Slide proiettate da padre Giovanni Bertuzzi nel corso del suo seminario su Team Dynamics tenuto a Bologna il 27.05.2011 per InnovAction Lab Emilia 2011
2. Ogni cosa stabilisce relazioni in base a quello
che è:
• Il fiore in quanto è un fiore
• L’animale in quanto è un animale
• L’uomo in quanto è una persona: soggetto di
passioni, desideri, sentimenti, interessi e
ragioni.
3. • Le relazioni umane possono essere impostate
in modo univoco (da soggetto a oggetto della
relazione);
• o in modo interattivo (relazione tra soggetti)
4. Oggi la vita sociale in generale, e il lavoro in
particolare, comportano una sempre
maggiore interdipendenza tra i soggetti delle
relazioni, che sono sempre più complesse e
comportano sempre maggiore responsabilità.
5. La comunicazione non è un semplice travaso
di segnali e di nozioni dall’emittente al
ricevente, bensì uno scambio interattivo che
porta ad allargare il campo del significato
condiviso.
6. In un mondo globalizzato, in una vita sempre
più occupata da rapporti mediatici, in una
società massificata dove prevale l’anonimia e
l’anonimato, per una comunicazione
autentica devono essere recuperati dei
rapporti interpersonali genuini, che
permettano di realizzare un effettivo
feedback, di stabilire con coloro con cui si sta
dialogando dei rapporti autentici, solidi,
profondi e duraturi.
7. La finestra di Johari serve a
distinguere nella comunicazione
quello che io so (o non so) di me
da quello che gli altri sanno (o non
sanno) di me. Si aprono a questo
proposito le seguenti quattro
finestre:
8. 1) la prima è aperta su quello che io so di me e
quello che gli altri sanno di me.
E’ questa la parte nota, su cui si può aprire il
dialogo e stabilire un’intesa;
9. 2) la seconda riguarda quello che io so di me e
quello che gli altri non sanno di me.
E’ la parte privata, che non rendo nota agli altri
se non è opportuno;
10. 3) la terza finestra riguarda quello che io non so di
me e quello che gli altri sanno di me.
E’ la parte cieca, che non mi permette di vedere o
di sapere quello che gli altri vedono o sanno di
me. Questa finestra mi può impedire di
comprendere quello che gli altri mi dicono e
perché lo dicono, o perché gli altri si comportano
in un certo modo con me. Questa medesima
parte perٍò mi permette anche di essere aiutato
dagli altri a vedermi come sono e perché sono in
un certo modo;
11. 4) la quarta finestra infine riguarda quello che io
non so di me e quello che gli altri non sanno di
me.
E’ la parte buia. Quando io ad esempio ignoro
certi lati della mia personalità e perché mi
comporto in un certo modo, se anche gli altri non
sanno ‘come sono fatto’ allora la comunicazione è
quasi impossibile, a meno che col dialogo non si
rimuovano questi lati oscuri del mio modo di
esprimermi e di agire che che mi rendono
incomprensibile e incompatibile con gli altri.
12. • La terza e quarta finestra manifestano una
situazione che rende difficile la
comunicazione. L’interazione e il dialogo
hanno lo scopo di allargare l’area nota e il
campo del significato condiviso, di scoprire
meglio noi stessi e di migliorare il rapporto
con gli altri
14. Quali sono i valori da condividere per riuscire a
co-operare con gli altri?
1)La fiducia e la credibilità
2)Il senso di squadra
3)Il senso di responsabilità
4)La disponibilità
5)Il senso della qualità
6)La soddisfazione nostra e dell’altro
15. 6) La soddisfazione:
bisogna che vi sia un giusto equilibrio tra la
gratificazione che diamo agli altri, quella che
riceviamo dagli altri, quella che diamo a noi
stessi, e quella che chiediamo agli altri per noi
stessi
16. Ecco poi alcuni semplici principi che
dovrebbero regolare la comunicazione
dialogica:
17. 1) La reciprocità: alla trasmissione deve
accompagnarsi la ricezione. Non devo
preoccuparmi solo di quello che devo dire, ma
devo anche saper ascoltare. Occorre cercare la
situazione in cui l’altro possa esprimersi, perché
io possa ”lasciare che la nuvola dell’altro entri in
me e che io diventi la nuvola” (è la fusione di
orizzonti di Gadamer).
18. 2) Introiezione dell’immagine dell’altro. Senza
questa interiorizzazione non rispetto l’altro
come tale. Metto davanti a me solo me stesso,
e lo stereotipo che mi faccio dell’altro.
