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Dalle Giulie alle Ande
Maurizio Callegarin
Silvia De Michielis
ovvero
come diventare alpinisti
in 10 mosse
Maurizio Callegarin, classe 1959, alpi-
nista udinese ha iniziato ad arrampicare
all’età di 16 anni. Conta molte ripetizioni
su tutto l’arco alpino e un’attività inten-
sa, con due spedizioni extraeuropee (nel
2004 all’Aconcagua e nel 2007 al Cerro
Tupungato in Cile). Molte le ascensioni
su ogni difficoltà, dalle salite classiche
su roccia e ghiaccio, a quelle invernali.
All’alpinismo classico ha abbinato quello
esplorativo, collezionando un centinaio
di vie nuove, alcune in solitaria e sle-
gato, fra Giulie e Carniche. È istruttore
nazionale di alpinismo del Club Alpino
Italiano ed è componente della Scuola
interregionale di alpinismo, sci alpinismo
e arrampicata libera del Veneto e Friuli
Venezia Giulia.
Si è occupato anche di rifugi alpini,
ricoprendo per molti anni la carica
di ispettore e da tempo si dedica
all’informazione alpinistica. È stato
direttore del Notiziario della Saf, ha
collaborato per i settimanali La Vita
Cattolica e Il Friuli curando una rubrica
settimanale dedicata all’alpinismo in
ogni sua forma. Nel 2004 ha pubblicato
insieme a Daniele Picilli la guida Giulie
Verticali.
Silvia De Michielis, nata a Udine nel
1981, dopo la maturità classica ha
conseguito la laurea in Scienze della
Comunicazione – indirizzo giornalistico
presso l’Università degli studi di Trieste,
frequentando un corso accademico
presso l’Universidad Autonoma di
Madrid grazie al progetto Erasmus.
Dal 2002 collabora con il settimanale
Il Friuli, occupandosi principalmente
delle tematiche sportive. Dal 2006 ha
iniziato il rapporto di collaborazione con
l’emittente triestina Telequattro, per la
quale segue lo sport friulano, curando
alcune rubriche a cadenza settimanale.
Tra i suoi interessi, oltre al mondo
sportivo in genere, ci sono i viaggi, la
danza, la musica, le buone letture e il
cinema.
DalleGiuliealleAnde
MaurizioCallegarin
SilviaDeMichielis
Un libro rivolto ai giovani.
Con “Dalle Giulie alle Ande” gli autori
vogliono segnalare un percorso,
indicare una via.
Solo 10 ma fondamentali tappe per scoprire,
con gli occhi del bambino prima
e con quello del “posseduto dello stupore” poi,
il mondo della montagna e dell’alpinismo.
Gli stessi occhi che hanno spinto
Maurizio Callegarin a scorazzare
per le sue montagne,
le Alpi Giulie e Carniche.
Ma a volte l’orizzonte è una linea chiusa,
con un preciso confine.
Valicare quel confine fa parte del
percorso che poi porta a moltiplicare lo
stupore, ad individuare un altro confine
da abbattere.
Un libro rivolto ai giovani dentro.
ISBN 978-88-903275-1-3
¤ 17,50
IDEA
Montagna
Edizioni
IDEA
Montagna
Edizioni
IDEA
Montagna
Edizioni
montagna avviene per gradi, dalla conoscenza dell’ambiente, alle
escursioni, alla salita sulle cime e, poi, attraverso l’arrampicata, la
passione e la necessità di immergersi in questa dimensione avverrà
quasi automaticamente.
Questo libro io lo vedo così, uno strumento per diventare alpinisti
gradatamente, ma è anche l’opportunità di conoscere una persona
che dell’alpinismo ha fatto un modo di vivere.
Romano Benet
5
“Tecnica e pratica sportiva di scalare le montagne”, questa è la
definizione di alpinismo sul dizionario.
Io considero Maurizio un alpinista, ma non lo ritrovo in quella
sterile definizione. Il suo alpinismo è un percorso di vita fatto di
scelte a volte difficili, cercando di mediare tra le necessità della vita
quotidiana e la passione per la montagna.
Nel libro si sente prima l’amore e il rispetto per la montagna poi,
quasi timidamente, si esprime anche come arrampicatore, un pas-
saggio quasi inevitabile nella crescita di un alpinista che, spinto
dallo spirito di avventura e dalla curiosità, si spinge sempre più in
alto.
Tutta la sua attività alpinistica è improntata sull’etica e la passione
per la scoperta di nuovi itinerari, che lui cerca di trasmettere agli al-
tri come istruttore di alpinismo. Molti suoi allievi hanno continuato
con questa attività e penso che gli saranno grati per sempre.
