Il tragico ossimoro: note sulla deriva monoculturale del multiculturalismo
La memoria e il lutto: la strage di Portella della Ginestra nel vissuto dei protagonisti
1. Università degli studi di Palermo Università degli studi di Catania
Facoltà di Lettere e Filosofia Facoltà di Scienze Politiche
cattedra di storia contemporanea cattedra di storia contemporanea
prof. Salvatore Lupo prof. Rosario Mangiameli
Università degli studi di Palermo
Dipartimento di studi su Politica. Diritto e Società “Gaetano Mosca”
Cattedra di sociologia del diritto
Prof. Salvatore Costantino
comitato di sostegno :
CGIL Sicilia;
Camera di Lavoro di Piana degli Albanesi
Fondazione “G.Di Vittorio”
Centro studi e iniziative culturali “Pio La Torre”
Istituto Gramsci Siciliano
Consorzio sviluppo e legalità di S. Giuseppe Jato
La presidenza del consiglio comunale di Piana degli Albanesi
Progetto di ricerca
La memoria e il lutto: la strage di Portella della Ginestra
nel vissuto dei protagonisti
Gruppo di progetto:
prof. Salvatore Lupo – cattedra di storia contemporanea, Università degli studi di Palermo
prof. Rosario Mangiameli – cattedra di storia contemporanea, Università degli studi di Catania
dott. Francesco Di Bartolo – dottore di ricerca, Università degli studi di Palermo
dott. Antonio Blando – ricercatore, Università degli studi di Palermo
dott. Antonello Savoca – stagista presso Rai educational, Roma
dott. Giuseppe Boscarello - dottore di ricerca, Università di Catania
dott. Cirus Rinaldi – ricercatore, Università degli studi di Palermo
dott. Nicola Pizzolato, - assegnista di ricerca, Università degli studi di Palermo
Jones Mannino – circolo “G.Bosio”, Roma
dott. Vito Scalia, dottorando di ricerca, Università degli studi di Catania
2. 1. Obiettivo della ricerca
La strage di Portella delle Ginestre rappresenta un crocevia della storia non solo della Sicilia ma
anche dell’Italia del secondo dopoguerra. Essa rappresenta la prima manifestazione di una strategia
della tensione nella storia della Repubblica; logico che le ricostruzioni si tingano di giallo e
fioriscano le ipotesi complottistiche sui “misteri” che le circondano, su mandanti, esecutori e
complici che peraltro, portate oltre il segno in un gioco ossessivo di scatole cinesi, tese solo a
perpetuare il gioco appunto delle ipotesi su quanto sta “dietro”, finiscono per offuscare il quadro
delle passioni, delle idee, ed alla fine dei conflitti reali svoltisi in quel luogo e in quel tempo.
Questa nostra ricerca non intende porsi in una prospettiva del genere, o aggiungere ipotesi della
medesima natura, né vuole rivelare nuove piste giudiziarie o svelare responsabilità politiche. Essa si
propone invece di tornare al vissuto, di riflettere non solo sugli eventi ma anche sulla percezione
che i protagonisti ne ebbero, nella convinzione che sia necessario uscire dal quadro delle
interpretazioni univoche, tutte condizionate da presupposti ideologici. La ricerca intende dunque
rintracciare le tante memorie che hanno conservato palesemente o silenziosamente l’evento della
strage all’interno della stessa comunità che è la vera protagonista dell’evento, in modo da restituirle
al presente. Nella sua ottica la storiografia esistente, le fonti scritte, bibliografiche e documentarie,
servono a ricostruire un contesto su cui verificare ciò che più interessa, il lavoro della memoria. La
storia orale rappresenta un campo importante e innovativo per la storiografia sull’Italia
contemporanea, ricca di potenzialità per l’ampliamento dei confini disciplinari e degli orizzonti
tematici. Alcuni studi recenti hanno fornito risultati importanti: è il caso di Alessandro Portelli sulla
strage delle Fosse Ardeatine, di Gabriella Gribaudi per la stragi naziste nell’Italia Meridionale, e di
Giovanni Contini sulla resistenza in Toscana (lavoro che si è concretizzato anche nella
realizzazione di un video). In altri casi è stato decisivo il ricorso alle fonti orali per comprendere la
trasformazione sociale e culturale delle regioni del meridione, come il fenomeno dell’emigrazione.
