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IL BAROCCO
ITALIA: CONTESTO STORICO

Nel XVII secolo l’Italia conobbe un periodo di profonda decadenza.

Nel XVII secolo iniziò l’ascesa a potenza mondiale della Spagna.
L’Inghilterra gradualmente conquistò il dominio dei mari del mondo.
In Francia si sviluppò l’assolutismo, che trovò, nella persona di Re Luigi XIV, il suo più
alto momento.

L’Italia è suddivisa in numerosi piccoli Stati, dei quali Milano e Napoli con la
Sicilia sono sottoposti direttamente alla corona spagnola.

Accanto, di rilievo internazionale sono soprattutto lo Stato della Chiesa, il
Granducato di Toscana, le repubbliche di Venezia e Genova, anche se lentamente
Firenze ed altri centri guida del Rinascimento perdono la loro importanza mentre Roma
consolida la sua posizione di metropoli dell’arte e della cultura.


Spagna, Francia e più tardi l’Austria asburgica cercarono ininterrottamente di attirare
questi Stati nella loro sfera di influenza.
Ma nel XVII secolo fu soprattutto l’influsso spagnolo che risulta prevalente nello sviluppo
politico, sociale e culturale dell’Italia.
La dominazione spagnola, oltre a portare ad un reale impoverimento economico della
penisola, ebbe i suoi riflessi anche sulla vita culturale degli italiani.
Questa situazione fu condizionata anche dall’oppressione che la Chiesa, impegnata
ancora nella sua azione controriformistica, esercitava a tutti i livelli.

Nel XVI secolo il Concilio di Trento (1545-1563) costituì il punto di partenza della
Controriforma, con la quale la Chiesa cattolica si prometteva di consolidare le
sue strutture e il suo potere.
Dopo il Concilio di Trento il potere ecclesiastico, con i Gesuiti in prima fila, condusse
una vera e propria crociata rivolta alla moralizzazione dei costumi, con una applicazione
così rigorosa delle ferree leggi, volute dalla Controriforma, da rasentare il fanatismo.

Tuttavia, nonostante il clima di oppressione culturale che investì gran parte dei paesi
europei, si registrò una notevole attività sia nel campo scientifico che in quello filosofico.


Figure come quella di Francesco Bacone in Inghilterra, di Renato Cartesio in Francia
e, non ultima, quella di Galileo Galeilei in Italia, contribuirono a creare le premesse di
quella mentalità critica che porterà alla cosiddetta età della Ragione e alla Rivoluzione
francese.


In questo secolo così complesso e controverso, si sviluppa nel campo dell’arte e
nell’architettura lo Stile Barocco, che darà un nuovo aspetto a tantissime città.

Nell’architettura barocca, ricca di decorazioni, sfarzosa e ridontante confluisce ovunque
tutta la cultura del tempo.



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Si è portati a parlare di libertà compositiva, in realtà si è trattato di una libertà molto
vincolata.
Per quanto riguardava i tipi edilizi, i progettisti barocchi non potevano, infatti, venir
meno a rigidi precetti, emanati dal Concilio di Trento, particolarmente nel campo
dell’architettura religiosa.

Nel XVII secolo si doveva sottostare al potere politico o a quello religioso: non si è più
al tempo del mecenatismo rinascimentale, quattrocentesco e cinquecentesco,
quando gli artisti, pur essendo alle dipendenze di un potente che lo proteggeva
e lo manteneva, aveva piena libertà di azione.

In questo stato di costrizione le uniche concessioni che venivano permesse ai progettisti
erano di carattere formale e decorativo per cui si ha una architettura che, se a prima
vista appare progettata in piena libertà, ad una analisi più approfondita si mostra per
quello che è: il risultato dell’imposizione di schemi precostituiti e di un ordine
rigorosamente imposto dalla classe dominante.

Gli architetti del Seicento non negano la continuità della tradizione classica: si
usano ancora gli ordini come elementi di linguaggio, ma di un linguaggio nuovo.

Lo scopo è di ampliare il patrimonio delle forme rinascimentali tramite radicali
innovazioni di metodo, capaci di dar vita ad una nuova cultura.


Cardine di questo processo innovativo è la nuova concezione dello SPAZIO, non più
inteso come un’entità uniforme, suddiviso da elementi architettonici disposti
geometricamente, ma inteso come un’entità plasmabile, modellabile dall’azione delle
forze più varie.

La connessione e la reciproca azione di spazio interno e spazio esterno, attraverso la
parete di separazione, diventa il nodo cruciale dell’architettura: da qui la preferenza
per le linee curve, per il dialogo di concavo e convesso, per i profili sinusoidali
delle facciate, per la disposizione obliqua degli elementi architettonici rispetto
al piano della facciata stessa.

Un dato stilistico del Barocco fu la linea curva.
In questo periodo, infatti, nulla era concepito e realizzato secondo linee rette, ma
sempre secondo linee sinuose.
Il Rinascimento aveva idealmente adottato come propria cifra stilistica il cerchio, che
appariva la figura geometrica più perfetta ed armoniosa. Altre linee curve erano
considerate irrazionali e bizzarre.
Il Barocco, invece, preferiva curvature più complesse, quali ellissi, parabole, iperboli,
spirali e così via.
E queste curve non erano mai esibite in modo esplicito, ma erano ulteriormente
complicate da intersezioni o sovrapposizioni, così da risultare a volte anche indecifrabili.


Grande importanza nell’esposizione dell’immagine architettonica è assunta dalla
decorazione, specie scultorea, per la sua capacità di mediare il passaggio fra la solidità
della massa muraria e la fluidità dello spazio atmosferico.

Si pone molta attenzione alla scelta dei materiali, delle grane, dei colori.
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Si sondano le possibilità espressive dell’accostamento di elementi architettonici con
quelli naturali, come l’acqua, che in questo secolo diventa elemento insostituibile nelle
progettazioni urbane ed extra-urbane.
Si sperimentano anche nuove tipologie, sperimentando schemi complessi, più
rispondenti alle nuove esigenze spaziali: nuove piante per gli edifici religiosi, mancanza
di corrispondenza tra interno ed esterno.


Come era successo precedentemente con altri Ordini religiosi o monastici, il Barocco
divenne lo stile architettonico dei Gesuiti, che esportarono questo stile anche
nelle loro missioni estere.
Ma divenne anche lo stile della Controriforma cattolica.

In campo europeo il Barocco ebbe notevole diffusione soprattutto nei paesi latini:
Portogallo e Spagna ebbero una adesione immediata, esportandolo anche nelle loro
colonie dell’America latina.
L’Europa centro-settentrionale, dalla Francia all’Austria, ebbero applicazioni dello stile
molto fantasiose e ricche.




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L’URBANISTICA
Il Barocco ebbe una particolare concezione degli spazi urbani e dell’urbanistica.
Le facciate degli edifici erano considerate come le quinte di uno spazio scenico, che
erano le vie e le piazze cittadine.

Anche in urbanistica furono bandite le geometrie regolari preferite dagli
architetti rinascimentali, che disegnavano città dalle forme perfette.

Ma soprattutto cambiò l’atteggiamento della tecnica di intervento urbano.

L’edificio rinascimentale aveva un principio di regolarità geometrica che doveva imporsi
sugli spazi circostanti, che dovevano loro adattarsi all’edificio, e non viceversa.

Gli architetti barocchi, invece, piuttosto che modificare gli spazi urbani in funzione
dell’edificio da progettare, preferirono adattare l’edificio al contesto, inserendolo
senza forzature eccessive.

Le città, in cui si trovarono ad operare sia gli architetti rinascimentali che barocchi, si
erano in larga parte formate e modificate nel Medioevo, secondo visioni quindi tutt’altro
che geometriche.

Le città, tranne parti ben limitate, avevano per lo più forme irregolari.

L’architetto barocco, senza nessuna pretesa di regolarizzare l’irregolare, sfruttò
anzi tale complessità morfologica per ottenere spazi urbani più mossi e ricchi di scorci
suggestivi.

Fu sulla base di questa posizione che in questo periodo fu attuato un vero e
proprio “rinnovo” urbano, che interessò facciate di palazzi, o interni di chiese,
che assunsero un aspetto decisamente barocco.

