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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA
FACOLTÀ DI LINGUE E LETTERATURE STRANIERE
corso di Laurea quadriennale in
LINGUE E LETTERATURE STRANIERE

TESI DI LAUREA
LA DONNA DEGLI ANNI NOVANTA IN “TIME” E “NEWSWEEK”

Relatore: Prof. Marina Milan
Correlatore: Prof. Gabriella Ferruggia
Candidata: Traverso Francesca

Anno Accademico 2003/04
(QUINO, I Pensieri di Mafalda)
Indice

Indice

Introduzione
1. Una visione globale: le conferenze del Cairo e di Pechino

1.1 La conferenza del Cairo
1.2 La conferenza di Pechino
2. Donne si diventa

2.1
2.2
2.3
2.4
2.5

Educazione
Istruzione
La percezione del proprio corpo: accettato, rifiutato, artefatto
Sessualità: liberata o sfruttata?
Maternità

3. Lo spazio pubblico

3.1
3.2
3.3
3.4
3.5
3.6

Tra famiglia e lavoro: nuove e vecchie prospettive
Militare al femminile. Un club per soli uomini?
Sexual harassment: il caso Anita Hill
Donne in politica
Hillary Rodham Clinton, femminista in carriera
Il posto della donna nel culto

4. Violenza e schiavitù

4.1 Una ferita che non guarisce
4.2 Crimini nascosti
4.3 Violenza sessuale come arma di guerra
4.4 Mutilazioni
4.5 Figlie dell’Asia
4.6 Commercio di corpi

1
Indice

Conclusione
Appendice
Bibliografia

2
Introduzione

Introduzione

La tesi si propone di mettere in luce, attraverso le pagine di “Time” e “Newsweek”, i
due settimanali americani più autorevoli, sia quegli aspetti che evidenziano un
miglioramento nella condizione della donna nella società degli anni ‘90, sia quelli
che, più o meno inconsciamente, indicano le falle ancora da sanare per il
raggiungimento di una reale e fattiva uguaglianza tra i sessi. Si è scelto di analizzare
la condizione femminile attraverso la stampa per due ragioni. In primo luogo,
ritenendo che il ruolo svolto dai mezzi di informazione, soprattutto negli ultimi
decenni, sia divenuto sempre più centrale nella formazione dell’opinione pubblica;
vale a dire che il modo in cui viene da loro descritto l’universo femminile non può
che incidere sul modo in cui la gente percepirà il ruolo delle donne nella società. Una
sottorappresentazione generalizzata del sesso femminile, per esempio, si tradurrà,
inevitabilmente, in una maggior resistenza a mutare l’attuale assetto tra i sessi. Al
contrario, una maggiore visibilità potrà essere da stimolo ad accettare e favorire una
completa uguaglianza. In secondo luogo, è ormai evidente come uno degli elementi
costitutivi dei media sia la loro intrinseca natura di processo negoziale. Ciò significa
che in realtà il messaggio trasmesso dall’emittente è frutto di una interazione tra le
credenze, i sentimenti e i valori del pubblico, e l’esigenza di fare informazione dei
media, i quali, in definitiva, filtrano la realtà piuttosto che esserne uno specchio
fedele. In questo senso, la scelta di quali informazioni diventeranno notizie e quali
invece non verranno mai pubblicate o trasmesse, l’enfasi e il modo in cui tali notizie
verranno comunicate, ci può dire molto sulla società alle quali esse sono rivolte. Si
può così facilmente prevedere che, nei paesi in cui l’integrazione delle donne nella
vita pubblica e politica è maggiore, le notizie che le riguardano saranno più
numerose e varie rispetto a quei paesi nei quali il loro ruolo è ancora subordinato e
limitato alla sfera domestica. Dunque, nel tracciare un quadro della condizione

4
Introduzione

femminile, non si dovrà tenere conto solo del numero degli articoli ad esse dedicati,
degli argomenti trattati e del tono usato, ma anche di tutto ciò che è taciuto. Assenza
e presenza di informazioni sono quasi di uguale importanza.
Le tematiche femminili, si sa, rientrano solo tangenzialmente nei grandi dibattiti
politici. Ciò nonostante, da parte di un giornale il prestare attenzione ai nuovi
progressi delle donne, dare spazio alle loro idee, ai loro desideri, denunciare le
violenze e le giustizie da esse ancora oggi subite, darne una rappresentazione il più
fedele possibile alla realtà e non distorta dagli stereotipi, può diventare un atto
politico e persino sovversivo. A maggior ragione negli anni ’90 in cui sembra, ma
solo apparentemente, che l’emancipazione femminile sia definitivamente conclusa,
almeno nei paesi occidentali, e che la parola femminista sia ormai un ricordo un po’
nostalgico degli anni delle lotte. Eppure, leggendo le pagine di “Newsweek” e
“Time” sarà facile rendersi conto di quanta strada deve ancora essere fatta per il
raggiungimento di una vera uguaglianza.
I due settimanali presi in esame, data la loro diffusione a livello mondiale e la
connessa esigenza di informare sui fatti principali non solo strettamente riguardanti
l’America, offrono una visione, per così dire, globale della condizione femminile.
D’altro canto, la periodicità non giornaliera e il numero di pagine contenuto (una
media di 56, per le edizioni regolari e di 100 per quelle speciali di fine anno o in
occasioni particolari), ha permesso di individuare ed analizzare solo gli aspetti più
eclatanti della vita delle donne. Nonostante ciò, si è potuto dividere il materiale in tre
sezioni principali: nella prima si tenterà di individuare quegli aspetti della società che
rivelano quanto gli stereotipi di genere siano ancora oggi presenti e operanti nella
formazione del carattere femminile e, per contrasto, maschile. Nella seconda, si
prenderanno in esame le innovazioni prodotte dall’ingresso delle donne nell’ambito
pubblico e le eventuali difficoltà da esse riscontrate nel lungo percorso di
integrazione in quegli ambiti da sempre riservati agli uomini, come la politica e il
lavoro. La terza, infine, sarà dedicata a quelle forme di violenza e crudeltà dirette
contro le donne proprio per il fatto di appartenere al sesso femminile.
Il primo capitolo è pensato come una breve panoramica sulla condizione femminile
negli anni ’90; l’attenzione è focalizzata sulle due conferenze mondiali, quelle del
Cairo e di Pechino, che hanno suggellato i progressi compiuti dalle donne e ne hanno

5
Introduzione

legittimato le rivendicazioni facendole rientrare nei diritti inalienabili degli esseri
umani.
Sebbene molti libri e saggi siano stati scritti sulla condizione femminile, la ricerca su
quale immagine della donna emerga dalla stampa e sulla effettiva presenza o
marginalità delle tematiche che le riguardano più da vicino o ancora, sullo spazio che
viene loro concesso per esprimere le proprie idee e il proprio punto di vista, è
piuttosto recente e carente. In America, grazie ad Internet, negli ultimi anni sono
proliferati i siti volti a monitorare i mezzi di informazione; una particolare attenzione
è

volta

proprio

verso

la

rappresentazione

dell’universo

femminile

(www.mediawatch.com e www.mediaandwomen.org). In Italia, nel 1992 la
Commissione Nazionale per la Parità e le Pari Opportunità ha promosso e pubblicato
uno studio sul rapporto tra i media e le donne dal quale emerge una realtà tutt’altro
che rassicurante: le donne sarebbero ancora sottorappresentate, marginalizzate e per
lo più usate come “cornice” di abbellimento, piuttosto che come entità forti e
rappresentative di per sé.
In conclusione, alcuni cenni sulla storia dei due settimanali dai quali si cercherà di
far emerge la donna degli anni ’90, o per lo meno la sua rappresentazione.
“TIME Magazine”, fondato dalla Time Inc. Company nel 1923, è il primo
settimanale ad aver lanciato la formula del News Magazine, ovvero una rivista
settimanale, corredata di fotografie, che informasse, con precisione, semplicità e
concisione, sui principali fatti accaduti in tutto il mondo. Attualmente “Time” conta
quasi 400 diverse edizioni, a seconda dei paesi e delle aree geografiche in cui viene
stampato. Ogni settimana, negli soli Stati Uniti circolano una media di 4.000.000
copie, circa 1.460.000 nel resto del mondo. Il successo di “Time” è dovuto, in gran
parte, alla fama di cui godono i suoi giornalisti, tra le migliori firme del giornalismo
americano. L’attuale direttore, Norman Pearlstine, ha più volte ribadito che il dovere
di ognuno, dal caporedattore al cronista appena approdato alla redazione, è quello di:
“Guadagnare, mantenere e rendere indelebile la reputazione di alta professionalità
del mestiere del giornalista.” I tredici Managing Editor che, per primi, hanno il
dovere di rispettare tale regola, sono bonariamente chiamati Boss Men, il che rende
evidente la composizione interamente al maschile della direzione di “Time”.

6
Introduzione

Sebbene “Time” sia stato per molti anni il leader assoluto nel settore, attualmente è
in stretta competizione con “Newsweek”. Fondato nel 1932 da Thomas J.C. Martyn,
una delle firme più prestigiose del “Time”, è stato pubblicato la prima volta il 17
febbraio 1933. Attualmente ha raggiunto una circolazione di circa 21 milioni di copie
in tutto il mondo. E’ stato più volte insignito di prestigiosi riconoscimenti, tra i quali
il National Magazine Awards promosso dalla American Society of Magazine Editors.
Il settimanale offre una completa copertura dei principali eventi a livello mondiale.
Può contare su diverse redazioni dislocate nei maggiori paesi e su un alto numero di
corrispondenti. Anche “Newsweek” ospita firme di tutto rispetto, quali Jonathan
Alter, Anna Quindlen e Jane Bryant Quinn, tra gli altri. A differenza di “Time”,
conta fra i suoi editori una buona percentuale di donne. Non è detto che la loro
presenza in ruoli dirigenziali determini una maggiore attenzione da parte della testata
verso le tematiche femminili, sebbene sia probabile, ma di sicuro può dirci qualcosa
sulla politica seguita dal giornale.

7
1. Una visione globale: le conferenze del Cairo e di Pechino

1. Una visione globale: le conferenze del Cairo e di Pechino

Attraversi tutte le battaglie non perché
vuoi combattere, ma perché vuoi arrivare
da qualche parte come persona. Vuoi
dare il tuo contributo per creare un
mondo in cui puoi sederti e pensare alle
nuvole. Questo dovrebbe essere il nostro
diritto in quanto esseri umani.
(Zoe Leonard) 1

Chiunque si appresti a trattare l’argomento “donna”, quale che sia il fine della sua
ricerca e gli strumenti utilizzati, si ritrova sorprendentemente a trattare un argomento
di “nicchia”, precisamente una “women issue”, una “questione femminile”:
nonostante le donne attualmente rappresentino il 52% dell’intera popolazione
mondiale si ha la paradossale sensazione di avere a che fare con una minoranza che
deve essere tutelata e salvaguardata.
Come è possibile che più della metà del genere umano, indipendentemente dalla
nazione di appartenenza, status sociale, razza o religione, sia vittima di
discriminazioni, sopraffazioni e violenze più o meno gravi? Per alcuni la spiegazione
va ricondotta ad una inferiorità genetica della donna rispetto all’uomo, inferiorità
che, pur non essendo mai stata scientificamente comprovata, è stata per secoli usata
per giustificarne e perpetuarne la sottomissione.
Da un certo punto di vista questo non dovrebbe stupire. La storia umana, dalle sue
origini ad oggi, è stata un susseguirsi di sopraffazioni e violenze perpetrate da uomini
verso propri simili e tutte giustificate con una presunta inferiorità della vittima di
turno. Basti pensare alla pretesa superiorità dei bianchi sui neri – la Chiesa ha messo
a tacere la coscienza dei suoi fedeli sostenendo che gli uomini di colore non avevano

1

E. De Cecco, G.Romano, Contemporanee, percorsi e poetiche delle artiste dagli anni ’80 a oggi,
Milano, Postmediabooks, 2002, p. 205

8
1. Una visione globale: le conferenze del Cairo e di Pechino

l’anima e potevano perciò essere considerati alla stregua di bestie – o quella degli
ariani sugli ebrei, solo per citare due dei casi più recenti ed eclatanti che hanno
sconvolto l’occidente.
Se è vero, come disse Goya, che “il sonno della ragione genera mostri”, si potrebbe
sostenere che la peculiarità del caso femminile stia in un mancato o solo parziale
risveglio della ragione. Sono molte le lotte per l’uguaglianza che sono state vinte e
sono ormai diventate storia. L’emancipazione femminile, nonostante le molte
battaglie vittoriose, non ha ancora vinto la guerra.
Il cammino verso la parità di diritti per le donne di tutto il mondo è ancora lungo,
basti pensare alla ormai celebre, quanto apparentemente scontata, frase pronunciata
da Hillary Rodham Clinton alla IV Conferenza mondiale sulla donna, tenutasi a
Pechino nel 1995: “Women’s right are human rights” Il solo fatto che la
rappresentante degli Stati Uniti, abbia sentito l’esigenza di chiarire questo punto
dovrebbe far riflettere, a maggior ragione se si considera il quadro entro cui la frase è
stata riportata dai giornali americani.
Sia “Newsweek” sia “Time” suggeriscono tra le righe un’ambivalente
interpretazione del discorso pronunciato da Hillary Rodham Clinton. Da una parte
viene visto come una sorta di giustificazione per la sua partecipazione, fino
all’ultimo incerta, ad una conferenza percepita in patria come pericolosa in quanto
avrebbe toccato temi quali l’aborto e la contraccezione, entrambi mal visti dalla
chiesa cattolica. Inoltre, la presenza della First Lady ad una conferenza
specificatamente sulle donne e diretta da donne, avrebbe sicuramente acuito gli
attacchi dei Repubblicani che più volte in passato l’avevano accusata di essere
femminista, ovvero, secondo gli stereotipi ben cavalcati dai conservatori, una madre
snaturata, una moglie disattenta e arrogante, un’arrampicatrice sociale senza scrupoli.
Allora l’affermare che “i diritti delle donne sono i diritti degli esseri umani”
giustifica la sua presenza come portavoce dell’America patria della democrazia e
della salvaguardia dei diritti umani.
D’altra parte, come si evince dal più completo estratto pubblicato sul “Time”, la
portata del discorso di Hillary Rodham Clinton non si limita a una giustificazione:
“ It is a violation of human rights when women are denied the right to plan their own families, and
that includes being forced to have abortions or being sterilized against their will […] Let me be clear,

9
1. Una visione globale: le conferenze del Cairo e di Pechino

freedom means the right of people to assemble, organize and debate openly. It means respecting the
views of those who may disagree with the view of their governments” 2

La violazione dei diritti umani, secondo quanto sancito dalla Dichiarazione
universale dei diritti dell’uomo del 10 Dicembre 1948, comporta delle sanzioni per i
trasgressori, eppure tali provvedimenti sono stati disattesi nella maggior parte dei
casi. La Cina, discussa sede della Conferenza, non fa eccezione ed è proprio questo
che viene denunciato dal discorso di Hillary Rodham Clinton. Nonostante non venga
fatto apertamente il nome della Cina, la dura condanna agli aborti forzati praticati in
tutta l’Asia–soprattutto nel caso in cui il nascituro sia di sesso femminile–e
l’insistenza nel dichiarare il diritto delle ONG (Organizzazioni Non Governative) di
partecipare attivamente alla conferenza, ignorando le restrizioni imposte dal governo,
si configurano come un attacco alla politica sociale cinese.
Per comprendere meglio l’importanza dell’intervento di Hillary Rodham Clinton, è
necessario tenere presente che nel 1995 i rapporti tra Cina e USA erano tutt’altro che
amichevoli. La partecipazione di una delegazione USA, soprattutto se capeggiata da
una First Lady, era stata a lungo auspicata come segno di distensione tra le due
nazioni. Si può facilmente intuire il disappunto del governo cinese: “ By the time she
spoke, the Chinese government

had begun to figure out how seriously it had

embarrassed itself” 3.
Le critiche in patria non furono da meno:
“Back in the U.S. Wu applauded Clinton’s statements, which also effectively preempted Republican
criticisms of President Clinton for allowing his wife to visit what remains in many respects a police
state.” 4

2

Si tratta di una violazione dei diritti umani quando ad una donna è negato il diritto di pianificare la
sua famiglia, e ciò include l’essere forzata ad abortire o sterilizzata contro il suo volere […].
Lasciatemi essere chiara, libertà significa avere il diritto di riunirsi, organizzarsi e dialogare
liberamente e apertamente. Significa rispettare i punti di vista di coloro che potrebbero non essere
d’accordo con il punto di vista dei propri governi. (J. Walsh , Sisterly Spirit Undamped , “Time”, 18
settembre 1995).
3
Dal momento in cui ha parlato, il governo Cinese ha iniziato a rendersi conto di quanto seriamente
le sue parole avessero creato imbarazzo nel governo stesso.( Ibidem).
4
Negli USA intanto, Wu applaudiva le dichiarazioni rilasciate da Clinton, le quali, inoltre, avevano
effettivamente vanificato gli attacchi dei repubblicani, aspramente critici nei confronti della decisione
presa da Clinton di permettere alla moglie di visitare uno stato che sotto molti aspetti è ancora una
dittatura. ( J. Walsh, Sisterly Spirit Undamped, “Time”, 18 settembre 1995). Harry Wu, cittadino
americano di origine Cinese e attivista per la difesa dei diritti umani, era stato imprigionato per la
seconda volta dal governo cinese con l’accusa di spionaggio e atti sovversivi. Il governo americano
aveva richiesto la sua scarcerazione come condizione sine qua non alla partecipazione di Hillary
Rhodnam Clinton alla Conferenza di Pechino. Nelle aspettative del governo di Pechino, la presenza
della First Lady avrebbe dovuto smorzare le tensioni tra i due stati.

10
1. Una visione globale: le conferenze del Cairo e di Pechino

Così delicate questioni politiche, secondo i conservatori, non dovrebbero essere
affidate alla moglie troppo zelante di un presidente. Sul ruolo delle First Ladies e di
Hillary Rodham Clinton in particolare torneremo nei capitoli seguenti.
Sarebbe dunque giusto affermare che nulla è cambiato nella vita delle donne?
Gli anni ’90 presentano davvero un panorama immutato nella “questione
femminile”? La risposta è no, a patto di mantenere aperto il dibattito e non
considerare la raggiunta uguaglianza di diritti – almeno in occidente – come un fatto
ormai scontato e non suscettibile di miglioramenti.
A livello mondiale, gli anni ’90 sono stati caratterizzati da due importanti eventi: la
Conferenza del Cairo e quella, già citata, di Pechino.

1.1 La conferenza del Cairo

Nel 1994 la Conferenza del Cairo sulla Popolazione e lo Sviluppo affermò la
necessità di un progresso della condizione femminile, sia per migliorarne l’esistenza,
sia per permettere una stabilizzazione e pianificazione della popolazione mondiale.
Molte delle delegazioni, soprattutto appartenenti alle ONG, denunciarono come
sospetta l’eccessiva attenzione accordata a quest’ultimo aspetto. La paura, in parte
motivata, era che ancora una volta la donna non venisse presa in considerazione
come essere umano, a cui erano stati sottratti dei diritti inalienabili, ma solo nel suo
ruolo di madre potenziale. La sua fisiologica capacità di mettere al mondo figli, non
è di certo un aspetto di poco conto che vada sottovalutato, ma sarebbe un errore
ritenere che l’essere donna si risolva in questo. Errore ancor più grave se si considera
che non sono solo le donne in età fertile a dover essere tutelate, ma anche le
bambine, per non dire i feti di sesso femminile, e le donne anziane che in molti paesi
del mondo sono costrette a morire di stenti non avendo né diritto all’eredità, né
accesso al mondo del lavoro.
Se è vero che il “Time” ha messo in rilievo il problema della pianificazione
famigliare già dalla scelta del titolo “Planned Planethood” non ha sottovalutato le

11
1. Una visione globale: le conferenze del Cairo e di Pechino

scelte sovversive compiute dalla Conferenza: “ In its attempt to stabilize the earth
population, the U.N. decides to try something radical: listen to women.” 5
L’aggettivo “radicale” riferito a una scelta per noi così ovvia, può far sorridere, ma
è estremamente sintetica ed efficace nel suggerire che mai prima del 1994 le
organizzazioni governative avevano preso in considerazione la possibilità di
interpellare le donne stesse per trovare una soluzione ai problemi che le
riguardavano.
“For the first time in population politics, women played a pivotal role. Operating in organized groups,
they argued that birth-control programs must be expanded to improve women’s primary health care
and schooling and that unmarried women and adolescents must have greater access to contraceptive.
[…] There is a strong focus on empowering women to control their live, especially their reproductive
lives” 6

Dopo il funesto avvento dell’AIDS, la contraccezione attraverso l’uso di preservativi
è divenuta non solo la meno invasiva per il corpo femminile, ma anche la più sicura
per evitare di contrarre malattie il più delle volte veicolate da mariti adulteri e
irresponsabili. A ben vedere si potrebbe già ravvisare un controsenso: nonostante
siano le donne, sia come prostitute, fidanzate o mogli, le maggiori vittime della
mancata contraccezione, nonostante il preservativo debba essere indossato
dall’uomo, la responsabilità di farlo usare è sempre e comunque affidata alle donne.
Non basta. Spesso sono gli uomini a rifiutarsi di utilizzare il preservativo, alle volte
incolpando la compagna di infedeltà o sfiducia – motivata – nei loro confronti. Una
giusta e tempestiva educazione alla prevenzione per le donne è attualmente l’unica
strada seguibile.
Sarebbe giusto che si tentasse di responsabilizzare maggiormente anche gli uomini,
padri potenziali. Anche questo aspetto è stato messo in luce dal “programma
d’azione” della Conferenza, come possiamo leggere sul “Time” :
“Men too are being assigned responsibility. The U.N. plan promotes the use of condoms as well as
better enforcement of laws mandating child support. Although vasectomy is a simpler procedure for
men than tubal ligation is for women, severing the Fallopian tubes is still the preferred surgical
5

Nel tentativo di stabilizzare la popolazione mondiale, l’ O.N.U. decide di provare qualcosa di
radicale: ascoltare le donne. (C. Gorman, Planned Planethood, “Time”, 9 maggio 1994).
6
Per la prima volta nelle scelte politiche di stabilizzazione mondiale, le donne ricoprono un ruolo
chiave. Operando in gruppi organizzati, esse ritengono che i programmi di controllo delle nascite
devono essere ampliati per migliorare le cure sanitarie primarie e l’informazione stessa, inoltre
sostengono che le donne non sposate e le adolescenti debbano avere facile accesso ai sistemi
contraccettivi. L’attenzione è fortemente focalizzata sul maggiore controllo che le donne dovrebbero
avere sulla propria vita, in particolar modo sulla riproduzione. ( ibidem).