Non abbiamo mai arrampicato insieme, probabilmente un giorno
accadrà.
Ormai ci conosciamo da anni, abbiamo delle opinioni diverse su
alcuni temi della pratica alpinistica, ma con Maurizio c’è un con-
fronto stimolante e costruttivo.
Nella società odierna siamo spinti ad avere tutto e subito e anche
l’alpinismo è stato investito da questo fenomeno sociale.
L’alpinismo è un’attività lenta, lenti sono i movimenti che, però, ci
permettono di osservare quello che ci circonda e lenti sono a venire
i risultati, che necessitano di applicazione e sacrifici. Tutto il con-
trario di quello che ci viene proposto dai media. Il risultato è che
chi si avvicina a questo mondo cercando di saltare tutte le tappe
necessarie, alle prime difficoltà abbandona. Per questo i frequen-
tatori della montagna sono sempre meno. Se l’avvicinamento alla
Prefazione
4
http://www.ideamontagna.it/librimontagna/libro-alpinismo-montagna.asp?cod=8
49
Fra gli scalatori italiani, uno di quelli che mi hanno aiutato mag-
giormente ad ampliare le mie vedute è stato Reinhold Messner. Lui,
uno dei primi alpinisti moderni, si è aperto al mondo, spiando e
capendo con largo anticipo i segnali che venivano da oltre Oceano.
Dopo Emilio Comici, la ricerca sui nuovi materiali si era completa-
mente bloccata. Si era tornati indietro di decenni, ripercorrendo gli
usi dell’alpinismo tradizionale. Negli Stati Uniti, invece, già si intra-
vedeva la luce di un nuovo mattino. E, mentre da noi si usavano gli
scarponi, gli americani erano tornati alle scarpette da ginnastica,
seguendo il principio in voga negli anni ’30, quando si usavano
suole fatte con copertoni d’auto per ottenere maggiore aderenza.
Non solo le scarpe, anche l’abbigliamento era stato rivoluzionato:
non più i classici pantaloni alla zuava, ma blue jeans e pantalo-
ni lunghi e colorati. Un’idea dell’arrampicata, quindi, più libera e
giovanile, e una maggiore praticità grazie a tessuti che, rispetto al
velluto, si asciugavano molto prima in caso di pioggia.
Messner è stato il primo a concepire la salita come il risultato di
settimane o mesi di preparazione, come un obiettivo da conquista-
re grazie a un allenamento mirato. Per primo ha varcato la soglia
di tutti e 14 gli ottomila senza l’uso dell’ossigeno, trasgredendo
a qualsiasi regola fino ad allora imposta dalla tradizione. Un altro
esempio viene dalla sua battaglia per l’introduzione nei testi del
settimo grado, difficoltà già superata prima, ma della quale non
si doveva o voleva parlare, per paura d’essere criticati o considerati
dei pazzi. Lui ha combattuto perché fosse dichiarato, con lo scopo
di far capire a tutti che i gradi, in realtà, non devono essere uno
ostacolo e che, con la preparazione, si può sempre migliorare.
Reinhold Messner
Un alpinista? Un attore? Difficile definire Cesare Maestri, uno degli
scalatori più criticati degli ultimi anni, ma anche uno dei miei mo-
delli nell’avvicinamento alla disciplina. Un grande scalatore, ma an-
che un uomo di cultura, con una preparazione di tutto rispetto alle
spalle e ottime doti letterarie. Una vita movimentata, la sua, come
testimonia il libro E se la vita continua, scritto dopo aver vinto la
battaglia con il cancro. Una delle sue imprese più contestate è stata
quella al Cerro Torre. Nel 1970 ha aperto con Carlo Claus e Ezio
Alimonta la salita ribattezzata come via del compressore. Un gesto
provocatorio per rispondere ai dubbi e alle polemiche innescate
quando, il 31 gennaio del 1959, salì con Toni Egger l’altro versan-
te del Cerro, superando i 1200 metri della parete nord. L’impresa,
tutt’ora annoverata come la prima assoluta alla cima, vide morire il
suo compagno durante la discesa e, con lui, andare persa anche la
macchina fotografica che poteva testimoniare l’avvenuta salita.
Prima di criticarlo, bisognerebbe aver provato almeno alcune delle
sue vie, molte delle quali Maestri ha salito (e poi disceso!) più volte
slegato. A me è bastato il Campanile Basso in Brenta per rendermi
conto delle sue doti. E, dopo ascese così, ci penserei parecchio pri-
ma di mettere in dubbio le sue imprese.