La nuova architettura aveva instaurato un nuovo rapporto tra edifici e spazi urbani.

Gli ambiti cittadini erano considerati alla stessa stregua di spazi teatrali, e i prospetti
degli edifici fungevano da quinte scenografiche.

Lo spazio urbano non è più soltanto quello delle strade e delle piazze: lo spazio interno
di una chiesa, dell’androne, del cortile o dello scalone di un palazzo non è meno
urbanistico per il fatto di essere chiuso invece che aperto. E’ anch’esso uno spazio
sociale, la vita della città circola anche in quegli spazi chiusi.

Dunque la facciata non è più una barriera ma un diaframma; non chiude o isola, ma
mette in comunicazione osmotica due entità spaziali, diverse per scale e entità
luminosa, ma di uguale interesse urbanistico e funzionale.

Questa comunicazione è manifestata attraverso la facciata essenzialmente in due modi,
spesso combinati tra loro:


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1. l’alternarsi dei corpi plastici emergenti (colonne, lesene, timpani, cornici) a nicchie e
   rincassi prospettici;
2. la flessione della superficie, con curvature contrapposte, concave o
   convesse.
Proprio per questa sua funzione mediatrice tra spazi interni ed esterni, la facciata non è
un elemento scenico, ma un organismo urbanistico essenziale: tende infatti ad
impiegare la spazialità urbana e a definirla non solo come tracciato o condizione
prospettica, ma come realtà plastica.
E’ proprio per mezzo della facciata che la massa articolata dell’edificio monumentale
diventa un nodo o un nucleo generatore del tessuto urbano.
ESEMPI
1.     Chiesa di Santa Maria della Pace a Roma, di Pietro da Cortona
2.     Chiesa di San Carlo alle quattro Fontane a Roma, di Francesco Borromini

Ma gli spazi urbani non si componevano più solo di edifici e piazze.
In essi adesso assumono un importante ruolo anche fontane, scalinate, monumenti
ed altro, che arricchiscono questi spazi di altre presenze significative, ed il Barocco
dedicò notevole attenzione a questi elementi di “arredo urbano”.

A Roma, notevoli esempi sono la Fontana di Trevi e la Scalinata di
Trinità dei Monti, per citare solo due tra gli esempi più noti.

Infine, la struttura della città barocca è costituita da “centri focali” (edifici monumentali
e piazze), da “fulcri”, collegati da strade diritte e regolari, dove i criteri prospettici
favoriscono il sorgere di uno stile internazionale dell’edilizia rappresentativa, che si
diffonde in tutte le corti europee.

La città barocca è policentrica: diventa un sistema di luoghi che interagiscono e
vivono in funzione di emergenze architettoniche forti.

Anche gli spazi interni entrano in simbiosi con lo spazio urbano; cadono divisioni
rigorose e gelosamente perseguite.
Tutto pare mettersi in moto nel vivo dei tessuti storici delle città e sulla storia urbana
passa uno dei momenti più intensi di trasformazione e di evoluzione.
Due città sono esemplari da questo punto di vista: Roma e Torino.

Roma, la città capitale, caput mundi, in quanto tale recepisce in anticipo ogni stimolo
all’innovazione; Torino, collocata a metà strada tra Roma e Parigi, capitale del Ducato
della Famiglia Savoia, elabora e realizza rapidamente le spinte nuove che riceve dai
modi barocchi e dalla forte presenza controriformista sostenuta dai suoi governatori.




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ROMA
Roma diventa città barocca per episodi monumentali, dove è costantemente
coinvolto l’organismo della chiesa e gli accessi ad esso, o gli ambiti che il
monumento stesso determina e coagula attorno a sé.


A Roma l’unità di misura della città rinascimentale fu distrutta una volta per sempre. Al
posto della città stellare circoscritta, cinta da mura, si delineò durante i cinque anni di
regno di Sisto V un’evoluzione di grande importanza.
A Roma furono tracciate per la prima volta, e realizzate con sicurezza assoluta, le linee
della rete fondamentale del traffico di una città moderna.

Infatti, alla fine del 1500, Sisto V, con l’aiuto di Domenico Fontana, diede avvio ad uno
dei più grandi ed incisivi interventi nel tessuto storico di Roma, trasformando
energicamente il disagevole centro medievale di Roma.

L’assunto era quello di collegare con ampie e rettilinee strade dei punti della città
significativi sotto il punto di vista religioso, prevalentemente per consentire ai pellegrini
che affluivano sempre numerosi di visitare le grandi opere sacre della Roma cattolica.

Comincia con questa grande operazione a organizzarsi la rete, la trama, entro cui la
città situa le sue emergenze fra loro interagenti, e viene applicato il concetto proprio
dell’architettura barocca: quello di essere funzionale all’assetto urbano.


ESEMPI
    1. Sistemazione del Tridente di Piazza del Popolo (Carlo Rainaldi – Bernini –
       Domenico Fontana):
Il Tridente costituiva l’ingresso a Roma da nord con 3 vie: Via Ripetta, Via Lata o Del
Corso, Via del Babuino, che partendo da Piazza del Popolo portano al centro di Roma.

    Qui a metà del Seicento l’architetto Carlo Rainaldi, in collaborazione con
    l’ingegnere Domenico Fontana e con Gianlorenzo Bernini realizzano un
    intervento per risolvere l’innesto del tridente viario che ha per asse il Corso e forma
    l’ossatura di una vasta parte del tessuto stradale di Roma.
Nel Tridente Carlo Rainaldi colloca due chiese (Chiesa di Santa Maria di Montesanto, a
sinistra, e Chiesa di Santa Maria dei Miracoli, a destra) che fungono da testata
simmetrica (o quasi) alle tre strade in partenza da Piazza del Popolo e segnano
il loro inizio.

Le due chiese fungono da Propilei all’ingresso della città.
Dimensioni differenti dei rispettivi terreni determinano forme diverse per i due
organismi, ma la attenta considerazione delle prospettive visive riesce ad occultare
queste anomalie, riducendo i due interventi a fatti simili funzionali alla visione del
grande insieme.

La Piazza del Popolo, invece, venne sistemata nel secondo decennio dell’Ottocento da
Giuseppe Valadier, rappresentando uno degli esempi più significativi di urbanistica
neoclassica settecentesca.

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2. BASILICA e Piazza San Pietro a Roma (Bernini)

La costruzione di San Pietro fu iniziata sotto Papa Giulio II, nel 1506, e si concluse nel 1612,
regnante Papa Paolo V. Si tratta in realtà di una ricostruzione, dato che nello stesso sito, prima
dell'attuale basilica, ne sorgeva un'altra risalente al IV secolo, fatta costruire dall'imperatore
Costantino nel luogo in cui sorgeva il circo di Nerone e dove la tradizione vuole che San Pietro,
uno degli apostoli di Gesù Cristo e primo Papa del Cristianesimo, fosse stato sepolto.


La basilica originaria era stata ripetutamente abbellita nel corso dei secoli, anche con opere di
Giotto, fin quando, a metà del XV secolo, Nicolò V decise di avviarne una sostanziale
ristrutturazione dopo un furioso incendio che (casualmente o no) distrusse buona parte della
costruzione. Con la morte di quest'ultimo i lavori si interruppero e vennero ripresi da Giulio II
che ne affidò la direzione al Bramante, il quale demolì gran parte della vecchia basilica,
progettandone una nuova a pianta centrale.


La superficie complessiva della basilica è di 22.067 mq, è lunga 186 metri, il portico è largo 71
metri, alto 20, la facciata della basilica è larga 114.69 m ed alta 47.3 m. All’interno la navata
centrale è lunga 26 metri, alta 46.1 m, il transetto è lungo 154.8 m.


La cupola è alta 136 metri e ha un diametro di 42.56 m.


L’edificio può contenere, si calcola, 80.000 persone.


La basilica ospita quella che secondo la tradizione cristiana e la recente ricerca archeologica è la
tomba di San Pietro, posta sotto l'altare principale, che è coperto da un baldacchino sorretto da
quattro immensi pilastri, tutti disegnati dal Bernini. Il baldacchino fu costruito prelevando su
ordine di papa Urbano VIII il bronzo delle tegole e del rivestimento del pronao del Pantheon.
Anche altri Papi sono sepolti nella basilica.


