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Team dynamics

 Filosofia e arte
 della relazione
 interpersonale

 padre Giovanni Bertuzzi
Ogni cosa stabilisce relazioni in base a quello
  che è:
• Il fiore in quanto è un fiore
• L’animale in quanto è un animale
• L’uomo in quanto è una persona: soggetto di
  passioni, desideri, sentimenti, interessi e
  ragioni.
• Le relazioni umane possono essere impostate
  in modo univoco (da soggetto a oggetto della
  relazione);
• o in modo interattivo (relazione tra soggetti)
Oggi la vita sociale in generale, e il lavoro in
particolare, comportano una sempre
maggiore interdipendenza tra i soggetti delle
relazioni, che sono sempre più complesse e
comportano sempre maggiore responsabilità.
La comunicazione non è un semplice travaso
di segnali e di nozioni dall’emittente al
ricevente, bensì uno scambio interattivo che
porta ad allargare il campo del significato
condiviso.
In un mondo globalizzato, in una vita sempre
più occupata da rapporti mediatici, in una
società massificata dove prevale l’anonimia e
l’anonimato, per una comunicazione
autentica devono essere recuperati dei
rapporti interpersonali genuini, che
permettano di realizzare un effettivo
feedback, di stabilire con coloro con cui si sta
dialogando dei rapporti autentici, solidi,
profondi e duraturi.
La finestra di Johari serve a
distinguere nella comunicazione
quello che io so (o non so) di me
da quello che gli altri sanno (o non
sanno) di me. Si aprono a questo
proposito le seguenti quattro
finestre:
1) la prima è aperta su quello che io so di me e
   quello che gli altri sanno di me.
   E’ questa la parte nota, su cui si può aprire il
   dialogo e stabilire un’intesa;
2) la seconda riguarda quello che io so di me e
  quello che gli altri non sanno di me.
E’ la parte privata, che non rendo nota agli altri
  se non è opportuno;
3) la terza finestra riguarda quello che io non so di
  me e quello che gli altri sanno di me.
  E’ la parte cieca, che non mi permette di vedere o
  di sapere quello che gli altri vedono o sanno di
  me. Questa finestra mi può impedire di
  comprendere quello che gli altri mi dicono e
  perché lo dicono, o perché gli altri si comportano
  in un certo modo con me. Questa medesima
  parte perٍò mi permette anche di essere aiutato
  dagli altri a vedermi come sono e perché sono in
  un certo modo;
4) la quarta finestra infine riguarda quello che io
non so di me e quello che gli altri non sanno di
me.
E’ la parte buia. Quando io ad esempio ignoro
certi lati della mia personalità e perché mi
comporto in un certo modo, se anche gli altri non
sanno ‘come sono fatto’ allora la comunicazione è
quasi impossibile, a meno che col dialogo non si
rimuovano questi lati oscuri del mio modo di
esprimermi e di agire che che mi rendono
incomprensibile e incompatibile con gli altri.
• La terza e quarta finestra manifestano una
  situazione che rende difficile la
  comunicazione. L’interazione e il dialogo
  hanno lo scopo di allargare l’area nota e il
  campo del significato condiviso, di scoprire
  meglio noi stessi e di migliorare il rapporto
  con gli altri
Creare sinergia:
                    1+1=3
1)La fiducia
2)La credibilità
3)La cooperazione
Quali sono i valori da condividere per riuscire a
  co-operare con gli altri?
1)La fiducia e la credibilità
2)Il senso di squadra
3)Il senso di responsabilità
4)La disponibilità
5)Il senso della qualità
6)La soddisfazione nostra e dell’altro
6) La soddisfazione:
  bisogna che vi sia un giusto equilibrio tra la
  gratificazione che diamo agli altri, quella che
  riceviamo dagli altri, quella che diamo a noi
  stessi, e quella che chiediamo agli altri per noi
  stessi
Ecco poi alcuni semplici principi che
dovrebbero regolare la comunicazione
dialogica:
1) La reciprocità: alla trasmissione deve
   accompagnarsi la ricezione. Non devo
   preoccuparmi solo di quello che devo dire, ma
   devo anche saper ascoltare. Occorre cercare la
   situazione in cui l’altro possa esprimersi, perché
   io possa ”lasciare che la nuvola dell’altro entri in
   me e che io diventi la nuvola” (è la fusione di
   orizzonti di Gadamer).
2) Introiezione dell’immagine dell’altro. Senza
  questa interiorizzazione non rispetto l’altro
  come tale. Metto davanti a me solo me stesso,
  e lo stereotipo che mi faccio dell’altro.
