangimi in generale, e di sicurezza degli alimenti e dei mangimi in particolare» (art. 1, par. 1 e 2 del regolamento n. 178/2002/Ce). Devesi segnalare che, all’interno della legislazione alimentare5 , la disci- plina relativa alla etichettatura, presentazione e pubblicità dei prodotti alimen- 2 Sul punto F. CAPELLI, Responsabilità degli operatori, cit. supra, nota 1. 3 In Guce n. L 31 del 1° febbraio 2002, p. 1 ss. Per una prima lettura organica del regolamento v. AA.VV., La sicurezza alimentare nell’Unione europea (reg. n. 178/02/CE del Parlamento europeo e del Consiglio), in Nuove leggi civ. comm., 2003, nn. 1-2. Per una introduzione al diritto alimenta- re: V. PACILEO, II diritto degli alimenti, profili civili, penali e amministrativi, Padova, Cedam, 2003; F. CAPELLI - V. SILANO - B. KLAUS, Nuova disciplina del settore alimentare e Autorità euro- pea per la sicurezza alimentare, Milano, Giuffrè, 2006 e R. O’ROURKE, European Food Law, Lon- dra, Sweet and Maxwell, 2005. 4 Le disposizioni del regolamento n. 178/2002/Ce sugli obblighi generali di sicurezza sono sta- te implementate dal c.d. pacchetto igiene, un insieme di regolamenti e direttive in materia di igiene e relativi controlli. I principali atti costituenti il pacchetto igiene sono: regolamento n. 852/2004/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 «sull’igiene dei prodotti alimentari», in Gu-Ue n. L 226 del 25 giugno 2004, p. 3 ss.; regolamento n. 853/2004/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 «che stabilisce norme specifiche in materia d’igiene per gli ali- menti di origine animale», in Gu-Ue n. L 226 del 25 giugno 2004, p. 22 ss.; regolamento n. 854/2004/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 «che stabilisce norme spe- cifiche per l’organizzazione di controlli ufficiali sui prodotti di origine animale destinati al consu- mo umano», in Gu-Ue n. L 226 del 25 giugno 2004, p. 83 ss.; regolamento n. 882/2004/Ce del Par- lamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 «relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul be- nessere degli animali», in Gu-Ue n. L 191 del 28 maggio 2004, p. 1 ss. e la direttiva n. 2004/41/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 «che abroga alcune direttive recanti norme sull’igiene dei prodotti alimentari e le disposizioni sanitarie per la produzione e la commer- cializzazione di determinati prodotti di origine animale destinati al consumo umano e che modifica le direttive n. 89/662/Cee del Consiglio e n. 92/118/Cee e la decisione n. 95/408/Ce del Consiglio», in Gu-Ue n. L 195 del 2 giugno 2004, p. 12 ss. Esulando dall’oggetto del presente contributo, si omette la dettagliata elencazione dei restanti atti di attuazione, rinviando per approfondimenti a F. AVERSANO - V. PACILEO, Prodotti alimentari e legislazione, Bologna, Edagricole, 2006; M. ASTUTI - F. CASTOLDI, Pacchetto igiene, le nuove norme comunitarie, Lavis, II Sole 24 Ore, 2006; F. CAPELLI, La Direttiva "Killer", le norme di igiene e le sanzioni applicabili nel settore alimentare a partire dal 1° gennaio 2006, in Alimenta, 2006, n. 5, p. 100. 5 In base all’art. 3, n. 1. del regolamento n. 178/2002/Ce, la legislazione alimentare è l’insieme delle «leggi, regolamenti e disposizioni amministrative riguardanti gli alimenti in generale, e la sicurezza degli alimenti in particolare, sia nella Comunità che a livello nazionale» relativa a «tutte le fasi di produzione, trasformazione e distribuzione degli alimenti e anche dei mangimi prodotti per gli animali destinati alla produzione alimentare o ad essi somministrati».
  • 3. comunitaria 679 tari, è contenuta nella direttiva n. 2000/13/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio 20 marzo 2000, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti ali- mentari, nonché la relativa pubblicità6 , recepita dall’ordinamento italiano con dlgvo n. 109/927 . Sia la direttiva che il decreto di recepimento sono però formulati in chia- ve oggettiva, giacché le disposizioni ivi contenute evitano di indicare i desti- natari degli obblighi e delle relative sanzioni in tema di etichettatura dei pro- dotti alimentari «preconfezionati», prodotti cioè finiti, pronti per essere offerti in vendita tal quali al consumatore8 . Si deve inoltre sottolineare che la disciplina sanzionatoria per le violazio- ni del dlgvo n. 109/92 prevede principalmente l’irrogazione di sanzioni am- ministrative pecuniarie, soggette al procedimento di cui alla legge n. 689 del 24 novembre 1981 (Modifiche al sistema penale),9 in eventuale concorso con ipotesi di reato come la frode in commercio10 . Occorre poi precisare che 6 In Guce n. L 109 del 6 maggio 2000, p. 29 ss. più volte modificata. In argomento: L. COSTATO, Compendio di diritto alimentare, Padova, Cedam, 2002, p. 239 ss.; V. MAGLIO, La tra- sparenza dei prodotti alimentari: la funzione dell’etichettatura nella tutela del consumatore, in Contratto Impresa/Europa, 2001, p. 311 ss.; V. PACILEO, Il diritto degli alimenti, cit. supra, nota 3, p. 320-323 e R. O’ROURKE, European Food Law, cit. supra, nota 3, p. 55-74 e p. 129-138. 7 Dlgvo n. 109 del 27 gennaio 1992, «Attuazione delle direttive n. 89/395/Cee e n. 89/396/Cee concernenti l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari», in Guri n. 39 del 17 febbraio 1992, più volte modificato ed integrato. 