12
1. Una visione globale: le conferenze del Cairo e di Pechino

method in many countries. When men are given the option of vasectomy, however, they often
respond” 7

“Newsweek” dedica alla Conferenza del Cairo un dossier di nove pagine.
Presentando una diversa angolazione, per certi versi più completa rispetto al “Time”,
sottotitola l’articolo: “Women’s rights: This week’s global conference is officialy
about population – but it’s become the battleground for a fiere culture clash” 8.
L’essenza della Conferenza andrebbe perciò ben oltre la pianificazione famigliare,
fino al punto da sfiorare rivendicazioni “femministe”.
Trattandosi di una conferenza mondiale, anche le nozioni più ovvie per una donna
occidentale - controllo sul proprio corpo, accesso all’educazione e al mondo del
lavoro, possibilità di fare carriera anche in ambito politico, pari dignità e diritti possono assurgere a dichiarazioni di guerra in quegli stati in cui il ruolo delle donne è
del tutto subordinato o nemmeno preso in considerazione.
Alcuni integralisti islamici, all’udire il “programma d’azione”, hanno messo in atto
una vera e propria campagna mistificatrice accusando la Conferenza di essere
asservita all’occidente, a sua volta ripetutamente e violentemente accusato di
“imperialismo culturale”. Basti un esempio. Nella bozza del “programma d’azione”
si sosteneva che l’eredità dovesse essere uguale per uomini e donne, ma alcuni
delegati dei paesi islamici, giudicando il riferimento all’uguaglianza inaccettabile
poiché contraria alla shari’ a, si rifiutarono di sottoscrivere l’appello: per la necessità
di raggiungere un consenso allargato, il termine “uguale” fu sostituito con quello di
“equo”. Per molte donne islamiche, e non solo, si tratta di una vera e propria lotta
interiore per definirsi una nuova identità: non rinunciare alle proprie tradizioni, alla
cultura del proprio paese, ma nemmeno alla propria dignità e ai propri diritti.
Non si deve cadere nell’inganno di pensare che le critiche provenissero solo da
parte islamica:
7

Anche gli uomini devono essere responsabilizzati. Il piano dell’O.N.U. promuove tanto l’uso di
preservativi quanto il rafforzamento delle leggi che obblighino il padre naturale a prendersi cura del
figlio. Sebbene la vasectomia sia un intervento più semplice per gli uomini rispetto a quanto non sia
la costrizione delle tube per le donne, la recisione delle tube di Fallopio è ancora il metodo
ginecologico più adottato in molti stati. Generalmente, comunque, quando gli uomini vengono
debitamente informati sulla possibilità di sottoporsi a vasectomia, rispondono positivamente.
( Ibidem).
8
I diritti delle donne: la conferenza globale di questa settimana ufficialmente riguarda la popolazione
– ma sta diventando il campo di battaglia di uno serrato scontro culturale. (M. Dickey, C. Dickey,
Body Politics, “Newsweek”, 12 settembre 1994).

13
1. Una visione globale: le conferenze del Cairo e di Pechino

“Urging on the Islamic protest was the Vatican, which accused the United Nations of trying to
establish a worldwide right to abortion and demeaning the importance of the family. Catholic priests
attacked the draft program for allegedly encouraging homosexuality and adolescent sex. […] The
language of the draft program, claimed the pope’s spokesman, was “synonymous with abortion on
demand” and gives “practically unlimited sexual rights not only to adolescents but also to children” 9

A ben vedere anche la Santa Sede ha tentato di screditare deliberatamente il
“programma d’azione”. Senza contare che la strenua difesa dei valori della famiglia,
a cui spesso viene fatto riferimento, sembra non voler vedere che dove non c’è
rispetto reciproco tra uomo e donna, dove non c’è libertà, lì non può nemmeno
esistere una famiglia moralmente sana e custode di quei valori tanto predicati.
Purtroppo la religione, come istituzione - che sia cattolica, islamica o induista - non
ha mai dato appoggio alla causa delle donne.
Un anno dopo la Conferenza del Cairo, si tiene a Pechino la IV Conferenza Mondiale
sulle Donne 10.

1.2 La conferenza di Pechino

L’idea di organizzare una Conferenza che trattasse solo dell’“altra metà del cielo”
nasce nel 1975 quando viene tenuta la prima “World Conference on Women” in
Messico. Allora la maggior parte dei delegati erano uomini e le poche donne
partecipanti, ma senza alcuna voce in capitolo, erano o segretarie dei politici o mogli
e non dello stampo di Hillary Clinton. Non si concluse molto. A poca distanza dalla
Conferenza ufficiale si teneva invece il forum delle ONG sulla stessa tematica, ma
con modalità e finalità ben diverse: le donne dovevano iniziare a parlare di sé in
prima persona.
Da quella data in poi, ogni cinque anni, si sono tenute le “World Conference on
Women”, ma le ONG non hanno mai potuto parteciparvi ufficialmente, nonostante il

9

Le proteste da parte dei rappresentanti degli stati islamici sono condivise dal Vaticano, che accusa
l’O.N.U. di provare a diffondere e ufficializzare in tutto il mondo il diritto all’aborto danneggiando
così l’importanza della famiglia. I preti cattolici hanno attaccato il programma d’azione con la
presunta accusa di incitare all’omosessualità e alla promiscuità tra adolescenti. […] Il linguaggio
utilizzato nel programma d’azione, accusa il portavoce del Papa, è “sinonimo di aborto su richiesta” e
dà “un diritto praticamente illimitato ad adolescenti, e persino bambini, di praticare sesso a
piacimento”. (ibidem).
10
J.Véron, Il posto delle donne, cit., pp.11-13, 40-43.

14
1. Una visione globale: le conferenze del Cairo e di Pechino

merito sia in parte loro se, con il passare degli anni, sempre più donne hanno avuto
un ruolo chiave nelle decisioni prese alle conferenze.
Nel 1995 a parlare, e se il caso ad urlare, sono le donne.
Si può dire che i temi e le problematiche trattate alla Conferenza di Pechino siano
una sorta di proseguo e di sviluppo di quelli discussi alla Conferenza del Cairo
l’anno precedente. Sono in molti a ritenere che nonostante la centralità del “family
planning”, si dovrebbe andare oltre e investigare tutti gli aspetti della vita delle
donne, non solo quello riproduttivo. Nafis Sadik, direttrice esecutiva dell’UNFPA
(Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione), è dello stesso parere:
“La pianificazione famigliare non è sufficiente. Fornire informazioni e servizi di consulenza è un
passaggio importante, ma non è tutto. Perché anche quando ci sono servizi di consulenza, anche
quando ci sono le informazioni, molte donne non possono decidere di farne uso, non possono decidere
liberamente se avere o no un altro figlio. Devono cambiare anche i contesti culturali, politici,
religiosi.” 11

In un articolo del “Newsweek”, scritto dalla famosa femminista americana Betty
Friedan, si legge a proposito del “programma d’azione” che verrà adottato a Pechino:
“ It contains every possible item of women’s unfinished business of equality, the elimination of all
forms of violence against women, from wife-beating and the dowry system to genital mutilation, from
the measurement of women’s unpaid work, to new arrangements of work that will permit more of
partnership of men with women in nurturing children. It includes affirmative action for women in
employment and in their representation in political leadership – including in the United Nations itself
– proportionate to their numbers in the population. It gives women new control of their health, not
only in the reproductive years but throughout the life cycle. “ 12

L’importanza degli interventi sopra citati è fuori di dubbio, ma come si sa, scriverli
su carta è un conto, riuscire ad attuarli un altro, soprattutto se si considera la
molteplicità dei punti di vista dei partecipanti.
Nonostante le differenze, le donne di tutto il mondo condividono un comune senso di
frustrazione: che si parli di educazione o istruzione, lavoro o politica, maternità,
11

“DW Press, Il Quotidiano delle Donne”: www.mclink.it/n/dwpress/index.htm (15 Giugno 2003)
Include ogni possibile tematica riguardante l’incompleta emancipazione femminile: l’eliminazione
di ogni forma di violenza contro le donne, dalle violenze domestiche al “sistema delle doti”alla
mutilazione dei genitali femminili, dalla valutazione del lavoro femminile non remunerato alle nuove
proposte lavorative per permettere anche agli uomini di partecipare attivamente insieme alla madre
alla crescita dei figli. Include azioni fortemente propositive a favore dell’impiego femminile e di una
rappresentanza nelle leadership politiche – incluso l’O.N.U. stesso – proporzionata al numero di
donne. Tutto ciò conferisce alle donne un nuovo controllo sulla propria salute e benessere, non solo
nell’età riproduttiva, ma durante tutto il ciclo della vita. (Time to Transcend Sexual Politics,
“Newsweek”, 4 settembre 1995). In molti paesi asiatici, soprattutto in India, la famiglia della sposa
deve garantire una dote per il futuro sposo. Maggiore sarà l’ammontare della dote e più possibilità
avrà la figlia di contrarre un matrimonio “vantaggioso”. Per questo molte famiglie si indebitano, ma
spesso, nonostante gli sforzi, non riescono a corrispondere la dote pattuita: il marito allora oltre a poter
ripudiare la moglie, può decidere di ucciderla o sfigurarla in segno di disprezzo.
12

15
1. Una visione globale: le conferenze del Cairo e di Pechino

salute o violenza, i loro interessi vengono sempre dopo quelli della controparte
maschile 13. Le complicazioni nascono nel momento in cui si cerca una via comune
per risolvere i problemi e si prova a decretarne la priorità. Prendiamo come esempio
il dibattito sulla violenza sessuale, che dopo i fatti della Bosnia ha avuto un
particolare rilievo:
“When Meryem Akbal, an Islamist TV anchorwomen in Turkey, was asked whether she was shocked
by statistic that a woman is raped every five minutes in the U.S., she responded, “The reason women
are raped in America is a matter of life-style and custom. If people lived according to Muslim law, the
problem of rape would be solved” 14

L’affermazione si spiega tenendo conto dell’astio delle donne musulmane nei
confronti dell’occidente in generale e della Conferenza in particolare che le aveva
invitate a partecipare per la prima volta. La diffidenza reciproca non giova ad una
Conferenza che vorrebbe in prima istanza rafforzare la “sisterhood”, una comunione
di intenti e “sorellanza” tra le donne di tutto il mondo. Le donne musulmane sono
sempre state considerate delle “prigioniere culturali” inermi e senza coraggio,
totalmente soggiogate e per questo poco adatte persino a rappresentare se stesse.
Eppure sono molte le donne che per aver sfidato la shari’a hanno perso la vita.
Altre divergenze sono sorte con le delegazioni Asiatiche e Africane sul tema
dell’aborto: “They ask for abortion rights; we ask for safe drinking water and basic
health care. We don’t wish to undermine their causes […]”15.
Nessun disaccordo invece su temi quali l’istruzione o il lavoro. Entrambe queste
sfere sono state precluse alle donne determinandone e perpetrandone la
subordinazione: chi non ha potere economico non conta nulla. Non poter lavorare
significa non potersi sostentare con le proprie forze, significa anche non avere alcuna
voce in capitolo nelle scelte politiche attuate dai governi e tanto meno una
rappresentanza che difenda gli interessi delle donne. Molte gloriose rivoluzioni sono
13

Presidenza del consiglio dei ministri: Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità tra
uomo e donna, Le donne a Pechino: uno sguardo sul mondo: le immagini della IV Conferenza
mondiale sulle donne e del Forum delle organizzazioni non governative, Pechino 1995, Roma,
Dipartimento per l’informazione e l’editoria, 1996.
14
Quando a Meryem Akbal, presentatrice presso un’emittente islamica in Turchia, fu chiesto se fosse
rimasta colpita dalle statistiche secondo cui in America verrebbe violentata una donna ogni cinque
minuti, rispose “La ragione per cui le donne in America vengono violentate va ricercata nello stile di
vita e nella cultura americana. Se la gente vivesse osservando la legge islamica il problema degli
stupri sarebbe risolto” (J. Smolowe , All For One?, “Time”, 11 settembre 1995).
15
Loro chiedono il diritto d’aborto, noi chiediamo acqua potabile e servizi sanitari di base”, “Con ciò
non vogliamo sminuire le loro lotte […]” (ibidem).

16
1. Una visione globale: le conferenze del Cairo e di Pechino

state compiute da chi, seppur sfruttato, faceva girare l’economia, si pensi alla
rivoluzione francese o a quella del proletariato.
Per lavoro qui si intende un’occupazione socialmente riconosciuta come tale e
retribuita, precisazione necessaria in quanto le donne da sempre oltre a occuparsi di
tutte le faccende domestiche, si sono sobbarcate il duro lavoro nei campi, nelle
fabbriche e in molte altre mansioni fondamentali per la vita della famiglia, ma
totalmente misconosciute e ritenute parte dei doveri muliebri.
Spesso una mancata istruzione è causa di un impossibile o difficile inserimento nel
mondo del lavoro: su circa 960 milioni di analfabeti nel mondo i due terzi sono
donne 16. Se il numero degli analfabeti maschi sta calando rapidamente, altrettanto
non si può dire di quello delle femmine, mentre sempre più donne scivolano al di
sotto della soglia di povertà. Un circolo vizioso che deve essere interrotto.
In occidente, dove il numero delle donne impiegate in lavori anche prestigiosi sta
aumentando, la retribuzione a parità di lavoro e categoria è nettamente maggiore per
l’uomo.
Purtroppo, anche l’attesa Conferenza di Pechino non ha saputo dare origine ad una
dichiarazione forte e unitaria che potesse finalmente gettare le basi per un “diritto
inviolabile e internazionale delle donne”, ma non per questo è giusto considerarla
fallimentare “tout court” :
“To be sure, the consensus was tenuous and the final version had enough vagueness to enable all sides
to claim victory. Still it was a moment of triumph when the entire convocation unanimously endorsed
the document, which gives new prominence and force to a range of issue. “This culminates a lot of the
struggles of the past 20 years”[…]” 17

Si potrebbe riassumere il contenuto della Dichiarazione in dodici principi
fondamentali che dovranno essere rispettati dalle diverse nazioni:
Maggior potere alle donne in ogni settore della società, dalla famiglia al lavoro,
dalle idee personali alla rappresentanza politica. In particolare si richiede che le
donne abbiano un ruolo chiave nei concordati di pace e più in generale che sia
garantita la loro partecipazione nelle sedi decisionali.
16

U.N. Statistical Office
Si può essere sicuri che il consenso è stato tiepido, e la versione finale (del programma d’azione)
aveva quel tanto di vaghezza da permettere ad ogni parte di dirsi vincitrice. Nonostante ciò, fu un
momento di trionfo quando l’intera assemblea all’unanimità firmò il documento che conferisce una
nuova preminenza e forza ad una ampia gamma di problematiche. “Ciò porta a compimento molte
delle battaglie degli ultimi vent’anni”[…]” (J. Smolowe, Mission Accomplished, “Time”, 25
settembre 1995).
17

17
1. Una visione globale: le conferenze del Cairo e di Pechino

― Pari responsabilità famigliari tanto nella cura ed educazione dei figli quanto nei
compiti domestici. Rispetto per le diverse realtà famigliari e attenzione nell’adottare
scelte politiche che possano agevolare i diversi ruoli materni e paterni garantendo la
sicurezza e la buona salute dei figli.
― Lotta alla povertà per mezzo di scelte economiche eque e solidali nei confronti
delle donne e dei loro figli. Ricerca di soluzioni atte a porre fine al lucroso mercato
del lavoro in nero e sottopagato. Rivalutazione dei lavori non remunerati che le
donne offrono alla propria famiglia e all’intera società.
― Rafforzamento del sistema sanitario in modo che ogni donna, a prescindere dal
reddito e dal paese in cui vive, possa usufruire di cure mediche sia fisiche che
mentali adeguate alla sua situazione. Potenziamento della ricerca medica focalizzata
sulla salute della donna.
― Diritto alla libertà di scelta in campo riproduttivo e sessuale, libertà che deve
essere tutelata sì, ma anche resa consapevole mediante un’appropriata educazione ed
informazione. Creazione di centri di consulenza e assistenza.
― Lotta alla violenza contro le donne sia essa sessuale, fisica o psicologica.
Educazione ad una maggiore sensibilità nei confronti di questi gravi crimini a lungo
rimasti impuniti.
― Diritto al lavoro, Creazione di corsi preparatori e di formazione, maggior
consulenza per l’orientamento, maggior informazione sui propri diritti, ma anche
sulle reali possibilità lavorative nel territorio.
― Lotta alla discriminazione sul posto di lavoro. La discriminazione comprende: la
preferenza ad assumere personale maschile a discapito di quello femminile a parità
di istruzione, preparazione e capacità personali; la richiesta da parte del datore di
lavoro di rinunciare alla maternità; le minacce di licenziamento in caso di maternità;
una remunerazione minore rispetto al corrispondente maschile a parità di lavoro
svolto e categoria lavorativa; le molestie psicologiche o fisiche che possano essere
ricondotte all’identità sessuale della vittima; minacce e ricatti per ottenere favori
sessuali; la creazione di un’ambiente lavorativo sfavorevole o menomante per lo
svolgimento del lavoro stesso e per la salute psico-fisica della vittima.
― Diritto all’istruzione che deve essere uguale per qualità e valore a quella maschile,
scevra da coercizioni, favoritismi o discriminazioni.

18
1. Una visione globale: le conferenze del Cairo e di Pechino

― Rispetto della “Platform for Action” da parte delle Nazioni che hanno partecipato
alla Conferenza; impegno costante da parte dei governi nel migliorare e garantire le
condizioni di vita delle donne. 18
Lo svolgimento della conferenza, seguito con particolare interesse dai media, ha
avuto maggiore impatto sull’opinione pubblica rispetto alle analoghe conferenze del
passato. Parte del merito va alla presenza di Hillary Clinton che ha saputo giocare
un’importante ruolo mediatico: la sua partecipazione incerta fino all’ultimo ha creato
l’attesa dell’evento, le sue parole decise e sincere hanno rotto gli indugi di molti, non
solo americani, ad interessarsi al meeting e alla condizione femminile. Se alla
Conferenza del Cairo “Time” e “Newsweek” avevano dedicato complessivamente
solo due articoli 19 , a quella di Pechino ne sono stati dedicati ben dodici 20; anche la
stampa europea ha attribuito uguale importanza all’evento 21 .
La gioia delle tante donne riunitesi a Pechino per far sentire la propria voce è stata
immortalata dalle foto dei giornalisti: lacrime di commozione sincera e abbracci,
strette di mano complici. Un traguardo è stato raggiunto, ma altri ne restano: per
quanti anni a venire avremo bisogno di una Conferenza completamente dedicata al
nostro caso? Il giorno che non ce ne sarà più bisogno, la meta sarà raggiunta.

18

“Center for Women Policy Study”: www.centerwomenpolicy.org
C. Gorman, Planned Planethood, “Time”, 9 maggio 1994; M. Dickey, C. Dickey, Body Politics,
“Newsweek”, 12 settembre 1994.
20
In “Newsweek”, T.Emerson, The rights of women, 28 agosto1995; B. Friedan, Time to Transcend
Sexual Politics, 4 settembre 1995; C. Bogert, Pushing Back the Veil, 4 settebre 1995; G. Wehrfritz ,
The End of the Party, 11 settembre 1995; R.Watson, K. Chubbuck, Struggling Through Hell and High
Water, 11 settembre 1995; C.Bogert, Soapbox Sisters, 18 settembre 1995; C. Bogert, Africans Up
Front, 25 settembre 1995. In “Time”, K. Fedarko, Run Right Out of Town, 5 Luglio 1995; A. Spaeth,
He’s Out, 4 settembre 1995; J. Smolowe, All for One?, 11 settembre 1995; J. Walsh, Sisterly Spirit
Undampened, 18 settembre 1995; J. Smoluwe, Mission Accoplished, 25 settembre 1995.
21
In “Le Monde” : A Pékin, Hillary Clinton durcit le ton contre la Chine, 7 settembre 1995 ; Le projet
de Mm Clinton de se rendre à la conférence mondiale sur les femmes est contesté aux
Etats-Unis, 19 agosto 1995 ; Hillary Clinton se rendra en Chine, 27 agosto 1995 ;
Hillary Clinton défend les droits des femmes à la Conférence de Pékin, 6 settembre 195 ; Hillary
Clinton remerciée par Harry Wu, 8 settembre 1995. In “Corriere della sera “: Non solo madre.
Parola del Papa, 29 agosto 1995; Critiche esagerate, 24 settembre 1995; Vecchie femministe addio,
27 agosto 1995; Il Vaticano: " Non firmiamo ", 10 settembre 1995; Il Papa non ha mutato linea: “la
donna e' solo riproduzione ", 25 agosto 1995; " Qui vale solo il lato peggiore " Violenza, soprattutto
in famiglia, 18 agosto 1995; Da Hillary alla Bonino: cento donne muovono il mondo, 24 agosto 1995;
Donne, una crociata americana, 7 settembre 1995; La rivincita del femminismo, 16 settembre 1995;
Parità per la donna che lavora, 21 agosto 1995; L' O.N.U. dimentica i diritti delle donne, 26 agosto
1995.
19

19
2. Donne si diventa

2. Donne si diventa

Are boys and girls born different?
Does every infant really come into the
world programmed for caretaking or
war making? Or does culture get to
work on our children earlier and more
inexorably than even parents are
aware? (“Newsweek”, 28 maggio
1990).

“Donne si diventa” era uno degli slogan cantati durante le manifestazioni delle
femministe che, agli inizi degli anni ’60, per prime, iniziavano a contestare
radicalmente i concetti di femminilità e mascolinità. 1 E’ infatti a partire dagli anni
’60/’70 che con la messa in discussione dei principi e dei valori di una cultura
patriarcale e androcentrica, si inizia a considerare uomini e donne come due soggetti
differenti, con percorsi evolutivi autonomi e per certi aspetti opposti, con esperienze
esistenziali diverse Si nasce esseri umani, saranno poi le imposizioni sociali a
forgiare il pensiero, le attitudini, i comportamenti e il carattere di uomini e donne in
base agli stereotipi di genere. Nel percorso di crescita, da bambina ad adulta, una
donna dovrà affrontare diverse tappe, ognuna delle quali forgerà il suo divenire:
l’educazione ricevuta in famiglia e a scuola, la scoperta del proprio corpo e della
sessualità, la sua capacità di dare origine a nuove vite e la conseguente gestione della
maternità. A seconda di come vivrà ognuno di questi momenti, potrà essere una
donna libera e appagata o ancora sottomessa e artefatta.

1

E. Roccella, Dopo il femminismo, Roma, Ideazione Editrice, 2001, pp.40-42.

20
2. Donne si diventa

2. 1

Educazione

Tra maschi e femmine esistono differenze anatomiche e caratteristiche peculiari
congenite che nessuno può negare. Rimane da definire se queste indubbie differenze
siano le uniche responsabili della definizione dei ruoli maschili e femminili o se
anche il condizionamento sociale abbia un peso rilevante. Di sicuro c’è che nessuna
ricerca scientifica fino ad oggi ha prodotto prove sufficienti – e non macchiate da
sospetti di parzialità – per stabilire se esista un diverso funzionamento della mente
nei due sessi, tale da differenziarne il comportamento e l’apprendimento 2.
A questo proposito, nell’edizione del “Newsweek” del 28 maggio 1990 viene
dedicato all’argomento un interessante dossier di sette pagine intitolato Guns and
Dolls. Il titolo scelto da Laura Shapiro è particolarmente appropriato in quanto riesce
a sintetizzare in due parole le fondamentali ambivalenze che si incontrano nel voler
studiare la differenza tra i sessi. “Guns” e “dolls” sono i giocattoli più regalati in
America rispettivamente ai maschi e alle femmine; questa scelta non può essere
considerata neutra – sebbene sia spesso inconscia nei genitori – poiché il giocattolo
“pistola” veicola una simbologia totalmente opposta alla “bambola”: se la prima
evoca l’aggressività, la violenza fisica, la freddezza e in ultimo la guerra, la seconda
richiama alla mente la tenerezza, la cura, l’emotività e in generale la sfera dei
sentimenti. Gli attributi assegnati ai giochi sono i medesimi che ci si aspetta si
sviluppino nel maschio e nella femmina, o meglio ancora sono quelle “qualità” che
secondo gli stereotipi maschili e femminili faranno del bambino un uomo e della
bambina una donna. All’inizio degli anni ’90, dunque, sono in molti ad iniziare a
mettere in dubbio la veridicità e l’esattezza dei ruoli maschili e femminili
socialmente codificati, o quanto meno ci si domanda se le differenze tra uomo e
donna siano di carattere genetico o sociale. La scelta del “Newsweek” di pubblicare
un tale dossier, rispecchia il crescente disagio di molte donne e uomini nei confronti
di ciò che la società attuale richiede ad ognuno di loro come appartenenti ad un
determinato sesso.
La Shapiro apre il dossier con la descrizione dei modi di giocare liberamente scelti
da una bambina e da un bambino quasi coetanei:
2

G.Greer, L’eunuco femmina, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2000, pp. 105-109.