La basilica è in sé un'opera d'arte, ma è anche composta da diversi elementi artistici di
autonomo valore.


I primi interventi di restauro avvennero durante il pontificato di Niccolò V°, che su consiglio
dell’architetto Leon Battista Alberti, decise il rifacimento e l’ampliamento della zona absidale,
incaricando nel 1454 Bernardo Rossellino, [1409-1464] collaboratore dell’Alberti e famoso per
aver ristrutturato l’urbanistica del borgo di Corsigliano [Pienza] per il pontefice Pio II°. Nel 1455
morto il papa il cantiere venne sospeso e ripreso sotto Paolo II° ma a decidere la ricostruzione
della basilica fu successivamente Giulio II°. I lavori di ampliamento incominciarono il 18 aprile
1506 e vennero affidati a Donato Bramante. Sia il pontefice che l’architetto morirono poco dopo

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l’inizio del restauro e per dirigere il progetto venne chiamato Raffaello che si avvalse della
collaborazione di Giuliano da Sangallo. Impegnati in diversi periodi per la realizzazione di altre
opere, i due architetti si alternarono alla guida del restauro con Baldassarre Peruzzi e
Michelangelo che impostarono però il progetto in un altro modo, poiché avvenne un vero e
proprio scontro di pensiero e di stile, tra una pianta a croce greca, sostenuta da Michelangelo,
Baldassarre Peruzzi e lo stesso Bramante, e una pianta a croce latina, teorizzata da Raffaello e
Antonio Sangallo il Giovane. Alla morte di tutti i contendenti intervenne Paolo V°, imponendo la
croce latina, rielaborazione che fu affidata a Carlo Maderno. La basilica fu completata nel 1614,
consacrata e aperta al culto il 18 novembre 1626.


Molti famosi artisti lavorarono alla "Fabbrica di San Pietro". Dopo la morte del Bramante iniziò a
lavorarvi Raffaello Sanzio, che modificò l'originaria pianta a croce greca in una a croce latina.
Michelangelo, che servì come capo architetto per un certo periodo dopo Raffaello, riportò la
pianta a croce greca ed eseguì il disegnò della cupola. L'opera fu completata da Carlo Maderno,
che tornò di nuovo alla pianta a croce latina (stavolta su espresso ordine del Papa).


L’interno è suddiviso in tre navate scandite da altissime lesene corinzie addossate ai pilastri.
Nella prima cappella della navata destra, la famosa Pietà, la sublime scultura di Michelangelo
eseguita appena ventitreenne, nel 1499, per il cardinale francese Jean de Bilhères de Lagraulas.


All'interno trovano posto centinaia di statue in marmo, travertino, stucco e bronzo. Tra i
monumenti funebri ne troviamo uno del Bernini e uno di Antonio Canova. (Subito dopo il
transetto destro il monumento di Clemente XIII°, [1784-92] celebre opera di Antonio Canova.)


Celebre è la scultura di Michelangelo "La Pietà".


La Facciata della Basilica di San Pietro come è visibile oggi è opera di Carlo Maderno, misura
119 metri di larghezza e 44 di altezza; è arricchita ai lati da due grandi orologi opera di
Giuseppe Valadier del 1795 e voluti da Pio VI.

Nel centro della facciata, si apre la Loggia delle Benedizioni ed è proprio da questo magnifico
“balcone” che vengono annunciati i nuovi papi e da cui viene impartita la prima benedizione
“Urbi et Orbi” dell’eletto.
Un bassorilievo di Ambrogio Bonvicino adorna la porta principale “Gesù che consegna le chiavi a
San Pietro”.
Cinque porte immettono nella Basilica e l’ultima a destra è la porta santa che si apre solo in
occasione dei giubilei. La prima volta venne aperta per il giubileo del 1423 ed il suo transito
significa la purificazione del peccato verso la grazia; essa è opera dello scultore Vico Consorti
che la donò a Papa Pio XII, effigiato nell’ultima delle sedici formelle che la compongono.
Alla sinistra si può vedere la Bolla di Bonifacio VIII con la quale venne indetto il primo giubileo
nel 1300.
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Artisticamente San Pietro rappresenta il trionfo del barocco romano, in auge proprio nel
momento in cui la Chiesa, stato politicamente centrale nella storia europea, avvertiva il crescere
del prestigio e della potenza degli stati nazionali di Francia e Spagna. La sontuosità
architettonica e la ridondanza decorativa, già proprie dei canoni del barocco, ben rispondevano
all'esigenza della Curia di rappresentarsi con una sperabilmente inarrivabile magnificenza.

La basilica venne finalmente consacrata nel 1626 da Urbano VIII.

La sistemazione della piazza (1656 - 67) è dovuta a Gian Lorenzo Bernini (1598 - 1680), che
realizza qui la sua opera più importante. Lo spazio è suddiviso in due parti: la prima a forma di
trapezio rovescio con il lato maggiore lungo la facciata, la seconda di forma ellittica con
l'imponente colonnato dorico sormontato da una robusta architrave. Nel progetto berniniano
compariva uno spicchio centrale ("il nobile interrompimento") in prosecuzione del colonnato,
che, se realizzato, avrebbe nascosto la piazza e la basilica rispetto alla veduta frontale.

La cupola di San Pietro, ultima grande opera di Michelangelo, ha un diametro di circa 43
metri ed è impostata su quattro arcate che poggiano su quattro piloni di 71 metri di
perimetro.
Quando l'artista morì era già stato alzato il tamburo sul quale si aprono 16 finestre.
Fu Giacomo della Porta a portare a termine il lavoro con la costruzione della calotta, alzandola di
circa 10 metri rispetto al progetto di Michelangelo e facendole perdere la forma rotondeggiante
prevista dal progetto originale.
La cupola di S. Pietro ha lo stesso diametro di quella del Brunelleschi (42 m), quasi quanto il
Pantheon (che però è un tempio ipetro, cioè con apertura in alto).
L'altezza da terra è di oltre 136 metri. Successivamente furono realizzati i mosaici su cartoni del
Cavalier D'Arpino.


La cupola è comunque un'invenzione di Michelangelo: la calotta è a doppio guscio, divisa da
nervature in sedici spicchi; alla morte dell'artista l'opera fu terminata da Giacomo Della Porta e
Domenico    Fontana,   mentre    il   Vignola   aggiunse   le   due   cupole   laterali   con   funzione
semplicemente decorativa.


Il primo tratto della cupola che sostiene la maggior parte della spinta è a calotta unica e
massiccia; ad un terzo circa partono due calotte sottili e di uguale spessore (circa un metro nella
realtà) entrambe portanti e legate, "contraffortate", da speroni interni che si fermano a metà
altezza.


Solo il tamburo rispecchia il progetto di Michelangelo.
La cupola è un'invenzione di Michelangelo Buonarroti: la calotta è a doppio guscio, divisa da
nervature in 16 spicchi; alla morte dell'artista l'opera fu terminata da Giacomo Della Porta e
Domenico    Fontana,   mentre    il   Vignola   aggiunse   le   due   cupole   laterali   con   funzione
semplicemente decorativa.
La cupola michelangiolesca è impostata su un alto tamburo con grandi finestre che si aprono tra
coppie di colonne binate fortemente sporgenti. Le coppie di colonne binate creano una sorta di
ruota dentata che suggerisce un moto rotatorio mentre, contemporaneamente, i costoloni con la
loro tensione spingono in alto la lanterna.
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Come "intellettuale" Giacomo della Porta è inferiore a quasi tutti, ma "è essenzialmente un
tecnico di capacità strepitose" e inoltre "in grado di gestire magistralmente il cantiere". Del
progetto della cupola michelangiolesca, teme, "a ragione", la leggerezza e l'indipendenza delle
due calotte, che insomma la cupola sia "troppo poco rigida". Giacomo allora rinforza la calotta
interna che considera portante e alleggerisce quella esterna di copertura e le salda "con 16
poderosi speroni di mattoni con legature in travertino". Per contenere le spinte "si cura
soprattutto di cerchiare la cupola con tre robuste catene". E anche i tempi di costruzione della
cupola vera e propria sono straordinari: meno di 16 mesi (dal l° febbraio 1589 al maggio 1590).
Bellini ci ricorda che Brunelleschi finì la cupola di Santa Maria del Fiore, certo rivoluzionaria, in
16 anni. Le idee di Della Porta, "anche grazie ai consolidamenti settecenteschi, si dimostreranno
felici". La cupola "immensa e luminosa" è ancora lì, "oggettivamente da considerarsi il maggiore
exploit dell'intera arte muraria occidentale".