19. 3) Ciclicità. Saper trasformare la diversità di
caratteri dei dialoganti in complementarietà
(stimolare i taciturni e frenare i chiacchieroni,
far riflettere gli istintivi e scuotere i
flemmatici).
20. 4) Terziarietà del messaggio. mettere insieme il
proprio messaggio con quello che il ricevente
decodifica del mio messaggio:bisogna rendersi
conto di come il mio linguaggio viene
decodificato (es.: le moine della madre).
21. 5) Riferimento all’esperienza. L’esperienza ha
facce diverse secondo le diverse lingue, e
viene descritta in modi diversi secondo il
vissuto di ciascuno. Occorre trovare un codice
di traduzione, perché come i fatti sono gli
stessi possano essere compresi nello stesso
modo
22. .
6) Spazio del dialogo. Lo spazio del dialogo è
interno, dipende dalle motivazioni al dialogo che
ho dentro me stesso e che riesco a creare negli
altri.
7) La criticità. Per dialogare bisogna essere critici
su se stessi, uscire da se stessi e dal dialogo
stesso per vedersi criticamente, cioè
riflessivamente. E mantenere il dialogo sul piano
del realismo, confrontandosi con la realtà.
• La funzione del dialogo è quella di trasformare la
diversità in ricchezza, senza omologare gli altri e
senza rimanere nella dispersione e nel contrasto.
23. Possiamo paragonare il rapporto tra la
comunicazione e la comunione a quello tra la
giustizia e l’amicizia: la giustizia consiste nel dare
agli altri quello che è loro dovuto, considerandoli
perٍò come distinti da noi; l’amicizia invece
consiste nel condividere un bene che ci unisce
agli altri in un rapporto di reciproca benevolenza..
Solo nello spirito di un’autentica amicizia la
comunicazione porta alla comunione vera. La
comunione unisce e lega le persone in un
rapporto di comune ricerca della verità e in un
comune impegno di perseguire il bene reciproco.
24. Vi è infine un modo più alto di essere in
comunione, un modo di vivere la comunione e
l’amicizia su di un piano che supera le regole e
le condizioni di un rapporto esclusivamente
naturale e umano: è quello della carità la
quale consiste nell’amare gli altri nello spirito
della gratuità e del dono, vale a dire con lo
Spirito di Dio
26. L’amore è la ricerca di un bene desiderato, che
quando viene posseduto dona piacere.
27. La comunità famigliare è unita da relazioni di
affetto, da doveri, e dallo spirito di donazione
e di servizio che devono ispirare i rapporti
reciproci
28. Al piacere di ritrovarsi e di vivere uniti, devono
subentrare i doveri di aiutarsi e sostenersi, in
uno spirito di servizio e di donazione reciproca
29. L’amicizia è una relazione interpersonale che
viene stabilita tra due o più persone le quali si
uniscono liberamente, si amano
reciprocamente e benevolmente, e mettono
un bene in comune in una vita virtuosa
30. La fraternità è un legame stabilito
dall’appartenenza a una famiglia comune, che
nasce in virtù di una origine comune, e si
sviluppa nell’amore e nel servizio reciproco
31. Le nostre relazioni umane vengono impostate
sul piano della reciprocità negli scambi
commerciali (dare in rapporto a quanto si
riceve), o della giustizia distributiva da parte di
chi governa, o ancora della giustizia legale che
riguarda tutte le prestazioni dovute dai
cittadini nei confronti dello stato (e tra queste
vanno pur ricordate anche “le tasse”), e che
nel loro insieme rappresentano tutto ciò che
dobbiamo “dare per dovere”.
32. Ma la vita sociale (nelle famiglie, nei luoghi di
lavoro, nella partecipazione alla vita politica) si
sviluppa e può riuscire a compattare e
ricostruire l’unità nelle relazioni umane solo in
virtù dello spirito di solidarietà che non è
riducibile a una logica di giustizia
contrattualistica, ma nasce dallo spirito di
servizio che si alimenta nella logica del dono
(“dare gratuitamente”).
33. L’enciclica “Caritas in veritate” sottolinea il
ruolo di questa dimensione solidaristica che
per noi cristiani trova la sua radice nella
fraternità. La fraternità non è per noi il
prodotto di un sentimento generico di
comune appartenenza alla natura umana, ma
è la consapevolezza che siamo figli di un unico
Padre, dal quale abbiamo ricevuto, tramite
l’unico Figlio e il loro unico Spirito d’amore, i
doni della vita e della redenzione.
34. Metterci gli uni al servizio degli altri, in uno
spirito di gratuità, è per noi il segno della
nostra gratitudine per questi doni ricevuti,
espressione della nostra carità.