21
2. Donne si diventa

“Rebecca is 3 years old, and both her parents have full-time jobs. Every evening Rebecca’s father
makes dinner for the family—Rebecca’s mother rarely cook. But when it’s dinner time in Rebecca’s
dollhouse, she invariably choose the Mommy doll and puts her in the kitchen. George is 4, and he was
never taught the word “gun”, much less given a war toy of any sort. […]Thereafter he would grab a
stick from the park, brandish it about and call it his “shooter!” […] By the age of 4 or 5, however,
children start to embrace gender stereotypes with a determination that makes liberal-minded parents
groan in despair” 3

Fino a questo punto sembra non si metta in discussione l’origine biologica delle
diversità comportamentali. In realtà la tecnica usata dalla Shapiro è proprio quella di
smantellare passo dopo passo tutti gli stereotipi di genere partendo proprio da questi.
In tal modo anche il lettore più scettico sarà accompagnato gradualmente alla
scoperta di altre possibili spiegazioni, magari fino a quel momento neppure prese in
considerazione.
Il passo successivo è quello di instillare il dubbio che l’origine biologica delle
differenze non sia poi così scontata :
“Are boys and girls born different? Does every infant really come into the world programmed for
caretaking or war making? Or does culture get to work on our children earlier and more inexorably
than even parents are aware?” 4

A questo punto la Shapiro ripercorre brevemente i passi più salienti compiuti dagli
studiosi in materia. Si legge infatti che, sebbene la natura delle differenze tra i sessi
sia da più di un secolo dibattuta da studiosi provenienti dai più diversi ambiti
disciplinari - dalla storia, all’economia, dalla biologia, alle discipline psico-socioantropologiche - è solo da alcuni decenni che si inizia a riconoscere autonomia e
specificità al modo di essere, pensare e agire della donna. Questo cambiamento di
prospettiva è di capitale importanza se si tiene conto che un tempo si pensava di
poter spiegare l’universo femminile e la differenza tra i sessi considerando la
soggettività e l’esperienza maschile come unico parametro universalmente

3

Rebecca ha tre anni ed entrambi i suoi genitori lavorano a tempo pieno. Ogni sera il padre di
Rebecca prepara la cena per la famiglia, la madre di Rebecca invece cucina raramente. Ma quando è
l’ora di cena nella casa delle bambole di Rebecca, lei scegli sempre la sua mamma-bambola per
cucinare.Gorge di anni ne ha quattro e non gli è mai stata insegnata la parola “pistola”e tanto meno
gli sono mai stati regalati giocattoli che avessero a che fare con la guerra. […] Di lì a poco Gorge
avrebbe raccolto un bastoncino di legno nel giardino del parco e avrebbe finto di sparare
chiamandolo “la mia pistola!”All’età di quattro o cinque anni, i bambini iniziano a comportarsi
secondo gli stereotipi di genere con una tale determinazione che fa disperare i genitori più liberali.
(L. Shapiro, Guns and dolls, “Newsweek”, 28 maggio 1990).
4
I bambini e le bambine nascono differenti? E’ davvero possibile che ogni neonato venga al modo
programmato per prendersi cura del prossimo o per fare la guerra? Oppure il fattore socio-culturale
opera sui nostri figli prima e in maniera più inesorabile di quanto i genitori credano? (Ibidem).

22
2. Donne si diventa

applicabile 5. Come si può facilmente capire una tale tendenza unilaterale, che cioè
escluda del tutto il punto di vista femminile, non può condurre a nessun risultato
apprezzabile per la scienza. Nel 1902 si pensava ancora che: “Intelligence was a
function of brain size and that male uniformly had lager brains that women – a fact
that would nicely explain men’s pre-eminence in art, science and letters” 6 ed è stata
proprio una donna a compiere degli studi più approfonditi in materia che hanno
condotto ad una fondamentale scoperta, ovvero che in proporzione al peso corporeo,
era più pesante il cervello delle donne. A questo punto, scienziati di tutto il mondo, si
sono affrettati a trovare prove certe che confutassero la loro stessa teoria: le
dimensioni e il peso della massa celebrare avevano perduto ogni valore nella
determinazione dell’intelligenza e delle caratteristiche peculiari maschili e femminili.
In compenso:
“Gender research in America has become a lot more sophisticated in the ensuing decades, and a lot
more controversial. The touchiest question concerns sex hormones, especially testosterone, which
circulates in both sexes but is more abundant in males and is a likely, though unproved, source of
aggression.” 7

La Shapiro non esprime la sua idea, un giudizio personale rischierebbe di invalidare
un’inchiesta che si prefigge di essere il più attendibile e oggettiva possibile, ma di
certo questo non le impedisce di sottolineare più volte nell’articolo l’impossibilità
degli scienziati a trovare delle prove certe che confermino la teoria degli ormoni. Più
avanti , nella sezione Water pistols, viene ancora una volta ribadito che:
“Apart from the fact that women everywhere give birth and care for children, there is surprisingly
little evidence to support the notion that their biology makes women kinder, gentler people or even
equips them specifically for motherhood. Philosophers—and mothers, too—have taken for granted the
existence of a maternal “instinct” that research in female hormones has not conclusively proven.” 8

5

B. Bertani, L.Venini, Stili di comunicazione e differenze di genere, cit., pp. 122-123.
Si pensava che l’intelligenza fosse proporzionale alla grandezza del cervello e che generalmente gli
uomini lo avessero di dimensioni maggiori rispetto alle donne – un dato di fatto che avrebbe
agevolmente spiegato la preminenza degli uomini nell’arte, nella scienza e nella letteratura . (L.
Shapiro, Guns and dolls, “Newsweek”, 28 maggio 1990).
7
In America le ricerche sulle differenze di genere sono diventate sempre più sofisticate con il passare
degli anni, ma anche più controverse. La questione più scottante riguarda gli ormoni, specialmente il
testosterone, che circola in entrambi i sessi, ma è più abbondante nei maschi e sarebbe all’origine
dell’aggressività. La validità di tale teoria non è ancora stata provata. (Ibidem).
8
Se si esclude il fatto che le donne in ogni parte del mondo partoriscono e si prendono cura dei figli
ci sono sorprendentemente poche prove a supporto della teoria secondo la quale la loro biologia le
renderebbe più tenere, più gentili o specificatamente attrezzate per la maternità. Filosofi—ed anche le
madri stesse—hanno dato per scontato l’esistenza di un ”istinto”materno che non è stato
compiutamente provato dalle ricerche sugli ormoni femminili. (Ibidem)
6

23
2. Donne si diventa

La Shapiro fa un’importante distinzione tra le capacità prettamente fisiche di dare
vita ad un altro essere umano e la maternità, intesa appunto come attitudine innata a
prendersi cura dei figli. Quest’ultima non è suffragata da prove ed è possibile
postulare che si tratti di una convenzione sociale. Come si avrà modo di analizzare
più avanti, nel paragrafo Figlie dell’Asia, l’istinto alla protezione della prole non è
uguale in tutti i paesi del mondo. In massima parte, il concetto di maternità dipende
dalla cultura e dagli usi di una determinata società:
“If , in our society, nature stands for the giving of life, nurturance, help, affection, then the girl will
conclude unconsciously that those are the qualities she should strive to attain. And the boy won’t. And
that’s exactly what happens.” Says Kagan” 9

Sebbene si stia parlando del caso specifico della maternità, viene introdotto il
concetto di inconscio che è alla base di ogni condizionamento sociale.
La penultima sezione, Infant ties, presenta alcuni esperimenti che sono stati fatti per
dimostrare in che modo e attraverso quali mezzi operi il condizionamento sociale sui
bambini di entrambi i sessi:
“Malatesta and her colleagues, who videotaped and coded the facial expression on mothers and infants
as they played, found that mothers displayed a wider range of emotional responses to girls than to
boys. When the baby girls displayed anger, however, they met what seemed to be greater disapproval
from their mothers than the boys did. These patterns may be among the reason why baby girls grow
up to smile more, to seem more sociable than male, and to possess the skill noted earlier in “reading”
emotions.” 10

In alter parole si potrebbe dire che alle bambine venga subito insegnato il linguaggio
della tenerezza e della cura. Generalmente dalle bambine ci si aspetta non solo che
siano meno aggressive, ma anche più riflessive e mature, che sappiano cioè
controllare la propria rabbia e veicolarla piuttosto verso una maggiore disposizione al
dialogo e alla conciliazione:

9

“Se ,nella nostra società, si intende come una cosa naturale, partorire, prendersi cura del figlio,
aiutarlo, dargli affetto, la ragazza concluderà inconsciamente che quelle sono le qualità lei dovrebbe
sforzarsi di conseguire. Mentre ai maschi non è richiesto. E ciò è esattamente ciò che accade”.Dice
Kagan (Ibidem). Kagan è ricercatrice presso Harvard.
10
Malatesta e i suoi colleghi, videoregistrando e codificando le espressioni facciali di madri e figli
intenti nel gioco, scoprirono che le madri mostrano un più vasto repertorio di espressioni emozionali
nei confronti delle figli femmine. D’altra parte però, quando le bambine mostrano comportamenti
aggressivi, ricevono messaggi di maggior disapprovazione rispetto ai maschi. Questi campioni
potrebbero spiegare perché le bambine, nel crescere, sorridano di più , siano più socievoli dei
bambini e posseggano quella particolare abilità di saper “leggere” le emozioni altrui. (Ibidem).
Malatesta è ricercatrice e docente di psicologia alla Long Island University con sede a New York. Gli
studi condotti dall’equipe di Malatesta includono anche quelli sul baby talk, ovvero sui moduli
verbali usati nel parlare con i più piccoli. (B.Bertani, L.Venini, Stili di comunicazione e differenze di
genere, cit., p. 125).

24
2. Donne si diventa

“The difference in parental treatment start even before the difference in behavior shows up. Girl
receive very different messages than boys, they are encouraged to care about the problems of others,
beginning very early. By elementary, they’re showing more caregiver behavior, and they have a wider
social network.” 11

Naturalmente non significa che le bambine, future donne, non abbiano istinti
aggressivi. Talvolta questi istinti vengono repressi e rimangono ad avvelenare la vita
di tutte coloro che, convinte di dover essere buone a tutti i costi, si sentono colpevoli,
quasi contro natura, solo per aver provato tali stati d’animo. Il più delle volte invece
le bambine imparano da subito ad usare altri mezzi, quelli concessi, per esprimerli:
per esempio il linguaggio, la capacità persuasiva e relazionale, l’abilità a creare
alleanze a discapito di terzi:
“Little girls have their aggressive side, too, but by the time they’re socialized it takes a different form.
The kinds of things boys work out with guns, girls work out in terms of relationship—with put downs
and social cruelty. […] A 4-year-old at a party turned to her young hostess as a small stranger toddled
up to them.” Tell her we don’t want to play with her,” she commanded. ”Tell her we don’t like her” 12

A conclusione del dossier, la Shapiro presenta la tesi della ricercatrice Gleason e
ribalta la prospettiva dell’analisi giungendo alla conclusione, ben fondata, che il
condizionamento sociale non abbia leso solo le donne, ma forse ancor più gli uomini:
[…] The traditional implication is that the standard of life is male, while the entity that needs
explaining is female. Perhaps the time has finally come for a new agenda. Women after all, are not e
big problem. Modern society does not suffer from burdensome amounts of empathy and altruism, or a
plague of nurturance. The problem is men – or more accurately, maleness.
“There’s one set of sex differences that’s ineluctable, and that’s the death statistics,” says Gleason.
Men are killing themselves doing all the things that our society wants them to do. At every age they’re
dying in accidents, they’re being shot, they drive cars badly, they ride the tops of elevators, they’re
two-fisted hard drinkers. And violence against women is incredibly pervasive. Maybe it’s men’s
raging hormones, but I think it’s because they’re trying to be a man. If I were the mother of a boy, I
would be very concerned about societal pressures that idolize behaviors like that.” 13
11

La diversità nel modo di trattare i figli da parte dei genitori inizia ancora prima che le differenze
di genere si verifichino nei comportamenti dei bambini. Le bambine ricevono dei messaggi
completamente diversi rispetto ai maschi. Esse, per esempio, sono da subito incoraggiate ad
interessarsi ai problemi degli altri. Già nelle scuole elementari le bambine dimostrano una maggiore
attenzione verso la cura e hanno più amicizie. (Ibidem).
12
Anche le bambine hanno il loro lato aggressivo, ma nel momento della socializzazione esso assume
forme diverse. Mentre i maschi risolvono i contrasti giocando alla guerra con pistole giocattolo, le
bambine usano come arma le relazioni sociali. Un esempio. Ad una festa, una bambina di soli quattro
anni, vedendo avvicinarsi una coetanea non gradita, ha detto alla sua amichetta “ Dille che noi due
non vogliamo giocare con lei” e ancora, in tono più imperioso “Dille che a noi lei non è simpatica”
(Ibidem).
13
L’implicazione tradizionale è che lo standard sia l’uomo, mentre l’entità che necessita di essere
spiegata sia la donna. Può essere che sia infine giunto il momento di cambiare l’ ordine del giorno.
Le donne dopo tutto non costituiscono un grosso problema. La società moderna non soffre per un
eccesso di empatia e altruismo o per la piaga del nutrimento. Il vero problema sono gli uomini—o più
appropriatamente la mascolinità.“C’è una differenza tra i due sessi che è ineluttabile: le statistiche di
morte.” Dice Gleason. “Gli uomini si stanno uccidendo nel fare tutte quelle cose che la nostra società

25
2. Donne si diventa

Al di là della cosìdetta “battaglia dei sessi”, sarebbe di grande importanza per l’intera
società comprendere che il modellamento del carattere e del comportamento in base
al sesso va a totale discapito non solo delle singole personalità e attitudini, ma della
stessa comunità. Se non esistessero dei ruoli ben definiti, citando Margaret Mead 14:
Non accadrebbe allora che un’abitudine, un’attitudine, un vivido immaginare, un pensare preciso
vadano ignorati o perduti per il solo fatte che il bambino che li possedeva apparteneva ad un sesso
anziché all’altro. […] Molti sarebbero i modelli a disposizione in un mondo ormai deciso a concedere
a ogni individuo di seguire la via più congeniale alle sue doti. 15

E’ probabile che, in parte, la società umana abbia bisogno di ruoli e riti ben definiti
per non finire nel caos, ma bisognerebbe chiedersi quanto è alto il prezzo da pagare
per mantenere inalterati questi ruoli. La Shapiro lascia al lettore la risposta a
quest’ultimo quesito.
Nel box inserito nel dossier, firmato dalla Shapiro stessa, vengono presi in esame i
giocattoli, come importante mezzo di formazione delle differenze di genere. Infatti
nonostante la dimensione del gioco sia innata in tutti i bambini e sia presente in tutte
le culture, il modo in cui il gioco si esprime, le sue regole e gli oggetti stessi usati,
sono prodotto diretto e specchio della società, anzi si potrebbe affermare che
attraverso il gioco vengano gettate le prime basi del sapere sociale. 16
In particolare la giornalista concentra la sua attenzione sul caso Fisher-Price, la nota
industria americana di giocattoli per l’infanzia:
vuole che loro facciano. Ad ogni età muoiono in incidenti, per colpa di armi da fuoco, o per guida
spericolata, arrivano a salire sul tetto degli ascensori per sfidarsi e devono il doppio di alcolici
rispetto alle donne. La violenza contro le donne poi è estremamente diffusa. Può darsi sia colpa
dell’ormone della rabbia, ma secondo me ciò accade perché tentano di essere uomini. Se avessi un
figlio maschio, sarei molto preoccupata per quelle pressioni sociali che incitano a comportarsi in
quei modi.” (Ibidem).Gleason è Docente alla Boston University.
14
Margaret Mead, nata nel 1901 a Filadelfia, è una delle antropologhe più famose e rispettate non
solo in America. Fu non solo una brillante ricercatrice, ma anche un personaggio carismatico e
anticonformista che riuscì a portare fuori dalle aule universitarie i dibattiti su importanti temi quali il
razzismo, l’identità di genere, la giustizia e il diritto all’istruzione, il femminismo e l’emancipazione
sociale delle minoranze. Secondo le sue tesi, erano gli aspetti culturali a portare al razzismo, alle
intolleranze, alle guerre, perciò i membri di una società potevano e dovevano lavorare insieme per
modificare le loro trazioni e costruire nuove istituzioni. Il suo slogan in proposito era: “Never doubt
that a small group of thoughtful, committed citizens can change the world.” In una società sempre più
pessimista riguardo alle capacità umane di cambiamento, lei insisteva sull’importanza di favorire e
supportare tale capacità. Dopo aver lungo viaggiato per le sue ricerche antropologiche, morì a New
York nel 1978. (“La psicologia amica”: www.psicolinea.it).
15
M. Mead, Sesso e temperamento, Milano, Il Saggiatore, 1967, p.344.
16
Per sapere sociale si intende la capacità di uniformarsi e attenersi a quelle regole che, seppur non
scritte, sono il fondamento della società in cui si vive. (C. Castelli, A. Quadrio, L. Venini, Psicologia
sociale e dello sviluppo, Milano, Franco Angeli, 1998).

26
2. Donne si diventa

“According to Kathleen Alfano, manager of the Child Research Department at Fisher-Price, kids will
play with everything from train sets to miniature vacuum cleaners until the age of 3 or 4; after that
they go straight for the stereotypes. And the toy business meets them more than halfway” 17

Numerose indagini condotte dai ricercatori americani, hanno permesso di stilare delle
liste di giochi classificati secondo l’indice di mascolinità e femminilità: bambole e
giochi concernenti attività casalinghe sarebbero l’estremo femminile, mentre giochi
di costruzione che comportino l’impiego di utensili, quello maschile. Questa
classificazione corrisponde in grandi linee alle occupazioni sociali ritenute
caratteristiche di ciascun sesso nell’età adulta. 18
La Fisher-Price è famosa ancora oggi per aver aperto la strada verso la produzione di
giocattoli chiamati “open gender”, ovvero non rivolti specificatamente a un sesso o
all’altro. Tra questi vi sono degli articoli di indubbio successo e molto innovativi,
come i pattini a rotelle allungabili in modo da adattarsi al piede del bambino nell’età
della crescita, lettori di cassette semplici da usare e dai colori invitanti, o ancora
microfoni attraverso cui i bambini potevano registrare voci e suoni.
Purtroppo esigenze di mercato hanno portato la Fisher-Price a tentare altre strade: nel
1987 viene lanciata una nuova linea di giocattoli
“Developed along strict sex-role lines. These toys are meant to capture kids’ fads and fashions as well
as their preconceptions about masculinity and femininity ” 19

E’ la volta di case per le bambole in perfetto stile Vittoriano, veri beautycase con
tanto di ombretti e rossetti, collane, bracciali e perline per farsi belle già da piccole;
piste per automobili sfreccianti a tutta velocità, robot dalle sofisticate e letali armi.
Per fortuna questa nuova iniziativa non aveva sortito l’effetto desiderato e, nel
complesso, non aveva neppure portato ad un aumento del fatturato. Del resto ciò non
significa che le differenze di genere stiano svanendo:
Even where no stereotypes are intended, the company has found that some parents will conjure them
up. At a recent session for 3-years-olds in the Playlab, the most sought-after toy of the morning was
17

Secondo l’opinione di Kathleen Alfano manager del Child Research Department della Fisher-Price,
I bambini giocheranno con ogni cosa, dai trenini alle aspirapolvere miniaturizzate, fino all’età ditre o
quattro anni; dopo di che seguiranno gli stereotipi di genere. Ed i produttori di giocattoli vanno a
loro incontro ben più che a metà strada. (L.Shapiro, Where LittleBoys CanPlay WithNail Polish,
“Newsweek”, 28 maggio 1990).
18
C. Bried, Gli scolari e le scolare, in M. Debesse, Psicologia dell’età evolutiva, Roma, Armando,
1968, p. 346).
19
Creati seguendo i canoni degli stereotipi. Questi giocattoli sono progettati per soddisfare i capricci
e le abitudini dei bambini nonché i loro preconcetti su ciò che è da femmine e ciò che invece è da
maschio (Ibidem).

27
2. Donne si diventa

the fire pumper, a push toy that squirts real water. “It’s for both boys and girls, but parents are buying
it for boys” says Alfano. 20

Se i bambini fossero completamente liberi di scegliere i propri giochi, probabilmente
farebbero scelte diverse dai propri genitori. Esperimenti condotti al Child Research
Department evidenziano che:
When 7-years-olds were testing the nail polish, we left it out after girls were finished and the boys
came and played with it. […] They spent the longest time painting their nails and drying them. 21

La Shapiro afferma a chiusura dell’articolo: “It’s not the same as the outside
world.” 22, a dire che ci vorrà ancora del tempo prima che stereotipi vecchi di secoli
vengano completamente sradicati. E’ già qualcosa trovare un dossier di questo tipo,
forse qualcosa sta iniziando a cambiare.
“Time” perde l’occasione di cimentarsi in questo campo che potrebbe prestarsi a
diverse interpretazioni e dibattiti. Una tale scelta, quella di non affrontare per nulla la
spinosa questione degli stereotipi di genere e dei condizionamenti sociali, può forse
rivelare la linea conservatrice della testata, restia ad ammettere quanto le differenze
tra i sessi siano principalmente un prodotto sociale.

2.2 Istruzione
L’istruzione, in molti paesi, è ancora oggi negata alle donne. Nella maggioranza dei
casi la mancata scolarizzazione le condannerà a una totale dipendenza economica, a
matrimoni precoci e spesso ad essere vittime di una cultura androcentrica che le
vuole subordinate e vulnerabili. Il sapere è potere, l’ignoranza è sottomissione. Non
può esistere libertà di pensiero se il pensiero stesso è costretto entro limiti angusti,
senza possibilità di conoscenza ed evoluzione. Probabilmente se in molti paesi non si

20

La Fisher-Price ha scoperto che, anche quando nessuno stereotipo era sottinteso, alcuni genitori lo
avrebbero comunque immaginato. Ad una recente riunione al Playlab sui giocattoli per bambini di tre
anni, l’articolo di maggior successo risultò essere il “pompiere”che se schiacciato spruzzava vera
acqua dalla pompa. “ E’ un tipo di giocattolo pensato per entrambi i sessi, ma i genitori lo comprano
per i maschi” dice Alfano (Ibidem).
21
Dopo che le bambine di sette anni avevano finito di testare lo smalto per unghie, facemmo entrare
dei bambini lasciando lo smalto dov’era, essi iniziarono a giocarci. Alla fine avevano passato più
tempo delle bambine nel dipingersi le unghie e lasciarle asciugare (Ibidem).
22
Il mondo là fuori non è la stessa cosa. (Ibidem).