Michelangelo aveva già 71 anni quando gli fu affidato, da Papa Paolo III Farnese, il compito di
portare a termine la Basilica di S. Pietro con il progetto della cupola, ma nonostante l’età
avanzata si lanciò nell’impresa con grande entusiasmo. Per i papi aveva già realizzato opere
straordinarie come la Cappella Sistina, e la Pietà e la sepoltura di Giulio II. Gli fu data carta
bianca, come venne scritto nella nomina ufficiale. Famosissimo è il modello di legno della
cupola che Michelangelo fece realizzare. E’ alto 5 m e largo 4. Lo costruì per timore che dopo la
sua morte, ormai era molto vecchio, qualcuno alterasse il progetto. Quando pensiamo ad
un’opera di Michelangelo, pensiamo alla Cappella Sistina, al Davide, alla Pietà. Ma realizzò anche
capolavori come questo modello, qui mise le sue mani e qui si materializzò la sua intuizione.
Infatti aveva intuito che proprio la cupola dovesse diventare il vero simbolo della Basilica e un
riferimento per tutta la Cristianità. Ma come costruire qualcosa di così imponente?

Fino ad allora nella Storia dell’architettura italiana erano emerse per imponenza e genialità solo
due altre cupole: il Pantheon, costruito dagli antichi romani quasi 2000 anni fa. La sua cupola
non è fatta di muratura ma è un blocco unico compatto, realizzato con una sapiente colata di
calcestruzzo che diventa con l’altezza sempre più leggera e fine. Fermandosi al famoso oculus,
oltre il quale la volta crollerebbe. E poi c’è la cupola di Santa Maria del Fiore, a Firenze. Uno
straordinario capolavoro realizzato dal Brunelleschi, grazie ad un ingegnoso sistema di mattoni
di forma asimmetrica le cui file tengono ancora oggi unita e compatta la cupola interna.
Michelangelo si ispirò proprio a quest’ultima cupola. Ma volle che la sua fosse ancora più grande.
E per realizzarla sfruttò due soluzioni ingegnose: la prima sono i costoloni che si vedono
esternamente. Sono come delle travi ricurve che fanno stare su tutta la cupola da quasi 5 secoli.

Il secondo segreto della cupola è la doppia calotta. Vedete, c’è una calotta dentro l’altra, con un
intercapedine. Perché fare una doppia calotta? E’ una soluzione geniale: la parte interna è la
struttura portante, sorregge il tutto. Quella esterna invece è di protezione: infatti il caldo e il
freddo del clima provocano la dilatazione o il restringimento della copertura di piombo, come
accade nei grandi capannoni industriali. E se oggi la cupola è ancor in piedi lo dobbiamo a questi
due piccoli segreti.

A questo proposito, il modello ligneo della cupola ebbe un uso imprevisto che neanche
Michelangelo avrebbe immaginato.

Quando nel 1700 cominciarono a delinearsi sulla cupola vera delle pericolose crepe, venne
riunita una commissione di esperti per valutare il da farsi.

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E questo modello suggerì le soluzioni. Infatti vennero dipinte tutte le crepe e si capì dove
mettere rinforzi e le cerchiature di ferro.

Michelangelo purtroppo morì prima che la cupola fosse finita. Si era arrivati solo al piano del
tamburo di base. Era il 1564. Bisognò aspettare 20 anni prima che qualcuno riprendesse la sua
costruzione. E si può perfino vedere l’aspetto curioso della Basilica in alcune stampe d’epoca,
senza la sua cupola.

A continuare i lavori fu Giacomo della Porta. Il quale però modificò il progetto.

Michelangelo aveva previsto una cupola simile ad una semisfera con un arco a tutto sesto.

Della Porta, forse per paura che "spanciasse" come si dice in gergo, ridusse la curvatura, fece la
cupola più stretta e più slanciata, accentuando la sua verticalità. E immerse nella muratura delle
fasce di ferro che cingevano la cupola alla sua base, un pò come una fascia attorno alla testa.

In meno di 2 anni completò la cupola contro i dieci pronosticati. Nel cantiere lavorarono 800
operai, giorno e notte.

I numeri furono da capogiro: per costruire un’armatura di sostegno in legno si utilizzarono ben
100 mila travi e intere foreste furono tagliate nell’Alto Lazio e nell’Umbria. Ci vollero 1500
quintali di canapi per le corde, altri 1000 di ferro per le staffe, le spranghe ecc… E poi milioni di
mattoni, ognuno controllato dalla Fabbrica di San Pietro, per la qualità dell’argilla, il giusto grado
di cottura ecc. Fu proprio questa Istituzione infatti che curò la realizzazione della Basilica e che
tutt’oggi ha ancora il delicato compito della sua tutela.

Il risultato finale fu un cupola di 14 mila tonnellate.

Infine nel 1593 si posizionò la lanterna con le sue doppie colonne, la copertura di piombo e poco
dopo la sfera di bronzo con la croce, una croce che si trova a 133 metri.



   3. PIAZZA DEL CAMPIDOGLIO a Roma (BORROMINI)


La sistemazione di Piazza del Campidoglio è un’esemplare opera d’urbanistica.
Piazza del Campidoglio, cuore di Roma, che nell’Urbe antica era stata sede del Tempio di Giove
capitolino, non disponeva di grande spazio, ma Michelangelo sa abilmente sfruttarne le possibilità.
Innanzitutto sposta l’orientamento del complesso, che prima era verso i Fori, dunque verso la Roma
antica.
Egli vuole che il nuovo centro sia rivolto alla città stessa, a quella moderna a lui contemporanea.
Sul pavimento disegna un motivo a quadrangoli curveggianti iscritto in un ovale.
Al centro pone la statua equestre di Marco Aurelio, ritenuta in periodo medievale quella di
Costantino.
Sullo sfondo collega il Palazzo Senatorio, come in una sorta di scenografia, all’ambiente circostante
con il doppio scalone d’ingresso, ai lati innalza i due palazzi gemelli dei Musei Capitolini e dei
Conservatori, leggermente divergenti come i lati di un trapezio per creare l’illusione ottica di una
maggiore ampiezza e profondità.

                                                                                                      11
I grandi complessi paesistici

Parallelamente alle trasformazioni urbane, sorgono in epoca barocca le residenze suburbane dei
sovrani, di cui Versailles (1668 in poi) costituisce il prototipo e l'esempio più grandioso.

In questi imponenti complessi, dove l'architettura si esercita a scala paesistica, il paesaggio è
concepito come uno spazio «infinito», ordinato secondo schemi geometrici lungo un asse
longitudinale predominante, centrato sull'edificio che rappresenta il fuoco prospettico del
sistema.


Il palazzo di Versailles - costruito dal Le Vau e ingrandito da Hardouin-Mansart secondo uno
schema ripetitivo    che lo    caratterizza   più come    elemento    paesistico   che come    opera
d'architettura in sé - è inserito nel giardino progettato da Le Nòtre con grande impiego di
prospettive aperte, viali rettilinei colleganti sistemi secondari con altri edifici, specchi d'acqua,
elementi architettonici e naturali.


Questa moltiplicazione di prospettive all'infinito, in un sistema rigidamente ordinato (quasi un
universo ideale) eppure aperto e dinamico, costituisce la caratteristica dei giardini "alla
francese".


Sull'esempio di Versailles vengono costruite soprattutto nel Settecento le residenze degli altri
sovrani europei: Schònbrunn presso Vienna, Charlottenburg presso Berlino, Nymphenburg
presso Monaco, Sans-souci presso Potsdam, Aranjuez presso Madrid, e così via.