48
Cesare Maestri
51
Il 22 aprile del 1935 nasce a Chiusaforte uno dei più grandi per-
sonaggi che l’alpinismo friulano e non solo abbia avuto la fortuna
di conoscere. Dotato di capacità, volontà, con un fisico possente e
grandi doti umane, Ignazio è prima di tutto figlio delle sue mon-
tagne. Discende da cacciatori e guide della Val Raccolana e ha
saputo trarre dalla sofferenza e dalle privazioni le soddisfazioni che
lo avrebbero reso poi celebre negli anni.
Nel giugno del 1975 salgo per la prima volta alle malghe del Mon-
tasio per iniziare questa nuova esperienza. In testa mi frullano mol-
te cose. La montagna stava entrando di prepotenza e in maniera
diversa da quella di qualsiasi mio coetaneo nella mia vita. Passavo,
per così dire, dalla porta di servizio perché lo facevo per lavoro. In
realtà, solo dopo qualche anno ho capito che, invece, quella era la
porta dei privilegiati alla montagna.
In quel periodo, a differenza di altri miei compagni e amici, che
cercavano i loro miti tra calciatori, attori e altro nelle cronache dei
giornali di moda, i miei idoli li trovavo con
molta fatica nei rari reportage di qualche ri-
vista specializzata o nelle ultime pagine di
qualche edizione sportiva che trattava solo
marginalmente il mondo dell’alpinismo.
Uno dei miei miti era Ignazio e non mi sem-
brava vero che avrei passato l’estate sulle sue
montagne! Già immaginavo come avrebbe
potuto svolgersi il nostro primo incontro,
cosa avrei detto o chiesto, magari ci scap-
pava anche una salita… Ma erano solo sogni
giovanili. Non lo vidi quell’estate e neppure
le successive trascorse in malga.
Erano passati parecchi anni quando final-
mente una sera, in una nota trattoria poco
fuori Udine, il proprietario (che conosceva
entrambi ed era un appassionato alpinista)
mi informò della presenza di Ignazio nel suo
locale. Dopo le presentazioni finimmo tut-
ti in cantina fino alle quattro del mattino,
Ignazio PiussiCon un carattere così, è chiaro che Messner non poteva non pia-
cermi! Era irruento, sfrontato, pronto alla rottura con un modo di
pensare vecchio. E, senza l’esempio di persone come lui, avremmo
superato molte barriere e preconcetti solo anni dopo. Molti l’hanno
criticato dicendo che ha saputo vendere bene il suo personaggio.
A mio modo di vedere, uno come lui non può che aver fatto bene
all’alpinismo, facendo pubblicità alla montagna e all’arrampicata.
Non dimentichiamo, poi, che è anche grazie al suo modo di salire
le cime che si è tornati a una lettura purista dell’alpinismo, senza
portatori e senza inganni. E il suo rapporto con l’Himalaya insegna
che non c’è limite alle possibilità umane.
50
Messner in primo piano assieme ad un altro grande,
Peter Habeler
115
la salita: è semplice, un tratto finale è anche attrezzato con cavo,
ma in caso di nebbia (frequente in questa zona) è facile perdere
l’orientamento e i dintorni sono impervi. Questo non deve fare
desistere dall’affrontare la cima, perché alla fine ripagherà della
faticaccia.
Difficoltà: EE
Tempo complessivo: 7 h circa
Dislivello complessivo in
salita: 1170 metri
Segnavie Cai: 737
Periodo consigliato:
da maggio a novembre
L’accesso più comodo, se così si può dire, è dalla valle dei Musi. Si
prosegue lasciando sulla sinistra l’abitato di Tanaviele fino ad arri-
vare alla briglia sul torrente Mea. Qui si trova la tabella Cai a quota
691 metri. Si guada il torrente e ci si porta per un comodo sentiero
verso un pendio fin sotto una costruzione. Si continua su un buon
sentiero raggiungendo lo sbocco del rio Taporamo, incassato fra
le pareti di Tamor e Picoliccia. Si risale il ripido pendio erboso del
Tamor che conduce alla selletta sul crinale a 1080 metri. Qui, in
leggera discesa e attraversando il versante opposto, si raggiunge un
tratto esposto che porta alla grande forra detritica del rio Zatodra.