28
2. Donne si diventa

è ancora formata una forte coscienza di “genere”, questo è dovuto proprio alla
mancanza di una vera istruzione. Non sarebbe il primo caso nella storia.
Agli inizi degli anni ’90 il livello di istruzione presenta forti disparità: se nei paesi
occidentali il 98% delle donne sono alfabetizzate, la percentuale scende al 40% nei
paesi arabi e al 33% in quelli dell’Asia del Sud. 23
In Cina il progresso dell’istruzione è stato particolarmente elevato se si pensa che in
cinquant’anni – 1950-’90 -- la percentuale di analfabetismo tra le donne è passata dal
90% al 4% 24. Non in tutti gli stati si è registrato lo stesso incremento.
E’ importante aggiungere che, nella maggior parte dei casi, ad una bassa percentuale
di alfabetizzazione corrisponde un’alta percentuale di povertà e malnutrizione: ne è
un esempio il Burkina Faso in cui il tasso di analfabeti è tra i più elevati come il
numero di morti per denutrizione Queste statistiche dovrebbero suggerire che
l’istruzione femminile non riguarda solo il benessere delle donne – nonché un diritto
fondamentale – ma il benessere dell’intera comunità. Naturalmente in molti paesi del
terzo mondo l’istruzione è negata non solo alle donne, ma anche agli uomini,
entrambi costretti a lavorare dall’età di 4 anni.
Anche per quanto riguarda il tempo trascorso a scuola, la situazione tra il Nord e il
Sud del mondo non è egualitaria. In Occidente la media di anni varia da un minimo
di 12 fino a superare i 18, mentre in molti paesi in via di sviluppo la media si aggira
intorno ai 3 anni 25. La bassa permanenza all’interno dell’istituzione scolastica non
riguarda solo i bambini di sesso femminile, sebbene sia altamente più probabile che
una bambina, appena raggiunta l’età della pubertà, sia costretta ad abbandonare la
scuola per dedicarsi al suo ruolo di moglie e di madre a tempo pieno. In molti paesi
la realizzazione della donna come persona, slegata dai doveri famigliari, non è
neppure presa in considerazione. Sono molti i casi di bambine e ragazze
particolarmente portate per lo studio che nonostante gli ottimi risultati raggiunti e le
altrettanto ottime prospettive per il futuro, si sono viste costrette ad interrompere il
percorso di formazione da parenti preoccupati che troppa istruzione potesse
addirittura danneggiarle. Alle donne è richiesto di saper tenere una casa, di essere

23

Pnud, Rapport mondial sur le développement humain, Paris, ed. Economica, 1995.
Population and Development in China: Figures and Facts, in « Chinese Population Today », II, n.3,
luglio 1994, cit. in J. Véron, Il posto delle donne, cit., p. 113.
25
Pnud, Rapport mondial sur le développement humain, cit., 1994.
24

29
2. Donne si diventa

obbedienti e umili, di essere figlie e poi mogli devote, madri feconde di figli,
possibilmente maschi; tutte doti che potrebbero effettivamente essere compromesse
da un’adeguata scolarizzazione.
La situazione, come si è detto, è molto diversa in Occidente dove il diritto
all’istruzione è stato ampiamente ottenuto e dove nessuno oserebbe più metterlo in
discussione. Questo però non significa che il sessismo sia scomparso dalla scuola e
che non esistano più disparità di alcun genere come ben dimostrato in un articolo
pubblicato da “Newsweek” nell’edizione del 5 gennaio 1991, intitolato Thought
Police. L’autore Eduard Jones parte da un recente fatto di cronaca - l’espulsione di
una ragazza dal college per aver appeso fuori dalla porta della camera un foglio
pieno di insulti verso gli omosessuali - per estendere poi la sua indagine a tutte le
forme di pregiudizio ancora presenti nei college americani:
“There is an experiment taking place in American collages. Or, more accurately, hundreds of
experiments at different campuses, directed at changing the consciousness of this entire generation of
university students. The goal is to eliminate prejudice […] that has ruled American universities since
their founding. […] If women, gays and racial minorities are seeking special protections, it is because
they have been the objects of special attacks.” 26
L’articolo non riguarda specificamente il sessismo nei campus, proprio per questa
ragione è ancora più evidente come le donne siano ancora percepite come una tra le
minoranze che devono essere tutelate, al pari degli omosessuali e dei sud-americani,
nonostante già a partire dagli anni ’70 il numero delle donne iscritte a scuola sia solo
di poco inferiore a quello degli uomini. 27
L’anno seguente, il 24 febbraio 1992, Sexism in the Schoolhouse firmato da Barbara
Kantrowitz 28 per “Newsweek”, tratta più nello specifico il problema dell’
emarginazione e penalizzazione femminile nella scuola, già a partire dalle classi
elementari:

26

C’è un esperimento che sta prendendo campo nei college americani.Per essere più precisi esistono
centinaia di diversi esperimenti in diversi campus,tutti rivolti a formare una nuova consapevolezza in
un’intera generazione di studenti universitari. Lo scopo è quello di eliminare quel pregiudizio […]
che ha dominato le università americane dalle origini. […] Se le donne, gli omosessuali e le
minoranze etniche stanno cercando una protezione speciale questo accade perché sono loro le
principali vittime di attacchi (E. Jones, Thought Police, “Newsweek”, 5 gennaio 1991).
27
U.S. Bureau of the Census, Findings from The Condition of Education 1997: Women in
Mathematics and Science July 1997, n.11. (“Barnard”: http://beatl.barnard.columbia.edu) .
28
Barbara Kantrowitz è stata prima cronista poi editrice per “Newsweek” dal 1985. Ha scritto
numerose inchieste incentrate sul tema della famiglia e dell’educazione, ha ricevuto prestigiosi
riconoscimenti per il lavoro svolto. Oltre che giornalista, è tutt’ora una quotata scrittrice di romanzi

30
2. Donne si diventa

“ “The boys got all the attention,” says Carrie Paladie, 12. “Every time we asked a question, the
teacher would just ignore us.” Her classmate, 11-year-old Jennie Montour, agrees: “the boys got to

participate in everything.” Jennie says the teachers made her “feel that I was stupid “ ” 29

Kantrowitz lascia che ad esprimere il proprio malcontento siano le bambine stesse,
ed è già qualcosa che nonostante il condizionamento degli insegnanti, siano così
lucide nel denunciare i gravi torti subiti, indice che qualcosa sta cambiando, che fin
da bambine hanno una maggiore coscienza del proprio valore e dei propri diritti.
La giornalista riporta i risultati di una ricerca condotta dall’American Association of
University Women, dalla quale risulta che:
“Sexism may be the most widespread and damaging form of bias in the classroom. […] In elementary
school, teachers call on boys much more often and give them more encouragement. Boys frequently
need help with reading, so remedial reading classes are an integral part of many schools. But girls,
who just as often need help with math, rarely get a similar chance to sharpen their skills. Boys get
praised for the intellectual content of their work while girls are more likely to be praised for neatness.
Boys tend not to be penalized for calling out answers and taking risks; girls who do the same are
reprimanded for being rude. Research indicates that girls learn better in cooperative settings, where
students work together, while boys learn better in competitive settings.” 30

Nonostante questi problemi, sottolinea la Kantrowitz, la maggioranza delle ragazze
decide di continuare gli studi, ma viene influenzata nella scelta di quale indirizzo
scegliere.
In America, paese con il più alto numero di donne iscritte a scuola, pochissime
ragazze optano per corsi di studi inerenti materie scientifiche o matematiche, corsi
che sono invece i più scelti dai compagni maschi:
“The differences between the sexes are greatest in science. […]Even girls who take the same courses
31
as boys and perform equally well on tests are less likely than boys to choose technical careers”
29

“I maschi ricevono tutte le attenzioni,” dice Carrie Paladie di dodici anni. “ogni volta che noi
facciamo una domanda, gli insegnanti semplicemente ci ignorano.” La sua compagna di classe,
Jennie Montour,undicenne, è d’accordo con lei: “I maschi possono essere partecipi in ogni cosa.”
Jennie dice che gli insegnanti la facevano sentire “come fossi stupida”. (B.Kantrowitz, Sexism in the
Schoolhouse, “Newsweek”, 24 febbraio 1992).
30
Nella scuola elementare gli insegnanti prendono in considerazione i maschi molto più spesso e li
incoraggiano di più. I maschi frequentemente hanno bisogno di essere aiutati in letteratura, perciò i
corsi di recupero in questa materia sono parte integrante di molte scuole. Ma le femmine, che
altrettanto spesso hanno bisogno di uno stesso aiuto in matematica, raramente hanno la stessa
opportunità di migliorare le proprie capacità. I maschi vengono lodati per il contenuto intellettuale
dei loro lavori, mentre le bambine sono più spesso lodate per l’ordine. I bambini tendenzialmente non
sono penalizzati per provare a dare le risposte correndo il rischio di sbagliare; le bambine che fanno
lo stesso sono invece riprese per essere troppo impertinenti. La ricerca dimostra che le femmine
imparano meglio in un ambiente di cooperazione, dove gli alunni lavorano insieme, a differenza i
maschi imparano meglio in un ambiente competitivo. Ancora la maggior parte delle scuole si basano
su un modello competitivo”. (Ibidem).
31
Le differenze tra i due sessi sono in assoluto più grandi nelle materie scientifiche. […]Anche le
ragazze che frequentano gli stessi corsi dei maschie hanno uguale successo nei test sono meno
propense a scegliere di far carriera nel ramo tecnico”. (Ibidem)

31
2. Donne si diventa

Fino a questo momento la Kantrowitz, si è limitata a riportare fedelmente i risultati di
una ricerca, ma al termine dell’articolo fa una precisazione: “More than two third of
the nation’s teachers are women. Presumably, their gender bias is unintentional,but
no less apparent” 32; dunque nonostante molte donne siano riuscite a fare carriera
nell’ambito dell’insegnamento, questo non ha portato che pochi miglioramenti nel
modo di istruire maschi e femmine.
In Sexism in the Schoolhouse non vi è nessun accenno a quale giustificazione venga
data del fatto che le donne non sono supportate adeguatamente nelle materie
scientifiche e tanto meno incoraggiate ad intraprendere la carriera in questo ramo.
Generalmente, la spiegazione più adottata è quella biologica, ovvero il sesso
femminile non sarebbe geneticamente predisposto allo studio della matematica e, in
generale, delle materie scientifiche 33. A questo proposito nel 1994, il U.S.
Department of Education, pubblica con il titolo Girls Are…Boys Are…: Myths,
Stereotypes & Gender Differences” 34 i risultati di una ricerca volta a fugare una volta
per tutte questi pregiudizi privi di fondamento. Nel documento viene dichiarato che
nessuna menomazione genetica è alla base dell’ancora troppo esiguo numero di
donne impegnate in ambito scientifico; le cause sarebbero piuttosto da ricercare in
un sistema scolastico obsoleto e ancora fortemente sessista: esattamente ciò che era
stato denunciato dalla ricerca dell’American Association of University Women due
anni prima. L’articolo della Kantrowitz, dunque,

attraverso

la denuncia delle

disfunzioni del sistema scolastico, implicitamente evidenzia la falsità di tutte le teorie
basate sulla genetica inferiorità femminile.
Il 22 dicembre del 1997, “Newsweek” torna ad occuparsi del tema dell’istruzione
con la firma di Debra Rosenberg che in Getting Down to Cases concentra la sua
attenzione su un particolare tipo di scuole. Si tratta delle così dette B-school,
abbreviazione per Business-school, corsi fortemente specializzanti nel settore del
commercio e dell’economia. 35 Molte donne, negli ultimi anni, hanno frequentato
con ottimi risultati le B-schools, diventando imprenditrici di altissimo livello, eppure

32

Più di due terzi degli insegnanti americani sono donne. Presumibilmente, il loro sessismo non è
intenzionale, ma non per questo meno evidente”. (Ibidem).
33
J.Véron, Il posto delle donne, cit., p. 118.
34
P.B. Campbell, J.N. Storo, “Girls Are… Boys Are…: Myths, Stereotypes & Gender Differences”:
(www.campbell-kibler.com/Stereo.pdf 10 luglio 2003 ).
35
Per informazioni più approfondite cfr. il sito “mba.com”: www.mba.com (27 agosto 2003).

32
2. Donne si diventa

pochissime imprese create da donne sono state prese in considerazione come casistudio dalle B-school:
“While most M.B.A. courses are based on real-life case studies, few includes tales of women in
prominent roles. Jackson, now 42, recalls that during her entire two years M.B.A. program, only a
single case featured women – and they were production-line workers dubbed “the girls”.[…] The few
cases involving women, while not as overtly sexist as the one Jackson encountered, have still tended
toward the stereotypical, centering on executives at companies such as Mary Kay Cosmetics and
Tupperware.” 36

Apparentemente sembrerebbe che gli unici settori in cui le donne possano fare
carriera siano quello dei cosmetici e dei prodotti per la casa. Naturalmente si tratta di
un preconcetto. Proprio per smascherare e sanare siffatti pregiudizi, nel 1982 venne
creato il “The Committee of 200” 37 (C200), un’organizzazione che attualmente
riunisce le più potenti ed influenti imprenditrici e “businesswomen”. Il Business
Week, prestigioso settimanale americano di economia, ha definito il C200 “The most
high-powered organisation you’ve never heard of” 38. Nonostante l’esagerazione,
spesso insita nel linguaggio giornalistico, tale definizione non è molto distante dalla
realtà.
Come si legge in Getting Down to Cases, uno fra i numerosi progetti del C200 per
supportare le donne riguardava proprio un possibile finanziamento ad una delle più
prestigiose B-school, quella di Harvard, affinché sviluppasse più casi-studio
incentrati su donne. L’iniziativa non venne accolta da tutti con eguale entusiasmo:
“O’Brien worries that new cases won’t have much impact in an environment that’s fundamentally not
congenial to women” 39

L’opinione della O’Brian – condivisa, tra gli altri, dalla stessa amministratrice del
C200 – si basa sulla convinzione che le Business School in generale e quella di
Harvard in particolare, fossero attualmente tra gli ultimi baluardi della
36

La maggior parte dei corsi M.B.A. si basano su casi-studio della vita reale, ma tra questi pochissimi
includono casi di donne in ruoli preminenti. Jackson, oggi quarantaduenne, ricorda che durante tutti i
due anni di corso M.B.A., solo un singolo caso metteva in risalto delle donne, queste donne poi erano
addette alla linea di produzione chiamate scherzosamente “le ragazze”. I pochi casi che
presentavano donne, seppure non così apertamente sessisti come quelli raccontati da Jackson,
tutt’ora non si allontanano dagli stereotipi, concentrandosi su esempi di donne a capo di compagnie
come la Mary Kay Cosmetics e la Tupperware. (D. Rosenberg, Getting Down to Cases, “Newsweek”,
22 dicembre 1997). Victoria Jackson, è capo esecutivo e proprietaria della Nashville Diesel-parts
Distibution & Manufactoring Company.
37
“The Committee of 200”: www.c200.org ( 10 luglio 2003 ).
38
L’organizzazione più potente di cui tu abbia mai sentito parlare. (Ibidem).
39
O’Brien teme che I nuovi casi-studio non avranno un forte impatto in un ambiente che è
essenzialmente poco favorevole per le donne. (D.Rosenberg, Getting Down to Cases, “Newsweek”, 22
dicembre 1997). O’Brien è preside della Simmons Graduate School of Management di Boston.

33
2. Donne si diventa

discriminazione di genere, essendo rimaste fedeli alla convinzione che le donne non
siano geneticamente affidabili come capi di industrie o manager:
“That’s hardly Harvard’s problem alone. While women’s enrollement has reached parity with men’s
at law and medical school, it still lags far behind in M.B,A. programs.” 40

Dunque piuttosto che finanziare una scuola con tali caratteristiche e di certo senza
particolari problemi finanziari, secondo alcune affiliate del C200, sarebbe più
opportuno concentrarsi su B-School aperte a sole donne, come la Simmons Graduate
School of Management: “ Just adding women and stirring will not produce change",
says Dean B. Joseph" 41 Non è dello stesso parere la Rosenberg, che rispondendo, con
un po’ di ironia, all’affermazione di Joseph, chiude l’articolo con una battuta:
“Maybe not,but any recipe for change has to begin with the right ingredient” 42. Il
riferimento scherzoso alla ricetta di cucina è giustificato dai verbi utilizzati da Dean
B. Joseph: add e stirr sono generalmente usati proprio nelle ricette dei manuali di
cucina.
Potrebbe sembrare anacronistico che ancora nel 1997 si parli di istituti femminili,
eppure sono proprio gli anni 1980-’90 a riportare agli antichi splendori queste
istituzioni.
Tra fine ‘800 e inizio ‘900, i Women’s Colleges rappresentavano l’unica possibilità
per le donne americane di accedere ad un corso di studi superiore che altrimenti
tendeva a escluderle completamente dai corsi più importanti e prestigiosi. Le
domande di ammissione si moltiplicarono nel tempo, tanto da richiedere l’apertura di
trecento collegi femminili 43. In quegli stessi anni, per ironia del destino, i leader del
nascente movimento per l’emancipazione femminile premevano perché che gli
istituti scolastici superiori aprissero le loro porte alle donne e garantissero così a
tutto il popolo americano un’adeguata istruzione scevra da pregiudizi e

40

Difficilmente si tratta di un problema riguardante solo Harvard. Mentre il coinvolgimento delle
donne ha raggiunto la parità con quello degli uomini nelle facoltà di giurisprudenza e medicina, è
tutt’ora di gran lunga minore nei programmi M.B.A.”. (Ibidem).
41
“Limitandosi ad aggiungere le donne e mescolare, questo non produrrà un cambiamento” dice
Dean B.Joseph. (Ibidem). Dean B.Joseph insegna alla B-school dell’ Università del Michigan.
42
Forse no, ma ogni ricetta per il cambiamento deve iniziare con i giusti ingredienti. (Ibidem).
43
R. B. Slater, Women’s Quest to Scale the Ivory Tower, “Monthly Forum on Women in Higher
Education”, 1 gennaio 1995, cit in E. A. Langdon, Who Attends a Women’s Colleges Today and Why
She Should: An Exploration of Women’s College Students and Alumne, “Office of Educational
Research and Improvement U.S. Department of Education”: www.ed.gov/index.jhtml , 22 luglio
2003.

34
2. Donne si diventa

discriminazioni. Il loro principale timore era che nei collegi femminili le donne
avrebbero ricevuto un’istruzione meno accurata di quella impartita agli uomini 44.
Le classi miste divennero una realtà. Negli anni ’60 il numero dei Women’s Colleges
scese a circa ottanta in tutta l’America. Tale numero, però, è rimasto immutato fino
ad oggi e sono molti i ricercatori e gli studiosi che negli ultimi decenni si sono
interessati al fenomeno dei collegi femminili. M. Elizabeth Tidball pubblicò nel 1973
il primo saggio su tale argomento. Concentrando la sua attenzione sulle donne che
avevano avuto l’onore di essere citate nel famoso Who’s Who in America 45 del 1970,
scoprì che la maggior parte di loro si era laureata presso un Women’s College. La
sua conclusione fu che le donne presso tali istituti ricevevano una migliore
educazione e avevano maggiori possibilità di raggiungere il successo 46.
Gli studi della Tidball rivelano qualcosa di vero a giudicare dal caso “Newnham
College” scoppiato in Inghilterra nel 1990 e subito riportato da Elizabeth Jones in
Where No Men Need Apply, pubblicato da“Newsweek” il 12 febbraio 1990:
“[…] And would women serve as fellows at the men’s collages of Oxford and Cambridge? Yes, even
those doors have opened. But Newnham College, one of Cambridge’s three women’s college now
accept men as fellows, too? “ 47

Naturalmente il dibattito infuria tra chi è contrario all’ammissione degli uomini,
temendo che ciò comporti una perdita di prestigio per il college, e chi invece è
favorevole ad una modernizzazione. Secondo la consuetudine della testata, la Jones,
non prende una posizione decisa in merito al dibattito:
“It’s very difficult to know what the best thing is for women in the long run. You can’t coddle women
forever, but some environments clearly bring out the best in some women” 48.

44

R. Rosenberg, The History Of Coeducation in America, in Women and Higher Education. Essays
from the Mount Holyoke College Sesquicentennial Symposia, “Higher Learning in America. History
Department Barnard College, Columbia University”: www.beatl.barnard.columbia.edu/learn (12
luglio 2003).
45
Dal 1899 la “Marquis Who’s Who”, si è aggiudicata il titolo di miglior casa editrice di bibliografie
pubblicando periodicamente, in prestigiosi volumi, le vite dei personaggi di volta in volta più illustri
d’America. Per ulteriori informazioni: www.marquiswhoswho.com ( 11 luglio 2003).
46
M. E.Tidball, Perspectives on Academic Women and Affirmative Action, Educational Record. 54,
1973, pp. 130-135. in A. Langdon, Who Attends a Women’s Colleges Today and Why She Should: An
Exploration of Women’s College Students and Alumne, cit., “Office of Educational Research and
Improvement U.S. Department of Education”: www.ed.gov/index.jhtml , 22 luglio 2003.
47
[…] E un giorno le donne potranno diventare compagne di classe [degli uomini] ai collegi maschili
di Oxford e Cambridge? Sì, anche quelle porte sono aperte. Ma il Newnham College, uno dei tre
collegi femminili di Cambridge, sta ora prendendo in esame la proposta contraria: un collegio
femminile dovrebbe accettare degli studenti maschi? (E. Jones, Where No Men Need Apply, 12
febbraio 1990).

35
2. Donne si diventa

Di sicuro l’ambiente scolastico può e deve ancora migliorare, essere più confortevole
anche per le donne, stimolarle maggiormente e fornirle di tutti i mezzi necessari a
sviluppare le capacità individuali; tornare alle scuole separate per maschi e femmine
sarebbe un passo indietro nel lungo processo verso una fattiva uguaglianza tra i sessi,
tanto più nella società odierna in cui sempre più donne condividono con gli uomini
tanto gli spazi di aggregazione sociale quanto quelli lavorativi.
Solo “Newsweek”, nelle sue pagine, si è occupato dell’istruzione femminile e
limitatamente alla situazione americana, fatta eccezione per un solo articolo sui
college inglesi. Il fatto è curioso se si tiene conto del respiro internazionale della
testata, come per altro di “Time”. Apparentemente sembra che l’istruzione femminile
non sia considerato un argomento da trattare anche in riferimento ad altri paesi,
eppure, come si è già detto, l’istruzione non è garantita a tutte le donne del mondo.

2.3 La percezione del proprio corpo: accettato, rifiutato, artefatto
Non appena una ragazza diventa cosciente dei cambiamenti che avvengono nel
proprio corpo, generalmente durante la pubertà, inizia per lei una vera e propria lotta
per il riconoscimento. 49 Lo stesso disagio verso il proprio corpo è avvertito anche dai
maschi, ma poiché non subiscono particolari pressioni dalla società che li circonda ad
incarnare ferrei stereotipi di bellezza, esso viene facilmente riassorbito già durante
l’adolescenza. Per le ragazze non è altrettanto semplice riconciliarsi con il nuovo
aspetto fisico. Lo specchio diventa un vero e proprio tormento, la bilancia un
supplizio su cui vengono pesati tutti gli errori alimentari, anche quelli che esistono
solo nella mente di chi, già perfettamente in forma, non aspetta altro che vedere la
lancetta dei chili scendere. Una continua ricerca della perfezione estetica, una
perfezione artefatta e quanto più distante dalla realtà corporea femminile, non può
che generare ansia e malessere. Un malessere di cui ha colpa soprattutto la società
48

E’ difficile stabilire quale sia la cosa più giusta per le donne sulla lunga distanza. Non si possono
“coccolare” le donne per sempre, ma alcuni ambienti, chiaramente, portano fuori il meglio di alcune
donne. (Ibidem).
49
E. R. Hilgard, Psicologia,Corso Introduttivo, Firenze, Giunti, 1971, pp. 112-125.