In Italia troviamo
   1. la Residenza di Stupinigi presso Torino (1729), originale opera dello Juvarra, sorta
      originariamente come casino di caccia per Vittorio Amedeo II di Savoia;


   2. e sorprattutto la Reggia di Caserta (1752 in poi), realizzata dal Vanvitelli per Carlo
      III di Borbone e destinata a divenire il centro di quella che sarebbe stata la nuova
      capitale del regno. Anche se il progetto urbanistico non fu realizzato, il grandioso palazzo
      ed il parco con la prospettiva assiale impostata verso monte rimangono a testimoniare
      l'ampiezza dell'impegno e la fedeltà ai principi compositivi ormai consolidati nella
      tradizione europea.




                                                                                                  12

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32. Il Seicento - Il Barocco - Caratteri generali

  • 1. IL BAROCCO ITALIA: CONTESTO STORICO Nel XVII secolo l’Italia conobbe un periodo di profonda decadenza. Nel XVII secolo iniziò l’ascesa a potenza mondiale della Spagna. L’Inghilterra gradualmente conquistò il dominio dei mari del mondo. In Francia si sviluppò l’assolutismo, che trovò, nella persona di Re Luigi XIV, il suo più alto momento. L’Italia è suddivisa in numerosi piccoli Stati, dei quali Milano e Napoli con la Sicilia sono sottoposti direttamente alla corona spagnola. Accanto, di rilievo internazionale sono soprattutto lo Stato della Chiesa, il Granducato di Toscana, le repubbliche di Venezia e Genova, anche se lentamente Firenze ed altri centri guida del Rinascimento perdono la loro importanza mentre Roma consolida la sua posizione di metropoli dell’arte e della cultura. Spagna, Francia e più tardi l’Austria asburgica cercarono ininterrottamente di attirare questi Stati nella loro sfera di influenza. Ma nel XVII secolo fu soprattutto l’influsso spagnolo che risulta prevalente nello sviluppo politico, sociale e culturale dell’Italia. La dominazione spagnola, oltre a portare ad un reale impoverimento economico della penisola, ebbe i suoi riflessi anche sulla vita culturale degli italiani. Questa situazione fu condizionata anche dall’oppressione che la Chiesa, impegnata ancora nella sua azione controriformistica, esercitava a tutti i livelli. Nel XVI secolo il Concilio di Trento (1545-1563) costituì il punto di partenza della Controriforma, con la quale la Chiesa cattolica si prometteva di consolidare le sue strutture e il suo potere. Dopo il Concilio di Trento il potere ecclesiastico, con i Gesuiti in prima fila, condusse una vera e propria crociata rivolta alla moralizzazione dei costumi, con una applicazione così rigorosa delle ferree leggi, volute dalla Controriforma, da rasentare il fanatismo. Tuttavia, nonostante il clima di oppressione culturale che investì gran parte dei paesi europei, si registrò una notevole attività sia nel campo scientifico che in quello filosofico. Figure come quella di Francesco Bacone in Inghilterra, di Renato Cartesio in Francia e, non ultima, quella di Galileo Galeilei in Italia, contribuirono a creare le premesse di quella mentalità critica che porterà alla cosiddetta età della Ragione e alla Rivoluzione francese. In questo secolo così complesso e controverso, si sviluppa nel campo dell’arte e nell’architettura lo Stile Barocco, che darà un nuovo aspetto a tantissime città. Nell’architettura barocca, ricca di decorazioni, sfarzosa e ridontante confluisce ovunque tutta la cultura del tempo. 1
  • 2. Si è portati a parlare di libertà compositiva, in realtà si è trattato di una libertà molto vincolata. Per quanto riguardava i tipi edilizi, i progettisti barocchi non potevano, infatti, venir meno a rigidi precetti, emanati dal Concilio di Trento, particolarmente nel campo dell’architettura religiosa. Nel XVII secolo si doveva sottostare al potere politico o a quello religioso: non si è più al tempo del mecenatismo rinascimentale, quattrocentesco e cinquecentesco, quando gli artisti, pur essendo alle dipendenze di un potente che lo proteggeva e lo manteneva, aveva piena libertà di azione. In questo stato di costrizione le uniche concessioni che venivano permesse ai progettisti erano di carattere formale e decorativo per cui si ha una architettura che, se a prima vista appare progettata in piena libertà, ad una analisi più approfondita si mostra per quello che è: il risultato dell’imposizione di schemi precostituiti e di un ordine rigorosamente imposto dalla classe dominante. Gli architetti del Seicento non negano la continuità della tradizione classica: si usano ancora gli ordini come elementi di linguaggio, ma di un linguaggio nuovo. Lo scopo è di ampliare il patrimonio delle forme rinascimentali tramite radicali innovazioni di metodo, capaci di dar vita ad una nuova cultura. Cardine di questo processo innovativo è la nuova concezione dello SPAZIO, non più inteso come un’entità uniforme, suddiviso da elementi architettonici disposti geometricamente, ma inteso come un’entità plasmabile, modellabile dall’azione delle forze più varie. La connessione e la reciproca azione di spazio interno e spazio esterno, attraverso la parete di separazione, diventa il nodo cruciale dell’architettura: da qui la preferenza per le linee curve, per il dialogo di concavo e convesso, per i profili sinusoidali delle facciate, per la disposizione obliqua degli elementi architettonici rispetto al piano della facciata stessa. Un dato stilistico del Barocco fu la linea curva. In questo periodo, infatti, nulla era concepito e realizzato secondo linee rette, ma sempre secondo linee sinuose. Il Rinascimento aveva idealmente adottato come propria cifra stilistica il cerchio, che appariva la figura geometrica più perfetta ed armoniosa. Altre linee curve erano considerate irrazionali e bizzarre. Il Barocco, invece, preferiva curvature più complesse, quali ellissi, parabole, iperboli, spirali e così via. E queste curve non erano mai esibite in modo esplicito, ma erano ulteriormente complicate da intersezioni o sovrapposizioni, così da risultare a volte anche indecifrabili. Grande importanza nell’esposizione dell’immagine architettonica è assunta dalla decorazione, specie scultorea, per la sua capacità di mediare il passaggio fra la solidità della massa muraria e la fluidità dello spazio atmosferico. Si pone molta attenzione alla scelta dei materiali, delle grane, dei colori. 2
  • 3. Si sondano le possibilità espressive dell’accostamento di elementi architettonici con quelli naturali, come l’acqua, che in questo secolo diventa elemento insostituibile nelle progettazioni urbane ed extra-urbane. Si sperimentano anche nuove tipologie, sperimentando schemi complessi, più rispondenti alle nuove esigenze spaziali: nuove piante per gli edifici religiosi, mancanza di corrispondenza tra interno ed esterno. Come era successo precedentemente con altri Ordini religiosi o monastici, il Barocco divenne lo stile architettonico dei Gesuiti, che esportarono questo stile anche nelle loro missioni estere. Ma divenne anche lo stile della Controriforma cattolica. In campo europeo il Barocco ebbe notevole diffusione soprattutto nei paesi latini: Portogallo e Spagna ebbero una adesione immediata, esportandolo anche nelle loro colonie dell’America latina. L’Europa centro-settentrionale, dalla Francia all’Austria, ebbero applicazioni dello stile molto fantasiose e ricche. 3