Si prosegue sul fondo di questo fino a una selletta che immette in
un vasto mughetto (1450 metri), quindi su un sentiero (verso il Bi-
vacco Brollo, posto a quota 1675) che si fa più ripido e faticoso. Si
supera una spalla erbosa dov’è posto il bivacco e da dove si domina
tutta la vallata. Ci si dirige verso uno spigolo di roccia staccato; alla
sua destra, un canale erboso e
gradini rocciosi facilitati da un
cavo portano alla cresta termi-
nale e, in breve, alla vetta. Il
tempo necessario, come detto,
è di quattro ore. La discesa è
lungo la via di salita.
Per Monte Musi s’intende, di norma, tutta la catena montuosa che,
ben visibile dalla pianura, forma il primo sbarramento delle Alpi
Giulie Occidentali. Strane montagne, che hanno mantenuto negli
anni il loro isolamento. Sono ancora selvagge, adatte ad alpinisti ed
escursionisti in cerca di ambienti integri. Devo dire che anche per
me sono montagne ancor oggi sconosciute, ornate di mistero. La
mia prima apparizione fu nel lontano 1991 quando, su invito del-
l’amico Roberto Mazzilis (che stava curando una nuova edizione di
Sentieri del Friuli Venezia Giulia), mi ritrovai a inerpicarmi con un
freddo pazzesco in una mattina di tardo autunno stracarico come
un mulo (grazie a videocamera e affini) per quella che doveva esse-
re una semplice e breve passeggiata per documentare e trascrivere.
All’anima della breve passeggiata, spacciatami di due ore scarse!
Ce ne vollero quattro per toccare la cima, pensavo per lo scarso
allenamento e il troppo peso. Niente di tutto ciò: i tempi di salita
sono proprio questi. Era un modo come un altro per invogliarmi a
uscire. L’ambiente severo e selvaggio consiglia di non sottovalutare
Monte Musi (1866 metri)
Prealpi Giulie Occidentali
114
Versante sud/sud est del Monte Musi e,
nella pagina seguente, due momenti della salita
189190
Prefazione pag. 4
Introduzione pag. 6
Alcuni buoni consigli pag. 9
Scala delle difficoltà pag. 10
Soccorso Alpino pag. 13
I primi passi tra i monti pag. 15
La malga pag. 25
Dordolla pag. 30
Le scuole di alpinismo pag. 32
Le spedizioni extraeuropee pag. 35
I personaggi pag. 41
I compagni di cordata pag. 56
Rifugi e bivacchi pag. 79
Le ascensioni pag. 93
Cartografia e bibliografia consigliata pag. 186
Friuli Mandi Namaste pag. 188
191
Indice
Indice delle ascensioni
Monte Matajur (1641 m) pag. 94
Monte Flop (1792 m) pag. 96
Monte Festa (1065 m) Per il versante ovest pag. 98
Monte Cuarnan (1372 m) Per il versante sud pag. 100
Monte Brancot e Monte Palantarins pag. 102
Bila Pec (2146 m) Via normale pag. 104
Cuel de la Bareta (1522 m) Versante sud pag. 106
Sass de Stria (2477 m) pag. 108
Monte Forcjadice e Monte Vualt pag. 110
Sentiero del Re (Re di Sassonia) pag. 112
Monte Musi (1866 m) pag. 114
Monte Chiampon (1709 m) Traversata pag. 116
Jôf Fuart (2666 m) pag. 118
Grande Nabois (2313 m) Cresta est pag. 120
Piccolo Nabois (1691 m) Versante est pag. 122
Monte Cavallo di Pontebba (2239 m) pag. 124
Monte Sernio (2187 m) Versante est pag. 126
Monte Coglians (2780 m) pag. 128
Cima Manera (2251 m) Versante sud pag. 130
Monte Averau e Monte Nuvolau pag. 132
Monte Miaron (2132 m) Via normale da nord pag. 134
Cima del Vallone (2368 m) Via comune pag. 136
Cima del Vallone (2368 m) Cengia Kugy pag. 138
Monte Jôf di Montasio (2753 m) pag. 140
Monte Mangart (2677 m) Versante nord est pag. 143
Monte Canin (2587 m) Ferrata Julia pag. 146
Creta Grauzaria (2065 m) pag. 149
Cima dei Gjai (1916 m) Via normale pag. 152
Monte Glemina Spigolo sud/sud-ovest pag. 154
Ago di Villaco (2050 m) Spigolo sud pag. 156
Campanile di Villaco (2247 m) Via Weiss pag. 158
Creta di Pricot (2252 m) Via Pesamosca pag. 160
Torre dei Fiori Parete e spigolo sud est pag. 162
Monte Cjadenis Parete nord ovest pag. 164
Monte Duranno (2668 m) Via comune pag. 166
Marmarole pag. 168
Punta Col de Varda Via Comici-Del Torso pag. 178
Monte Cridola (2851 m) Via Dino e Maria pag. 180
Torre Nuviernulis Via Bulfoni–Mansutti pag. 182

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Dalle Giulie alle Ande