8 Più precisamente per «prodotto alimentare in imballaggio preconfezionato» si intende «l’unità di vendita destinata ad essere presentata come tale al consumatore finale ed alle collettività, costi- tuita da un prodotto alimentare e dall’imballaggio in cui è stato confezionato prima di essere messo in vendita, avvolta interamente o in parte da tale imballaggio, ma comunque in modo che il conte- nuto non possa essere modificato senza che l’imballaggio sia aperto o alterato» (art. 1, par. 3, lett. b. direttiva n. 2000/13/Ce). Si osserva anche che nell’ordinamento italiano, in aggiunta alla nozione di prodotto «preconfezionato», esiste una diversa fattispecie: il prodotto alimentare «pre-incartato» definito dall’art. 2, 2° comma, lett. d. come «l’unità di vendita costituita da un prodotto alimentare e dall’involucro nel quale è stato posto o avvolto negli esercizi di vendita». Interessante, in tema di distinzioni tra le due categorie di prodotti alimentari, cui conseguono diversi obblighi di etichetta- tura, la decisione della Cassazione civile, sez. I, 13 settembre 2002 n. 13412 (Benoit Lheureux) se- condo cui «costituisce "prodotto alimentare preconfezionato" quello che corrisponde alle caratteri- stiche stabilite dalla disposizione dell’art. 1, comma 2, lett. b. del d.lg. n. 109 del 1992 senza che abbia rilievo qualsiasi riferimento al luogo di confezionamento. Ne consegue che tale prodotto, sia esso imballato all’interno dello stesso esercizio di vendita o in un luogo diverso, deve indicare in etichetta il termine minimo di conservazione con la conseguenza che, ai sensi delle lett. b. e d. del- la predetta disposizione normativa, la differenza tra prodotto alimentare "preconfezionato" e pro- dotto "preincartato" – per il primo dei quali soltanto esiste l’obbligo di indicazione del termine mi- nimo di conservazione – non va individuata in ragione del luogo in cui avviene l’imballaggio, ben- sì delle caratteristiche dell’imballaggio stesso». Sul tema, in senso critico rispetto alla giurispru- denza sviluppatasi sul punto: G. DE GIOVANNI, Le etichette dei prodotti alimentari, Bologna, Eda- gricole, 2004, p. 9 ss. 9 In Guri n. 329 del 30 novembre 1981. 10 La sussistenza di un rapporto di specialità tra il dlgvo n. 109/92 (art. 2) e l’art. 515 c.p. è sta- to escluso dalla Cassazione penale n. 16062 del 20 aprile 2001, in DVD JurisData. Sul tema delle frodi alimentari, V. PACILEO, Il diritto degli alimenti, cit. supra, nota 3, e C. CORRERA, La difesa del consumatore dalle frodi in commercio, Milano, Giuffrè, 2002. Per dovere di esposizione si pre- cisa che la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari può anche essere oggetto di un pro-
  • 4. 680 Giurisprudenza l’irrogazione di sanzioni amministrative, in quanto soggette ai principi gene- rali di cui alla legge n. 689/81, richiede la sussistenza della condotta materiale e – almeno – della «colpa», la cui insussistenza è onere dell’ingiunto dimo- strare. Con riferimento al contesto brevemente delineato, acquista ora rilievo la sentenza della Corte di giustizia del 23 novembre 2006 in causa n. C-315/05, Lidl Italia Srl c. Comune di Arcole (d’ora in avanti sentenza Lidl), che ha for- nito la risposta a due questioni pregiudiziali introdotte dal Giudice di pace di Monselice, adito ex legge n. 689/81 dal legale rappresentante della catena di- stributiva Lidl sanzionato per aver posto in vendita una bevanda alcolica de- nominata «amaro alle erbe», sulla cui etichetta era indicato un titolo alcolo- metrico volumico di 35% non corrispondente a quello effettivo (33,91%)11 . II. Le questioni pregiudiziali e la decisione della Corte di giustizia: rile- vanza della normativa nazionale in tema di disciplina sanzionatoria in ragione della parziale armonizzazione della direttiva n. 2000/13/Ce Le due questioni pregiudiziali formulate dal giudice remittente sono state le seguenti: 1. Se la direttiva n. 2000/13/Ce (...), per quanto riguarda i prodotti pre- confezionati di cui all’art. 1 della [detta] direttiva (...), debba essere interpre- tata nel senso che gli obblighi normativi in essa previsti, ed in particolare quelli di cui agli artt. 2, 3 e 12, debbano essere considerati imposti esclusiva- mente al produttore dell’alimento preconfezionato; 2. In caso di risposta affermativa al primo quesito, se gli artt. 2, 3 e 12 della direttiva n. 2000/13/Ce debbano essere interpretati nel senso che esclu- dono che il semplice distributore, situato all'interno di uno Stato membro, di un prodotto preconfezionato (come definito dall’art. 1 della direttiva n. 2000/13/Ce) da un operatore situato in uno Stato membro diverso dal primo - possa essere considerato responsabile di una violazione contestata da un’Au- torità pubblica, consistente nella differenza tra il valore (nella fattispecie tito- lo alcolometrico) indicato dal produttore sull’etichetta del prodotto alimentare preconfezionato e venga di conseguenza sanzionato anche se lo stesso (il semplice distributore) si limita a commercializzare il prodotto alimentare così come consegnato dal produttore dell’alimento stesso. cedimento da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato come pure dell’Autorità garante per le comunicazioni. 11 Ad avviso dello scrivente, il soggetto "ingannato" non sembra essere stato tanto il consuma- tore, acquirente di una bottiglia di amaro avente solo nominalmente un volume alcolimetrico del 35%, quanto il venditore finale probabilmente ignaro del mendacio, invero di rilevanza minima, dedotto in contestazione.