  • 4. L’URBANISTICA Il Barocco ebbe una particolare concezione degli spazi urbani e dell’urbanistica. Le facciate degli edifici erano considerate come le quinte di uno spazio scenico, che erano le vie e le piazze cittadine. Anche in urbanistica furono bandite le geometrie regolari preferite dagli architetti rinascimentali, che disegnavano città dalle forme perfette. Ma soprattutto cambiò l’atteggiamento della tecnica di intervento urbano. L’edificio rinascimentale aveva un principio di regolarità geometrica che doveva imporsi sugli spazi circostanti, che dovevano loro adattarsi all’edificio, e non viceversa. Gli architetti barocchi, invece, piuttosto che modificare gli spazi urbani in funzione dell’edificio da progettare, preferirono adattare l’edificio al contesto, inserendolo senza forzature eccessive. Le città, in cui si trovarono ad operare sia gli architetti rinascimentali che barocchi, si erano in larga parte formate e modificate nel Medioevo, secondo visioni quindi tutt’altro che geometriche. Le città, tranne parti ben limitate, avevano per lo più forme irregolari. L’architetto barocco, senza nessuna pretesa di regolarizzare l’irregolare, sfruttò anzi tale complessità morfologica per ottenere spazi urbani più mossi e ricchi di scorci suggestivi. Fu sulla base di questa posizione che in questo periodo fu attuato un vero e proprio “rinnovo” urbano, che interessò facciate di palazzi, o interni di chiese, che assunsero un aspetto decisamente barocco. La nuova architettura aveva instaurato un nuovo rapporto tra edifici e spazi urbani. Gli ambiti cittadini erano considerati alla stessa stregua di spazi teatrali, e i prospetti degli edifici fungevano da quinte scenografiche. Lo spazio urbano non è più soltanto quello delle strade e delle piazze: lo spazio interno di una chiesa, dell’androne, del cortile o dello scalone di un palazzo non è meno urbanistico per il fatto di essere chiuso invece che aperto. E’ anch’esso uno spazio sociale, la vita della città circola anche in quegli spazi chiusi. Dunque la facciata non è più una barriera ma un diaframma; non chiude o isola, ma mette in comunicazione osmotica due entità spaziali, diverse per scale e entità luminosa, ma di uguale interesse urbanistico e funzionale. Questa comunicazione è manifestata attraverso la facciata essenzialmente in due modi, spesso combinati tra loro: 4
  • 5. 1. l’alternarsi dei corpi plastici emergenti (colonne, lesene, timpani, cornici) a nicchie e rincassi prospettici; 2. la flessione della superficie, con curvature contrapposte, concave o convesse. Proprio per questa sua funzione mediatrice tra spazi interni ed esterni, la facciata non è un elemento scenico, ma un organismo urbanistico essenziale: tende infatti ad impiegare la spazialità urbana e a definirla non solo come tracciato o condizione prospettica, ma come realtà plastica. E’ proprio per mezzo della facciata che la massa articolata dell’edificio monumentale diventa un nodo o un nucleo generatore del tessuto urbano. ESEMPI 1. Chiesa di Santa Maria della Pace a Roma, di Pietro da Cortona 2. Chiesa di San Carlo alle quattro Fontane a Roma, di Francesco Borromini Ma gli spazi urbani non si componevano più solo di edifici e piazze. In essi adesso assumono un importante ruolo anche fontane, scalinate, monumenti ed altro, che arricchiscono questi spazi di altre presenze significative, ed il Barocco dedicò notevole attenzione a questi elementi di “arredo urbano”. A Roma, notevoli esempi sono la Fontana di Trevi e la Scalinata di Trinità dei Monti, per citare solo due tra gli esempi più noti. Infine, la struttura della città barocca è costituita da “centri focali” (edifici monumentali e piazze), da “fulcri”, collegati da strade diritte e regolari, dove i criteri prospettici favoriscono il sorgere di uno stile internazionale dell’edilizia rappresentativa, che si diffonde in tutte le corti europee. La città barocca è policentrica: diventa un sistema di luoghi che interagiscono e vivono in funzione di emergenze architettoniche forti. Anche gli spazi interni entrano in simbiosi con lo spazio urbano; cadono divisioni rigorose e gelosamente perseguite. Tutto pare mettersi in moto nel vivo dei tessuti storici delle città e sulla storia urbana passa uno dei momenti più intensi di trasformazione e di evoluzione. Due città sono esemplari da questo punto di vista: Roma e Torino. Roma, la città capitale, caput mundi, in quanto tale recepisce in anticipo ogni stimolo all’innovazione; Torino, collocata a metà strada tra Roma e Parigi, capitale del Ducato della Famiglia Savoia, elabora e realizza rapidamente le spinte nuove che riceve dai modi barocchi e dalla forte presenza controriformista sostenuta dai suoi governatori. 5
  • 6. ROMA Roma diventa città barocca per episodi monumentali, dove è costantemente coinvolto l’organismo della chiesa e gli accessi ad esso, o gli ambiti che il monumento stesso determina e coagula attorno a sé. A Roma l’unità di misura della città rinascimentale fu distrutta una volta per sempre. Al posto della città stellare circoscritta, cinta da mura, si delineò durante i cinque anni di regno di Sisto V un’evoluzione di grande importanza. A Roma furono tracciate per la prima volta, e realizzate con sicurezza assoluta, le linee della rete fondamentale del traffico di una città moderna. Infatti, alla fine del 1500, Sisto V, con l’aiuto di Domenico Fontana, diede avvio ad uno dei più grandi ed incisivi interventi nel tessuto storico di Roma, trasformando energicamente il disagevole centro medievale di Roma. L’assunto era quello di collegare con ampie e rettilinee strade dei punti della città significativi sotto il punto di vista religioso, prevalentemente per consentire ai pellegrini che affluivano sempre numerosi di visitare le grandi opere sacre della Roma cattolica. Comincia con questa grande operazione a organizzarsi la rete, la trama, entro cui la città situa le sue emergenze fra loro interagenti, e viene applicato il concetto proprio dell’architettura barocca: quello di essere funzionale all’assetto urbano. ESEMPI 1. Sistemazione del Tridente di Piazza del Popolo (Carlo Rainaldi – Bernini – Domenico Fontana): Il Tridente costituiva l’ingresso a Roma da nord con 3 vie: Via Ripetta, Via Lata o Del Corso, Via del Babuino, che partendo da Piazza del Popolo portano al centro di Roma. Qui a metà del Seicento l’architetto Carlo Rainaldi, in collaborazione con l’ingegnere Domenico Fontana e con Gianlorenzo Bernini realizzano un intervento per risolvere l’innesto del tridente viario che ha per asse il Corso e forma l’ossatura di una vasta parte del tessuto stradale di Roma. Nel Tridente Carlo Rainaldi colloca due chiese (Chiesa di Santa Maria di Montesanto, a sinistra, e Chiesa di Santa Maria dei Miracoli, a destra) che fungono da testata simmetrica (o quasi) alle tre strade in partenza da Piazza del Popolo e segnano il loro inizio. Le due chiese fungono da Propilei all’ingresso della città. Dimensioni differenti dei rispettivi terreni determinano forme diverse per i due organismi, ma la attenta considerazione delle prospettive visive riesce ad occultare queste anomalie, riducendo i due interventi a fatti simili funzionali alla visione del grande insieme. La Piazza del Popolo, invece, venne sistemata nel secondo decennio dell’Ottocento da Giuseppe Valadier, rappresentando uno degli esempi più significativi di urbanistica neoclassica settecentesca. 6
  • 7. 2. BASILICA e Piazza San Pietro a Roma (Bernini) La costruzione di San Pietro fu iniziata sotto Papa Giulio II, nel 1506, e si concluse nel 1612, regnante Papa Paolo V. Si tratta in realtà di una ricostruzione, dato che nello stesso sito, prima dell'attuale basilica, ne sorgeva un'altra risalente al IV secolo, fatta costruire dall'imperatore Costantino nel luogo in cui sorgeva il circo di Nerone e dove la tradizione vuole che San Pietro, uno degli apostoli di Gesù Cristo e primo Papa del Cristianesimo, fosse stato sepolto. La basilica originaria era stata ripetutamente abbellita nel corso dei secoli, anche con opere di Giotto, fin quando, a metà del XV secolo, Nicolò V decise di avviarne una sostanziale ristrutturazione dopo un furioso incendio che (casualmente o no) distrusse buona parte della costruzione. Con la morte di quest'ultimo i lavori si interruppero e vennero ripresi da Giulio II che ne affidò la direzione al Bramante, il quale demolì gran parte della vecchia basilica, progettandone una nuova a pianta centrale. La superficie complessiva della basilica è di 22.067 mq, è lunga 186 metri, il portico è largo 71 metri, alto 20, la facciata della basilica è larga 114.69 m ed alta 47.3 m. All’interno la navata centrale è lunga 26 metri, alta 46.1 m, il transetto è lungo 154.8 m. La cupola è alta 136 metri e ha un diametro di 