  • 1. Dalle Giulie alle Ande Maurizio Callegarin Silvia De Michielis ovvero come diventare alpinisti in 10 mosse Maurizio Callegarin, classe 1959, alpi- nista udinese ha iniziato ad arrampicare all’età di 16 anni. Conta molte ripetizioni su tutto l’arco alpino e un’attività inten- sa, con due spedizioni extraeuropee (nel 2004 all’Aconcagua e nel 2007 al Cerro Tupungato in Cile). Molte le ascensioni su ogni difficoltà, dalle salite classiche su roccia e ghiaccio, a quelle invernali. All’alpinismo classico ha abbinato quello esplorativo, collezionando un centinaio di vie nuove, alcune in solitaria e sle- gato, fra Giulie e Carniche. È istruttore nazionale di alpinismo del Club Alpino Italiano ed è componente della Scuola interregionale di alpinismo, sci alpinismo e arrampicata libera del Veneto e Friuli Venezia Giulia. Si è occupato anche di rifugi alpini, ricoprendo per molti anni la carica di ispettore e da tempo si dedica all’informazione alpinistica. È stato direttore del Notiziario della Saf, ha collaborato per i settimanali La Vita Cattolica e Il Friuli curando una rubrica settimanale dedicata all’alpinismo in ogni sua forma. Nel 2004 ha pubblicato insieme a Daniele Picilli la guida Giulie Verticali. Silvia De Michielis, nata a Udine nel 1981, dopo la maturità classica ha conseguito la laurea in Scienze della Comunicazione – indirizzo giornalistico presso l’Università degli studi di Trieste, frequentando un corso accademico presso l’Universidad Autonoma di Madrid grazie al progetto Erasmus. Dal 2002 collabora con il settimanale Il Friuli, occupandosi principalmente delle tematiche sportive. Dal 2006 ha iniziato il rapporto di collaborazione con l’emittente triestina Telequattro, per la quale segue lo sport friulano, curando alcune rubriche a cadenza settimanale. Tra i suoi interessi, oltre al mondo sportivo in genere, ci sono i viaggi, la danza, la musica, le buone letture e il cinema. DalleGiuliealleAnde MaurizioCallegarin SilviaDeMichielis Un libro rivolto ai giovani. Con “Dalle Giulie alle Ande” gli autori vogliono segnalare un percorso, indicare una via. Solo 10 ma fondamentali tappe per scoprire, con gli occhi del bambino prima e con quello del “posseduto dello stupore” poi, il mondo della montagna e dell’alpinismo. Gli stessi occhi che hanno spinto Maurizio Callegarin a scorazzare per le sue montagne, le Alpi Giulie e Carniche. Ma a volte l’orizzonte è una linea chiusa, con un preciso confine. Valicare quel confine fa parte del percorso che poi porta a moltiplicare lo stupore, ad individuare un altro confine da abbattere. Un libro rivolto ai giovani dentro. ISBN 978-88-903275-1-3 ¤ 17,50 IDEA Montagna Edizioni IDEA Montagna Edizioni IDEA Montagna Edizioni
  • 2. montagna avviene per gradi, dalla conoscenza dell’ambiente, alle escursioni, alla salita sulle cime e, poi, attraverso l’arrampicata, la passione e la necessità di immergersi in questa dimensione avverrà quasi automaticamente. Questo libro io lo vedo così, uno strumento per diventare alpinisti gradatamente, ma è anche l’opportunità di conoscere una persona che dell’alpinismo ha fatto un modo di vivere. Romano Benet 5 “Tecnica e pratica sportiva di scalare le montagne”, questa è la definizione di alpinismo sul dizionario. Io considero Maurizio un alpinista, ma non lo ritrovo in quella sterile definizione. Il suo alpinismo è un percorso di vita fatto di scelte a volte difficili, cercando di mediare tra le necessità della vita quotidiana e la passione per la montagna. Nel libro si sente prima l’amore e il rispetto per la montagna poi, quasi timidamente, si esprime anche come arrampicatore, un pas- saggio quasi inevitabile nella crescita di un alpinista che, spinto dallo spirito di avventura e dalla curiosità, si spinge sempre più in alto. Tutta la sua attività alpinistica è improntata sull’etica e la passione per la scoperta di nuovi itinerari, che lui cerca di trasmettere agli al- tri come istruttore di alpinismo. Molti