Interessa questa nostra ricerca tutto ciò che ci proviene dal passato come eredità immateriale,
perché le fonti orali, a differenza delle fonti istituzionali e ufficiali concentrate quasi sempre sugli
eventi in senso stretto, o sui punti di vista appunto delle istituzioni, permettono di cogliere i
significati e le rilevanze degli eventi per soggetti o attori molto più profondamente radicati nella
dimensione sociale. Nella fattispecie, potremo seguire le trasformazioni del significato di quella
strage per le singole persone coinvolte e per la comunità di Piana degli Albanesi; esplorare la
relazione che intercorre tra la materialità degli eventi e la soggettività delle persone; infine, cogliere
i modi in cui il tragico evento è stato elaborato. Inoltre, potrebbe risultare affascinante scoprire
l’entità dei racconti “sbagliati”, dei miti, delle leggende, dei silenzi, dei lapsus, che si sono lungo il
tempo addensati e intrecciati attorno all’accaduto: intercettando i “moduli narrativi ricorrenti”, “gli
stereotipi più diffusi”, “i luoghi comuni” che diventano le spie rivelatrici di atteggiamenti culturali,
visioni del mondo, interpretazioni delle fatto storico. Un’indagine sul senso comune, sulla
percezione del fenomeno, ci chiama non solo a coprire un vuoto temporale e di conoscenza sul
fatto, attraverso le fonti inedite dei racconti di vita di chi ha preceduto l’evento e soprattutto di chi
lo ha ricordato dopo, ma anche a interrogarci su come la strage si sia sedimentata nella memoria,
attraverso quali retoriche e stereotipi è diventata senso comune, a cosa serve oggi, e a chi. Insomma,
interessa capire come attraverso il semplice atto di tramandare o raccontare l’evento si possa
consolidare un uso pubblico della memoria. Sarebbe interessante capire se esistono delle
contronarrazioni “alternative” a quelle ufficiali; se alla memoria di sinistra si contrapponga un
filone filo-separatista, se nel ricordo la comunità si presenti divisa (e quale influenza abbia questa
divisione nella valutazione non solo dei conflitti locali ma anche di quelli che hanno condotto alla
creazione della Repubblica e quindi alla stessa creazione di un’identità repubblicana).
A questo punto, la ricerca spiegherà come una comunità, le sue istituzioni e le singole
persone, provano giorno per giorno a elaborare, talvolta in accordo e spesso in conflitto, magari
attraverso la censura e la rimozione, il senso di quell’evento collettivo che è allo stesso tempo
3. riguarda i singoli, con la loro sorte inaspettata e crudele. L’attendibilità specifica delle fonti orali
consiste nel fatto che, anche quando non corrispondono perfettamente agli eventi, le discrepanze e
gli errori diventano eventi essi stessi, indizi che rinviano alla ricerca difficile del senso. E’ un lavoro
faticoso perché chiede agli storici di operare sia sulla dimensione fattuale sia su quella narrativa, sul
passato e sul presente, e soprattutto sullo spazio che intercorre fra l’uno e l’altro. La ricerca nasce
da un dovere civile. Ci è sembrato necessario ingaggiare la battaglia sulla memoria che non
riguarda più solo le controversie fra gli storici, o le polemiche di parte sul comune passato, ma
diventa soprattutto il terreno stesso su cui ogni volta si ridiscute, si rifonda, o peggio si demolisce,
l’identità stessa della nostra Repubblica e della nostra democrazia nata da quell’evento.
2. Il contributo della “life history”
Da qualche hanno la storia ha trovato nella fonte orale un grande cantiere di ricerca. Grazie alla
raccolta e conservazione sistematica delle “life history” (storie di vita) è stato possibile costruire
veri e propri “archivi della memoria”, che si sono poi trasformati in nuovi “musei della memoria”,
dove questo tipo di documentazione orale (a volte anche visiva) ha esaltato e reso più fruibili al
grande pubblico anche altre fonti storiche più tradizionali come quelle cartacee.