  • 5. comunitaria 681 La Corte, come già l’Avvocato Generale,12 non ha dubbi: «la direttiva n. 2000/13/Ce, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità, devono essere interpretati nel senso che non ostano ad una normativa di uno Stato membro, come quella controversa nella causa principale, che prevede la possibilità per un operatore, stabilito in tale Stato membro, che distribuisce una bevanda alcolica destinata ad essere consegnata come tale, ai sensi dell’art. 1 di detta direttiva, e prodotta da un operatore sta- bilito in un altro Stato membro, di essere considerato responsabile di una vio- lazione di detta normativa, constatata da una pubblica autorità, derivante dal- l’inesattezza del titolo alcolometrico volumico indicato dal produttore sull’e- tichetta di detto prodotto, e di subire conseguentemente una sanzione ammini- strativa pecuniaria, mentre esso si limita, nella sua qualità di semplice distri- butore, a commercializzare tale prodotto così come a lui consegnato da detto produttore». A questa conclusione la Corte è giunta in base ai consueti canoni inter- pretativi di una direttiva, secondo cui, ai fini dell’interpretazione di una nor- ma di diritto comunitario, si deve tener conto non soltanto del suo tenore let- terale, ma anche del sistema, del contesto della norma e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte. Orbene, dal tenore letterale della direttiva n. 2000/13/Ce non è dato evin- cere quale sia l’ambito soggettivo delle disposizioni in materia di etichettatu- ra, se cioè la responsabilità incomba esclusivamente sul fabbricante del pro- dotto finito («preconfezionato»), oppure anche su altri soggetti, in primis, il commerciante al dettaglio13 . Dovendo quindi allargare l’indagine anche al sistema, al contesto e alla ratio della disciplina, il testo della direttiva n. 2000/13/Ce, come pure la pre- vigente direttiva n. 79/112/Cee, contiene, come unici riferimenti potenzial- mente utilizzabili per la risoluzione delle questioni pregiudiziali poste: a. il considerando n. 6 secondo cui «qualsiasi regolamentazione relativa all’eti- chettatura dei prodotti alimentari deve essere fondata anzitutto sulla necessità di informare e tutelare i consumatori»; b. la definizione di prodotto alimentare pre-confezionato di cui all’art. 1, par. 3, lett. b.; c. l’art. 3, n. 1 punto 7 recante l’obbligo di menzionare in etichetta «il nome o la ragione sociale e l’indirizzo del fabbricante o del condizionatore o di un venditore stabilito nella Comunità». 12 Cfr. conclusioni dell’Avvocato Generale Christine Stix-Hackl presentate il 12 settembre 2006, disponibili sul sito istituzionale della Corte di giustizia. 13 Per commercio al dettaglio si intende «l’attività svolta da chiunque professionalmente acqui- sta merci in nome e per conto proprio e le rivende, su aree private in sede fissa o mediante altre forme di distribuzione, direttamente al consumatore finale» (cfr. art. 4, lett. b. del dlgvo 31 marzo 1998, n. 114 – «Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’art. 4, comma 4, della l. 15 marzo 1997, n. 59», in Guri n. 95 del 24 aprile 1998, suppl. ord.
  • 6. 682 Giurisprudenza Quest’ultima disposizione, secondo la giurisprudenza della Corte deve essere intesa come rispondente all’obiettivo principale di «consentire che i re- sponsabili del prodotto, tra i quali, oltre ai produttori e ai condizionatori, si trovano anche i venditori, siano facilmente identificabili dal consumatore fi- nale affinchè questi possa, se del caso, comunicare loro le sue critiche positi- ve o negative relative al prodotto acquistato»14 . Si aggiunga che questa disposizione, già presente nella precedente diret- tiva n. 79/112/Cee e così recepita dall’art. 3 del dpr n. 322 del 18 maggio 198215 , è stata interpretata dalla Corte di cassazione nel senso che «l’art. 3, lett. h., d.p.r. 18 maggio 1982 n. 322 - secondo il quale l’etichettatura dei prodotti alimentari deve indicare "la sede del fabbricante o del confezionatore o di un venditore stabilito nella Comunità economica europea" - va interpreta- to nel senso che la locuzione "stabilito nella Comunità" si riferisce al solo venditore»16 . A ben riflettere, dunque, la disposizione richiamata dalla Corte di giusti- zia riguarda un obbligo di informazione che nulla ha a che vedere con la re- sponsabilità per la relativa violazione, mirando piuttosto a rendere possibile, nell’interesse del consumatore, l’individuazione del soggetto civilmente re- sponsabile per eventuali vizi, difetti o difformità. Posta questa precisazione, si deve riconoscere che le sole categorie di ri- ferimento per la disposizione dell’art. 3, n. 1, punto 7 della direttiva n. 2000/13/Ce sono quelle della responsabilità civile di tipo contrattuale per vizi della cosa o di tipo extracontrattuale per danni del prodotto oggetto di scam- bio. Nel primo caso, la disposizione (nazionale) che impone l’indicazione del produttore o di un venditore stabilito nell’Unione europea, non è – come noto – elemento necessario per azionare la responsabilità per vizi ex art. 1494 c.c. Lo stesso dicasi per il secondo titolo di responsabilità, declinato nella fatti- specie dell’illecito aquiliano, mentre per le ipotesi di responsabilità per danno da prodotto difettoso, la disciplina, armonizzata a livello comunitario sin dal 198517 , prevede la responsabilità meramente sussidiaria e residuale del vendi- 14 Cfr. sentenza Lidl, punto 46. 15 Oggi sostituito dall’art. 3, lett. e., dlgvo n. 109/92. 16 Cfr. Cass. 22 aprile 1998, n. 4079, in Foro it., 1998, I, c. 2131. 17 Cfr. direttiva n. 85/374/Cee del Consiglio, del 25 luglio 1985, relativa al ravvicinamento del- le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di re- sponsabilità per danno da prodotti difettosi, in Guce n. L 210 del 7 agosto 1985, p. 29. Per il rece- pimento di tale direttiva nell’ordinamento italiano si veda il decreto del Presidente della Repubbli- ca n. 224 del 24 maggio 1988, «Attuazione della direttiva Cee numero 85/374 relativa al ravvici- namento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in mate- ria di responsabilità per danno da prodotti difettosi, ai sensi dell’art. 15 della legge 16 aprile 1987, n. 183», in Guri n. 146 del 23 giugno 1988. La disciplina della responsabilità per danno da prodot- to difettoso, modificata dal dlgvo n. 25 del 2 febbraio 2001, attuazione della direttiva n. 1999/34/Ce, è oggi confluita nel dlgvo n. 206 del 6 settembre 2005, «Codice del consumo, a norma dell’art. 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229», in Guri n. 235 dell’8 ottobre 2005, suppl. ord., sub Titolo II della Parte IV, artt. 114-127. In tema di responsabilità per danno da prodotto difettoso,
