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La sensibilità emotiva dei bambini è cento volte superiore a quella di un adulto ...ma
sono ben pochi coloro che se ne rendono conto (genitori compresi). Non vi è
proprio nulla che una persona adulta possa nascondere ad un bambino; tutto ciò
che vi è da capire, nei rapporti con gli adulti, loro lo apprendono e lo elaborano
attraverso il linguaggio del corpo. Una realtà, questa, che Piaget mise in luce con
queste considerazioni assai succinte ma significative: “(...)Allo stesso modo si
nasce pedagoghi: non lo si diventa e le più belle lezioni di metodologia non rivelano
il segreto del contatto con i bambini, a un futuro maestro che non li ama”.
Ma l’affetto verso i propri allievi non basta, a mio avviso. Occorre un altro
ingrediente magico, per rendere armoniosi i rapporti tra adulto e bambino, e questo
ingrediente prende il nome di Complicità. Una complicità tacita, che si può leggere
solo attraverso gli occhi, attraverso uno sguardo o una semplice smorfia; potrei dire
semplicemente attraverso il linguaggio del corpo, ma voglio spingermi oltre,
dicendo: ...attraverso il linguaggio dell’Anima. Ecco quindi a mio avviso dove sta il
segreto dell’armonia; sta in uno sguardo infantile il cui messaggio è definito da
queste parole: “Tu sei mio complice, lo so, me lo sento. Ma sei anche il mio
maestro, per cui ti rispetto”. Ma dove ciò non accade, quello stesso sguardo,
potrebbe voler significare tutt’altra cosa, ossia: “Tu non sei mio complice, lo so, me
lo sento. E anche se sei il mio maestro, io non ti rispetto”. La grande abilità di un
insegnante, consiste quindi nel trovare il giusto equilibrio tra complicità e affetto
verso i propri allievi (specialmente quando gli allievi in questione, sono ancora dei
bambini).


Per un insegnante, poter entrare in contatto con la realtà famigliare/genitoriale di
ogni bambino, significa poter scoprire e riconoscere (nei casi più fortunati in cui vi è
una totale apertura al dialogo da parte dei genitori, o di un genitore, magari in sede
privata, nel caso in cui emergano degli indizi su una particolare condizione
famigliare, proprio durante le conferenze con i genitori. Tale dovrebbe essere
dunque lo scopo di queste conferenze; ovvero, far trasparire eventuali condizioni
famigliari-sociali, poco o per niente ordinarie) tutti quegli elementi e aspetti di vita
famigliare più significativi, che generalmente influiscono sul comportamento sociale
e scolastico dell’infante. Il comportamento di ogni bambino, in ambito scolastico, è
dunque soggetto a molteplici fattori e caratteristiche di vita famigliare, che
indubbiamente vanno ad influenzare la sfera emotiva e le dinamiche psicologiche
dei soggetti in questione. A titolo d’esempio, possiamo considerare il caso in cui un
genitore si risposa e i figli divengono parte integrante di un nuovo nucleo famigliare.
“La necessità di integrare il patrigno o la matrigna nel sistema esistente, di formare
nuove relazioni e di riorganizzare quelle esistenti, può a volte imporre una notevole
tensione ai bambini che, a loro volta, influenzeranno la relazione coniugale appena
avviata” (H.R.Schaffer, 1996). Ma vi è anche il caso in cui viene a mancare la
funzione paterna (o quella materna), a causa della morte di uno dei congiunti; in tal
caso l’effetto negativo sul bambino è generalmente inferiore, rispetto a quello che
solitamente scaturisce a causa di un divorzio. Nei casi di divorzio, ad esempio, gli
effetti negativi immediati sono più marcati tra i maschi che tra le femmine. Di
notevole importanza, sono inoltre gli stili educativi adottati dai genitori. Come ha
giustamente osservato la Baumrind: “Ogni stile genitoriale, è associato con un
particolare pattern di caratteristiche del bambino. I bambini di genitori permissivi
sono più spesso privi di obiettivi, poco assertivi e generalmente non interessati ai
risultati; i bambini di genitori autoritari tendono ad essere sgarbati, insolenti,
dipendenti e socialmente incompetenti (specialmente nel caso dei maschi); i figli di
genitori che rifiutano o trascurano le proprie responsabilità tendono ad essere i
meno maturi di tutti per quanto concerne sia la sfera cognitiva che quella sociale;
mentre i bambini di genitori autorevoli, risultano i più capaci. Essi, rispetto ai
bambini degli altri gruppi, tendono ad essere più fiduciosi nelle proprie possibilità,
interessati ai risultati, socialmente responsabili, dotati di autocontrollo e cooperativi
nei confronti sia degli adulti che dei compagni” (D.Baumrind, 1973).