Ciò è avvenuto, per la maggior parte, nelle comunità toccate dalle stragi della guerra partigiana che
si sono sedimentate per generazioni nel ricordo individuale e collettivo. Comunità dove si è sentito
più forte il bisogno di ricostruire e conservare la memoria, anzi le “memorie” al plurale. La
straordinaria ricchezza delle “life history”, la possibilità di poter avere ancora testimoni diretti
degli avvenimenti, le modalità della trasmissione e costruzione delle divise memorie collettive, la
facile riproducibilità e fruibilità che le nuove tecnologie digitali oggi assicurano, sono tutti elementi
che hanno assicurato il successo di questo nuovo lavoro storico.
Un lavoro nuovo ma, nel contempo, anche vecchio perché la fonte orale sta a monte di qualunque
altra. Prima di essere messa per iscritto, nero su bianco, qualunque storia, ogni testimonianza ha di
solito alle sue spalle una formulazione orale. Chiunque scrive potrebbe pronunciare ciò che sta
scrivendo, sempre che non l’abbia già fatto, e chiunque altro potrebbe farlo al posto suo. Il contrario
non è altrettanto vero: ben poco di quanto viene detto e raccontato è destinato ad essere scritto, e
comunque molto si perderebbe. Sfuggirebbe gran parte del senso legato all’intonazione, al
sottinteso. In ogni caso, si perde il gesto che accompagna la parola, la mimica, l’impressione
ricavata dagli interlocutori, le reazioni suscitate. Il documento scritto ha una natura singolare e
astratta. L’oralità e la visività, invece, conservano la dimensione plurale della mente umana: non è
depurata dagli innumerevoli apporti dell’ambiente esterno, che gli fa da cassa di risonanza.
Chiunque scriva, in una misura maggiore o minore, verifica l’attendibilità, la razionalità, l’aderenza
alla realtà di cui risponde individualmente, e quindi depura da gran parte di ciò che rendeva
collettiva e rituale l’oralità, in qualche modo decontestualizza il messaggio. Al contrario la memoria
vive per trasformazioni del contesto sociale.
In questo senso, l’intervista orientata in senso storiografico resta una narrazione dialogica, cioè il
risultato di uno scambio tra due soggetti profondamente diversi. Non è storiografia, piuttosto si
colloca nel punto di intersezione tra due grossi fenomeni di trasmissione della memoria: la
tradizione orale, cioè il ricordo collettivo e spontaneo, familiare, del passato (il punto di vista del
testimone); e la memoria storica, la trasmissione degli eventi trascorsi attraverso il filtro valutativo
della storiografia (il punto di vista di chi raccoglie la testimonianza). La storiografia è un modo di
trasmettere la memoria che dall’inizio si pone il problema della scientificità degli assunti; la
tradizione orale ignora questo problema, mentre si concentra sull’efficacia retorico-pedagogica del
messaggio trasmesso. Quindi tradizione orale e storiografia si differenziano non per il loro oggetto
ma per l’intenzione che le contraddistingue. Il metodo delle “life history”consiste proprio nel porre
in relazione dialogica non solo due individui, lo storico e il testimone, ma due fondamentali modi di
trasmissione della memoria del passato: la trasmissione orale e la storiografia.
4. 3 Tempi e fonti della ricerca
La ricerca avrà la durata di due anni
nel corso del 1° anno di ricerca si distinguono due fasi.
I fase
Preliminarmente sarà data attenzione alla conoscenza del quadro generale della storia del
mezzogiorno, e del contesto locale di Piana degli Albanesi. Successivamente lo studio si allargherà
alla conoscenza della metodologia di ricerca della storia orale e sull’utilizzo delle fonti orali,
indispensabile per affrontare il lavoro di interviste in profondità.
A tal fine saranno organizzati cicli di seminari:
I seminari volti a contestualizzare la ricerca saranno svolti dai:
prof. Salvatore Lupo – Università degli studi di Palermo
prof. Rosario Mangiameli – Università degli studi di Catania
prof. Giuseppe Barone – Università degli studi di Catania
Francesco Petrotta - autore di importanti pubblicazioni sulla storia politica e sociale di Piana degli
Albanesi
I seminari diretti alla conoscenza della pratica e della teoria della storia orale saranno svolti da:
Prof. Alessandro Portelli – Università “La Sapienza” di Roma
Prof.ssa Grabriella Gribaudi – Università “Federico II” Napoli
Prof. Giovanni Contini – dirigente della sezione «archivi audiovisivi» della Soprintendenza
archivistica per la Toscana.