  • 7. comunitaria 683 tore per il caso che il produttore non sia individuato dal consumatore18 . Con la sentenza in rassegna, però, si è espressamente escluso qualsiasi margine di inter-relazione tra la direttiva n. 2000/13/Ce e la direttiva n. 85/374/Cee19 , ra- gione per la quale il richiamo dell’art. 3, n. 1, punto 7 della direttiva n. 2000/13/Ce perde valenza argomentativa ai fini della individuazione dei con- fini di responsabilità (sanzionata con pene amministrative) dei diversi opera- tori alimentari. E, infatti, il nucleo centrale della motivazione è fondato sul riconosci- mento che la direttiva n. 2000/13/Ce ha dato luogo ad un’armonizzazione in- completa per quanto attiene l’identificazione dei soggetti tenuti ad osservare gli obblighi di conformità e, conseguentemente, esposti al rischio delle san- zioni previste dall’ordinamento dello Stato membro nel quale le infrazioni vengono contestate. Da questo assunto, discende il ricorso a quella giurisprudenza della Corte di giustizia in base alla quale, se una materia non è disciplinata da una diretti- va comportante un’armonizzazione completa, gli Stati membri restano in li- nea di principio competenti a prescrivere norme in materia, purché le norme non siano tali da compromettere seriamente il risultato prescritto dalla diretti- va di cui trattasi20 . Posta in questi termini la fattispecie, è facile per la Corte sostenere che una normativa nazionale, come quella della causa principale, che può riferirsi, in caso di violazione di un obbligo in materia di etichettatura imposto dalla direttiva n. 2000/13/Ce, tanto alla responsabilità del produttore quanto a quel- la dei distributori, non è tale da pregiudicare il risultato perseguito da tale di- rettiva. Di più, questa normativa è giudicata dalla Corte come «manifestamen- te idonea» a contribuire al conseguimento dell’obbiettivo di informazione e di protezione del consumatore finale dei prodotti alimentari21 . Tale affermazione – in sé perentoria – può forse essere corretta osservan- do che i fattori funzionali al raggiungimento di uno scopo (idoneità all’ob- biettivo perseguito), cioè l’informazione del consumatore, non possono ridur- si esclusivamente ad un allargamento della cerchia dei soggetti obbligati a ga- senza pretesa di completezza, si veda: G. ALPA - M. BIN - P. CENDON, La responsabilità del produt- tore, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da F. Galgano, XIII, Padova, Cedam, 1989; F. GALGANO, Responsabilità del produttore, in Contratto e Impresa, 1986, p. 995 ss.; G. PONZANELLI, Estensione della responsabilità oggettiva anche all’agricoltore, all’allevatore, al pescatore e al cacciatore, in Danno e resp., 2001, p. 792. 18 Con sentenza del 10 gennaio 2006 in causa n. C-402/03, Skov e Bilka, in Raccolta, 2006, I, p. 199 la Corte di giustizia ha escluso che, in base alla armonizzazione avvenuta sul tema, una legi- slazione nazionale possa prevedere un autonomo titolo di responsabilità oggettiva in capo al distri- butore. 19 Cfr. sentenza Lidl, punti da 54 a 57. 20 Cfr. F. CAPELLI, Direttive di armonizzazione totale, direttive di armonizzazione parziale e direttive opzionali, in questa Rivista, 2000, p. 755. 21 Cfr. sentenza Lidl, punto 49 s.
  • 8. 684 Giurisprudenza rantire la conformità dei prodotti alle norme applicabili. Sul punto si tornerà più avanti, premendo qui porre la seguente precisazione: il giudice comunita- rio non si è pronunciato nel senso della indefettibilità della responsabilità dei distributori per le violazioni delle norme sull’etichettatura; ha, invece, stabili- to che considerare i distributori tra i soggetti responsabili per inottemperanze agli obblighi previsti non è astrattamente in contrasto con la direttiva n. 2000/13/Ce, alla luce dell’obbiettivo di tutela del consumatore. Tradotta negli schemi propri dell’ordinamento italiano, questa statuizione della Corte non innova quanto si può desumere de iure condito dal citato dlgvo n. 109/92 e dalla legge pure citata n. 689/81, secondo cui – come si ri- cava dall’interpretazione dell’autorità giudiziaria – deve escludersi l’esistenza di una responsabilità oggettiva, dovendosi al contrario ritenere imprescindibi- le, anche per l’irrogazione di sanzioni amministrative, l’elemento della colpa. III. Gli obiter dicta ed il coordinamento della disciplina in tema di eti- chettatura con le disposizioni del regolamento n. 178/2002/Ce Da quanto in precedenza chiarito, la quaestio iuris posta all’attenzione della Corte potrebbe essere considerata risolta. Ma il giudice comunitario ha avuto cura di completare la sua statuizione con un paio di riferimenti al rego- lamento n. 178/2002/Ce, sulla cui portata è opportuno soffermarsi. Con un primo obiter dictum22 , la Corte ritiene che il regolamento n. 178/2002/Ce non sia applicabile al caso di specie perché i fatti contestati nella causa principale sono stati compiuti prima dell’entrata in vigore degli artt. 1- 21 del regolamento stesso (1° gennaio 2005)23 . Da ciò dovrebbe quindi dedur- si che, secondo la Corte, se le disposizioni dei capi I e II del regolamento n. 178/2002/Ce fossero state applicabili alla fattispecie di causa, avrebbero con- tribuito alla soluzione delle questioni pregiudiziali in essa sollevate, anche se riguardanti la tutela degli interessi economici dell’acquirente-consumatore di prodotti alimentari. Dovrebbe trarsene, a rigore, un canone interpretativo secondo cui la norma- tiva in tema di etichettatura e, conseguentemente, la delimitazione degli obbli- ghi e delle responsabilità degli operatori alimentari in subiecta materia, deve essere coordinata con il sovra-ordinato regolamento n. 178/2002/Ce, recante i principi e gli obblighi generali della legislazione alimentare. Il ragionamento della Corte, per quanto non esplicitato dalla motivazione della sentenza, sembrerebbe basato sulla circostanza che, rientrando la disci- plina della etichettatura nella nozione di «legislazione alimentare», la stessa 22 Cfr. sentenza Lidl, punto 53. 23 Cfr. art. 65, comma 2° del regolamento n. 178/2002/Ce.