Il confronto tra docenti e genitori, dovrebbe dunque sollecitare le parti a visualizzare
meglio il contesto sociale-famigliare-educativo del bambino, al fine di migliorarlo
(quando necessario), seguendo le opportune procedure di “accomodamento”
(piccole e graduali variazioni sullo stile educativo), sia in ambito scolastico che
famigliare.


Il principio di una buona relazione educativa, tra insegnante e allievi, dovrebbe a
mio avviso basarsi, in primis, sulla scelta di uno stile educativo di tipo “autorevole-
amichevole”. In tale contesto quindi, un eccesso di autorevolezza o di
amichevolezza, non avrebbe alcuna valenza positiva; anzi, sarebbe del tutto
controproducente per il buon funzionamento del sistema educativo in questione. Un
buon docente, dovrebbe dunque adottare sempre, da un punto di vista educativo e
nei limiti del possibile, un comportamento in cui emerga una grande sensibilità nel
riconoscere gli aspetti più significativi (elementi che permettano un “aggancio”
interattivo, comunicativo, tra allievo e docente)       di ogni singola situazione in
rapporto al contesto momentaneo in cui prende forma; si tratta dunque di
mantenere costantemente un approccio assai dinamico (interattivo) con i propri
alunni, il cui scopo è quello di limitare il più possibile un eventuale calo d’attenzione
da parte degli allievi, durante le ore di lezione. Uno stile educativo autorevole
troppo marcato, per un docente, potrebbe quindi sfociare in un eccesso di
egocentrismo, cosa che ovviamente limiterebbe di molto quell’auspicata dinamicità
poc’anzi citata. Contrariamente, uno stile educativo troppo amichevole, potrebbe far
deviare l’attenzione degli allievi su aspetti ed argomenti per nulla pertinenti alla
lezione in corso; avviando così dei percorsi di dialogo poco costruttivi o comunque
di scarso valore educativo. Un buon insegnante, dovrà quindi essere in grado di
trovare quel giusto equilibrio (tra autorevolezza ed amichevolezza verso i propri
alunni), affinché ogni situazione venga gestita nel migliore dei modi e dunque
eliminando alla radice il rischio di un’eventuale perdita di controllo nei confronti di
un dato gruppo di allievi. In un contesto educativo ottimale, la predisposizione
all’ascolto, è dunque una prerogativa fondamentale che ogni docente dovrebbe fare
propria, senza sconti o limiti di alcun genere. “Un’educazione che prenda sul serio
le idee e le intuizioni del bambino ha probabilità di successo molto maggiori di
quella che le ignora o perché le giudica prive di importanza o perché le considera
destinate a scomparire da sole. Le idee del bambino piccolo (il teorico in erba),
sono alquanto robuste e probabilmente resteranno vitali per tutta la sua esistenza.
Solo se queste idee verranno prese sul serio, attaccate e alla fine corrette o
trasformate, in modo che possano farsi strada concezioni più evolute e
comprensive; solo allora diventerà possibile una educazione al comprendere”
(Howard Gardner, Educare al comprendere, Ed.Feltrinelli, Milano 1993, p.259).