suoi allievi hanno continuato con questa attività e penso che gli saranno grati per sempre. Non abbiamo mai arrampicato insieme, probabilmente un giorno accadrà. Ormai ci conosciamo da anni, abbiamo delle opinioni diverse su alcuni temi della pratica alpinistica, ma con Maurizio c’è un con- fronto stimolante e costruttivo. Nella società odierna siamo spinti ad avere tutto e subito e anche l’alpinismo è stato investito da questo fenomeno sociale. L’alpinismo è un’attività lenta, lenti sono i movimenti che, però, ci permettono di osservare quello che ci circonda e lenti sono a venire i risultati, che necessitano di applicazione e sacrifici. Tutto il con- trario di quello che ci viene proposto dai media. Il risultato è che chi si avvicina a questo mondo cercando di saltare tutte le tappe necessarie, alle prime difficoltà abbandona. Per questo i frequen- tatori della montagna sono sempre meno. Se l’avvicinamento alla Prefazione 4 http://www.ideamontagna.it/librimontagna/libro-alpinismo-montagna.asp?cod=8
  • 3. 49 Fra gli scalatori italiani, uno di quelli che mi hanno aiutato mag- giormente ad ampliare le mie vedute è stato Reinhold Messner. Lui, uno dei primi alpinisti moderni, si è aperto al mondo, spiando e capendo con largo anticipo i segnali che venivano da oltre Oceano. Dopo Emilio Comici, la ricerca sui nuovi materiali si era completa- mente bloccata. Si era tornati indietro di decenni, ripercorrendo gli usi dell’alpinismo tradizionale. Negli Stati Uniti, invece, già si intra- vedeva la luce di un nuovo mattino. E, mentre da noi si usavano gli scarponi, gli americani erano tornati alle scarpette da ginnastica, seguendo il principio in voga negli anni ’30, quando si usavano suole fatte con copertoni d’auto per ottenere maggiore aderenza. Non solo le scarpe, anche l’abbigliamento era stato rivoluzionato: non più i classici pantaloni alla zuava, ma blue jeans e pantalo- ni lunghi e colorati. Un’idea dell’arrampicata, quindi, più libera e giovanile, e una maggiore praticità grazie a tessuti che, rispetto al velluto, si asciugavano molto prima in caso di pioggia. Messner è stato il primo a concepire la salita come il risultato di settimane o mesi di preparazione, come un obiettivo da conquista- re grazie a un allenamento mirato. Per primo ha varcato la soglia di tutti e 14 gli ottomila senza l’uso dell’ossigeno, trasgredendo a qualsiasi regola fino ad allora imposta dalla tradizione. Un altro esempio viene dalla sua battaglia per l’introduzione nei testi del settimo grado, difficoltà già superata prima, ma della quale non si doveva o voleva parlare, per paura d’essere criticati o considerati dei pazzi. Lui ha combattuto perché fosse dichiarato, con lo scopo di far capire a tutti che i gradi, in realtà, non devono essere uno ostacolo e che, con la preparazione, si può sempre migliorare. Reinhold Messner Un alpinista? Un attore? Difficile definire Cesare Maestri, uno degli scalatori più criticati degli ultimi anni, ma anche uno dei miei mo- delli nell’avvicinamento alla disciplina. Un grande scalatore, ma an- che un uomo di cultura, con una preparazione di tutto rispetto alle spalle e ottime doti letterarie. Una vita movimentata, la sua, come testimonia il libro E se la vita continua, scritto dopo aver vinto la battaglia con il cancro. Una delle sue imprese più contestate è stata quella al Cerro Torre. Nel 1970 ha aperto con Carlo Claus e Ezio Alimonta la salita ribattezzata come via del compressore. Un gesto provocatorio per rispondere ai dubbi e alle polemiche innescate quando, il 31 gennaio del 1959, salì con Toni Egger l’altro versan- te del Cerro, superando i 1200 metri della parete nord. L’impresa, tutt’ora annoverata come la prima assoluta alla cima, vide morire il suo compagno durante la discesa e, con lui, andare persa anche la macchina fotografica che poteva testimoniare l’avvenuta salita. Prima di criticarlo, bisognerebbe aver provato almeno alcune delle sue vie, molte delle quali Maestri ha salito (e poi disceso!) più volte slegato. A me è bastato il Campanile Basso in Brenta per rendermi conto delle sue doti. E, dopo ascese così, ci penserei parecchio pri- ma di mettere in dubbio le sue imprese. 48 Cesare Maestri