42.56 m. L’edificio può contenere, si calcola, 80.000 persone. La basilica ospita quella che secondo la tradizione cristiana e la recente ricerca archeologica è la tomba di San Pietro, posta sotto l'altare principale, che è coperto da un baldacchino sorretto da quattro immensi pilastri, tutti disegnati dal Bernini. Il baldacchino fu costruito prelevando su ordine di papa Urbano VIII il bronzo delle tegole e del rivestimento del pronao del Pantheon. Anche altri Papi sono sepolti nella basilica. La basilica è in sé un'opera d'arte, ma è anche composta da diversi elementi artistici di autonomo valore. I primi interventi di restauro avvennero durante il pontificato di Niccolò V°, che su consiglio dell’architetto Leon Battista Alberti, decise il rifacimento e l’ampliamento della zona absidale, incaricando nel 1454 Bernardo Rossellino, [1409-1464] collaboratore dell’Alberti e famoso per aver ristrutturato l’urbanistica del borgo di Corsigliano [Pienza] per il pontefice Pio II°. Nel 1455 morto il papa il cantiere venne sospeso e ripreso sotto Paolo II° ma a decidere la ricostruzione della basilica fu successivamente Giulio II°. I lavori di ampliamento incominciarono il 18 aprile 1506 e vennero affidati a Donato Bramante. Sia il pontefice che l’architetto morirono poco dopo 7
  • 8. l’inizio del restauro e per dirigere il progetto venne chiamato Raffaello che si avvalse della collaborazione di Giuliano da Sangallo. Impegnati in diversi periodi per la realizzazione di altre opere, i due architetti si alternarono alla guida del restauro con Baldassarre Peruzzi e Michelangelo che impostarono però il progetto in un altro modo, poiché avvenne un vero e proprio scontro di pensiero e di stile, tra una pianta a croce greca, sostenuta da Michelangelo, Baldassarre Peruzzi e lo stesso Bramante, e una pianta a croce latina, teorizzata da Raffaello e Antonio Sangallo il Giovane. Alla morte di tutti i contendenti intervenne Paolo V°, imponendo la croce latina, rielaborazione che fu affidata a Carlo Maderno. La basilica fu completata nel 1614, consacrata e aperta al culto il 18 novembre 1626. Molti famosi artisti lavorarono alla "Fabbrica di San Pietro". Dopo la morte del Bramante iniziò a lavorarvi Raffaello Sanzio, che modificò l'originaria pianta a croce greca in una a croce latina. Michelangelo, che servì come capo architetto per un certo periodo dopo Raffaello, riportò la pianta a croce greca ed eseguì il disegnò della cupola. L'opera fu completata da Carlo Maderno, che tornò di nuovo alla pianta a croce latina (stavolta su espresso ordine del Papa). L’interno è suddiviso in tre navate scandite da altissime lesene corinzie addossate ai pilastri. Nella prima cappella della navata destra, la famosa Pietà, la sublime scultura di Michelangelo eseguita appena ventitreenne, nel 1499, per il cardinale francese Jean de Bilhères de Lagraulas. All'interno trovano posto centinaia di statue in marmo, travertino, stucco e bronzo. Tra i monumenti funebri ne troviamo uno del Bernini e uno di Antonio Canova. (Subito dopo il transetto destro il monumento di Clemente XIII°, [1784-92] celebre opera di Antonio Canova.) Celebre è la scultura di Michelangelo "La Pietà". La Facciata della Basilica di San Pietro come è visibile oggi è opera di Carlo Maderno, misura 119 metri di larghezza e 44 di altezza; è arricchita ai lati da due grandi orologi opera di Giuseppe Valadier del 1795 e voluti da Pio VI. Nel centro della facciata, si apre la Loggia delle Benedizioni ed è proprio da questo magnifico “balcone” che vengono annunciati i nuovi papi e da cui viene impartita la prima benedizione “Urbi et Orbi” dell’eletto. Un bassorilievo di Ambrogio Bonvicino adorna la porta principale “Gesù che consegna le chiavi a San Pietro”. Cinque porte immettono nella Basilica e l’ultima a destra è la porta santa che si apre solo in occasione dei giubilei. La prima volta venne aperta per il giubileo del 1423 ed il suo transito significa la purificazione del peccato verso la grazia; essa è opera dello scultore Vico Consorti che la donò a Papa Pio XII, effigiato nell’ultima delle sedici formelle che la compongono. Alla sinistra si può vedere la Bolla di Bonifacio VIII con la quale venne indetto il primo giubileo nel 1300. 8
  • 9. Artisticamente San Pietro rappresenta il trionfo del barocco romano, in auge proprio nel momento in cui la Chiesa, stato politicamente centrale nella storia europea, avvertiva il crescere del prestigio e della potenza degli stati nazionali di Francia e Spagna. La sontuosità architettonica e la ridondanza decorativa, già proprie dei canoni del barocco, ben rispondevano all'esigenza della Curia di rappresentarsi con una sperabilmente inarrivabile magnificenza. La basilica venne finalmente consacrata nel 1626 da Urbano VIII. La sistemazione della piazza (1656 - 67) è dovuta a Gian Lorenzo Bernini (1598 - 1680), che realizza qui la sua opera più importante. Lo spazio è suddiviso in due parti: la prima a forma di trapezio rovescio con il lato maggiore lungo la facciata, la seconda di forma ellittica con l'imponente colonnato dorico sormontato da una robusta architrave. Nel progetto berniniano compariva uno spicchio centrale ("il nobile interrompimento") in prosecuzione del colonnato, che, se realizzato, avrebbe nascosto la piazza e la basilica rispetto alla veduta frontale. La cupola di San Pietro, ultima grande opera di Michelangelo, ha un diametro di circa 43 metri ed è impostata su quattro arcate che poggiano su quattro piloni di 71 metri di perimetro. Quando l'artista morì era già stato alzato il tamburo sul quale si aprono 16 finestre. Fu Giacomo della Porta a portare a termine il lavoro con la costruzione della calotta, alzandola di circa 10 metri rispetto al progetto di Michelangelo e facendole perdere la forma rotondeggiante prevista dal progetto originale. La cupola di S. Pietro ha lo stesso diametro di quella del Brunelleschi (42 m), quasi quanto il Pantheon (che però è un tempio ipetro, cioè con apertura in alto). L'altezza da terra è di oltre 136 metri. Successivamente furono realizzati i mosaici su cartoni del Cavalier D'Arpino. La cupola è comunque un'invenzione di Michelangelo: la calotta è a doppio guscio, divisa da nervature in sedici spicchi; alla morte dell'artista l'opera fu terminata da Giacomo Della Porta e Domenico Fontana, mentre il Vignola aggiunse le due cupole laterali con funzione semplicemente decorativa. Il primo tratto della cupola che sostiene la maggior parte della spinta è a calotta unica e massiccia; ad un terzo circa partono due calotte sottili e di uguale spessore (circa un metro nella realtà) entrambe portanti e legate, "contraffortate", da speroni interni che si fermano a metà altezza. Solo il tamburo rispecchia il progetto di Michelangelo. La cupola è un'invenzione di Michelangelo Buonarroti: la calotta è a doppio guscio, divisa da nervature in 16 spicchi; alla morte dell'artista l'opera fu terminata da Giacomo Della Porta e Domenico Fontana, mentre il Vignola aggiunse le due cupole laterali con funzione semplicemente decorativa. La cupola michelangiolesca è impostata su un alto tamburo con grandi finestre che si aprono tra coppie di colonne binate fortemente sporgenti. Le coppie di colonne binate creano una sorta di ruota dentata che suggerisce un moto rotatorio mentre, contemporaneamente, i costoloni con la loro tensione spingono in alto la lanterna. 9