La formazione come docente di scuola dell’infanzia o scuola elementare, apre
indubbiamente un percorso educativo-evolutivo ad ogni futuro insegnante che ne
va a far parte, in cui è certamente possibile (ed auspicabile) acquisire nuove
conoscenze disciplinari-professionali; ciò ovviamente implica una determinata
predisposizione e soprattutto una precisa volontà        da parte di chi decide di
compiere tale percorso professionale. Oltre all’insegnamento accademico, grande
importanza nell’acquisizione di tali nuove conoscenze disciplinari, avranno quindi le
esperienze dirette “sul campo”, a contatto con i bambini. Per un futuro docente di
scuola dell’infanzia o elementare, saper cogliere, percepire ed assimilare
quell’armonia che nasce dal punto d’incontro tra una dimensione circolare del
tempo ed una del tutto lineare (la nostra, ovvero quella del mondo degli adulti), è
certamente già un buon inizio. Qualora ciò non accadesse, sarebbe il primo
segnale o indizio che forse, la strada scelta, non è proprio la più indicata per il
futuro insegnante in questione. Come ha ben visto H.Gardner: “Le cose che noi
scegliamo di insegnare e il modo in cui scegliamo di valutare, riflettono l’idea che
abbiamo di che cosa è importante nella nostra società e nella vita umana. Io
sostengo che si debba perseguire un’educazione finalizzata al comprendere e che
le nostre conoscenze, sempre più ricche in tema di evoluzione umana e di assetti
istituzionali, possono e devono venir mobilitate in vista di questo obiettivo” (Howard
Gardner, Educare al comprendere, Ed.Feltrinelli, Milano 1993, p.29). Ed è proprio
attraverso l’acquisizione di nuove e sempre più aggiornate conoscenze disciplinari,
che possiamo mettere in atto un tale processo educativo. Ogni educatore quindi,
per fare ciò, deve prima imparare ad educare se stesso (Gardner docet).


                                                       Fausto Intilla, 12 maggio 2011
                                                              www.oloscience.com

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  • 1. The good teacher... La sensibilità emotiva dei bambini è cento volte superiore a quella di un adulto ...ma sono ben pochi coloro che se ne rendono conto (genitori compresi). Non vi è proprio nulla che una persona adulta possa nascondere ad un bambino; tutto ciò che vi è da capire, nei rapporti con gli adulti, loro lo apprendono e lo elaborano attraverso il linguaggio del corpo. Una realtà, questa, che Piaget mise in luce con queste considerazioni assai succinte ma significative: “(...)Allo stesso modo si nasce pedagoghi: non lo si diventa e le più belle lezioni di metodologia non rivelano il segreto del contatto con i bambini, a un futuro maestro che non li ama”. Ma l’affetto verso i propri allievi non basta, a mio avviso. Occorre un altro ingrediente magico, per rendere armoniosi i rapporti tra adulto e bambino, e questo ingrediente prende il nome di Complicità. Una complicità tacita, che si può leggere solo attraverso gli occhi, attraverso uno sguardo o una semplice smorfia; potrei dire semplicemente attraverso il linguaggio del corpo, ma voglio spingermi oltre, dicendo: ...attraverso il linguaggio dell’Anima. Ecco quindi a mio avviso dove sta il segreto dell’armonia; sta in uno sguardo infantile il cui messaggio è definito da queste parole: “Tu sei mio complice, lo so, me lo sento. Ma sei anche il mio maestro, per cui ti rispetto”. Ma dove ciò non accade, quello stesso sguardo, potrebbe voler significare tutt’altra cosa, ossia: “Tu non sei mio complice, lo so, me lo sento. E anche se sei il mio maestro, io non ti rispetto”. La grande abilità di un insegnante, consiste quindi nel trovare il giusto equilibrio tra complicità e affetto verso i propri allievi (specialmente quando gli allievi in questione, sono ancora dei bambini). Per