  • 9. comunitaria 685 sia soggetta ai principi generali ed ai requisiti specifici posti dal regolamento n. 178/2002/Ce. Ciò spiegherebbe il richiamo della Corte all’art. 17 del regolamento n. 178/2002/Ce per affermare che «risulta che spetta agli operatori del settore alimentare garantire che nelle imprese da essi controllate gli alimenti soddi- sfino le disposizioni della legislazione alimentare inerenti alle loro attività in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione e veri- ficare che tali disposizioni siano soddisfatte».24 La Corte, dopo questa puntua- lizzazione, non indugia, però, in altre precisazioni, né fornisce elementi utili per approfondire gli obblighi scaturenti dalla direttiva n. 2000/13/Ce e le re- sponsabilità connesse. Orbene, il collegamento tra la direttiva sulla etichettatura dei prodotti ali- mentari e il regolamento n. 178/2002/Ce è ricavabile dall’art. 1 di tale rego- lamento che, come già anticipato, fa rientrare nel suo campo di applicazione non solo la tutela della salute del consumatore ma anche quella dei suoi inte- ressi economici. Tuttavia, se è pacifico che la disciplina in tema di etichettatu- ra rientri nella nozione di legislazione alimentare, non è altrettanto pacifico che le regole sull’etichettatura dei prodotti alimentari e, soprattutto, le respon- sabilità connesse all’inosservanza di tali regole, siano interamente condizio- nate dal regolamento n. 178/2002/Ce. Invero, esaminando gli articoli sub capi I (artt. 1-3) e II (artt. 4-20), si no- ta subito che il regolamento n. 178/2002/Ce si occupa in via principale degli aspetti sanitari connessi alle operazioni di produzione e commercializzazione degli alimenti, prendendo in considerazione il tema della etichettatura solo in quanto questa influisce sulla sicurezza del consumo alimentare. L’art. 14 del regolamento n. 178/2002/Ce (requisiti di sicurezza degli a- limenti), nel delineare la nozione di alimento «a rischio», con l’indicazione degli obblighi di protezione posti a carico dell’operatore alimentare, fa riferi- mento anche alle «informazioni messe a disposizione del consumatore, com- prese le informazioni riportate sull’etichetta o altre informazioni generalmen- te accessibili al consumatore sul modo di evitare specifici effetti nocivi per la salute provocati da un alimento o categoria di alimenti»25 . Identica imposta- zione si trova all’art. 18 in tema di rintracciabilità ove si pone in essere un collegamento tra la funzione di rintracciabilità, che è uno strumento di gestio- ne della sicurezza alimentare, e l’etichettatura (par. 4). Ulteriore conferma si trae dalla lettura delle altre disposizioni in materia di sicurezza alimentare contenute, ad esempio, nel regolamento n. 2073/2005/Ce sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari26 24 Cfr. sentenza Lidl, punto 53. 25 Cfr. art. 14, par. 3 del regolamento n. 178/2002/Ce. 26 Cfr. regolamento n. 2073/2005/Ce della Commissione del 15 novembre 2005 sui criteri mi-
  • 10. 686 Giurisprudenza nella parte in cui si prevede l’obbligo della menzione di particolari avvertenze d’uso sulle confezioni di taluni alimenti soggetti naturaliter a contaminazione batteriologica. In particolare, al di fuori dell’ambito afferente alla tutela della salute del- la persona-consumatore, il regolamento n. 178/2002/Ce demanda la tutela de- gli interessi economici degli acquirenti-consumatori alla pertinente legisla- zione in materia di etichettatura, pubblicità e presentazione degli alimenti. In tal senso, expressis verbis, l’art. 16 del regolamento n. 178/2002/Ce stabilisce che «fatte salve disposizioni più specifiche della legislazione alimentare, l’eti- chettatura, la pubblicità e la presentazione degli alimenti o mangimi, compresi la loro forma, il loro aspetto o confezionamento, i materiali di confezio- namento usati, il modo in cui gli alimenti o mangimi sono disposti, il contesto in cui sono esposti e le informazioni rese disponibili su di essi attraverso qualsiasi mezzo, non devono trarre in inganno i consumatori»27 . Ad avviso dello scrivente, questa disposizione impedisce di ricondurre in via automatica l’interpretazione della direttiva n. 2000/13/Ce al regolamento sulla sicurezza alimentare, così come sembrerebbe emergere da una prima let- tura della sentenza in rassegna. La disposizione dell’art. 16 del regolamento n. 178/2002/Ce, infatti, malgrado una certa imprecisione, può essere ragione- volmente interpretata come una – peraltro legittima – separazione tra la disci- plina in tema di sicurezza alimentare e quella sull’etichettatura dei prodotti alimentari con riferimento agli aspetti strettamente commerciali. Questa interpretazione trova il conforto nella sentenza n. 401/1992 della Corte costituzionale italiana, secondo cui «Il decreto legislativo n. 109 del 1992 riordina, con normativa organica, l’intera materia della etichettatura, presentazione e pubblicità degli alimenti abrogando espressamente le prece- denti disposizioni. Lo scopo della nuova disciplina è quello della protezione del consumatore. Si tratta pertanto di normativa che solo di riflesso coinvolge gli aspetti relativi all’igiene e sanità degli alimenti, di competenza regionale, ma che attiene invece precipuamente alla materia del "commercio" di compe- tenza dello Stato»28 . Si osserva inoltre che un’altra disposizione del regolamento n. 178/2002/Ce regola i rapporti tra questo ed altre fonti comunitarie: l’art. 21 crobiologici applicabili ai prodotti alimentari, in Gu-Ue n. L 338 del 22 dicembre 2005, p. 1 e retti- fica in Gu-Ue n. L 278 del 10 ottobre 2006, p. 32. 27 Per dovere di esposizione si precisa che nella proposta iniziale della Commissione, tale di- sposizione si trovava sub art. 8 (Tutela degli interessi dei consumatori), quindi all’interno della se- zione 1 in materia di principi generali della legislazione alimentare. Durante l’iter legislativo inve- ce tale disposizione fu espunta dall’art. 8 per essere inserita in un autonomo articolo all’interno del- la sezione 4 (Requisiti generali della legislazione alimentare) del capo 2. 28 Cfr. Corte costituzionale, 26 ottobre 1992, n. 401 in DVD JurisData. Sul punto ampiamente V. PACILEO, Il diritto degli alimenti, cit. supra, nota 3 il quale ricorda anche che il dlgvo n. 109/92 fu emanato in forza dell’art. 45 della legge delega n. 428/90 in tema di tutela dei consumatori.