I seminari avranno luogo a Piana degli Albanesi.
II fase
La parte più importante della ricerca sarà dedicata alla raccolta dei documenti tramite l’acquisizione
delle fonti orali che rappresentano il principale materiale di documentazione ai fini della ricerca.
Come ipotesi minima saranno ascoltate circa 80 persone con interviste inerenti alla conoscenza del
fatto e di ricostruzioni di vicende biografiche.
La ricerca delle persone da intervistare sarà orientata per gruppi specifici:
1° gruppo: i familiari delle persone uccise nella strage di Portella delle Ginestre, cercando di tener
presente singoli individui che hanno continuato l’impegno pubblico profuso nella
memoria e altri meno visibili e più silenziosi
2° gruppo: I testimoni diretti dell’evento, i sopravvissuti
3° gruppo: Persone non direttamente coinvolte nella strage, importanti per la loro relazione con la
comunità e la sua memoria, che possono aiutare a comprendere il significato e l’impatto
della vicenda al di là della ristretta cerchia di chi ne è stato toccato personalmente o
perché testimone
4° gruppo Portatori di una memoria politica, sia di destra sia di sinistra (politici, storici, intellettuali)
5°gruppo Le generazioni dei più giovani per rendersi conto del cambiamento generazionale, del
significato e della percezione della strage di Portella come evento e come simbolo.
Una volta effettuate l’interviste, le fonti orali potranno essere incrociate e comparate con le fonti
tradizionali della ricerca storica. Il riferimento ai documenti ufficiali serve a contestualizzare e in
qualche caso a verificare eventuali sfasature: gli andamenti delle narrazioni in relazione coi tempi
delle vicenda. Inoltre le fonti ufficiali concorrono, se utilizzate come sfondo ad integrare la
centralità delle fonti orali, ad esaltare le differenze tra l’identità e l’autoconsapevolezza del gruppo
5. degli intervistati e i giudizi esterni a loro che sui fatti si sono addensati.
Per l’acquisizione delle fonti ufficiali saranno consultati:
- i documenti audiovisivi presso:
• Archivio del movimento operaio e democratico (Roma)
• Istituto Luce (Roma)
• TecheRai (Roma)
- documenti cartacei depositati presso
• Archivio Centrale dello Stato (Roma)
• Archivio di Stato di Palermo (Palermo)
• L’Istituto Gramsci siciliano (Palermo)
- i riferimenti bibliografici
Nel corso del 2° anno saranno elaborati la totalità dei dati raccolti: trascrizione, analisi dei testi e
montaggio.
Considerato che la fonte principale della ricerca è costituita dalle interviste, al fine di rendere più
facile l’analisi dei contenuti si procederà innanzitutto alle trascrizioni sia con testo base, finalizzata
a rilevare attraverso la scrittura ogni particolare sonoro e parlato, riproducendolo in una forma, più
aderente possibile alle espressioni orali prodotte dal testimone, e sia, infine, con la ritrascrizione,
ovvero un testo del tutto nuovo che l’intervistatore riedita utilizzando il testo base, ma
arricchendolo della propria soggettività che tiene conto delle sensazioni e dell’acquisizione di
informazioni raccolte nel complesso dell’intervista. In tal modo, si cerca di valorizzare oltre agli
elementi contenutistici anche una serie di segni comunicativi nascosti, che il più delle volte è ciò
che il testimone vuole dire.
Successivamente si procederà con l’analisi dei singoli testi.
L’analisi verrà fatta sul racconto, con un lavoro di interpretazione delle forme e dei contenuti del
discorso che siano capaci di fornire informazioni ulteriori. L’analisi è utile per mettere a nudo il
rapporto tra soggettività e l’evento accaduto, tra memorie biografiche individuali e trasformazioni
socio-economiche del quale il testimone è protagonista.