36
2. Donne si diventa

che ha fatto delle donne e della perfezione estetica un tutt’uno inscindibile: a
prescindere da tutti i traguardi che una donna possa aver raggiunto, se non è bella,
magra e curata si sentirà un fallimento. 50
Il 9 marzo 1992, “Newsweek” pubblica un breve articolo intitolato The Battle of the
Bulges nel quale, nemmeno troppo velatamente, vengono accusate le compagnie
produttrici di cosmetici di sfruttare le insicurezze e debolezze delle donne per
vendere prodotti anti-cellulite, tra i tanti altri, che difficilmente avranno un qualche
effetto nella riduzione dell’inestetismo, ma all’opposto ridurranno sicuramente i loro
portafogli.
Nina Darnton, che firma l’articolo, inizia con un’acuta osservazione su come sono
cambiati i parametri di giudizio nei confronti del grasso femminile:
“How many modern women have gazed at the nudes in Renoir’s “Grandes Baigneuses” and wished
those fleshy knees and dimpled tights would be so lovely immortalized today? These days, those
bathers would be described as showing “orange-peel skin,” or “the mattress effect”. Or maybe they
would suffer that dread one-world condemnation coined in 1973 by beauty writer Nicole Ronsard:
cellulite. Today , Renoir’s beauties would probably be exercising, avoiding fats and investigating
plastic surgery.” 51

Evidentemente quello che per noi oggi è considerato brutto e quasi anomalo, non era
considerato tale nel ‘800; la parola cellulite, ironicamente, ma saggiamente, associata
dalla giornalista ad una temibile condanna, è stata coniata solo di recente e neppure
da un medico, ma da una scrittrice.
Gli anni ’90 segnano inoltre l’inizio dell’utilizzo della chirurgia estetica su grande
scala: praticamente ogni donna che sente di avere una qualche imperfezione, penserà,
almeno una volta nella vita, di risolvere definitivamente il problema per mezzo di un
intervento chirurgico. Alcune vi si sottoporranno, le altre potranno sempre contare su
un’infinità di creme e prodotti vari che promettono tutti la stessa cosa: eliminare la
cellulite e rimodellare il corpo. E’ indubbiamente un grande business, se si tiene
conto di quante donne presentano in qualche parte del corpo la temuta cellulite:

50

G.Greer, La donna intera, Milano, Arnoldo Mondadori Editori, 2001, pp. 21-22.
Quante donne moderne hanno osservato attentamente i nudi di “Le grandi bagnanti”di Renoirs,
augurandosi che quei ginocchi carnosi e quelle cosce increspate venissero così soavemente
immortalate anche oggi?In questi giorni, quelle bagnanti sarebbero descritte come mostranti una
“pelle a buccia d’arancia o “l’ effetto materasso”. O probabilmente subirebbero quella spaventosa
condanna di una sola parola, coniata nel 1973 dalla scrittrice di estetica Nicole Ronsard:
“cellulite”. Oggi , le bellezze di Renoirs probabilmente starebbero facendo ginnastica, eviterebbero
tutti ci cibi grassi e si informerebbero sulla chirurgia plastica. (N. Darnton, The battle of the Bulges,
“Newsweek”, 9 marzo 1992).
51

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LA DONNA DEGLI ANNI NOVANTA IN “TIME” E “NEWSWEEK”
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LA DONNA DEGLI ANNI NOVANTA IN “TIME” E “NEWSWEEK”