3) Ciclicità. Saper trasformare la diversità di
  caratteri dei dialoganti in complementarietà
  (stimolare i taciturni e frenare i chiacchieroni,
  far riflettere gli istintivi e scuotere i
  flemmatici).
4) Terziarietà del messaggio. mettere insieme il
  proprio messaggio con quello che il ricevente
  decodifica del mio messaggio:bisogna rendersi
  conto di come il mio linguaggio viene
  decodificato (es.: le moine della madre).
5) Riferimento all’esperienza. L’esperienza ha
  facce diverse secondo le diverse lingue, e
  viene descritta in modi diversi secondo il
  vissuto di ciascuno. Occorre trovare un codice
  di traduzione, perché come i fatti sono gli
  stessi possano essere compresi nello stesso
  modo
.
  6) Spazio del dialogo. Lo spazio del dialogo è
  interno, dipende dalle motivazioni al dialogo che
  ho dentro me stesso e che riesco a creare negli
  altri.
  7) La criticità. Per dialogare bisogna essere critici
  su se stessi, uscire da se stessi e dal dialogo
  stesso per vedersi criticamente, cioè
  riflessivamente. E mantenere il dialogo sul piano
  del realismo, confrontandosi con la realtà.

• La funzione del dialogo è quella di trasformare la
  diversità in ricchezza, senza omologare gli altri e
  senza rimanere nella dispersione e nel contrasto.
Possiamo paragonare il rapporto tra la
comunicazione e la comunione a quello tra la
giustizia e l’amicizia: la giustizia consiste nel dare
agli altri quello che è loro dovuto, considerandoli
perٍò come distinti da noi; l’amicizia invece
consiste nel condividere un bene che ci unisce
agli altri in un rapporto di reciproca benevolenza..
Solo nello spirito di un’autentica amicizia la
comunicazione porta alla comunione vera. La
comunione unisce e lega le persone in un
rapporto di comune ricerca della verità e in un
comune impegno di perseguire il bene reciproco.
Vi è infine un modo più alto di essere in
comunione, un modo di vivere la comunione e
l’amicizia su di un piano che supera le regole e
le condizioni di un rapporto esclusivamente
naturale e umano: è quello della carità la
quale consiste nell’amare gli altri nello spirito
della gratuità e del dono, vale a dire con lo
Spirito di Dio
La famiglia, l’’amore, gli amici
L’amore è la ricerca di un bene desiderato, che
   quando viene posseduto dona piacere.
La comunità famigliare è unita da relazioni di
affetto, da doveri, e dallo spirito di donazione
e di servizio che devono ispirare i rapporti
reciproci
Al piacere di ritrovarsi e di vivere uniti, devono
subentrare i doveri di aiutarsi e sostenersi, in
uno spirito di servizio e di donazione reciproca
L’amicizia è una relazione interpersonale che
viene stabilita tra due o più persone le quali si
uniscono liberamente, si amano
reciprocamente e benevolmente, e mettono
un bene in comune in una vita virtuosa
La fraternità è un legame stabilito
dall’appartenenza a una famiglia comune, che
nasce in virtù di una origine comune, e si
sviluppa nell’amore e nel servizio reciproco
Le nostre relazioni umane vengono impostate
sul piano della reciprocità negli scambi
commerciali (dare in rapporto a quanto si
riceve), o della giustizia distributiva da parte di
chi governa, o ancora della giustizia legale che
riguarda tutte le prestazioni dovute dai
cittadini nei confronti dello stato (e tra queste
vanno pur ricordate anche “le tasse”), e che
nel loro insieme rappresentano tutto ciò che
dobbiamo “dare per dovere”.
Ma la vita sociale (nelle famiglie, nei luoghi di
lavoro, nella partecipazione alla vita politica) si
sviluppa e può riuscire a compattare e
ricostruire l’unità nelle relazioni umane solo in
virtù dello spirito di solidarietà che non è
riducibile a una logica di giustizia
contrattualistica, ma nasce dallo spirito di
servizio che si alimenta nella logica del dono
(“dare gratuitamente”).
L’enciclica “Caritas in veritate” sottolinea il
ruolo di questa dimensione solidaristica che
per noi cristiani trova la sua radice nella
fraternità. La fraternità non è per noi il
prodotto di un sentimento generico di
comune appartenenza alla natura umana, ma
è la consapevolezza che siamo figli di un unico
Padre, dal quale abbiamo ricevuto, tramite
l’unico Figlio e il loro unico Spirito d’amore, i
doni della vita e della redenzione.