  • 4. 51 Il 22 aprile del 1935 nasce a Chiusaforte uno dei più grandi per- sonaggi che l’alpinismo friulano e non solo abbia avuto la fortuna di conoscere. Dotato di capacità, volontà, con un fisico possente e grandi doti umane, Ignazio è prima di tutto figlio delle sue mon- tagne. Discende da cacciatori e guide della Val Raccolana e ha saputo trarre dalla sofferenza e dalle privazioni le soddisfazioni che lo avrebbero reso poi celebre negli anni. Nel giugno del 1975 salgo per la prima volta alle malghe del Mon- tasio per iniziare questa nuova esperienza. In testa mi frullano mol- te cose. La montagna stava entrando di prepotenza e in maniera diversa da quella di qualsiasi mio coetaneo nella mia vita. Passavo, per così dire, dalla porta di servizio perché lo facevo per lavoro. In realtà, solo dopo qualche anno ho capito che, invece, quella era la porta dei privilegiati alla montagna. In quel periodo, a differenza di altri miei compagni e amici, che cercavano i loro miti tra calciatori, attori e altro nelle cronache dei giornali di moda, i miei idoli li trovavo con molta fatica nei rari reportage di qualche ri- vista specializzata o nelle ultime pagine di qualche edizione sportiva che trattava solo marginalmente il mondo dell’alpinismo. Uno dei miei miti era Ignazio e non mi sem- brava vero che avrei passato l’estate sulle sue montagne! Già immaginavo come avrebbe potuto svolgersi il nostro primo incontro, cosa avrei detto o chiesto, magari ci scap- pava anche una salita… Ma erano solo sogni giovanili. Non lo vidi quell’estate e neppure le successive trascorse in malga. Erano passati parecchi anni quando final- mente una sera, in una nota trattoria poco fuori Udine, il proprietario (che conosceva entrambi ed era un appassionato alpinista) mi informò della presenza di Ignazio nel suo locale. Dopo le presentazioni finimmo tut- ti in cantina fino alle quattro del mattino, Ignazio PiussiCon un carattere così, è chiaro che Messner non poteva non pia- cermi! Era irruento, sfrontato, pronto alla rottura con un modo di pensare vecchio. E, senza l’esempio di persone come lui, avremmo superato molte barriere e preconcetti solo anni dopo. Molti l’hanno criticato dicendo che ha saputo vendere bene il suo personaggio. A mio modo di vedere, uno come lui non può che aver fatto bene all’alpinismo, facendo pubblicità alla montagna e all’arrampicata. Non dimentichiamo, poi, che è anche grazie al suo modo di salire le cime che si è tornati a una lettura purista dell’alpinismo, senza portatori e senza inganni. E il suo rapporto con l’Himalaya insegna che non c’è limite alle possibilità umane. 50 Messner in primo piano assieme ad un altro grande, Peter Habeler
  • 5. 115 la salita: è semplice, un tratto finale è anche attrezzato con cavo, ma in caso di nebbia (frequente in questa zona) è facile perdere l’orientamento e i dintorni sono impervi. Questo non deve fare desistere dall’affrontare la cima, perché alla fine ripagherà della faticaccia. Difficoltà: EE Tempo complessivo: 7 h circa Dislivello complessivo in salita: 1170 metri Segnavie Cai: 737 Periodo consigliato: da maggio a novembre L’accesso più comodo, se così si può dire, è dalla valle dei Musi. Si prosegue lasciando sulla sinistra l’abitato di Tanaviele fino ad arri- vare alla briglia sul torrente Mea. Qui si trova la tabella Cai a quota 691 metri. Si guada il torrente e ci si porta per un comodo sentiero verso un pendio fin sotto una costruzione. Si continua su un buon sentiero raggiungendo lo sbocco del rio Taporamo, incassato fra le pareti di Tamor e Picoliccia. Si risale il ripido pendio erboso del Tamor che conduce alla selletta sul crinale a 1080 metri. Qui, in leggera discesa e attraversando il versante opposto, si raggiunge un tratto esposto che porta alla grande