  • 1. UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA FACOLTÀ DI LINGUE E LETTERATURE STRANIERE corso di Laurea quadriennale in LINGUE E LETTERATURE STRANIERE TESI DI LAUREA LA DONNA DEGLI ANNI NOVANTA IN “TIME” E “NEWSWEEK” Relatore: Prof. Marina Milan Correlatore: Prof. Gabriella Ferruggia Candidata: Traverso Francesca Anno Accademico 2003/04
  • 2. (QUINO, I Pensieri di Mafalda)
  • 3. Indice Indice Introduzione 1. Una visione globale: le conferenze del Cairo e di Pechino 1.1 La conferenza del Cairo 1.2 La conferenza di Pechino 2. Donne si diventa 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 Educazione Istruzione La percezione del proprio corpo: accettato, rifiutato, artefatto Sessualità: liberata o sfruttata? Maternità 3. Lo spazio pubblico 3.1 3.2 3.3 3.4 3.5 3.6 Tra famiglia e lavoro: nuove e vecchie prospettive Militare al femminile. Un club per soli uomini? Sexual harassment: il caso Anita Hill Donne in politica Hillary Rodham Clinton, femminista in carriera Il posto della donna nel culto 4. Violenza e schiavitù 4.1 Una ferita che non guarisce 4.2 Crimini nascosti 4.3 Violenza sessuale come arma di guerra 4.4 Mutilazioni 4.5 Figlie dell’Asia 4.6 Commercio di corpi 1
  • 5. Introduzione Introduzione La tesi si propone di mettere in luce, attraverso le pagine di “Time” e “Newsweek”, i due settimanali americani più autorevoli, sia quegli aspetti che evidenziano un miglioramento nella condizione della donna nella società degli anni ‘90, sia quelli che, più o meno inconsciamente, indicano le falle ancora da sanare per il raggiungimento di una reale e fattiva uguaglianza tra i sessi. Si è scelto di analizzare la condizione femminile attraverso la stampa per due ragioni. In primo luogo, ritenendo che il ruolo svolto dai mezzi di informazione, soprattutto negli ultimi decenni, sia divenuto sempre più centrale nella formazione dell’opinione pubblica; vale a dire che il modo in cui viene da loro descritto l’universo femminile non può che incidere sul modo in cui la gente percepirà il ruolo delle donne nella società. Una sottorappresentazione generalizzata del sesso femminile, per esempio, si tradurrà, inevitabilmente, in una maggior resistenza a mutare l’attuale assetto tra i sessi. Al contrario, una maggiore visibilità potrà essere da stimolo ad accettare e favorire una completa uguaglianza. In secondo luogo, è ormai evidente come uno degli elementi costitutivi dei media sia la loro intrinseca natura di processo negoziale. Ciò significa che in realtà il messaggio trasmesso dall’emittente è frutto di una interazione tra le credenze, i sentimenti e i valori del pubblico, e l’esigenza di fare informazione dei media, i quali, in definitiva, filtrano la realtà piuttosto che esserne uno specchio fedele. In questo senso, la scelta di quali informazioni diventeranno notizie e quali invece non verranno mai pubblicate o trasmesse, l’enfasi e il modo in cui tali notizie verranno comunicate, ci può dire molto sulla società alle quali esse sono rivolte. Si può così facilmente prevedere che, nei paesi in cui l’integrazione delle donne nella vita pubblica e politica è maggiore, le notizie che le riguardano saranno più numerose e varie rispetto a quei paesi nei quali il loro ruolo è ancora subordinato e limitato alla sfera domestica. Dunque, nel tracciare un quadro della condizione 4
  • 6. Introduzione femminile, non si dovrà tenere conto solo del numero degli articoli ad esse dedicati, degli argomenti trattati e del tono usato, ma anche di tutto ciò che è taciuto. Assenza e presenza di informazioni sono quasi di uguale importanza. Le tematiche femminili, si sa, rientrano solo tangenzialmente nei grandi dibattiti politici. Ciò nonostante, da parte di un giornale il prestare attenzione ai nuovi progressi delle donne, dare spazio alle loro idee, ai loro desideri, denunciare le violenze e le giustizie da esse ancora oggi subite, darne una rappresentazione il più fedele possibile alla realtà e non distorta dagli stereotipi, può diventare un atto politico e persino sovversivo. A maggior ragione negli anni ’90 in cui sembra, ma solo apparentemente, che l’emancipazione femminile sia definitivamente conclusa, almeno nei paesi occidentali, e che la parola femminista sia ormai un ricordo un po’ nostalgico degli anni delle lotte. Eppure, leggendo le pagine di “Newsweek” e “Time” sarà facile rendersi conto di quanta strada deve ancora essere fatta per il raggiungimento di una vera uguaglianza. I due settimanali presi in esame, data la loro diffusione a livello mondiale e la connessa esigenza di informare sui fatti principali non solo strettamente riguardanti l’America, offrono una visione, per così dire, globale della condizione femminile. D’altro canto, la periodicità non giornaliera e il numero di pagine contenuto (una media di 56, per le edizioni regolari e di 100 per quelle speciali di fine anno o in occasioni particolari), ha permesso di individuare ed analizzare solo gli aspetti più eclatanti della vita delle donne. Nonostante ciò, si è potuto dividere il materiale in tre sezioni principali: nella prima si tenterà di individuare quegli aspetti della società che rivelano quanto gli stereotipi di genere siano ancora oggi presenti e operanti nella formazione del carattere femminile e, per contrasto, maschile. Nella seconda, si prenderanno in esame le innovazioni prodotte dall’ingresso delle donne nell’ambito pubblico e le eventuali difficoltà da esse riscontrate nel lungo percorso di integrazione in quegli ambiti da sempre riservati agli uomini, come la politica e il lavoro. La terza, infine, sarà dedicata a quelle forme di violenza e crudeltà dirette contro le donne proprio per il fatto di appartenere al sesso femminile. Il primo capitolo è pensato come una breve panoramica sulla condizione femminile negli anni ’90; l’attenzione è focalizzata sulle due conferenze mondiali, quelle del Cairo e di Pechino, che hanno suggellato i progressi compiuti dalle donne e ne hanno 5
  • 7. Introduzione legittimato le rivendicazioni facendole rientrare nei diritti inalienabili degli esseri umani. Sebbene molti libri e saggi siano stati scritti sulla condizione femminile, la ricerca su quale immagine della donna emerga dalla stampa e sulla effettiva presenza o marginalità delle tematiche che le riguardano più da vicino o ancora, sullo spazio che viene loro concesso per esprimere le proprie idee e il proprio punto di vista, è piuttosto recente e carente. In America, grazie ad Internet, negli ultimi anni sono proliferati i siti volti a monitorare i mezzi di informazione; una particolare attenzione è volta proprio verso la rappresentazione dell’universo femminile (www.mediawatch.com e www.mediaandwomen.org). In Italia, nel 1992 la Commissione Nazionale per la Parità e le Pari Opportunità ha promosso e pubblicato uno studio sul rapporto tra i media e le donne dal quale emerge una realtà tutt’altro che rassicurante: le donne sarebbero ancora sottorappresentate, marginalizzate e per lo più usate come “cornice” di abbellimento, piuttosto che come entità forti e rappresentative di per sé. In conclusione, alcuni cenni sulla storia dei due settimanali dai quali si cercherà di far emerge la donna degli anni ’90, o per lo meno la sua rappresentazione. “TIME Magazine”, fondato dalla Time Inc. Company nel 1923, è il primo settimanale ad aver lanciato la formula del News Magazine, ovvero una rivista settimanale, corredata di fotografie, che informasse, con precisione, semplicità e concisione, sui principali fatti accaduti in tutto il mondo. Attualmente “Time” conta quasi 400 diverse edizioni, a seconda dei paesi e delle aree geografiche in cui viene stampato. Ogni settimana, negli soli Stati Uniti circolano una media di 4.000.000 copie, circa 1.460.000 nel resto del mondo. Il successo di “Time” è dovuto, in gran parte, alla fama di cui godono i suoi giornalisti, tra le migliori firme del giornalismo americano. L’attuale direttore, Norman Pearlstine, ha più volte ribadito che il dovere di ognuno, dal caporedattore al cronista appena approdato alla redazione, è quello di: “Guadagnare, mantenere e rendere indelebile la reputazione di alta professionalità del mestiere del giornalista.” I tredici Managing Editor che, per primi, hanno il dovere di rispettare tale regola, sono bonariamente chiamati Boss Men, il che rende evidente la composizione interamente al maschile della direzione di “Time”. 6
  • 8. Introduzione Sebbene “Time” sia stato per molti anni il leader assoluto nel settore, attualmente è in stretta competizione con “Newsweek”. Fondato nel 1932 da Thomas J.C. Martyn, una delle firme più prestigiose del “Time”, è stato pubblicato la prima volta il 17 febbraio 1933. Attualmente ha raggiunto una circolazione di circa 21 milioni di copie in tutto il mondo. E’ stato più volte insignito di prestigiosi riconoscimenti, tra i quali il National Magazine Awards promosso dalla American Society of Magazine Editors. Il settimanale offre una completa copertura dei principali eventi a livello mondiale. Può contare su diverse redazioni dislocate nei maggiori paesi e su un alto numero di corrispondenti. Anche “Newsweek” ospita firme di tutto rispetto, quali Jonathan Alter, Anna Quindlen e Jane Bryant Quinn, tra gli altri. A differenza di “Time”, conta fra i suoi editori una buona percentuale di donne. Non è detto che la loro presenza in ruoli dirigenziali determini una maggiore attenzione da parte della testata verso le tematiche femminili, sebbene sia probabile, ma di sicuro può dirci qualcosa sulla politica seguita dal giornale. 7
  • 9. 1. Una visione globale: le conferenze del Cairo e di Pechino 1. Una visione globale: le conferenze del Cairo e di Pechino Attraversi tutte le battaglie non perché vuoi combattere, ma perché vuoi arrivare da qualche parte come persona. Vuoi dare il tuo contributo per creare un mondo in cui puoi sederti e pensare alle nuvole. Questo dovrebbe essere il nostro diritto in quanto esseri umani. (Zoe Leonard) 1 Chiunque si appresti a trattare l’argomento “donna”, quale che sia il fine della sua ricerca e gli strumenti utilizzati, si ritrova sorprendentemente a trattare un argomento di “nicchia”, precisamente una “women issue”, una “questione femminile”: nonostante le donne attualmente rappresentino il 52% dell’intera popolazione mondiale si ha la paradossale sensazione di avere a che fare con una minoranza che deve essere tutelata e salvaguardata. Come è possibile che più della metà del genere umano, indipendentemente dalla nazione di appartenenza, status sociale, razza o religione, sia vittima di discriminazioni, sopraffazioni e violenze più o meno gravi? Per alcuni la spiegazione va ricondotta ad una inferiorità genetica della donna rispetto all’uomo, inferiorità che, pur non essendo mai stata scientificamente comprovata, è stata per secoli usata per giustificarne e perpetuarne la sottomissione. Da un certo punto di vista questo non dovrebbe stupire. La storia umana, dalle sue origini ad oggi, è stata un susseguirsi di sopraffazioni e violenze perpetrate da uomini verso propri simili e tutte giustificate con una presunta inferiorità della vittima di turno. Basti pensare alla pretesa superiorità dei bianchi sui neri – la Chiesa ha messo a tacere la coscienza dei suoi fedeli sostenendo che gli uomini di colore non avevano 1 E. De Cecco, G.Romano, Contemporanee, percorsi e poetiche delle artiste dagli anni ’80 a oggi, Milano, Postmediabooks, 2002, p. 205 8
  • 10. 1. Una visione globale: le conferenze del Cairo e di Pechino l’anima e potevano perciò essere considerati alla stregua di bestie – o quella degli ariani sugli ebrei, solo per citare due dei casi più recenti ed eclatanti che hanno sconvolto l’occidente. Se è vero, come disse Goya, che “il sonno della ragione genera mostri”, si potrebbe sostenere che la peculiarità del caso femminile stia in un mancato o solo parziale risveglio della ragione. Sono molte le lotte per l’uguaglianza che sono state vinte e sono ormai diventate storia. L’emancipazione femminile, nonostante le molte battaglie vittoriose, non ha ancora vinto la guerra. Il cammino verso la parità di diritti per le donne di tutto il mondo è ancora lungo, basti pensare alla ormai celebre, quanto apparentemente scontata, frase pronunciata da Hillary Rodham Clinton alla IV Conferenza mondiale sulla donna, tenutasi a Pechino nel 1995: “Women’s right are human rights” Il solo fatto che la rappresentante degli Stati Uniti, abbia sentito l’esigenza di chiarire questo punto dovrebbe far riflettere, a maggior ragione se si considera il quadro entro cui la frase è stata riportata dai giornali americani. Sia “Newsweek” sia “Time” suggeriscono tra le righe un’ambivalente interpretazione del discorso pronunciato da Hillary Rodham Clinton. Da una parte viene visto come una sorta di giustificazione per la sua partecipazione, fino all’ultimo incerta, ad una conferenza percepita in patria come pericolosa in quanto avrebbe toccato temi quali l’aborto e la contraccezione, entrambi mal visti dalla chiesa cattolica. Inoltre, la presenza della First Lady ad una conferenza specificatamente sulle donne e diretta da donne, avrebbe sicuramente acuito gli attacchi dei Repubblicani che più volte in passato l’avevano accusata di essere femminista, ovvero, secondo gli stereotipi ben cavalcati dai conservatori, una madre snaturata, una moglie disattenta e arrogante, un’arrampicatrice sociale senza scrupoli. Allora l’affermare che “i diritti delle donne sono i diritti degli esseri umani” giustifica la sua presenza come portavoce dell’America patria della democrazia e della salvaguardia dei diritti umani. D’altra parte, come si evince dal più completo estratto pubblicato sul “Time”, la portata del discorso di Hillary Rodham Clinton non si limita a una giustificazione: “ It is a violation of human rights when women are denied the right to plan their own families, and that includes being forced to have abortions or being sterilized against their will […] Let me be clear, 9
  • 11. 1. Una visione globale: le conferenze del Cairo e di Pechino freedom means the right of people to assemble, organize and debate openly. It means respecting the views of those who may disagree with the view of their governments” 2 La violazione dei diritti umani, secondo quanto sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 10 Dicembre 1948, comporta delle sanzioni per i trasgressori, eppure tali provvedimenti sono stati disattesi nella maggior parte dei casi. La Cina, discussa sede della Conferenza, non fa eccezione ed è proprio questo che viene denunciato dal discorso di Hillary Rodham Clinton. Nonostante non venga fatto apertamente il nome della Cina, la dura condanna agli aborti forzati praticati in tutta l’Asia–soprattutto nel caso in cui il nascituro sia di sesso femminile–e l’insistenza nel dichiarare il diritto delle ONG (Organizzazioni Non Governative) di partecipare attivamente alla conferenza, ignorando le restrizioni imposte dal governo, si configurano come un attacco alla politica sociale cinese. Per comprendere meglio l’importanza dell’intervento di Hillary Rodham Clinton, è necessario tenere presente che nel 1995 i rapporti tra Cina e USA erano tutt’altro che amichevoli. La partecipazione di una delegazione USA, soprattutto se capeggiata da una First Lady, era stata a lungo auspicata come segno di distensione tra le due nazioni. Si può facilmente intuire il disappunto del governo cinese: “ By the time she spoke, the Chinese government had begun to figure out how seriously it had embarrassed itself” 3. Le critiche in patria non furono da meno: “Back in the U.S. Wu applauded Clinton’s statements, which also effectively preempted Republican criticisms of President Clinton for allowing his wife to visit what remains in many respects a police state.” 4 2 Si tratta di una violazione dei diritti umani quando ad una donna è negato il diritto di pianificare la sua famiglia, e ciò include l’essere forzata ad abortire o sterilizzata contro il suo volere […]. Lasciatemi essere chiara, libertà significa avere il diritto di riunirsi, organizzarsi e dialogare liberamente e apertamente. Significa rispettare i punti di vista di coloro che potrebbero non essere d’accordo con il punto di vista dei propri governi. (J. Walsh , Sisterly Spirit Undamped , “Time”, 18 settembre 1995). 3 Dal momento in cui ha parlato, il governo Cinese ha iniziato a rendersi conto di quanto seriamente le sue parole avessero creato imbarazzo nel governo stesso.( Ibidem). 4 Negli USA intanto, Wu applaudiva le dichiarazioni rilasciate da Clinton, le quali, inoltre, avevano effettivamente vanificato gli attacchi dei repubblicani, aspramente critici nei confronti della decisione presa da Clinton di permettere alla moglie di visitare uno stato che sotto molti aspetti è ancora una dittatura. ( J. Walsh, Sisterly Spirit Undamped, “Time”, 18 settembre 1995). Harry Wu, cittadino americano di origine Cinese e attivista per la difesa dei diritti umani, era stato imprigionato per la seconda volta dal governo cinese con l’accusa di spionaggio e atti sovversivi. Il governo americano aveva richiesto la sua scarcerazione come condizione sine qua non alla partecipazione di Hillary Rhodnam Clinton alla Conferenza di Pechino. Nelle aspettative del governo di Pechino, la presenza della First Lady avrebbe dovuto smorzare le tensioni tra i due stati. 10
  • 12. 1. Una visione globale: le conferenze del Cairo e di Pechino Così delicate questioni politiche, secondo i conservatori, non dovrebbero essere affidate alla moglie troppo zelante di un presidente. Sul ruolo delle First Ladies e di Hillary Rodham Clinton in particolare torneremo nei capitoli seguenti. Sarebbe dunque giusto affermare che nulla è cambiato nella vita delle donne? Gli anni ’90 presentano davvero un panorama immutato nella “questione femminile”? La risposta è no, a patto di mantenere aperto il dibattito e non considerare la raggiunta uguaglianza di diritti – almeno in occidente – come un fatto ormai scontato e non suscettibile di miglioramenti. A livello mondiale, gli anni ’90 sono stati caratterizzati da due importanti eventi: la Conferenza del Cairo e quella, già citata, di Pechino. 1.1 La conferenza del Cairo Nel 1994 la Conferenza del Cairo sulla Popolazione e lo Sviluppo affermò la necessità di un progresso della condizione femminile, sia per migliorarne l’esistenza, sia per permettere una stabilizzazione e pianificazione della popolazione mondiale. Molte delle delegazioni, soprattutto appartenenti alle ONG, denunciarono come sospetta l’eccessiva attenzione accordata a quest’ultimo aspetto. La paura, in parte motivata, era che ancora una volta la donna non venisse presa in considerazione come essere umano, a cui erano stati sottratti dei diritti inalienabili, ma solo nel suo ruolo di madre potenziale. La sua fisiologica capacità di mettere al mondo figli, non è di certo un aspetto di poco conto che vada sottovalutato, ma sarebbe un errore ritenere che l’essere donna si risolva in questo. Errore ancor più grave se si considera che non sono solo le donne in età fertile a dover essere tutelate, ma anche le bambine, per non dire i feti di sesso femminile, e le donne anziane che in molti paesi del mondo sono costrette a morire di stenti non avendo né diritto all’eredità, né accesso al mondo del lavoro. Se è vero che il “Time” ha messo in rilievo il problema della pianificazione famigliare già dalla scelta del titolo “Planned Planethood” non ha sottovalutato le 11
  • 13. 1. Una visione globale: le conferenze del Cairo e di Pechino scelte sovversive compiute dalla Conferenza: “ In its attempt to stabilize the earth population, the U.N. decides to try something radical: listen to women.” 5 L’aggettivo “radicale” riferito a una scelta per noi così ovvia, può far sorridere, ma è estremamente sintetica ed efficace nel suggerire che mai prima del 1994 le organizzazioni governative avevano preso in considerazione la possibilità di interpellare le donne stesse per trovare una soluzione ai problemi che le riguardavano. “For the first time in population politics, women played a pivotal role. Operating in organized groups, they argued that birth-control programs must be expanded to improve women’s primary health care and schooling and that unmarried women and adolescents must have greater access to contraceptive. […] There is a strong focus on empowering women to control their live, especially their reproductive lives” 6 Dopo il funesto avvento dell’AIDS, la contraccezione attraverso l’uso di preservativi è divenuta non solo la meno invasiva per il corpo femminile, ma anche la più sicura per evitare di contrarre malattie il più delle volte veicolate da mariti adulteri e irresponsabili. A ben vedere si potrebbe già ravvisare un controsenso: nonostante siano le donne, sia come prostitute, fidanzate o mogli, le maggiori vittime della mancata contraccezione, nonostante il preservativo debba essere indossato dall’uomo, la responsabilità di farlo usare è sempre e comunque affidata alle donne. Non basta. Spesso sono gli uomini a rifiutarsi di utilizzare il preservativo, alle volte incolpando la compagna di infedeltà o sfiducia – motivata – nei loro confronti. Una giusta e tempestiva educazione alla prevenzione per le donne è attualmente l’unica strada seguibile. Sarebbe giusto che si tentasse di responsabilizzare maggiormente anche gli uomini, padri potenziali. Anche questo aspetto è stato messo in luce dal “programma d’azione” della Conferenza, come possiamo leggere sul “Time” : “Men too are being assigned responsibility. The U.N. plan promotes the use of condoms as well as better enforcement of laws mandating child support. Although vasectomy is a simpler procedure for men than tubal ligation is for women, severing the Fallopian tubes is still the preferred surgical 5 Nel tentativo di stabilizzare la popolazione mondiale, l’ O.N.U. decide di provare qualcosa di radicale: ascoltare le donne. (C. Gorman, Planned Planethood, “Time”, 9 maggio 1994). 6 Per la prima volta nelle scelte politiche di stabilizzazione mondiale, le donne ricoprono un ruolo chiave. Operando in gruppi organizzati, esse ritengono che i programmi di controllo delle nascite devono essere ampliati per migliorare le cure sanitarie primarie e l’informazione stessa, inoltre sostengono che le donne non sposate e le adolescenti debbano avere facile accesso ai sistemi contraccettivi. L’attenzione è fortemente focalizzata sul maggiore controllo che le donne dovrebbero avere sulla propria vita, in particolar modo sulla riproduzione. ( ibidem). 12
  • 14. 1. Una visione globale: le conferenze del Cairo e di Pechino method in many countries. When men are given the option of vasectomy, however, they often respond” 7 “Newsweek” dedica alla Conferenza del Cairo un dossier di nove pagine. Presentando una diversa angolazione, per certi versi più completa rispetto al “Time”, sottotitola l’articolo: “Women’s rights: This week’s global conference is officialy about population – but it’s become the battleground for a fiere culture clash” 8. L’essenza della Conferenza andrebbe perciò ben oltre la pianificazione famigliare, fino al punto da sfiorare rivendicazioni “femministe”. Trattandosi di una conferenza mondiale, anche le nozioni più ovvie per una donna occidentale - controllo sul proprio corpo, accesso all’educazione e al mondo del lavoro, possibilità di fare carriera anche in ambito politico, pari dignità e diritti possono assurgere a dichiarazioni di guerra in quegli stati in cui il ruolo delle donne è del tutto subordinato o nemmeno preso in considerazione. Alcuni integralisti islamici, all’udire il “programma d’azione”, hanno messo in atto una vera e propria campagna mistificatrice accusando la Conferenza di essere asservita all’occidente, a sua volta ripetutamente e violentemente accusato di “imperialismo culturale”. Basti un esempio. Nella bozza del “programma d’azione” si sosteneva che l’eredità dovesse essere uguale per uomini e donne, ma alcuni delegati dei paesi islamici, giudicando il riferimento all’uguaglianza inaccettabile poiché contraria alla shari’ a, si rifiutarono di sottoscrivere l’appello: per la necessità di raggiungere un consenso allargato, il termine “uguale” fu sostituito con quello di “equo”. Per molte donne islamiche, e non solo, si tratta di una vera e propria lotta interiore per definirsi una nuova identità: non rinunciare alle proprie tradizioni, alla cultura del proprio paese, ma nemmeno alla propria dignità e ai propri diritti. Non si deve cadere nell’inganno di pensare che le critiche provenissero solo da parte islamica: 7 Anche gli uomini devono essere responsabilizzati. Il piano dell’O.N.U. promuove tanto l’uso di preservativi quanto il rafforzamento delle leggi che obblighino il padre naturale a prendersi cura del figlio. Sebbene la vasectomia sia un intervento più semplice per gli uomini rispetto a quanto non sia la costrizione delle tube per le donne, la recisione delle tube di Fallopio è ancora il metodo ginecologico più adottato in molti stati. Generalmente, comunque, quando gli uomini vengono debitamente informati sulla possibilità di sottoporsi a vasectomia, rispondono positivamente. ( Ibidem). 8 I diritti delle donne: la conferenza globale di questa settimana ufficialmente riguarda la popolazione – ma sta diventando il campo di battaglia di uno serrato scontro culturale. (M. Dickey, C. Dickey, Body Politics, “Newsweek”, 12 settembre 1994). 13
  • 15. 1. Una visione globale: le conferenze del Cairo e di Pechino “Urging on the Islamic protest was the Vatican, which accused the United Nations of trying to establish a worldwide right to abortion and demeaning the importance of the family. Catholic priests attacked the draft program for allegedly encouraging homosexuality and adolescent sex. […] The language of the draft program, claimed the pope’s spokesman, was “synonymous with abortion on demand” and gives “practically unlimited sexual rights not only to adolescents but also to children” 9 A ben vedere anche la Santa Sede ha tentato di screditare deliberatamente il “programma d’azione”. Senza contare che la strenua difesa dei valori della famiglia, a cui spesso viene fatto riferimento, sembra non voler vedere che dove non c’è rispetto reciproco tra uomo e donna, dove non c’è libertà, lì non può nemmeno esistere una famiglia moralmente sana e custode di quei valori tanto predicati. Purtroppo la religione, come istituzione - che sia cattolica, islamica o induista - non ha mai dato appoggio alla causa delle donne. Un anno dopo la Conferenza del Cairo, si tiene a Pechino la IV Conferenza Mondiale sulle Donne 10. 1.2 La conferenza di Pechino L’idea di organizzare una Conferenza che trattasse solo dell’“altra metà del cielo” nasce nel 1975 quando viene tenuta la prima “World Conference on Women” in Messico. Allora la maggior parte dei delegati erano uomini e le poche donne partecipanti, ma senza alcuna voce in capitolo, erano o segretarie dei politici o mogli e non dello stampo di Hillary Clinton. Non si concluse molto. A poca distanza dalla Conferenza ufficiale si teneva invece il forum delle ONG sulla stessa tematica, ma con modalità e finalità ben diverse: le donne dovevano iniziare a parlare di sé in prima persona. Da quella data in poi, ogni cinque anni, si sono tenute le “World Conference on Women”, ma le ONG non hanno mai potuto parteciparvi ufficialmente, nonostante il 9 Le proteste da parte dei rappresentanti degli stati islamici sono condivise dal Vaticano, che accusa l’O.N.U. di provare a diffondere e ufficializzare in tutto il mondo il diritto all’aborto danneggiando così l’importanza della famiglia. I preti cattolici hanno attaccato il programma d’azione con la presunta accusa di incitare all’omosessualità e alla promiscuità tra adolescenti. […] Il linguaggio utilizzato nel programma d’azione, accusa il portavoce del Papa, è “sinonimo di aborto su richiesta” e dà “un diritto praticamente illimitato ad adolescenti, e persino bambini, di praticare sesso a piacimento”. (ibidem). 10 J.Véron, Il posto delle donne, cit., pp.11-13, 40-43. 14
  • 16. 1. Una visione globale: le conferenze del Cairo e di Pechino merito sia in parte loro se, con il passare degli anni, sempre più donne hanno avuto un ruolo chiave nelle decisioni prese alle conferenze. Nel 1995 a parlare, e se il caso ad urlare, sono le donne. Si può dire che i temi e le problematiche trattate alla Conferenza di Pechino siano una sorta di proseguo e di sviluppo di quelli discussi alla Conferenza del Cairo l’anno precedente. Sono in molti a ritenere che nonostante la centralità del “family planning”, si dovrebbe andare oltre e investigare tutti gli aspetti della vita delle donne, non solo quello riproduttivo. Nafis Sadik, direttrice esecutiva dell’UNFPA (Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione), è dello stesso parere: “La pianificazione famigliare non è sufficiente. Fornire informazioni e servizi di consulenza è un passaggio importante, ma non è tutto. Perché anche quando ci sono servizi di consulenza, anche quando ci sono le informazioni, molte donne non possono decidere di farne uso, non possono decidere liberamente se avere o no un altro figlio. Devono cambiare anche i contesti culturali, politici, religiosi.” 11 In un articolo del “Newsweek”, scritto dalla famosa femminista americana Betty Friedan, si legge a proposito del “programma d’azione” che verrà adottato a Pechino: “ It contains every possible item of women’s unfinished business of equality, the elimination of all forms of violence against women, from wife-beating and the dowry system to genital mutilation, from the measurement of women’s unpaid work, to new arrangements of work that will permit more of partnership of men with women in nurturing children. It includes affirmative action for women in employment and in their representation in political leadership – including in the United Nations itself – proportionate to their numbers in the population. It gives women new control of their health, not only in the reproductive years but throughout the life cycle. “ 12 L’importanza degli interventi sopra citati è fuori di dubbio, ma come si sa, scriverli su carta è un conto, riuscire ad attuarli un altro, soprattutto se si considera la molteplicità dei punti di vista dei partecipanti. Nonostante le differenze, le donne di tutto il mondo condividono un comune senso di frustrazione: che si parli di educazione o istruzione, lavoro o politica, maternità, 11 “DW Press, Il Quotidiano delle Donne”: www.mclink.it/n/dwpress/index.htm (15 Giugno 2003) Include ogni possibile tematica riguardante l’incompleta emancipazione femminile: l’eliminazione di ogni forma di violenza contro le donne, dalle violenze domestiche al “sistema delle doti”alla mutilazione dei genitali femminili, dalla valutazione del lavoro femminile non remunerato alle nuove proposte lavorative per permettere anche agli uomini di partecipare attivamente insieme alla madre alla crescita dei figli. Include azioni fortemente propositive a favore dell’impiego femminile e di una rappresentanza nelle leadership politiche – incluso l’O.N.U. stesso – proporzionata al numero di donne. Tutto ciò conferisce alle donne un nuovo controllo sulla propria salute e benessere, non solo nell’età riproduttiva, ma durante tutto il ciclo della vita. (Time to Transcend Sexual Politics, “Newsweek”, 4 settembre 1995). In molti paesi asiatici, soprattutto in India, la famiglia della sposa deve garantire una dote per il futuro sposo. Maggiore sarà l’ammontare della dote e più possibilità avrà la figlia di contrarre un matrimonio “vantaggioso”. Per questo molte famiglie si indebitano, ma spesso, nonostante gli sforzi, non riescono a corrispondere la dote pattuita: il marito allora oltre a poter ripudiare la moglie, può decidere di ucciderla o sfigurarla in segno di disprezzo. 12 15