un insegnante, poter entrare in contatto con la realtà famigliare/genitoriale di ogni bambino, significa poter scoprire e riconoscere (nei casi più fortunati in cui vi è una totale apertura al dialogo da parte dei genitori, o di un genitore, magari in sede privata, nel caso in cui emergano degli indizi su una particolare condizione famigliare, proprio durante le conferenze con i genitori. Tale dovrebbe essere dunque lo scopo di queste conferenze; ovvero, far trasparire eventuali condizioni famigliari-sociali, poco o per niente ordinarie) tutti quegli elementi e aspetti di vita famigliare più significativi, che generalmente influiscono sul comportamento sociale
  • 2. e scolastico dell’infante. Il comportamento di ogni bambino, in ambito scolastico, è dunque soggetto a molteplici fattori e caratteristiche di vita famigliare, che indubbiamente vanno ad influenzare la sfera emotiva e le dinamiche psicologiche dei soggetti in questione. A titolo d’esempio, possiamo considerare il caso in cui un genitore si risposa e i figli divengono parte integrante di un nuovo nucleo famigliare. “La necessità di integrare il patrigno o la matrigna nel sistema esistente, di formare nuove relazioni e di riorganizzare quelle esistenti, può a volte imporre una notevole tensione ai bambini che, a loro volta, influenzeranno la relazione coniugale appena avviata” (H.R.Schaffer, 1996). Ma vi è anche il caso in cui viene a mancare la funzione paterna (o quella materna), a causa della morte di uno dei congiunti; in tal caso l’effetto negativo sul bambino è generalmente inferiore, rispetto a quello che solitamente scaturisce a causa di un divorzio. Nei casi di divorzio, ad esempio, gli effetti negativi immediati sono più marcati tra i maschi che tra le femmine. Di notevole importanza, sono inoltre gli stili educativi adottati dai genitori. Come ha giustamente osservato la Baumrind: “Ogni stile genitoriale, è associato con un particolare pattern di caratteristiche del bambino. I bambini di genitori permissivi sono più spesso privi di obiettivi, poco assertivi e generalmente non interessati ai risultati; i bambini di genitori autoritari tendono ad essere sgarbati, insolenti, dipendenti e socialmente incompetenti (specialmente nel caso dei maschi); i figli di genitori che rifiutano o trascurano le proprie responsabilità tendono ad essere i meno maturi di tutti per quanto concerne sia la sfera cognitiva che quella sociale; mentre i bambini di genitori autorevoli, risultano i più capaci. Essi, rispetto ai bambini degli altri gruppi, tendono ad essere più fiduciosi nelle proprie possibilità, interessati ai risultati, socialmente responsabili, dotati di autocontrollo e cooperativi nei confronti sia degli adulti che dei compagni” (D.Baumrind, 1973). Il confronto tra docenti e genitori, dovrebbe dunque sollecitare le parti a visualizzare meglio il contesto sociale-famigliare-educativo del bambino, al fine di migliorarlo (quando necessario), seguendo le opportune procedure di “accomodamento” (piccole e graduali variazioni sullo stile educativo), sia in ambito scolastico che famigliare. Il principio di una buona relazione educativa, tra insegnante e allievi, dovrebbe a mio avviso basarsi, in primis, sulla scelta di uno stile educativo di tipo “autorevole- amichevole”. In tale contesto quindi, un eccesso di autorevolezza o di