  • 11. comunitaria 687 stabilisce che gli artt. 4-20 del regolamento n. 178/2002/Ce si applicano «sen- za pregiudizio» della direttiva n. 85/374/Cee in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi. Dal raffronto tra questo articolo e la disposizione dell’art. 16 emerge certamente una differenza: l’art. 16 del regolamento n. 178/2002/Ce dispone il divieto di inganno per il consumatore, peraltro già previsto dalla direttiva n. 2000/13/Ce, facendo, però, salva la disciplina sul- l’etichettatura, mentre l’art. 21 del regolamento n. 178/2002/Ce si limita esclu- sivamente a lasciare impregiudicata l’applicazione della direttiva sulla re- sponsabilità da prodotto difettoso29 . Malgrado la segnalata differenza, tutta- via, resta il dato testuale dell’art. 16 del regolamento n. 178/2002/Ce che non autorizza a considerare l’interpretazione della disciplina sull’etichettatura dei prodotti alimentari come condizionata tout court dalle disposizioni del rego- lamento n. 178/2002/Ce. Da un altro angolo visuale si può anche osservare che l’affermazione in base alla quale, in tema di individuazione dei destinatari degli obblighi e sanzioni sull’etichettatura dei prodotti alimentari si possa ricorrere in sede interpretativa alle disposizioni del regolamento n. 178/2002/Ce, presenta elementi di contraddizione con l’assunto chiave della sentenza stessa, cioè il riconoscimento della parziale armonizzazione introdotta dalla direttiva n. 2000/13/Ce in fatto di determinazione dei soggetti sanzionabili. Approfondendo quanto appena esposto, si può sostenere che il confronto tra le due discipline normative, l’una in tema di etichettatura, l’altra in tema di sicurezza alimentare, non può portare ad una parificazione del final retailer con il produttore dell’alimento «preconfezionato». A tal riguardo, è agevole osservare che la legislazione alimentare solo in rarissimi casi impone i medesimi obblighi indistintamente su qualsivoglia o- peratore della filiera alimentare. Al contrario, un’indagine sulle norme di di- ritto alimentare, anche di recente adozione, dimostra come l’onere di ottem- peranza agli obblighi legali – conformità legale del prodotto alimentare, del processo produttivo e della organizzazione aziendale – sia ripartito tra i fab- bricanti o condizionatori del prodotto finito (preconfezionato), movimentato- ri, produttori di materie prime (agricole, solitamente esclusi) e distributori fi- nali in ragione delle «rispettive attività». A questo proposito, ad esempio, è un fatto che nonostante l’attuazione del regolamento n. 178/2002/Ce via pacchetto igiene, la produzione "prima- ria" (zootecnia inclusa) resti ancora beneficiaria di una "eccezione agricola" che la esenta sine die dal rispetto delle metodologie H.A.C.C.P.30 . Al capo 29 Cfr. F. ALBISINNI, in La sicurezza alimentare, sub art. 21, in Nuove leggi civ. comm., 2003, nn. 1-2, p. 284. 30 Hazard Analysis and Critical Control Points - Analisi di rischio e punti critici di controllo. La metodologia H.A.C.C.P. rappresenta un approccio di tipo preventivo, sistematico e documenta- to alla sicurezza alimentare attraverso il quale si procede sistematicamente ad un’analisi dei poten-
  • 12. 688 Giurisprudenza opposto della filiera (dove opera il fìnal retailer), non sono rare le disposizio- ni inserite agli allegati II e ss. del regolamento n. 852/2004/Ce (o anche del regolamento n. 853/2004/Ce) che espressamente esonerano il distributore da alcuni obblighi ivi previsti. Una segmentazione delle responsabilità per violazione della legislazione alimentare sembra dunque rientrare nel sistema del regolamento n. 178/2002/Ce. In primo luogo, la concentrazione in capo all’operatore privato di un oneroso, quanto ampio, obbligo di conformità, professata al conside- rando n. 30,31 è principio cui corrisponde quello della "auto-responsabilizza- zione": in tale contesto la garanzia del rispetto delle prescrizioni applicabili alla produzione e commercializzazione di generi alimentari non può essere con- fusa in una abnorme assegnazione di responsabilità non connessa a normali e "pertinenti" attività, sia pure esercitabili con elevati livelli di diligenza profes- sionale. A titolo esemplificativo si può fare riferimento alla disciplina degli ob- blighi di gestione della «crisi sanitaria» (fattispecie ben diversa da quella rela- tiva a una informazione «decettiva»): l’art. 19 del regolamento n. 178/2002/Ce diversifica l’ampiezza degli obblighi (ritiro-richiamo, notizia al- la autorità competente, informazione al consumatore) tra il fabbricante-condi- zionatore del prodotto finito da un lato, e l’operatore responsabile delle attivi- tà di vendita al dettaglio, dall’altro, in ragione di un fattore preciso: l’eserci- zio delle «rispettive attività». Di più, il regolamento, e così anche il dlgvo n. 190/2006 recante la disciplina sanzionatoria italiana32 , opera una distinzione all’interno delle attività svolte abitualmente dal distributore: più precisamen- te, in base all’art. 5 del dlgvo n. 190/2006, per quelle attività che non incido- ziali pericoli insiti nelle trasformazioni alimentari, identificando i punti di processo in cui i pericoli possono essere tenuti sotto controllo, consentendo così di definire quali di essi risultano determi- nanti per la salubrità dell’alimento e quindi a presidio della tutela della salute del consumatore. In argomento: Codex Alimentarius, Guidelines for application of the Hazard Analysis Critical Con- trol Point (HACCP), Alinorm, Rome, 1993; W.H.O. (World Health Organisation), Hazard Analysis Critical Control Point System, Concept and Application, doc. WHO/FNU/FOS/95.7, Rome, 1995 e, pure, European Commission, Health & Consumer Protection Directorate-General, Guidance do- cument on the implementation of procedures based on the HACCP principles, and on the facilita- tion of the implementation of the HACCP principles in certain food businesses, del 16 novembre 2005, disponibile sul sito della Direzione generale "SANCO" accessibile da: www.europea.eu. In merito alla rilevanza della standardizzazione del Codex sui commerci transnazionali: D. BEVILACQUA, The Codex Alimentarius Commission and its Influence on European and National Food Policy, in European Food and Feed Law, 2006, n. 1, p. 3. 31 In base al considerando n. 30, «gli operatori del settore alimentare sono in grado, meglio di chiunque altro, di elaborare sistemi sicuri per l’approvvigionamento alimentare e per garantire la sicurezza dei prodotti forniti; essi dovrebbero pertanto essere legalmente responsabili, in via prin- cipale, della sicurezza degli alimenti». 32 Dlgvo del 23 maggio 2006, n. 190, recante «Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni di cui al regolamento n. 178/2002/Ce che stabilisce i principi e i requisiti generali del- la legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare», in Guri n. 118 del 23 maggio 2006, p. 4. Sul punto D. PISANELLO, La disciplina sanzionatoria per la violazione degli obblighi generali di sicurezza ex art. 18, 19 e 20 del regolamento n. 178/2002, in Alimenta, n. 6/2006, p. 123 e nn. 7-8/2006, p. 147.