forra detritica del rio Zatodra. Si prosegue sul fondo di questo fino a una selletta che immette in un vasto mughetto (1450 metri), quindi su un sentiero (verso il Bi- vacco Brollo, posto a quota 1675) che si fa più ripido e faticoso. Si supera una spalla erbosa dov’è posto il bivacco e da dove si domina tutta la vallata. Ci si dirige verso uno spigolo di roccia staccato; alla sua destra, un canale erboso e gradini rocciosi facilitati da un cavo portano alla cresta termi- nale e, in breve, alla vetta. Il tempo necessario, come detto, è di quattro ore. La discesa è lungo la via di salita. Per Monte Musi s’intende, di norma, tutta la catena montuosa che, ben visibile dalla pianura, forma il primo sbarramento delle Alpi Giulie Occidentali. Strane montagne, che hanno mantenuto negli anni il loro isolamento. Sono ancora selvagge, adatte ad alpinisti ed escursionisti in cerca di ambienti integri. Devo dire che anche per me sono montagne ancor oggi sconosciute, ornate di mistero. La mia prima apparizione fu nel lontano 1991 quando, su invito del- l’amico Roberto Mazzilis (che stava curando una nuova edizione di Sentieri del Friuli Venezia Giulia), mi ritrovai a inerpicarmi con un freddo pazzesco in una mattina di tardo autunno stracarico come un mulo (grazie a videocamera e affini) per quella che doveva esse- re una semplice e breve passeggiata per documentare e trascrivere. All’anima della breve passeggiata, spacciatami di due ore scarse! Ce ne vollero quattro per toccare la cima, pensavo per lo scarso allenamento e il troppo peso. Niente di tutto ciò: i tempi di salita sono proprio questi. Era un modo come un altro per invogliarmi a uscire. L’ambiente severo e selvaggio consiglia di non sottovalutare Monte Musi (1866 metri) Prealpi Giulie Occidentali 114 Versante sud/sud est del Monte Musi e, nella pagina seguente, due momenti della salita
  • 6. 189190 Prefazione pag. 4 Introduzione pag. 6 Alcuni buoni consigli pag. 9 Scala delle difficoltà pag. 10 Soccorso Alpino pag. 13 I primi passi tra i monti pag. 15 La malga pag. 25 Dordolla pag. 30 Le scuole di alpinismo pag. 32 Le spedizioni extraeuropee pag. 35 I personaggi pag. 41 I compagni di cordata pag. 56 Rifugi e bivacchi pag. 79 Le ascensioni pag. 93 Cartografia e bibliografia consigliata pag. 186 Friuli Mandi Namaste pag. 188 191 Indice Indice delle ascensioni Monte Matajur (1641 m) pag. 94 Monte Flop (1792 m) pag. 96 Monte Festa (1065 m) Per il versante ovest pag. 98 Monte Cuarnan (1372 m) Per il versante sud pag. 100 Monte Brancot e Monte Palantarins pag. 102 Bila Pec (2146 m) Via normale pag. 104 Cuel de la Bareta (1522 m) Versante sud pag. 106 Sass de Stria (2477 m) pag. 108 Monte Forcjadice e Monte Vualt pag. 110 Sentiero del Re (Re di Sassonia) pag. 112 Monte Musi (1866 m) pag. 114 Monte Chiampon (1709 m) Traversata pag. 116 Jôf Fuart (2666 m) pag. 118 Grande Nabois (2313 m) Cresta est pag. 120 Piccolo Nabois (1691 m) Versante est pag. 122 Monte Cavallo di Pontebba (2239 m) pag. 124 Monte Sernio (2187 m) Versante est pag. 126 Monte Coglians (2780 m) pag. 128 Cima Manera (2251 m) Versante sud pag. 130 Monte Averau e Monte Nuvolau pag. 132 Monte Miaron (2132 m) Via normale da nord pag. 134 Cima del Vallone (2368 m) Via comune pag. 136 Cima del Vallone (2368 m) Cengia Kugy pag. 138 Monte Jôf di Montasio (2753 m) pag. 140 Monte Mangart (2677 m) Versante nord est pag. 143 Monte Canin (2587 m) Ferrata Julia pag. 146 Creta Grauzaria (2065 m) pag. 149 Cima dei Gjai (1916 m) Via normale pag. 152 Monte Glemina Spigolo sud/sud-ovest pag. 154 Ago di Villaco (2050 m) Spigolo sud pag. 156 Campanile di Villaco (2247 m) Via Weiss pag. 158 Creta di Pricot (2252 m) Via Pesamosca pag. 160 Torre dei Fiori Parete e spigolo sud est pag. 162 Monte Cjadenis Parete nord ovest pag. 164 Monte Duranno (2668 m) Via comune pag. 166 Marmarole pag. 168 Punta Col de Varda Via Comici-Del Torso pag. 178 Monte Cridola (2851 m) Via Dino e Maria pag. 180 Torre Nuviernulis Via Bulfoni–Mansutti pag. 182