Metterci gli uni al servizio degli altri, in uno
spirito di gratuità, è per noi il segno della
nostra gratitudine per questi doni ricevuti,
espressione della nostra carità.

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  • 1. Team dynamics Filosofia e arte della relazione interpersonale padre Giovanni Bertuzzi
  • 2. Ogni cosa stabilisce relazioni in base a quello che è: • Il fiore in quanto è un fiore • L’animale in quanto è un animale • L’uomo in quanto è una persona: soggetto di passioni, desideri, sentimenti, interessi e ragioni.
  • 3. • Le relazioni umane possono essere impostate in modo univoco (da soggetto a oggetto della relazione); • o in modo interattivo (relazione tra soggetti)
  • 4. Oggi la vita sociale in generale, e il lavoro in particolare, comportano una sempre maggiore interdipendenza tra i soggetti delle relazioni, che sono sempre più complesse e comportano sempre maggiore responsabilità.
  • 5. La comunicazione non è un semplice travaso di segnali e di nozioni dall’emittente al ricevente, bensì uno scambio interattivo che porta ad allargare il campo del significato condiviso.
  • 6. In un mondo globalizzato, in una vita sempre più occupata da rapporti mediatici, in una società massificata dove prevale l’anonimia e l’anonimato, per una comunicazione autentica devono essere recuperati dei rapporti interpersonali genuini, che permettano di realizzare un effettivo feedback, di stabilire con coloro con cui si sta dialogando dei rapporti autentici, solidi, profondi e duraturi.
  • 7. La finestra di Johari serve a distinguere nella comunicazione quello che io so (o non so) di me da quello che gli altri sanno (o non sanno) di me. Si aprono a questo proposito le seguenti quattro finestre:
  • 8. 1) la prima è aperta su quello che io so di me e quello che gli altri sanno di me. E’ questa la parte nota, su cui si può aprire il dialogo e stabilire un’intesa;
  • 9. 2) la seconda riguarda quello che io so di me e quello che gli altri non sanno di me. E’ la parte privata, che non rendo nota agli altri se non è opportuno;
  • 10. 3) la terza finestra riguarda quello che io non so di me e quello che gli altri sanno di me. E’ la parte cieca, che non mi permette di vedere o di sapere quello che gli altri vedono o sanno di me. Questa finestra mi può impedire di comprendere quello che gli altri mi dicono e perché lo dicono, o perché gli altri si comportano in un certo modo con me. Questa medesima parte perٍò mi permette anche di essere aiutato dagli altri a vedermi come sono e perché sono in un certo modo;
  • 11. 4) la quarta finestra infine riguarda quello che io non so di me e quello che gli altri non sanno di me. E’ la parte buia. Quando io ad esempio ignoro certi lati della mia personalità e perché mi comporto in un certo modo, se anche gli altri non sanno ‘come sono fatto’ allora la comunicazione è quasi impossibile, a meno che col dialogo non si rimuovano questi lati oscuri del mio modo di esprimermi e di agire che che mi rendono incomprensibile e incompatibile con gli altri.
  • 12. • La terza e quarta finestra manifestano una situazione che rende difficile la comunicazione. L’interazione e il dialogo hanno lo scopo di allargare l’area nota e il campo del significato condiviso, di scoprire meglio noi stessi e di migliorare il rapporto con gli altri
  • 13. Creare sinergia: 1+1=3 1)La fiducia 2)La credibilità 3)La cooperazione
  • 14. Quali sono i valori da condividere per riuscire a co-operare con gli altri? 1)La fiducia e la credibilità 2)Il senso di squadra 3)Il senso di responsabilità 4)La disponibilità 5)Il senso della qualità 6)La soddisfazione nostra e dell’altro
  • 15. 6) La soddisfazione: bisogna che vi sia un giusto equilibrio tra la gratificazione che diamo agli altri, quella che riceviamo dagli altri, quella che diamo a noi stessi, e quella che chiediamo agli altri per noi stessi
  • 16. Ecco poi alcuni semplici principi che dovrebbero regolare la comunicazione dialogica:
  • 17. 1) La reciprocità: alla trasmissione deve accompagnarsi la ricezione. Non devo preoccuparmi solo di quello che devo dire, ma devo anche saper ascoltare. Occorre cercare la situazione in cui l’altro possa esprimersi, perché io possa ”lasciare che la nuvola dell’altro entri in me e che io diventi la nuvola” (è la fusione di orizzonti di Gadamer).
  • 18. 2) Introiezione dell’immagine dell’altro. Senza questa interiorizzazione non rispetto l’altro come tale. Metto davanti a me solo me stesso, e lo stereotipo che mi faccio dell’altro.