  • 3. amichevolezza, non avrebbe alcuna valenza positiva; anzi, sarebbe del tutto controproducente per il buon funzionamento del sistema educativo in questione. Un buon docente, dovrebbe dunque adottare sempre, da un punto di vista educativo e nei limiti del possibile, un comportamento in cui emerga una grande sensibilità nel riconoscere gli aspetti più significativi (elementi che permettano un “aggancio” interattivo, comunicativo, tra allievo e docente) di ogni singola situazione in rapporto al contesto momentaneo in cui prende forma; si tratta dunque di mantenere costantemente un approccio assai dinamico (interattivo) con i propri alunni, il cui scopo è quello di limitare il più possibile un eventuale calo d’attenzione da parte degli allievi, durante le ore di lezione. Uno stile educativo autorevole troppo marcato, per un docente, potrebbe quindi sfociare in un eccesso di egocentrismo, cosa che ovviamente limiterebbe di molto quell’auspicata dinamicità poc’anzi citata. Contrariamente, uno stile educativo troppo amichevole, potrebbe far deviare l’attenzione degli allievi su aspetti ed argomenti per nulla pertinenti alla lezione in corso; avviando così dei percorsi di dialogo poco costruttivi o comunque di scarso valore educativo. Un buon insegnante, dovrà quindi essere in grado di trovare quel giusto equilibrio (tra autorevolezza ed amichevolezza verso i propri alunni), affinché ogni situazione venga gestita nel migliore dei modi e dunque eliminando alla radice il rischio di un’eventuale perdita di controllo nei confronti di un dato gruppo di allievi. In un contesto educativo ottimale, la predisposizione all’ascolto, è dunque una prerogativa fondamentale che ogni docente dovrebbe fare propria, senza sconti o limiti di alcun genere. “Un’educazione che prenda sul serio le idee e le intuizioni del bambino ha probabilità di successo molto maggiori di quella che le ignora o perché le giudica prive di importanza o perché le considera destinate a scomparire da sole. Le idee del bambino piccolo (il teorico in erba), sono alquanto robuste e probabilmente resteranno vitali per tutta la sua esistenza. Solo se queste idee verranno prese sul serio, attaccate e alla fine corrette o trasformate, in modo che possano farsi strada concezioni più evolute e comprensive; solo allora diventerà possibile una educazione al comprendere” (Howard Gardner, Educare al comprendere, Ed.Feltrinelli, Milano 1993, p.259). La formazione come docente di scuola dell’infanzia o scuola elementare, apre indubbiamente un percorso educativo-evolutivo ad ogni futuro insegnante che ne va a far parte, in cui è certamente possibile (ed auspicabile) acquisire nuove
  • 4. conoscenze disciplinari-professionali; ciò ovviamente implica una determinata predisposizione e soprattutto una precisa volontà da parte di chi decide di compiere tale percorso professionale. Oltre all’insegnamento accademico, grande importanza nell’acquisizione di tali nuove conoscenze disciplinari, avranno quindi le esperienze dirette “sul campo”, a contatto con i bambini. Per un futuro docente di scuola dell’infanzia o elementare, saper cogliere, percepire ed assimilare quell’armonia che nasce dal punto d’incontro tra una dimensione circolare del tempo ed una del tutto lineare (la nostra, ovvero quella del mondo degli adulti), è certamente già un buon inizio. Qualora ciò non accadesse, sarebbe il primo segnale o indizio che forse, la strada scelta, non è proprio la più indicata per il futuro insegnante in questione. Come ha ben visto H.Gardner: “Le cose che noi scegliamo di insegnare e il modo in cui scegliamo di valutare, riflettono l’idea che abbiamo di che cosa è importante nella nostra società e nella vita umana. Io sostengo che si debba perseguire un’educazione finalizzata al comprendere e che le nostre conoscenze, sempre più ricche in tema di evoluzione umana e di assetti istituzionali, possono e devono venir mobilitate in vista di questo obiettivo” (Howard Gardner, Educare al comprendere, Ed.Feltrinelli, Milano 1993, p.29). Ed è proprio attraverso l’acquisizione di nuove e sempre più aggiornate conoscenze disciplinari, che possiamo mettere in atto un tale processo educativo. Ogni educatore quindi, per fare ciò, deve prima imparare ad educare se stesso (Gardner docet). Fausto Intilla, 12 maggio 2011 www.oloscience.com