  • 17. 1. Una visione globale: le conferenze del Cairo e di Pechino salute o violenza, i loro interessi vengono sempre dopo quelli della controparte maschile 13. Le complicazioni nascono nel momento in cui si cerca una via comune per risolvere i problemi e si prova a decretarne la priorità. Prendiamo come esempio il dibattito sulla violenza sessuale, che dopo i fatti della Bosnia ha avuto un particolare rilievo: “When Meryem Akbal, an Islamist TV anchorwomen in Turkey, was asked whether she was shocked by statistic that a woman is raped every five minutes in the U.S., she responded, “The reason women are raped in America is a matter of life-style and custom. If people lived according to Muslim law, the problem of rape would be solved” 14 L’affermazione si spiega tenendo conto dell’astio delle donne musulmane nei confronti dell’occidente in generale e della Conferenza in particolare che le aveva invitate a partecipare per la prima volta. La diffidenza reciproca non giova ad una Conferenza che vorrebbe in prima istanza rafforzare la “sisterhood”, una comunione di intenti e “sorellanza” tra le donne di tutto il mondo. Le donne musulmane sono sempre state considerate delle “prigioniere culturali” inermi e senza coraggio, totalmente soggiogate e per questo poco adatte persino a rappresentare se stesse. Eppure sono molte le donne che per aver sfidato la shari’a hanno perso la vita. Altre divergenze sono sorte con le delegazioni Asiatiche e Africane sul tema dell’aborto: “They ask for abortion rights; we ask for safe drinking water and basic health care. We don’t wish to undermine their causes […]”15. Nessun disaccordo invece su temi quali l’istruzione o il lavoro. Entrambe queste sfere sono state precluse alle donne determinandone e perpetrandone la subordinazione: chi non ha potere economico non conta nulla. Non poter lavorare significa non potersi sostentare con le proprie forze, significa anche non avere alcuna voce in capitolo nelle scelte politiche attuate dai governi e tanto meno una rappresentanza che difenda gli interessi delle donne. Molte gloriose rivoluzioni sono 13 Presidenza del consiglio dei ministri: Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità tra uomo e donna, Le donne a Pechino: uno sguardo sul mondo: le immagini della IV Conferenza mondiale sulle donne e del Forum delle organizzazioni non governative, Pechino 1995, Roma, Dipartimento per l’informazione e l’editoria, 1996. 14 Quando a Meryem Akbal, presentatrice presso un’emittente islamica in Turchia, fu chiesto se fosse rimasta colpita dalle statistiche secondo cui in America verrebbe violentata una donna ogni cinque minuti, rispose “La ragione per cui le donne in America vengono violentate va ricercata nello stile di vita e nella cultura americana. Se la gente vivesse osservando la legge islamica il problema degli stupri sarebbe risolto” (J. Smolowe , All For One?, “Time”, 11 settembre 1995). 15 Loro chiedono il diritto d’aborto, noi chiediamo acqua potabile e servizi sanitari di base”, “Con ciò non vogliamo sminuire le loro lotte […]” (ibidem). 16
  • 18. 1. Una visione globale: le conferenze del Cairo e di Pechino state compiute da chi, seppur sfruttato, faceva girare l’economia, si pensi alla rivoluzione francese o a quella del proletariato. Per lavoro qui si intende un’occupazione socialmente riconosciuta come tale e retribuita, precisazione necessaria in quanto le donne da sempre oltre a occuparsi di tutte le faccende domestiche, si sono sobbarcate il duro lavoro nei campi, nelle fabbriche e in molte altre mansioni fondamentali per la vita della famiglia, ma totalmente misconosciute e ritenute parte dei doveri muliebri. Spesso una mancata istruzione è causa di un impossibile o difficile inserimento nel mondo del lavoro: su circa 960 milioni di analfabeti nel mondo i due terzi sono donne 16. Se il numero degli analfabeti maschi sta calando rapidamente, altrettanto non si può dire di quello delle femmine, mentre sempre più donne scivolano al di sotto della soglia di povertà. Un circolo vizioso che deve essere interrotto. In occidente, dove il numero delle donne impiegate in lavori anche prestigiosi sta aumentando, la retribuzione a parità di lavoro e categoria è nettamente maggiore per l’uomo. Purtroppo, anche l’attesa Conferenza di Pechino non ha saputo dare origine ad una dichiarazione forte e unitaria che potesse finalmente gettare le basi per un “diritto inviolabile e internazionale delle donne”, ma non per questo è giusto considerarla fallimentare “tout court” : “To be sure, the consensus was tenuous and the final version had enough vagueness to enable all sides to claim victory. Still it was a moment of triumph when the entire convocation unanimously endorsed the document, which gives new prominence and force to a range of issue. “This culminates a lot of the struggles of the past 20 years”[…]” 17 Si potrebbe riassumere il contenuto della Dichiarazione in dodici principi fondamentali che dovranno essere rispettati dalle diverse nazioni: Maggior potere alle donne in ogni settore della società, dalla famiglia al lavoro, dalle idee personali alla rappresentanza politica. In particolare si richiede che le donne abbiano un ruolo chiave nei concordati di pace e più in generale che sia garantita la loro partecipazione nelle sedi decisionali. 16 U.N. Statistical Office Si può essere sicuri che il consenso è stato tiepido, e la versione finale (del programma d’azione) aveva quel tanto di vaghezza da permettere ad ogni parte di dirsi vincitrice. Nonostante ciò, fu un momento di trionfo quando l’intera assemblea all’unanimità firmò il documento che conferisce una nuova preminenza e forza ad una ampia gamma di problematiche. “Ciò porta a compimento molte delle battaglie degli ultimi vent’anni”[…]” (J. Smolowe, Mission Accomplished, “Time”, 25 settembre 1995). 17 17
  • 19. 1. Una visione globale: le conferenze del Cairo e di Pechino ― Pari responsabilità famigliari tanto nella cura ed educazione dei figli quanto nei compiti domestici. Rispetto per le diverse realtà famigliari e attenzione nell’adottare scelte politiche che possano agevolare i diversi ruoli materni e paterni garantendo la sicurezza e la buona salute dei figli. ― Lotta alla povertà per mezzo di scelte economiche eque e solidali nei confronti delle donne e dei loro figli. Ricerca di soluzioni atte a porre fine al lucroso mercato del lavoro in nero e sottopagato. Rivalutazione dei lavori non remunerati che le donne offrono alla propria famiglia e all’intera società. ― Rafforzamento del sistema sanitario in modo che ogni donna, a prescindere dal reddito e dal paese in cui vive, possa usufruire di cure mediche sia fisiche che mentali adeguate alla sua situazione. Potenziamento della ricerca medica focalizzata sulla salute della donna. ― Diritto alla libertà di scelta in campo riproduttivo e sessuale, libertà che deve essere tutelata sì, ma anche resa consapevole mediante un’appropriata educazione ed informazione. Creazione di centri di consulenza e assistenza. ― Lotta alla violenza contro le donne sia essa sessuale, fisica o psicologica. Educazione ad una maggiore sensibilità nei confronti di questi gravi crimini a lungo rimasti impuniti. ― Diritto al lavoro, Creazione di corsi preparatori e di formazione, maggior consulenza per l’orientamento, maggior informazione sui propri diritti, ma anche sulle reali possibilità lavorative nel territorio. ― Lotta alla discriminazione sul posto di lavoro. La discriminazione comprende: la preferenza ad assumere personale maschile a discapito di quello femminile a parità di istruzione, preparazione e capacità personali; la richiesta da parte del datore di lavoro di rinunciare alla maternità; le minacce di licenziamento in caso di maternità; una remunerazione minore rispetto al corrispondente maschile a parità di lavoro svolto e categoria lavorativa; le molestie psicologiche o fisiche che possano essere ricondotte all’identità sessuale della vittima; minacce e ricatti per ottenere favori sessuali; la creazione di un’ambiente lavorativo sfavorevole o menomante per lo svolgimento del lavoro stesso e per la salute psico-fisica della vittima. ― Diritto all’istruzione che deve essere uguale per qualità e valore a quella maschile, scevra da coercizioni, favoritismi o discriminazioni. 18
  • 20. 1. Una visione globale: le conferenze del Cairo e di Pechino ― Rispetto della “Platform for Action” da parte delle Nazioni che hanno partecipato alla Conferenza; impegno costante da parte dei governi nel migliorare e garantire le condizioni di vita delle donne. 18 Lo svolgimento della conferenza, seguito con particolare interesse dai media, ha avuto maggiore impatto sull’opinione pubblica rispetto alle analoghe conferenze del passato. Parte del merito va alla presenza di Hillary Clinton che ha saputo giocare un’importante ruolo mediatico: la sua partecipazione incerta fino all’ultimo ha creato l’attesa dell’evento, le sue parole decise e sincere hanno rotto gli indugi di molti, non solo americani, ad interessarsi al meeting e alla condizione femminile. Se alla Conferenza del Cairo “Time” e “Newsweek” avevano dedicato complessivamente solo due articoli 19 , a quella di Pechino ne sono stati dedicati ben dodici 20; anche la stampa europea ha attribuito uguale importanza all’evento 21 . La gioia delle tante donne riunitesi a Pechino per far sentire la propria voce è stata immortalata dalle foto dei giornalisti: lacrime di commozione sincera e abbracci, strette di mano complici. Un traguardo è stato raggiunto, ma altri ne restano: per quanti anni a venire avremo bisogno di una Conferenza completamente dedicata al nostro caso? Il giorno che non ce ne sarà più bisogno, la meta sarà raggiunta. 18 “Center for Women Policy Study”: www.centerwomenpolicy.org C. Gorman, Planned Planethood, “Time”, 9 maggio 1994; M. Dickey, C. Dickey, Body Politics, “Newsweek”, 12 settembre 1994. 20 In “Newsweek”, T.Emerson, The rights of women, 28 agosto1995; B. Friedan, Time to Transcend Sexual Politics, 4 settembre 1995; C. Bogert, Pushing Back the Veil, 4 settebre 1995; G. Wehrfritz , The End of the Party, 11 settembre 1995; R.Watson, K. Chubbuck, Struggling Through Hell and High Water, 11 settembre 1995; C.Bogert, Soapbox Sisters, 18 settembre 1995; C. Bogert, Africans Up Front, 25 settembre 1995. In “Time”, K. Fedarko, Run Right Out of Town, 5 Luglio 1995; A. Spaeth, He’s Out, 4 settembre 1995; J. Smolowe, All for One?, 11 settembre 1995; J. Walsh, Sisterly Spirit Undampened, 18 settembre 1995; J. Smoluwe, Mission Accoplished, 25 settembre 1995. 21 In “Le Monde” : A Pékin, Hillary Clinton durcit le ton contre la Chine, 7 settembre 1995 ; Le projet de Mm Clinton de se rendre à la conférence mondiale sur les femmes est contesté aux Etats-Unis, 19 agosto 1995 ; Hillary Clinton se rendra en Chine, 27 agosto 1995 ; Hillary Clinton défend les droits des femmes à la Conférence de Pékin, 6 settembre 195 ; Hillary Clinton remerciée par Harry Wu, 8 settembre 1995. In “Corriere della sera “: Non solo madre. Parola del Papa, 29 agosto 1995; Critiche esagerate, 24 settembre 1995; Vecchie femministe addio, 27 agosto 1995; Il Vaticano: " Non firmiamo ", 10 settembre 1995; Il Papa non ha mutato linea: “la donna e' solo riproduzione ", 25 agosto 1995; " Qui vale solo il lato peggiore " Violenza, soprattutto in famiglia, 18 agosto 1995; Da Hillary alla Bonino: cento donne muovono il mondo, 24 agosto 1995; Donne, una crociata americana, 7 settembre 1995; La rivincita del femminismo, 16 settembre 1995; Parità per la donna che lavora, 21 agosto 1995; L' O.N.U. dimentica i diritti delle donne, 26 agosto 1995. 19 19
  • 21. 2. Donne si diventa 2. Donne si diventa Are boys and girls born different? Does every infant really come into the world programmed for caretaking or war making? Or does culture get to work on our children earlier and more inexorably than even parents are aware? (“Newsweek”, 28 maggio 1990). “Donne si diventa” era uno degli slogan cantati durante le manifestazioni delle femministe che, agli inizi degli anni ’60, per prime, iniziavano a contestare radicalmente i concetti di femminilità e mascolinità. 1 E’ infatti a partire dagli anni ’60/’70 che con la messa in discussione dei principi e dei valori di una cultura patriarcale e androcentrica, si inizia a considerare uomini e donne come due soggetti differenti, con percorsi evolutivi autonomi e per certi aspetti opposti, con esperienze esistenziali diverse Si nasce esseri umani, saranno poi le imposizioni sociali a forgiare il pensiero, le attitudini, i comportamenti e il carattere di uomini e donne in base agli stereotipi di genere. Nel percorso di crescita, da bambina ad adulta, una donna dovrà affrontare diverse tappe, ognuna delle quali forgerà il suo divenire: l’educazione ricevuta in famiglia e a scuola, la scoperta del proprio corpo e della sessualità, la sua capacità di dare origine a nuove vite e la conseguente gestione della maternità. A seconda di come vivrà ognuno di questi momenti, potrà essere una donna libera e appagata o ancora sottomessa e artefatta. 1 E. Roccella, Dopo il femminismo, Roma, Ideazione Editrice, 2001, pp.40-42. 20
  • 22. 2. Donne si diventa 2. 1 Educazione Tra maschi e femmine esistono differenze anatomiche e caratteristiche peculiari congenite che nessuno può negare. Rimane da definire se queste indubbie differenze siano le uniche responsabili della definizione dei ruoli maschili e femminili o se anche il condizionamento sociale abbia un peso rilevante. Di sicuro c’è che nessuna ricerca scientifica fino ad oggi ha prodotto prove sufficienti – e non macchiate da sospetti di parzialità – per stabilire se esista un diverso funzionamento della mente nei due sessi, tale da differenziarne il comportamento e l’apprendimento 2. A questo proposito, nell’edizione del “Newsweek” del 28 maggio 1990 viene dedicato all’argomento un interessante dossier di sette pagine intitolato Guns and Dolls. Il titolo scelto da Laura Shapiro è particolarmente appropriato in quanto riesce a sintetizzare in due parole le fondamentali ambivalenze che si incontrano nel voler studiare la differenza tra i sessi. “Guns” e “dolls” sono i giocattoli più regalati in America rispettivamente ai maschi e alle femmine; questa scelta non può essere considerata neutra – sebbene sia spesso inconscia nei genitori – poiché il giocattolo “pistola” veicola una simbologia totalmente opposta alla “bambola”: se la prima evoca l’aggressività, la violenza fisica, la freddezza e in ultimo la guerra, la seconda richiama alla mente la tenerezza, la cura, l’emotività e in generale la sfera dei sentimenti. Gli attributi assegnati ai giochi sono i medesimi che ci si aspetta si sviluppino nel maschio e nella femmina, o meglio ancora sono quelle “qualità” che secondo gli stereotipi maschili e femminili faranno del bambino un uomo e della bambina una donna. All’inizio degli anni ’90, dunque, sono in molti ad iniziare a mettere in dubbio la veridicità e l’esattezza dei ruoli maschili e femminili socialmente codificati, o quanto meno ci si domanda se le differenze tra uomo e donna siano di carattere genetico o sociale. La scelta del “Newsweek” di pubblicare un tale dossier, rispecchia il crescente disagio di molte donne e uomini nei confronti di ciò che la società attuale richiede ad ognuno di loro come appartenenti ad un determinato sesso. La Shapiro apre il dossier con la descrizione dei modi di giocare liberamente scelti da una bambina e da un bambino quasi coetanei: 2 G.Greer, L’eunuco femmina, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2000, pp. 105-109. 21
  • 23. 2. Donne si diventa “Rebecca is 3 years old, and both her parents have full-time jobs. Every evening Rebecca’s father makes dinner for the family—Rebecca’s mother rarely cook. But when it’s dinner time in Rebecca’s dollhouse, she invariably choose the Mommy doll and puts her in the kitchen. George is 4, and he was never taught the word “gun”, much less given a war toy of any sort. […]Thereafter he would grab a stick from the park, brandish it about and call it his “shooter!” […] By the age of 4 or 5, however, children start to embrace gender stereotypes with a determination that makes liberal-minded parents groan in despair” 3 Fino a questo punto sembra non si metta in discussione l’origine biologica delle diversità comportamentali. In realtà la tecnica usata dalla Shapiro è proprio quella di smantellare passo dopo passo tutti gli stereotipi di genere partendo proprio da questi. In tal modo anche il lettore più scettico sarà accompagnato gradualmente alla scoperta di altre possibili spiegazioni, magari fino a quel momento neppure prese in considerazione. Il passo successivo è quello di instillare il dubbio che l’origine biologica delle differenze non sia poi così scontata : “Are boys and girls born different? Does every infant really come into the world programmed for caretaking or war making? Or does culture get to work on our children earlier and more inexorably than even parents are aware?” 4 A questo punto la Shapiro ripercorre brevemente i passi più salienti compiuti dagli studiosi in materia. Si legge infatti che, sebbene la natura delle differenze tra i sessi sia da più di un secolo dibattuta da studiosi provenienti dai più diversi ambiti disciplinari - dalla storia, all’economia, dalla biologia, alle discipline psico-socioantropologiche - è solo da alcuni decenni che si inizia a riconoscere autonomia e specificità al modo di essere, pensare e agire della donna. Questo cambiamento di prospettiva è di capitale importanza se si tiene conto che un tempo si pensava di poter spiegare l’universo femminile e la differenza tra i sessi considerando la soggettività e l’esperienza maschile come unico parametro universalmente 3 Rebecca ha tre anni ed entrambi i suoi genitori lavorano a tempo pieno. Ogni sera il padre di Rebecca prepara la cena per la famiglia, la madre di Rebecca invece cucina raramente. Ma quando è l’ora di cena nella casa delle bambole di Rebecca, lei scegli sempre la sua mamma-bambola per cucinare.Gorge di anni ne ha quattro e non gli è mai stata insegnata la parola “pistola”e tanto meno gli sono mai stati regalati giocattoli che avessero a che fare con la guerra. […] Di lì a poco Gorge avrebbe raccolto un bastoncino di legno nel giardino del parco e avrebbe finto di sparare chiamandolo “la mia pistola!”All’età di quattro o cinque anni, i bambini iniziano a comportarsi secondo gli stereotipi di genere con una tale determinazione che fa disperare i genitori più liberali. (L. Shapiro, Guns and dolls, “Newsweek”, 28 maggio 1990). 4 I bambini e le bambine nascono differenti? E’ davvero possibile che ogni neonato venga al modo programmato per prendersi cura del prossimo o per fare la guerra? Oppure il fattore socio-culturale opera sui nostri figli prima e in maniera più inesorabile di quanto i genitori credano? (Ibidem). 22
  • 24. 2. Donne si diventa applicabile 5. Come si può facilmente capire una tale tendenza unilaterale, che cioè escluda del tutto il punto di vista femminile, non può condurre a nessun risultato apprezzabile per la scienza. Nel 1902 si pensava ancora che: “Intelligence was a function of brain size and that male uniformly had lager brains that women – a fact that would nicely explain men’s pre-eminence in art, science and letters” 6 ed è stata proprio una donna a compiere degli studi più approfonditi in materia che hanno condotto ad una fondamentale scoperta, ovvero che in proporzione al peso corporeo, era più pesante il cervello delle donne. A questo punto, scienziati di tutto il mondo, si sono affrettati a trovare prove certe che confutassero la loro stessa teoria: le dimensioni e il peso della massa celebrare avevano perduto ogni valore nella determinazione dell’intelligenza e delle caratteristiche peculiari maschili e femminili. In compenso: “Gender research in America has become a lot more sophisticated in the ensuing decades, and a lot more controversial. The touchiest question concerns sex hormones, especially testosterone, which circulates in both sexes but is more abundant in males and is a likely, though unproved, source of aggression.” 7 La Shapiro non esprime la sua idea, un giudizio personale rischierebbe di invalidare un’inchiesta che si prefigge di essere il più attendibile e oggettiva possibile, ma di certo questo non le impedisce di sottolineare più volte nell’articolo l’impossibilità degli scienziati a trovare delle prove certe che confermino la teoria degli ormoni. Più avanti , nella sezione Water pistols, viene ancora una volta ribadito che: “Apart from the fact that women everywhere give birth and care for children, there is surprisingly little evidence to support the notion that their biology makes women kinder, gentler people or even equips them specifically for motherhood. Philosophers—and mothers, too—have taken for granted the existence of a maternal “instinct” that research in female hormones has not conclusively proven.” 8 5 B. Bertani, L.Venini, Stili di comunicazione e differenze di genere, cit., pp. 122-123. Si pensava che l’intelligenza fosse proporzionale alla grandezza del cervello e che generalmente gli uomini lo avessero di dimensioni maggiori rispetto alle donne – un dato di fatto che avrebbe agevolmente spiegato la preminenza degli uomini nell’arte, nella scienza e nella letteratura . (L. Shapiro, Guns and dolls, “Newsweek”, 28 maggio 1990). 7 In America le ricerche sulle differenze di genere sono diventate sempre più sofisticate con il passare degli anni, ma anche più controverse. La questione più scottante riguarda gli ormoni, specialmente il testosterone, che circola in entrambi i sessi, ma è più abbondante nei maschi e sarebbe all’origine dell’aggressività. La validità di tale teoria non è ancora stata provata. (Ibidem). 8 Se si esclude il fatto che le donne in ogni parte del mondo partoriscono e si prendono cura dei figli ci sono sorprendentemente poche prove a supporto della teoria secondo la quale la loro biologia le renderebbe più tenere, più gentili o specificatamente attrezzate per la maternità. Filosofi—ed anche le madri stesse—hanno dato per scontato l’esistenza di un ”istinto”materno che non è stato compiutamente provato dalle ricerche sugli ormoni femminili. (Ibidem) 6 23
  • 25. 2. Donne si diventa La Shapiro fa un’importante distinzione tra le capacità prettamente fisiche di dare vita ad un altro essere umano e la maternità, intesa appunto come attitudine innata a prendersi cura dei figli. Quest’ultima non è suffragata da prove ed è possibile postulare che si tratti di una convenzione sociale. Come si avrà modo di analizzare più avanti, nel paragrafo Figlie dell’Asia, l’istinto alla protezione della prole non è uguale in tutti i paesi del mondo. In massima parte, il concetto di maternità dipende dalla cultura e dagli usi di una determinata società: “If , in our society, nature stands for the giving of life, nurturance, help, affection, then the girl will conclude unconsciously that those are the qualities she should strive to attain. And the boy won’t. And that’s exactly what happens.” Says Kagan” 9 Sebbene si stia parlando del caso specifico della maternità, viene introdotto il concetto di inconscio che è alla base di ogni condizionamento sociale. La penultima sezione, Infant ties, presenta alcuni esperimenti che sono stati fatti per dimostrare in che modo e attraverso quali mezzi operi il condizionamento sociale sui bambini di entrambi i sessi: “Malatesta and her colleagues, who videotaped and coded the facial expression on mothers and infants as they played, found that mothers displayed a wider range of emotional responses to girls than to boys. When the baby girls displayed anger, however, they met what seemed to be greater disapproval from their mothers than the boys did. These patterns may be among the reason why baby girls grow up to smile more, to seem more sociable than male, and to possess the skill noted earlier in “reading” emotions.” 10 In alter parole si potrebbe dire che alle bambine venga subito insegnato il linguaggio della tenerezza e della cura. Generalmente dalle bambine ci si aspetta non solo che siano meno aggressive, ma anche più riflessive e mature, che sappiano cioè controllare la propria rabbia e veicolarla piuttosto verso una maggiore disposizione al dialogo e alla conciliazione: 9 “Se ,nella nostra società, si intende come una cosa naturale, partorire, prendersi cura del figlio, aiutarlo, dargli affetto, la ragazza concluderà inconsciamente che quelle sono le qualità lei dovrebbe sforzarsi di conseguire. Mentre ai maschi non è richiesto. E ciò è esattamente ciò che accade”.Dice Kagan (Ibidem). Kagan è ricercatrice presso Harvard. 10 Malatesta e i suoi colleghi, videoregistrando e codificando le espressioni facciali di madri e figli intenti nel gioco, scoprirono che le madri mostrano un più vasto repertorio di espressioni emozionali nei confronti delle figli femmine. D’altra parte però, quando le bambine mostrano comportamenti aggressivi, ricevono messaggi di maggior disapprovazione rispetto ai maschi. Questi campioni potrebbero spiegare perché le bambine, nel crescere, sorridano di più , siano più socievoli dei bambini e posseggano quella particolare abilità di saper “leggere” le emozioni altrui. (Ibidem). Malatesta è ricercatrice e docente di psicologia alla Long Island University con sede a New York. Gli studi condotti dall’equipe di Malatesta includono anche quelli sul baby talk, ovvero sui moduli verbali usati nel parlare con i più piccoli. (B.Bertani, L.Venini, Stili di comunicazione e differenze di genere, cit., p. 125). 24
  • 26. 2. Donne si diventa “The difference in parental treatment start even before the difference in behavior shows up. Girl receive very different messages than boys, they are encouraged to care about the problems of others, beginning very early. By elementary, they’re showing more caregiver behavior, and they have a wider social network.” 11 Naturalmente non significa che le bambine, future donne, non abbiano istinti aggressivi. Talvolta questi istinti vengono repressi e rimangono ad avvelenare la vita di tutte coloro che, convinte di dover essere buone a tutti i costi, si sentono colpevoli, quasi contro natura, solo per aver provato tali stati d’animo. Il più delle volte invece le bambine imparano da subito ad usare altri mezzi, quelli concessi, per esprimerli: per esempio il linguaggio, la capacità persuasiva e relazionale, l’abilità a creare alleanze a discapito di terzi: “Little girls have their aggressive side, too, but by the time they’re socialized it takes a different form. The kinds of things boys work out with guns, girls work out in terms of relationship—with put downs and social cruelty. […] A 4-year-old at a party turned to her young hostess as a small stranger toddled up to them.” Tell her we don’t want to play with her,” she commanded. ”Tell her we don’t like her” 12 A conclusione del dossier, la Shapiro presenta la tesi della ricercatrice Gleason e ribalta la prospettiva dell’analisi giungendo alla conclusione, ben fondata, che il condizionamento sociale non abbia leso solo le donne, ma forse ancor più gli uomini: […] The traditional implication is that the standard of life is male, while the entity that needs explaining is female. Perhaps the time has finally come for a new agenda. Women after all, are not e big problem. Modern society does not suffer from burdensome amounts of empathy and altruism, or a plague of nurturance. The problem is men – or more accurately, maleness. “There’s one set of sex differences that’s ineluctable, and that’s the death statistics,” says Gleason. Men are killing themselves doing all the things that our society wants them to do. At every age they’re dying in accidents, they’re being shot, they drive cars badly, they ride the tops of elevators, they’re two-fisted hard drinkers. And violence against women is incredibly pervasive. Maybe it’s men’s raging hormones, but I think it’s because they’re trying to be a man. If I were the mother of a boy, I would be very concerned about societal pressures that idolize behaviors like that.” 13 11 La diversità nel modo di trattare i figli da parte dei genitori inizia ancora prima che le differenze di genere si verifichino nei comportamenti dei bambini. Le bambine ricevono dei messaggi completamente diversi rispetto ai maschi. Esse, per esempio, sono da subito incoraggiate ad interessarsi ai problemi degli altri. Già nelle scuole elementari le bambine dimostrano una maggiore attenzione verso la cura e hanno più amicizie. (Ibidem). 12 Anche le bambine hanno il loro lato aggressivo, ma nel momento della socializzazione esso assume forme diverse. Mentre i maschi risolvono i contrasti giocando alla guerra con pistole giocattolo, le bambine usano come arma le relazioni sociali. Un esempio. Ad una festa, una bambina di soli quattro anni, vedendo avvicinarsi una coetanea non gradita, ha detto alla sua amichetta “ Dille che noi due non vogliamo giocare con lei” e ancora, in tono più imperioso “Dille che a noi lei non è simpatica” (Ibidem). 13 L’implicazione tradizionale è che lo standard sia l’uomo, mentre l’entità che necessita di essere spiegata sia la donna. Può essere che sia infine giunto il momento di cambiare l’ ordine del giorno. Le donne dopo tutto non costituiscono un grosso problema. La società moderna non soffre per un eccesso di empatia e altruismo o per la piaga del nutrimento. Il vero problema sono gli uomini—o più appropriatamente la mascolinità.“C’è una differenza tra i due sessi che è ineluttabile: le statistiche di morte.” Dice Gleason. “Gli uomini si stanno uccidendo nel fare tutte quelle cose che la nostra società 25
  • 27. 2. Donne si diventa Al di là della cosìdetta “battaglia dei sessi”, sarebbe di grande importanza per l’intera società comprendere che il modellamento del carattere e del comportamento in base al sesso va a totale discapito non solo delle singole personalità e attitudini, ma della stessa comunità. Se non esistessero dei ruoli ben definiti, citando Margaret Mead 14: Non accadrebbe allora che un’abitudine, un’attitudine, un vivido immaginare, un pensare preciso vadano ignorati o perduti per il solo fatte che il bambino che li possedeva apparteneva ad un sesso anziché all’altro. […] Molti sarebbero i modelli a disposizione in un mondo ormai deciso a concedere a ogni individuo di seguire la via più congeniale alle sue doti. 15 E’ probabile che, in parte, la società umana abbia bisogno di ruoli e riti ben definiti per non finire nel caos, ma bisognerebbe chiedersi quanto è alto il prezzo da pagare per mantenere inalterati questi ruoli. La Shapiro lascia al lettore la risposta a quest’ultimo quesito. Nel box inserito nel dossier, firmato dalla Shapiro stessa, vengono presi in esame i giocattoli, come importante mezzo di formazione delle differenze di genere. Infatti nonostante la dimensione del gioco sia innata in tutti i bambini e sia presente in tutte le culture, il modo in cui il gioco si esprime, le sue regole e gli oggetti stessi usati, sono prodotto diretto e specchio della società, anzi si potrebbe affermare che attraverso il gioco vengano gettate le prime basi del sapere sociale. 16 In particolare la giornalista concentra la sua attenzione sul caso Fisher-Price, la nota industria americana di giocattoli per l’infanzia: vuole che loro facciano. Ad ogni età muoiono in incidenti, per colpa di armi da fuoco, o per guida spericolata, arrivano a salire sul tetto degli ascensori per sfidarsi e devono il doppio di alcolici rispetto alle donne. La violenza contro le donne poi è estremamente diffusa. Può darsi sia colpa dell’ormone della rabbia, ma secondo me ciò accade perché tentano di essere uomini. Se avessi un figlio maschio, sarei molto preoccupata per quelle pressioni sociali che incitano a comportarsi in quei modi.” (Ibidem).Gleason è Docente alla Boston University. 14 Margaret Mead, nata nel 1901 a Filadelfia, è una delle antropologhe più famose e rispettate non solo in America. Fu non solo una brillante ricercatrice, ma anche un personaggio carismatico e anticonformista che riuscì a portare fuori dalle aule universitarie i dibattiti su importanti temi quali il razzismo, l’identità di genere, la giustizia e il diritto all’istruzione, il femminismo e l’emancipazione sociale delle minoranze. Secondo le sue tesi, erano gli aspetti culturali a portare al razzismo, alle intolleranze, alle guerre, perciò i membri di una società potevano e dovevano lavorare insieme per modificare le loro trazioni e costruire nuove istituzioni. Il suo slogan in proposito era: “Never doubt that a small group of thoughtful, committed citizens can change the world.” In una società sempre più pessimista riguardo alle capacità umane di cambiamento, lei insisteva sull’importanza di favorire e supportare tale capacità. Dopo aver lungo viaggiato per le sue ricerche antropologiche, morì a New York nel 1978. (“La psicologia amica”: www.psicolinea.it). 15 M. Mead, Sesso e temperamento, Milano, Il Saggiatore, 1967, p.344. 16 Per sapere sociale si intende la capacità di uniformarsi e attenersi a quelle regole che, seppur non scritte, sono il fondamento della società in cui si vive. (C. Castelli, A. Quadrio, L. Venini, Psicologia sociale e dello sviluppo, Milano, Franco Angeli, 1998). 26