  • 13. comunitaria 689 no sul confezionamento, sull’etichettatura, sulla sicurezza o sull’integrità del- l’alimento e rispetto alle quali vige un regime di responsabilità limitato «entro i limiti delle rispettive attività», detti operatori devono «avviare procedure per ritirare dal mercato i prodotti non conformi ai requisiti di sicurezza alimentare e contribuire a garantire la sicurezza degli alimenti trasmettendo al riguardo le informazioni necessarie ai fini della loro rintracciabilità, collaborando agli in- terventi dei responsabili della produzione, della trasformazione e della lavo- razione e/o delle autorità competenti»33 . Malgrado tali precisi riferimenti, la sentenza della Corte, richiamato l’art. 17 del regolamento n. 178/2002/Ce, in forza del quale le imprese alimentari devono garantire la piena conformità dei prodotti alla legislazione alimentare, omette però di precisare i limiti delle conseguenti responsabilità per le ipotesi di mancata osservanza delle disposizioni in materia di etichettatura. Ponendo- si nella direzione tracciata dalla Corte, per cui occorre leggere la portata sog- gettiva degli obblighi in tema di etichettatura tenendo presente il regolamento n. 178/2002/Ce, è quindi opportuno chiedersi se il meccanismo di imputazio- ne-ripartizione degli oneri e responsabilità predisposto da questo regolamen- to, e rigorosamente ancorato all’elemento delle «rispettive attività», possa es- sere riferito anche alle fattispecie di violazione degli obblighi in base alla di- rettiva n. 2000/13/Ce. Per rispondere a questo quesito si può preliminarmente osservare che il ragionare in termini di «rispettive attività» ha una corrispondenza con il con- cetto della «diligenza esigibile» dall’operatore professionale ed è dunque af- ferente all’elemento della «colpa», concetto imprescindibile della responsabi- lità penale (o depenalizzata) in diritto italiano34 . Come si è detto l’ordinamento italiano, con il preminente ruolo assegnato all’elemento soggettivo, richiede in ogni caso la sussistenza della violazione di una norma di diligenza, perizia o prudenza ovvero di leggi o regolamenti, ordini o discipline (art. 43 cod. pen.). Ciò posto, la soluzione affermativa sembra la più corretta e consequen- ziale ai dati normativi pertinenti che peraltro sono già ampiamente presenti nella legislazione italiana: in aggiunta alle considerazioni già svolte, può esse- re utile richiamare il disposto dell’art. 19 della legge 30 aprile 1962 n. 283 sull’igiene degli alimenti35 secondo cui «le sanzioni previste dalla presente 33 È in considerazione di questa distinzione che, con riferimento ai due obblighi da ultimo cita- ti, il dlgvo n. 190/2006 prevede in capo al distributore finale specifiche sanzioni di importo signifi- cativamente inferiore rispetto a quelle comminate al produttore per la violazione dell’obbligo di ritiro (da 500 a 3.000 euro) e per la mancata attuazione «per quanto di competenza» degli interventi predisposti dai responsabili della produzione, della trasformazione e della lavorazione e dalle auto- rità competenti, ai fini del ritiro o richiamo degli alimenti o mangimi. 34 Nel caso di specie, si tratterà quindi di accertare la eventuale rimproverabilità della condotta tenuta dal dettagliante consistente nella omissione di un controllo su un prodotto quale quello pre- confezionato; controllo che, al massimo, potrà essere "a campione" e mai esigibile per tutti i lotti e tutte le partite di tutte le categorie di prodotti posti in vendita. 35 Legge 30 aprile 1962, n. 283, «Modifica degli artt. 242, 243, 247, 250 e 262 del t.u. delle
  • 14. 690 Giurisprudenza legge non si applicano al commerciante che vende, pone in vendita o comun- que distribuisce per il consumo prodotti in confezioni originali, qualora la non corrispondenza alle prescrizioni della legge stessa riguardi i requisiti intrinse- ci o la composizione dei prodotti o le condizioni interne dei recipienti e sem- pre che il commerciante non sia a conoscenza della violazione o la confezione originale non presenti segni di alterazione». In merito a questa disposizione è stato giustamente osservato che l’esonero da responsabilità è da ricollegare alla contraddizione che deriverebbe dal pretendere dal rivenditore controlli che comporterebbero, attraverso l’effrazione della chiusura di sicurezza, la manipolazione del prodotto, con perdita di quella garanzia igienica che solo la conservazione dell’alimento integro, nella trafila dal produttore al consumato- re, può assicurare.36 Ora, anche se la disciplina italiana ora richiamata attiene alla gestione della sicurezza igienico-sanitaria degli alimenti, la stessa mens legis sottesa alla scriminante dell’art. 19 l. n. 283/62 dovrebbe essere ritenuta applicabile, a fortiori ratione, ai casi di violazione delle disposizioni inerenti alla tutela degli interessi commerciali del consumatore di prodotti alimentari, quali quelle previste dal dlgvo n. 109/92. Più precisamente, se la non confor- mità alla legislazione in materia di etichettatura costituisce un vizio intrinseco e non percepibile dall’esterno, non si vede come possa concludersi nel senso di un addebito di responsabilità, per colpa, al distributore finale37 . Infine, l’affermazione in forza della quale la direttiva n. 2000/13/Ce deve essere letta alla luce del regolamento n. 178/2002/Ce, induce anche ad un ter- zo e più generale ordine di riflessioni. Posto che, stando alla sentenza qui in rassegna, il regolamento n. 178/2002/Ce è applicabile alle fattispecie disciplinate dalla direttiva n. 2000/13/Ce, si deve segnalare che ex art. 17, par. 5, del regolamento n. 178/2002/Ce «gli Stati membri determinano inoltre le misure e le sanzioni da applicare in caso di violazione della legislazione sugli alimenti e sui mangimi. Le misure e le sanzioni devono essere effettive, proporzionate e dissuasive»38 . La Corte non ha citato questa disposizione bensì ha richiamato la propria giu- risprudenza con riferimento all’art. 10 del Trattato Ce, secondo la quale le violazioni del diritto comunitario devono essere punite, sotto il profilo sostan- ziale e procedurale, con sanzioni effettive, proporzionali e dissuasive39 . leggi sanitarie approvato con r.d. 27 luglio 1934, n. 1265. Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande», in Guri n. 139 del 4 giugno 1962. 36 In questi termini V. PACILEO, Il diritto degli alimenti, cit. supra, nota 3, p. 507. 37 Cfr. F. CAPELLI, Responsabilità degli operatori, cit. supra, nota 1, p. 406. 38 Si veda anche art. 55, par. 1 regolamento n. 882/2004/Ce, cit. supra, nota 4, secondo cui «gli Stati membri stabiliscono le regole in materia di sanzioni applicabili in caso di violazione della normativa sui mangimi e sugli alimenti e di altre disposizioni comunitarie concernenti la tutela del- la salute e del benessere degli animali e prendono tutte le misure necessarie per assicurare che sia- no attuate. Le sanzioni previste devono essere effettive, proporzionate e dissuasive». 39 Cfr. sentenza Lidl, punto 58.