Altro passaggio sarà il confronto tra le diverse testimonianze, una volta che le si è analizzate
singolarmente, mentre, l’analisi dei contenuti informativi saranno utilizzati e filtrati anche
attraverso il confronto con le altre fonti coeve.
Infine, si effettuerà il montaggio delle interviste realizzate tramite video.
4. Strumenti della ricerca: aspetto tecnico
La raccolta delle testimonianze sarà svolta attraverso attrezzature audiovisive professionali.
Fino a pochi anni fa l’uso della registrazione audiovisiva rischiava di compromettere la possibilità
stessa di intervistare: i mezzi audiovisivi erano difficili da usare, il basso livello di sensibilità delle
telecamere rendeva necessaria l’illuminazione artificiale del soggetto da intervistare, per non parlare
della grandezza di certe telecamere che inibiva l’intervistato compromettendo, alle volte, il risultato
della ricerca.
Oggi, grazie alle moderne telecamere digitali, l’intrusione del mezzo audiovisivo nel campo
d’indagine è pressoché ininfluente: le telecamere digitali possono riprendere il soggetto senza la
necessità dell’illuminazione artificiale, l’operatore, la cui presenza raddoppia l’intrusione
nell’intervista, non è più indispensabile, essendo le telecamere digitali di facile e intuitivo
utilizzo;dal punto di vista della qualità del risultato le telecamere digitali forniscono prodotti di
qualità paragonabili alle telecamere beta , che è lo standard televisivo più usato.
L’uso della videoregistrazione arricchisce il materiale di quanto potrà restare agli atti, una volta
terminato l’incontro. Infatti, oltre alla testimonianza verbale, la registrazione audiovisivaagginge la
fissazione di certi particolari essenziali dell’intervista: la mimica facciale e del corpo consente di
apprezzare la quantità di informazioni non verbali, che fluiscono “in doppio senso” tra l’intervistato
6. e l’intervistatore.
Dal punto di vista della conservazione del materiale videoregistrato, il formato digitale permette
una conservazione ottimale. Per quanto riguarda, invece, l’utilizzo delle interviste videoregistrate,
oltre a costituire un originale e moderno archivio della memoria, in cui facce e gesti sono
immortalati per sempre, la loro visibilità consente una ricostruzione storica delle passioni, delle
incertezze dei protagonisti di un determinato evento. I vantaggi della videoregistrazione sono
infiniti: il materiale raccolto può essere utilizzato sia per l’approfondimento didattico, sia per
successive ricerche storiche, data la semplicità della distribuzione del materiale audiovisivo la
possibilità infinita di riprodurlo, oltre alla reversibilità in diversi supporti : dvd, cd-rom, vhs, e tutti
i supporti analogici e digitali.
5 Finalità e utilità della ricerca
Dall’approfondimento sulla memoria di quell’evento tragico il percorso si allunga fino ad
intrecciare lo studio delle società locali dove, nell’ambito di profondi processi di trasformazione
economica e politica, emergono forti identità collettive. Le ricerche di “life history” servono proprio
a questo fine, a indagare e ricostruire le mentalità; le identità o autorappresentazioni colgono punti
chiave in cui compaiono luoghi dove la memoria personale si incontra con quella collettiva e la
testimonianza individuale diventa tradizione condivisa da una famiglia, un circolo di amici, un
gruppo politico, una comunità intera.
In un periodo in cui si discute molto, e talvolta impropriamente, di “uso pubblico della storia”,
questa ricerca su un “luogo della memoria,” come Portella delle Ginestre permette di mostrare con
maggior forza la capacità della storia di farsi discorso pubblico scientifico, intervenendo a
salvaguardare e valorizzare le diverse storie di vita legate a quel terribile evento. Attraverso un
archivio digitale e/o pubblicazione di un volume cartaceo, si potrebbe compiere un primo passo per
la creazione del Centro di documentazione per recuperare e valorizzare la ricca storia del
movimento contadino e socialista di Piana degli Albanesi, o di un museo della comunità dove
accanto alla memoria raccontata e vissuta, si affiancano tutte le altre carte documentarie per la
trasmissione della storia come arricchimento dell’identità delle generazioni future.