  • 10. Come "intellettuale" Giacomo della Porta è inferiore a quasi tutti, ma "è essenzialmente un tecnico di capacità strepitose" e inoltre "in grado di gestire magistralmente il cantiere". Del progetto della cupola michelangiolesca, teme, "a ragione", la leggerezza e l'indipendenza delle due calotte, che insomma la cupola sia "troppo poco rigida". Giacomo allora rinforza la calotta interna che considera portante e alleggerisce quella esterna di copertura e le salda "con 16 poderosi speroni di mattoni con legature in travertino". Per contenere le spinte "si cura soprattutto di cerchiare la cupola con tre robuste catene". E anche i tempi di costruzione della cupola vera e propria sono straordinari: meno di 16 mesi (dal l° febbraio 1589 al maggio 1590). Bellini ci ricorda che Brunelleschi finì la cupola di Santa Maria del Fiore, certo rivoluzionaria, in 16 anni. Le idee di Della Porta, "anche grazie ai consolidamenti settecenteschi, si dimostreranno felici". La cupola "immensa e luminosa" è ancora lì, "oggettivamente da considerarsi il maggiore exploit dell'intera arte muraria occidentale". Michelangelo aveva già 71 anni quando gli fu affidato, da Papa Paolo III Farnese, il compito di portare a termine la Basilica di S. Pietro con il progetto della cupola, ma nonostante l’età avanzata si lanciò nell’impresa con grande entusiasmo. Per i papi aveva già realizzato opere straordinarie come la Cappella Sistina, e la Pietà e la sepoltura di Giulio II. Gli fu data carta bianca, come venne scritto nella nomina ufficiale. Famosissimo è il modello di legno della cupola che Michelangelo fece realizzare. E’ alto 5 m e largo 4. Lo costruì per timore che dopo la sua morte, ormai era molto vecchio, qualcuno alterasse il progetto. Quando pensiamo ad un’opera di Michelangelo, pensiamo alla Cappella Sistina, al Davide, alla Pietà. Ma realizzò anche capolavori come questo modello, qui mise le sue mani e qui si materializzò la sua intuizione. Infatti aveva intuito che proprio la cupola dovesse diventare il vero simbolo della Basilica e un riferimento per tutta la Cristianità. Ma come costruire qualcosa di così imponente? Fino ad allora nella Storia dell’architettura italiana erano emerse per imponenza e genialità solo due altre cupole: il Pantheon, costruito dagli antichi romani quasi 2000 anni fa. La sua cupola non è fatta di muratura ma è un blocco unico compatto, realizzato con una sapiente colata di calcestruzzo che diventa con l’altezza sempre più leggera e fine. Fermandosi al famoso oculus, oltre il quale la volta crollerebbe. E poi c’è la cupola di Santa Maria del Fiore, a Firenze. Uno straordinario capolavoro realizzato dal Brunelleschi, grazie ad un ingegnoso sistema di mattoni di forma asimmetrica le cui file tengono ancora oggi unita e compatta la cupola interna. Michelangelo si ispirò proprio a quest’ultima cupola. Ma volle che la sua fosse ancora più grande. E per realizzarla sfruttò due soluzioni ingegnose: la prima sono i costoloni che si vedono esternamente. Sono come delle travi ricurve che fanno stare su tutta la cupola da quasi 5 secoli. Il secondo segreto della cupola è la doppia calotta. Vedete, c’è una calotta dentro l’altra, con un intercapedine. Perché fare una doppia calotta? E’ una soluzione geniale: la parte interna è la struttura portante, sorregge il tutto. Quella esterna invece è di protezione: infatti il caldo e il freddo del clima provocano la dilatazione o il restringimento della copertura di piombo, come accade nei grandi capannoni industriali. E se oggi la cupola è ancor in piedi lo dobbiamo a questi due piccoli segreti. A questo proposito, il modello ligneo della cupola ebbe un uso imprevisto che neanche Michelangelo avrebbe immaginato. Quando nel 1700 cominciarono a delinearsi sulla cupola vera delle pericolose crepe, venne riunita una commissione di esperti per valutare il da farsi. 10
  • 11. E questo modello suggerì le soluzioni. Infatti vennero dipinte tutte le crepe e si capì dove mettere rinforzi e le cerchiature di ferro. Michelangelo purtroppo morì prima che la cupola fosse finita. Si era arrivati solo al piano del tamburo di base. Era il 1564. Bisognò aspettare 20 anni prima che qualcuno riprendesse la sua costruzione. E si può perfino vedere l’aspetto curioso della Basilica in alcune stampe d’epoca, senza la sua cupola. A continuare i lavori fu Giacomo della Porta. Il quale però modificò il progetto. Michelangelo aveva previsto una cupola simile ad una semisfera con un arco a tutto sesto. Della Porta, forse per paura che "spanciasse" come si dice in gergo, ridusse la curvatura, fece la cupola più stretta e più slanciata, accentuando la sua verticalità. E immerse nella muratura delle fasce di ferro che cingevano la cupola alla sua base, un pò come una fascia attorno alla testa. In meno di 2 anni completò la cupola contro i dieci pronosticati. Nel cantiere lavorarono 800 operai, giorno e notte. I numeri furono da capogiro: per costruire un’armatura di sostegno in legno si utilizzarono ben 100 mila travi e intere foreste furono tagliate nell’Alto Lazio e nell’Umbria. Ci vollero 1500 quintali di canapi per le corde, altri 1000 di ferro per le staffe, le spranghe ecc… E poi milioni di mattoni, ognuno controllato dalla Fabbrica di San Pietro, per la qualità dell’argilla, il giusto grado di cottura ecc. Fu proprio questa Istituzione infatti che curò la realizzazione della Basilica e che tutt’oggi ha ancora il delicato compito della sua tutela. Il risultato finale fu un cupola di 14 mila tonnellate. Infine nel 1593 si posizionò la lanterna con le sue doppie colonne, la copertura di piombo e poco dopo la sfera di bronzo con la croce, una croce che si trova a 133 metri. 3. PIAZZA DEL CAMPIDOGLIO a Roma (BORROMINI) La sistemazione di Piazza del Campidoglio è un’esemplare opera d’urbanistica. Piazza del Campidoglio, cuore di Roma, che nell’Urbe antica era stata sede del Tempio di Giove capitolino, non disponeva di grande spazio, ma Michelangelo sa abilmente sfruttarne le possibilità. Innanzitutto sposta l’orientamento del complesso, che prima era verso i Fori, dunque verso la Roma antica. Egli vuole che il nuovo centro sia rivolto alla città stessa, a quella moderna a lui contemporanea. Sul pavimento disegna un motivo a quadrangoli curveggianti iscritto in un ovale. Al centro pone la statua equestre di Marco Aurelio, ritenuta in periodo medievale quella di Costantino. Sullo sfondo collega il Palazzo Senatorio, come in una sorta di scenografia, all’ambiente circostante con il doppio scalone d’ingresso, ai lati innalza i due palazzi gemelli dei Musei Capitolini e dei Conservatori, leggermente divergenti come i lati di un trapezio per creare l’illusione ottica di una maggiore ampiezza e profondità. 11
  • 12. I grandi complessi paesistici Parallelamente alle trasformazioni urbane, sorgono in epoca barocca le residenze suburbane dei sovrani, di cui Versailles (1668 in poi) costituisce il prototipo e l'esempio più grandioso. In questi imponenti complessi, dove l'architettura si esercita a scala paesistica, il paesaggio è concepito come uno spazio «infinito», ordinato secondo schemi geometrici lungo un asse longitudinale predominante, centrato sull'edificio che rappresenta il fuoco prospettico del sistema. Il palazzo di Versailles - costruito dal Le Vau e ingrandito da Hardouin-Mansart secondo uno schema ripetitivo che lo caratterizza più come elemento paesistico che come opera d'architettura in sé - è inserito nel giardino progettato da Le Nòtre con grande impiego di prospettive aperte, viali rettilinei colleganti sistemi secondari con altri edifici, specchi d'acqua, elementi architettonici e naturali. Questa moltiplicazione di prospettive all'infinito, in un sistema rigidamente ordinato (quasi un universo ideale) eppure aperto e dinamico, costituisce la caratteristica dei giardini "alla francese". Sull'esempio di Versailles vengono costruite soprattutto nel Settecento le residenze degli altri sovrani europei: Schònbrunn presso Vienna, Charlottenburg presso Berlino, Nymphenburg presso Monaco, Sans-souci presso Potsdam, Aranjuez presso Madrid, e così via. In Italia troviamo 1. la Residenza di Stupinigi presso Torino (1729), originale opera dello Juvarra, sorta originariamente come casino di caccia per Vittorio Amedeo II di Savoia; 2. e sorprattutto la Reggia di Caserta (1752 in poi), realizzata dal Vanvitelli per Carlo III di Borbone e destinata a divenire il centro di quella che sarebbe stata la nuova capitale del regno. Anche se il progetto urbanistico non fu realizzato, il grandioso palazzo ed il parco con la prospettiva assiale impostata verso monte rimangono a testimoniare l'ampiezza dell'impegno e la fedeltà ai principi compositivi ormai consolidati nella tradizione europea. 12