  • 19. 3) Ciclicità. Saper trasformare la diversità di caratteri dei dialoganti in complementarietà (stimolare i taciturni e frenare i chiacchieroni, far riflettere gli istintivi e scuotere i flemmatici).
  • 20. 4) Terziarietà del messaggio. mettere insieme il proprio messaggio con quello che il ricevente decodifica del mio messaggio:bisogna rendersi conto di come il mio linguaggio viene decodificato (es.: le moine della madre).
  • 21. 5) Riferimento all’esperienza. L’esperienza ha facce diverse secondo le diverse lingue, e viene descritta in modi diversi secondo il vissuto di ciascuno. Occorre trovare un codice di traduzione, perché come i fatti sono gli stessi possano essere compresi nello stesso modo
  • 22. . 6) Spazio del dialogo. Lo spazio del dialogo è interno, dipende dalle motivazioni al dialogo che ho dentro me stesso e che riesco a creare negli altri. 7) La criticità. Per dialogare bisogna essere critici su se stessi, uscire da se stessi e dal dialogo stesso per vedersi criticamente, cioè riflessivamente. E mantenere il dialogo sul piano del realismo, confrontandosi con la realtà. • La funzione del dialogo è quella di trasformare la diversità in ricchezza, senza omologare gli altri e senza rimanere nella dispersione e nel contrasto.
  • 23. Possiamo paragonare il rapporto tra la comunicazione e la comunione a quello tra la giustizia e l’amicizia: la giustizia consiste nel dare agli altri quello che è loro dovuto, considerandoli perٍò come distinti da noi; l’amicizia invece consiste nel condividere un bene che ci unisce agli altri in un rapporto di reciproca benevolenza.. Solo nello spirito di un’autentica amicizia la comunicazione porta alla comunione vera. La comunione unisce e lega le persone in un rapporto di comune ricerca della verità e in un comune impegno di perseguire il bene reciproco.
  • 24. Vi è infine un modo più alto di essere in comunione, un modo di vivere la comunione e l’amicizia su di un piano che supera le regole e le condizioni di un rapporto esclusivamente naturale e umano: è quello della carità la quale consiste nell’amare gli altri nello spirito della gratuità e del dono, vale a dire con lo Spirito di Dio
  • 26. L’amore è la ricerca di un bene desiderato, che quando viene posseduto dona piacere.
  • 27. La comunità famigliare è unita da relazioni di affetto, da doveri, e dallo spirito di donazione e di servizio che devono ispirare i rapporti reciproci
  • 28. Al piacere di ritrovarsi e di vivere uniti, devono subentrare i doveri di aiutarsi e sostenersi, in uno spirito di servizio e di donazione reciproca
  • 29. L’amicizia è una relazione interpersonale che viene stabilita tra due o più persone le quali si uniscono liberamente, si amano reciprocamente e benevolmente, e mettono un bene in comune in una vita virtuosa
  • 30. La fraternità è un legame stabilito dall’appartenenza a una famiglia comune, che nasce in virtù di una origine comune, e si sviluppa nell’amore e nel servizio reciproco
  • 31. Le nostre relazioni umane vengono impostate sul piano della reciprocità negli scambi commerciali (dare in rapporto a quanto si riceve), o della giustizia distributiva da parte di chi governa, o ancora della giustizia legale che riguarda tutte le prestazioni dovute dai cittadini nei confronti dello stato (e tra queste vanno pur ricordate anche “le tasse”), e che nel loro insieme rappresentano tutto ciò che dobbiamo “dare per dovere”.
  • 32. Ma la vita sociale (nelle famiglie, nei luoghi di lavoro, nella partecipazione alla vita politica) si sviluppa e può riuscire a compattare e ricostruire l’unità nelle relazioni umane solo in virtù dello spirito di solidarietà che non è riducibile a una logica di giustizia contrattualistica, ma nasce dallo spirito di servizio che si alimenta nella logica del dono (“dare gratuitamente”).
  • 33. L’enciclica “Caritas in veritate” sottolinea il ruolo di questa dimensione solidaristica che per noi cristiani trova la sua radice nella fraternità. La fraternità non è per noi il prodotto di un sentimento generico di comune appartenenza alla natura umana, ma è la consapevolezza che siamo figli di un unico Padre, dal quale abbiamo ricevuto, tramite l’unico Figlio e il loro unico Spirito d’amore, i doni della vita e della redenzione.
  • 34. Metterci gli uni al servizio degli altri, in uno spirito di gratuità, è per noi il segno della nostra gratitudine per questi doni ricevuti, espressione della nostra carità.