  • 15. comunitaria 691 Come già anticipato, la Corte ha ritenuto di valutare idonea alla tutela del consumatore una normativa nazionale che astrattamente assegni la stessa po- sizione di garanzia tra chi il prodotto lo immette finito verso il consumatore finale e chi professionalmente compra un prodotto finito per rivenderlo al consumatore. Volendo eludere il rischio di una mera petizione di principio, si deve ri- conoscere che appare logicamente inesatto ritenere che il semplice allarga- mento numerico dei soggetti obbligati, e quindi responsabili, possa conside- rarsi come strumento idoneo a rafforzare la tutela del consumatore. Sembre- rebbe, piuttosto, preferibile che la valutazione della idoneità allo scopo fosse affermata, più concretamente, prendendo in considerazione la sussistenza dei caratteri di dissuasività, proporzionalità ed efficacia che devono essere riferiti, più che alla sanzione in sé considerata, all’apparato sanzionatorio nazionale inteso come insieme coordinato di norme in tema di modalità di controllo, ac- certamento e sanzione dei diversi operatori alimentari. Si può poi riconoscere che il requisito della «proporzionalità» ripropone la imprescindibilità di un rapporto tra condotta materiale, diligenza richiesta dall’ordinamento all’operatore (colpa) e gravità della lesione al bene tutelato. Soprattutto, l’apparato sanzionatorio deve essere dissuasivo. Perché ciò si verifichi appare decisivo che la condotta esigibile rientri nelle capacità tecni- co-gestionali dell’impresa e risulti economicamente giustificata a seguito di una analisi costi-benefici. Ora, che un sistema normativo nazionale, che pre- veda una indistinta imputabilità tanto al fabbricante quanto al venditore al dettaglio di violazioni di norme afferenti ad aspetti strettamente commerciali, onerando quindi entrambi i soggetti dei relativi costi, possa razionalmente porsi come effettivamente dissuasivo, resta una ipotesi tutta da dimostrare. Alla luce di queste considerazioni, pur non dimenticando che la defini- zione dei criteri di imputazione dei diversi tipi di responsabilità è riservata al legislatore che si avvale del contributo giurisprudenziale, è il caso di segnala- re che nell’ordinamento italiano e comunitario non mancano ipotesi di distri- buzione dei rischi in base alle quali si tiene conto della "tasca" del soggetto che, più degli altri, è in grado di gestirli. La concentrazione ovvero ripartizio- ne della responsabilità in base a criteri elaborati dalla analisi economica del diritto non è nuova nell’ordinamento comunitario e nemmeno ignota alla giu- risprudenza della Corte40 . 40 In argomento, senza pretesa di completezza, si veda: A. CALABRESI, Costo degli incidenti, efficienza e distribuzione della ricchezza: sui limiti dell’analisi economica del diritto, in Riv. crit. dir. priv., 1985; A. VIOLANTE, Responsabilità oggettiva e causalità flessibile, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1999; G. CLERICO, Attività economica e rischio di danno. Come la struttura del capitale e la priorità di rivalsa sul capitale sociale influenzano la precauzione dell’impresa, in Riv. crit. dir. priv., 2000, p. 71-106, G. B. FERRI, Garanzia, rischio e responsabilità oggettiva, in Riv. dir. comm., 2006, p. 867 ss.
  • 16. 692 Giurisprudenza Un criterio non troppo dissimile si trova pure alla base del regolamento n. 178/2002/Ce secondo il quale le diverse «posizioni di garanzia» dei soggetti operanti lungo la filiera sono individuate, come s’è detto, in ragione del «gra- do di controllo» sul prodotto o, meglio, del controllo sulle condizioni di sicu- rezza degli alimenti oggetto delle rispettive attività imprenditoriali. Non a caso, forse, la direttiva n. 85/374/Cee era stata espressamente ri- chiamata dal ricorso del giudice rimettente: la Corte ha trattato la disciplina comunitaria per danno da prodotto difettoso strettamente valutandola, e, così comprensibilmente negandola, come unica ipotesi di responsabilità del pro- duttore-distributore senza considerarla, nemmeno come ipotesi di lavoro, co- me espressione di un orientamento di ripartizione degli oneri connessi alla produzione e commercio di beni industriali, sia pure con riferimento ai rischi di responsabilità civile, penale o amministrativa. Tale conclusione della Corte, per quanto tecnicamente fondata alla luce delle distinzioni concettuali tra responsabilità civile e sanzioni afflittive, la- scia però pendente una discrasia tra i sistemi di imputazione delle diverse re- sponsabilità dell’impresa alimentare all’interno dei vari Stati membri, le qua- li, pur connesse a «titoli» differenti, sempre più sono attratte dalla priorità di tutela del consumatore, senza che questo porti ad una uniformità dei criteri di ripartizione dei rischi giuridici connessi alle attività imprenditoriali di produ- zione, movimentazione, certificazione e distribuzione dei prodotti. Daniele Pisanello