  • 28. 2. Donne si diventa “According to Kathleen Alfano, manager of the Child Research Department at Fisher-Price, kids will play with everything from train sets to miniature vacuum cleaners until the age of 3 or 4; after that they go straight for the stereotypes. And the toy business meets them more than halfway” 17 Numerose indagini condotte dai ricercatori americani, hanno permesso di stilare delle liste di giochi classificati secondo l’indice di mascolinità e femminilità: bambole e giochi concernenti attività casalinghe sarebbero l’estremo femminile, mentre giochi di costruzione che comportino l’impiego di utensili, quello maschile. Questa classificazione corrisponde in grandi linee alle occupazioni sociali ritenute caratteristiche di ciascun sesso nell’età adulta. 18 La Fisher-Price è famosa ancora oggi per aver aperto la strada verso la produzione di giocattoli chiamati “open gender”, ovvero non rivolti specificatamente a un sesso o all’altro. Tra questi vi sono degli articoli di indubbio successo e molto innovativi, come i pattini a rotelle allungabili in modo da adattarsi al piede del bambino nell’età della crescita, lettori di cassette semplici da usare e dai colori invitanti, o ancora microfoni attraverso cui i bambini potevano registrare voci e suoni. Purtroppo esigenze di mercato hanno portato la Fisher-Price a tentare altre strade: nel 1987 viene lanciata una nuova linea di giocattoli “Developed along strict sex-role lines. These toys are meant to capture kids’ fads and fashions as well as their preconceptions about masculinity and femininity ” 19 E’ la volta di case per le bambole in perfetto stile Vittoriano, veri beautycase con tanto di ombretti e rossetti, collane, bracciali e perline per farsi belle già da piccole; piste per automobili sfreccianti a tutta velocità, robot dalle sofisticate e letali armi. Per fortuna questa nuova iniziativa non aveva sortito l’effetto desiderato e, nel complesso, non aveva neppure portato ad un aumento del fatturato. Del resto ciò non significa che le differenze di genere stiano svanendo: Even where no stereotypes are intended, the company has found that some parents will conjure them up. At a recent session for 3-years-olds in the Playlab, the most sought-after toy of the morning was 17 Secondo l’opinione di Kathleen Alfano manager del Child Research Department della Fisher-Price, I bambini giocheranno con ogni cosa, dai trenini alle aspirapolvere miniaturizzate, fino all’età ditre o quattro anni; dopo di che seguiranno gli stereotipi di genere. Ed i produttori di giocattoli vanno a loro incontro ben più che a metà strada. (L.Shapiro, Where LittleBoys CanPlay WithNail Polish, “Newsweek”, 28 maggio 1990). 18 C. Bried, Gli scolari e le scolare, in M. Debesse, Psicologia dell’età evolutiva, Roma, Armando, 1968, p. 346). 19 Creati seguendo i canoni degli stereotipi. Questi giocattoli sono progettati per soddisfare i capricci e le abitudini dei bambini nonché i loro preconcetti su ciò che è da femmine e ciò che invece è da maschio (Ibidem). 27
  • 29. 2. Donne si diventa the fire pumper, a push toy that squirts real water. “It’s for both boys and girls, but parents are buying it for boys” says Alfano. 20 Se i bambini fossero completamente liberi di scegliere i propri giochi, probabilmente farebbero scelte diverse dai propri genitori. Esperimenti condotti al Child Research Department evidenziano che: When 7-years-olds were testing the nail polish, we left it out after girls were finished and the boys came and played with it. […] They spent the longest time painting their nails and drying them. 21 La Shapiro afferma a chiusura dell’articolo: “It’s not the same as the outside world.” 22, a dire che ci vorrà ancora del tempo prima che stereotipi vecchi di secoli vengano completamente sradicati. E’ già qualcosa trovare un dossier di questo tipo, forse qualcosa sta iniziando a cambiare. “Time” perde l’occasione di cimentarsi in questo campo che potrebbe prestarsi a diverse interpretazioni e dibattiti. Una tale scelta, quella di non affrontare per nulla la spinosa questione degli stereotipi di genere e dei condizionamenti sociali, può forse rivelare la linea conservatrice della testata, restia ad ammettere quanto le differenze tra i sessi siano principalmente un prodotto sociale. 2.2 Istruzione L’istruzione, in molti paesi, è ancora oggi negata alle donne. Nella maggioranza dei casi la mancata scolarizzazione le condannerà a una totale dipendenza economica, a matrimoni precoci e spesso ad essere vittime di una cultura androcentrica che le vuole subordinate e vulnerabili. Il sapere è potere, l’ignoranza è sottomissione. Non può esistere libertà di pensiero se il pensiero stesso è costretto entro limiti angusti, senza possibilità di conoscenza ed evoluzione. Probabilmente se in molti paesi non si 20 La Fisher-Price ha scoperto che, anche quando nessuno stereotipo era sottinteso, alcuni genitori lo avrebbero comunque immaginato. Ad una recente riunione al Playlab sui giocattoli per bambini di tre anni, l’articolo di maggior successo risultò essere il “pompiere”che se schiacciato spruzzava vera acqua dalla pompa. “ E’ un tipo di giocattolo pensato per entrambi i sessi, ma i genitori lo comprano per i maschi” dice Alfano (Ibidem). 21 Dopo che le bambine di sette anni avevano finito di testare lo smalto per unghie, facemmo entrare dei bambini lasciando lo smalto dov’era, essi iniziarono a giocarci. Alla fine avevano passato più tempo delle bambine nel dipingersi le unghie e lasciarle asciugare (Ibidem). 22 Il mondo là fuori non è la stessa cosa. (Ibidem). 28
  • 30. 2. Donne si diventa è ancora formata una forte coscienza di “genere”, questo è dovuto proprio alla mancanza di una vera istruzione. Non sarebbe il primo caso nella storia. Agli inizi degli anni ’90 il livello di istruzione presenta forti disparità: se nei paesi occidentali il 98% delle donne sono alfabetizzate, la percentuale scende al 40% nei paesi arabi e al 33% in quelli dell’Asia del Sud. 23 In Cina il progresso dell’istruzione è stato particolarmente elevato se si pensa che in cinquant’anni – 1950-’90 -- la percentuale di analfabetismo tra le donne è passata dal 90% al 4% 24. Non in tutti gli stati si è registrato lo stesso incremento. E’ importante aggiungere che, nella maggior parte dei casi, ad una bassa percentuale di alfabetizzazione corrisponde un’alta percentuale di povertà e malnutrizione: ne è un esempio il Burkina Faso in cui il tasso di analfabeti è tra i più elevati come il numero di morti per denutrizione Queste statistiche dovrebbero suggerire che l’istruzione femminile non riguarda solo il benessere delle donne – nonché un diritto fondamentale – ma il benessere dell’intera comunità. Naturalmente in molti paesi del terzo mondo l’istruzione è negata non solo alle donne, ma anche agli uomini, entrambi costretti a lavorare dall’età di 4 anni. Anche per quanto riguarda il tempo trascorso a scuola, la situazione tra il Nord e il Sud del mondo non è egualitaria. In Occidente la media di anni varia da un minimo di 12 fino a superare i 18, mentre in molti paesi in via di sviluppo la media si aggira intorno ai 3 anni 25. La bassa permanenza all’interno dell’istituzione scolastica non riguarda solo i bambini di sesso femminile, sebbene sia altamente più probabile che una bambina, appena raggiunta l’età della pubertà, sia costretta ad abbandonare la scuola per dedicarsi al suo ruolo di moglie e di madre a tempo pieno. In molti paesi la realizzazione della donna come persona, slegata dai doveri famigliari, non è neppure presa in considerazione. Sono molti i casi di bambine e ragazze particolarmente portate per lo studio che nonostante gli ottimi risultati raggiunti e le altrettanto ottime prospettive per il futuro, si sono viste costrette ad interrompere il percorso di formazione da parenti preoccupati che troppa istruzione potesse addirittura danneggiarle. Alle donne è richiesto di saper tenere una casa, di essere 23 Pnud, Rapport mondial sur le développement humain, Paris, ed. Economica, 1995. Population and Development in China: Figures and Facts, in « Chinese Population Today », II, n.3, luglio 1994, cit. in J. Véron, Il posto delle donne, cit., p. 113. 25 Pnud, Rapport mondial sur le développement humain, cit., 1994. 24 29
  • 31. 2. Donne si diventa obbedienti e umili, di essere figlie e poi mogli devote, madri feconde di figli, possibilmente maschi; tutte doti che potrebbero effettivamente essere compromesse da un’adeguata scolarizzazione. La situazione, come si è detto, è molto diversa in Occidente dove il diritto all’istruzione è stato ampiamente ottenuto e dove nessuno oserebbe più metterlo in discussione. Questo però non significa che il sessismo sia scomparso dalla scuola e che non esistano più disparità di alcun genere come ben dimostrato in un articolo pubblicato da “Newsweek” nell’edizione del 5 gennaio 1991, intitolato Thought Police. L’autore Eduard Jones parte da un recente fatto di cronaca - l’espulsione di una ragazza dal college per aver appeso fuori dalla porta della camera un foglio pieno di insulti verso gli omosessuali - per estendere poi la sua indagine a tutte le forme di pregiudizio ancora presenti nei college americani: “There is an experiment taking place in American collages. Or, more accurately, hundreds of experiments at different campuses, directed at changing the consciousness of this entire generation of university students. The goal is to eliminate prejudice […] that has ruled American universities since their founding. […] If women, gays and racial minorities are seeking special protections, it is because they have been the objects of special attacks.” 26 L’articolo non riguarda specificamente il sessismo nei campus, proprio per questa ragione è ancora più evidente come le donne siano ancora percepite come una tra le minoranze che devono essere tutelate, al pari degli omosessuali e dei sud-americani, nonostante già a partire dagli anni ’70 il numero delle donne iscritte a scuola sia solo di poco inferiore a quello degli uomini. 27 L’anno seguente, il 24 febbraio 1992, Sexism in the Schoolhouse firmato da Barbara Kantrowitz 28 per “Newsweek”, tratta più nello specifico il problema dell’ emarginazione e penalizzazione femminile nella scuola, già a partire dalle classi elementari: 26 C’è un esperimento che sta prendendo campo nei college americani.Per essere più precisi esistono centinaia di diversi esperimenti in diversi campus,tutti rivolti a formare una nuova consapevolezza in un’intera generazione di studenti universitari. Lo scopo è quello di eliminare quel pregiudizio […] che ha dominato le università americane dalle origini. […] Se le donne, gli omosessuali e le minoranze etniche stanno cercando una protezione speciale questo accade perché sono loro le principali vittime di attacchi (E. Jones, Thought Police, “Newsweek”, 5 gennaio 1991). 27 U.S. Bureau of the Census, Findings from The Condition of Education 1997: Women in Mathematics and Science July 1997, n.11. (“Barnard”: http://beatl.barnard.columbia.edu) . 28 Barbara Kantrowitz è stata prima cronista poi editrice per “Newsweek” dal 1985. Ha scritto numerose inchieste incentrate sul tema della famiglia e dell’educazione, ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti per il lavoro svolto. Oltre che giornalista, è tutt’ora una quotata scrittrice di romanzi 30
  • 32. 2. Donne si diventa “ “The boys got all the attention,” says Carrie Paladie, 12. “Every time we asked a question, the teacher would just ignore us.” Her classmate, 11-year-old Jennie Montour, agrees: “the boys got to participate in everything.” Jennie says the teachers made her “feel that I was stupid “ ” 29 Kantrowitz lascia che ad esprimere il proprio malcontento siano le bambine stesse, ed è già qualcosa che nonostante il condizionamento degli insegnanti, siano così lucide nel denunciare i gravi torti subiti, indice che qualcosa sta cambiando, che fin da bambine hanno una maggiore coscienza del proprio valore e dei propri diritti. La giornalista riporta i risultati di una ricerca condotta dall’American Association of University Women, dalla quale risulta che: “Sexism may be the most widespread and damaging form of bias in the classroom. […] In elementary school, teachers call on boys much more often and give them more encouragement. Boys frequently need help with reading, so remedial reading classes are an integral part of many schools. But girls, who just as often need help with math, rarely get a similar chance to sharpen their skills. Boys get praised for the intellectual content of their work while girls are more likely to be praised for neatness. Boys tend not to be penalized for calling out answers and taking risks; girls who do the same are reprimanded for being rude. Research indicates that girls learn better in cooperative settings, where students work together, while boys learn better in competitive settings.” 30 Nonostante questi problemi, sottolinea la Kantrowitz, la maggioranza delle ragazze decide di continuare gli studi, ma viene influenzata nella scelta di quale indirizzo scegliere. In America, paese con il più alto numero di donne iscritte a scuola, pochissime ragazze optano per corsi di studi inerenti materie scientifiche o matematiche, corsi che sono invece i più scelti dai compagni maschi: “The differences between the sexes are greatest in science. […]Even girls who take the same courses 31 as boys and perform equally well on tests are less likely than boys to choose technical careers” 29 “I maschi ricevono tutte le attenzioni,” dice Carrie Paladie di dodici anni. “ogni volta che noi facciamo una domanda, gli insegnanti semplicemente ci ignorano.” La sua compagna di classe, Jennie Montour,undicenne, è d’accordo con lei: “I maschi possono essere partecipi in ogni cosa.” Jennie dice che gli insegnanti la facevano sentire “come fossi stupida”. (B.Kantrowitz, Sexism in the Schoolhouse, “Newsweek”, 24 febbraio 1992). 30 Nella scuola elementare gli insegnanti prendono in considerazione i maschi molto più spesso e li incoraggiano di più. I maschi frequentemente hanno bisogno di essere aiutati in letteratura, perciò i corsi di recupero in questa materia sono parte integrante di molte scuole. Ma le femmine, che altrettanto spesso hanno bisogno di uno stesso aiuto in matematica, raramente hanno la stessa opportunità di migliorare le proprie capacità. I maschi vengono lodati per il contenuto intellettuale dei loro lavori, mentre le bambine sono più spesso lodate per l’ordine. I bambini tendenzialmente non sono penalizzati per provare a dare le risposte correndo il rischio di sbagliare; le bambine che fanno lo stesso sono invece riprese per essere troppo impertinenti. La ricerca dimostra che le femmine imparano meglio in un ambiente di cooperazione, dove gli alunni lavorano insieme, a differenza i maschi imparano meglio in un ambiente competitivo. Ancora la maggior parte delle scuole si basano su un modello competitivo”. (Ibidem). 31 Le differenze tra i due sessi sono in assoluto più grandi nelle materie scientifiche. […]Anche le ragazze che frequentano gli stessi corsi dei maschie hanno uguale successo nei test sono meno propense a scegliere di far carriera nel ramo tecnico”. (Ibidem) 31
  • 33. 2. Donne si diventa Fino a questo momento la Kantrowitz, si è limitata a riportare fedelmente i risultati di una ricerca, ma al termine dell’articolo fa una precisazione: “More than two third of the nation’s teachers are women. Presumably, their gender bias is unintentional,but no less apparent” 32; dunque nonostante molte donne siano riuscite a fare carriera nell’ambito dell’insegnamento, questo non ha portato che pochi miglioramenti nel modo di istruire maschi e femmine. In Sexism in the Schoolhouse non vi è nessun accenno a quale giustificazione venga data del fatto che le donne non sono supportate adeguatamente nelle materie scientifiche e tanto meno incoraggiate ad intraprendere la carriera in questo ramo. Generalmente, la spiegazione più adottata è quella biologica, ovvero il sesso femminile non sarebbe geneticamente predisposto allo studio della matematica e, in generale, delle materie scientifiche 33. A questo proposito nel 1994, il U.S. Department of Education, pubblica con il titolo Girls Are…Boys Are…: Myths, Stereotypes & Gender Differences” 34 i risultati di una ricerca volta a fugare una volta per tutte questi pregiudizi privi di fondamento. Nel documento viene dichiarato che nessuna menomazione genetica è alla base dell’ancora troppo esiguo numero di donne impegnate in ambito scientifico; le cause sarebbero piuttosto da ricercare in un sistema scolastico obsoleto e ancora fortemente sessista: esattamente ciò che era stato denunciato dalla ricerca dell’American Association of University Women due anni prima. L’articolo della Kantrowitz, dunque, attraverso la denuncia delle disfunzioni del sistema scolastico, implicitamente evidenzia la falsità di tutte le teorie basate sulla genetica inferiorità femminile. Il 22 dicembre del 1997, “Newsweek” torna ad occuparsi del tema dell’istruzione con la firma di Debra Rosenberg che in Getting Down to Cases concentra la sua attenzione su un particolare tipo di scuole. Si tratta delle così dette B-school, abbreviazione per Business-school, corsi fortemente specializzanti nel settore del commercio e dell’economia. 35 Molte donne, negli ultimi anni, hanno frequentato con ottimi risultati le B-schools, diventando imprenditrici di altissimo livello, eppure 32 Più di due terzi degli insegnanti americani sono donne. Presumibilmente, il loro sessismo non è intenzionale, ma non per questo meno evidente”. (Ibidem). 33 J.Véron, Il posto delle donne, cit., p. 118. 34 P.B. Campbell, J.N. Storo, “Girls Are… Boys Are…: Myths, Stereotypes & Gender Differences”: (www.campbell-kibler.com/Stereo.pdf 10 luglio 2003 ). 35 Per informazioni più approfondite cfr. il sito “mba.com”: www.mba.com (27 agosto 2003). 32
  • 34. 2. Donne si diventa pochissime imprese create da donne sono state prese in considerazione come casistudio dalle B-school: “While most M.B.A. courses are based on real-life case studies, few includes tales of women in prominent roles. Jackson, now 42, recalls that during her entire two years M.B.A. program, only a single case featured women – and they were production-line workers dubbed “the girls”.[…] The few cases involving women, while not as overtly sexist as the one Jackson encountered, have still tended toward the stereotypical, centering on executives at companies such as Mary Kay Cosmetics and Tupperware.” 36 Apparentemente sembrerebbe che gli unici settori in cui le donne possano fare carriera siano quello dei cosmetici e dei prodotti per la casa. Naturalmente si tratta di un preconcetto. Proprio per smascherare e sanare siffatti pregiudizi, nel 1982 venne creato il “The Committee of 200” 37 (C200), un’organizzazione che attualmente riunisce le più potenti ed influenti imprenditrici e “businesswomen”. Il Business Week, prestigioso settimanale americano di economia, ha definito il C200 “The most high-powered organisation you’ve never heard of” 38. Nonostante l’esagerazione, spesso insita nel linguaggio giornalistico, tale definizione non è molto distante dalla realtà. Come si legge in Getting Down to Cases, uno fra i numerosi progetti del C200 per supportare le donne riguardava proprio un possibile finanziamento ad una delle più prestigiose B-school, quella di Harvard, affinché sviluppasse più casi-studio incentrati su donne. L’iniziativa non venne accolta da tutti con eguale entusiasmo: “O’Brien worries that new cases won’t have much impact in an environment that’s fundamentally not congenial to women” 39 L’opinione della O’Brian – condivisa, tra gli altri, dalla stessa amministratrice del C200 – si basa sulla convinzione che le Business School in generale e quella di Harvard in particolare, fossero attualmente tra gli ultimi baluardi della 36 La maggior parte dei corsi M.B.A. si basano su casi-studio della vita reale, ma tra questi pochissimi includono casi di donne in ruoli preminenti. Jackson, oggi quarantaduenne, ricorda che durante tutti i due anni di corso M.B.A., solo un singolo caso metteva in risalto delle donne, queste donne poi erano addette alla linea di produzione chiamate scherzosamente “le ragazze”. I pochi casi che presentavano donne, seppure non così apertamente sessisti come quelli raccontati da Jackson, tutt’ora non si allontanano dagli stereotipi, concentrandosi su esempi di donne a capo di compagnie come la Mary Kay Cosmetics e la Tupperware. (D. Rosenberg, Getting Down to Cases, “Newsweek”, 22 dicembre 1997). Victoria Jackson, è capo esecutivo e proprietaria della Nashville Diesel-parts Distibution & Manufactoring Company. 37 “The Committee of 200”: www.c200.org ( 10 luglio 2003 ). 38 L’organizzazione più potente di cui tu abbia mai sentito parlare. (Ibidem). 39 O’Brien teme che I nuovi casi-studio non avranno un forte impatto in un ambiente che è essenzialmente poco favorevole per le donne. (D.Rosenberg, Getting Down to Cases, “Newsweek”, 22 dicembre 1997). O’Brien è preside della Simmons Graduate School of Management di Boston. 33
  • 35. 2. Donne si diventa discriminazione di genere, essendo rimaste fedeli alla convinzione che le donne non siano geneticamente affidabili come capi di industrie o manager: “That’s hardly Harvard’s problem alone. While women’s enrollement has reached parity with men’s at law and medical school, it still lags far behind in M.B,A. programs.” 40 Dunque piuttosto che finanziare una scuola con tali caratteristiche e di certo senza particolari problemi finanziari, secondo alcune affiliate del C200, sarebbe più opportuno concentrarsi su B-School aperte a sole donne, come la Simmons Graduate School of Management: “ Just adding women and stirring will not produce change", says Dean B. Joseph" 41 Non è dello stesso parere la Rosenberg, che rispondendo, con un po’ di ironia, all’affermazione di Joseph, chiude l’articolo con una battuta: “Maybe not,but any recipe for change has to begin with the right ingredient” 42. Il riferimento scherzoso alla ricetta di cucina è giustificato dai verbi utilizzati da Dean B. Joseph: add e stirr sono generalmente usati proprio nelle ricette dei manuali di cucina. Potrebbe sembrare anacronistico che ancora nel 1997 si parli di istituti femminili, eppure sono proprio gli anni 1980-’90 a riportare agli antichi splendori queste istituzioni. Tra fine ‘800 e inizio ‘900, i Women’s Colleges rappresentavano l’unica possibilità per le donne americane di accedere ad un corso di studi superiore che altrimenti tendeva a escluderle completamente dai corsi più importanti e prestigiosi. Le domande di ammissione si moltiplicarono nel tempo, tanto da richiedere l’apertura di trecento collegi femminili 43. In quegli stessi anni, per ironia del destino, i leader del nascente movimento per l’emancipazione femminile premevano perché che gli istituti scolastici superiori aprissero le loro porte alle donne e garantissero così a tutto il popolo americano un’adeguata istruzione scevra da pregiudizi e 40 Difficilmente si tratta di un problema riguardante solo Harvard. Mentre il coinvolgimento delle donne ha raggiunto la parità con quello degli uomini nelle facoltà di giurisprudenza e medicina, è tutt’ora di gran lunga minore nei programmi M.B.A.”. (Ibidem). 41 “Limitandosi ad aggiungere le donne e mescolare, questo non produrrà un cambiamento” dice Dean B.Joseph. (Ibidem). Dean B.Joseph insegna alla B-school dell’ Università del Michigan. 42 Forse no, ma ogni ricetta per il cambiamento deve iniziare con i giusti ingredienti. (Ibidem). 43 R. B. Slater, Women’s Quest to Scale the Ivory Tower, “Monthly Forum on Women in Higher Education”, 1 gennaio 1995, cit in E. A. Langdon, Who Attends a Women’s Colleges Today and Why She Should: An Exploration of Women’s College Students and Alumne, “Office of Educational Research and Improvement U.S. Department of Education”: www.ed.gov/index.jhtml , 22 luglio 2003. 34
  • 36. 2. Donne si diventa discriminazioni. Il loro principale timore era che nei collegi femminili le donne avrebbero ricevuto un’istruzione meno accurata di quella impartita agli uomini 44. Le classi miste divennero una realtà. Negli anni ’60 il numero dei Women’s Colleges scese a circa ottanta in tutta l’America. Tale numero, però, è rimasto immutato fino ad oggi e sono molti i ricercatori e gli studiosi che negli ultimi decenni si sono interessati al fenomeno dei collegi femminili. M. Elizabeth Tidball pubblicò nel 1973 il primo saggio su tale argomento. Concentrando la sua attenzione sulle donne che avevano avuto l’onore di essere citate nel famoso Who’s Who in America 45 del 1970, scoprì che la maggior parte di loro si era laureata presso un Women’s College. La sua conclusione fu che le donne presso tali istituti ricevevano una migliore educazione e avevano maggiori possibilità di raggiungere il successo 46. Gli studi della Tidball rivelano qualcosa di vero a giudicare dal caso “Newnham College” scoppiato in Inghilterra nel 1990 e subito riportato da Elizabeth Jones in Where No Men Need Apply, pubblicato da“Newsweek” il 12 febbraio 1990: “[…] And would women serve as fellows at the men’s collages of Oxford and Cambridge? Yes, even those doors have opened. But Newnham College, one of Cambridge’s three women’s college now accept men as fellows, too? “ 47 Naturalmente il dibattito infuria tra chi è contrario all’ammissione degli uomini, temendo che ciò comporti una perdita di prestigio per il college, e chi invece è favorevole ad una modernizzazione. Secondo la consuetudine della testata, la Jones, non prende una posizione decisa in merito al dibattito: “It’s very difficult to know what the best thing is for women in the long run. You can’t coddle women forever, but some environments clearly bring out the best in some women” 48. 44 R. Rosenberg, The History Of Coeducation in America, in Women and Higher Education. Essays from the Mount Holyoke College Sesquicentennial Symposia, “Higher Learning in America. History Department Barnard College, Columbia University”: www.beatl.barnard.columbia.edu/learn (12 luglio 2003). 45 Dal 1899 la “Marquis Who’s Who”, si è aggiudicata il titolo di miglior casa editrice di bibliografie pubblicando periodicamente, in prestigiosi volumi, le vite dei personaggi di volta in volta più illustri d’America. Per ulteriori informazioni: www.marquiswhoswho.com ( 11 luglio 2003). 46 M. E.Tidball, Perspectives on Academic Women and Affirmative Action, Educational Record. 54, 1973, pp. 130-135. in A. Langdon, Who Attends a Women’s Colleges Today and Why She Should: An Exploration of Women’s College Students and Alumne, cit., “Office of Educational Research and Improvement U.S. Department of Education”: www.ed.gov/index.jhtml , 22 luglio 2003. 47 […] E un giorno le donne potranno diventare compagne di classe [degli uomini] ai collegi maschili di Oxford e Cambridge? Sì, anche quelle porte sono aperte. Ma il Newnham College, uno dei tre collegi femminili di Cambridge, sta ora prendendo in esame la proposta contraria: un collegio femminile dovrebbe accettare degli studenti maschi? (E. Jones, Where No Men Need Apply, 12 febbraio 1990). 35
  • 37. 2. Donne si diventa Di sicuro l’ambiente scolastico può e deve ancora migliorare, essere più confortevole anche per le donne, stimolarle maggiormente e fornirle di tutti i mezzi necessari a sviluppare le capacità individuali; tornare alle scuole separate per maschi e femmine sarebbe un passo indietro nel lungo processo verso una fattiva uguaglianza tra i sessi, tanto più nella società odierna in cui sempre più donne condividono con gli uomini tanto gli spazi di aggregazione sociale quanto quelli lavorativi. Solo “Newsweek”, nelle sue pagine, si è occupato dell’istruzione femminile e limitatamente alla situazione americana, fatta eccezione per un solo articolo sui college inglesi. Il fatto è curioso se si tiene conto del respiro internazionale della testata, come per altro di “Time”. Apparentemente sembra che l’istruzione femminile non sia considerato un argomento da trattare anche in riferimento ad altri paesi, eppure, come si è già detto, l’istruzione non è garantita a tutte le donne del mondo. 2.3 La percezione del proprio corpo: accettato, rifiutato, artefatto Non appena una ragazza diventa cosciente dei cambiamenti che avvengono nel proprio corpo, generalmente durante la pubertà, inizia per lei una vera e propria lotta per il riconoscimento. 49 Lo stesso disagio verso il proprio corpo è avvertito anche dai maschi, ma poiché non subiscono particolari pressioni dalla società che li circonda ad incarnare ferrei stereotipi di bellezza, esso viene facilmente riassorbito già durante l’adolescenza. Per le ragazze non è altrettanto semplice riconciliarsi con il nuovo aspetto fisico. Lo specchio diventa un vero e proprio tormento, la bilancia un supplizio su cui vengono pesati tutti gli errori alimentari, anche quelli che esistono solo nella mente di chi, già perfettamente in forma, non aspetta altro che vedere la lancetta dei chili scendere. Una continua ricerca della perfezione estetica, una perfezione artefatta e quanto più distante dalla realtà corporea femminile, non può che generare ansia e malessere. Un malessere di cui ha colpa soprattutto la società 48 E’ difficile stabilire quale sia la cosa più giusta per le donne sulla lunga distanza. Non si possono “coccolare” le donne per sempre, ma alcuni ambienti, chiaramente, portano fuori il meglio di alcune donne. (Ibidem). 49 E. R. Hilgard, Psicologia,Corso Introduttivo, Firenze, Giunti, 1971, pp. 112-125. 36
  • 38. 2. Donne si diventa che ha fatto delle donne e della perfezione estetica un tutt’uno inscindibile: a prescindere da tutti i traguardi che una donna possa aver raggiunto, se non è bella, magra e curata si sentirà un fallimento. 50 Il 9 marzo 1992, “Newsweek” pubblica un breve articolo intitolato The Battle of the Bulges nel quale, nemmeno troppo velatamente, vengono accusate le compagnie produttrici di cosmetici di sfruttare le insicurezze e debolezze delle donne per vendere prodotti anti-cellulite, tra i tanti altri, che difficilmente avranno un qualche effetto nella riduzione dell’inestetismo, ma all’opposto ridurranno sicuramente i loro portafogli. Nina Darnton, che firma l’articolo, inizia con un’acuta osservazione su come sono cambiati i parametri di giudizio nei confronti del grasso femminile: “How many modern women have gazed at the nudes in Renoir’s “Grandes Baigneuses” and wished those fleshy knees and dimpled tights would be so lovely immortalized today? These days, those bathers would be described as showing “orange-peel skin,” or “the mattress effect”. Or maybe they would suffer that dread one-world condemnation coined in 1973 by beauty writer Nicole Ronsard: cellulite. Today , Renoir’s beauties would probably be exercising, avoiding fats and investigating plastic surgery.” 51 Evidentemente quello che per noi oggi è considerato brutto e quasi anomalo, non era considerato tale nel ‘800; la parola cellulite, ironicamente, ma saggiamente, associata dalla giornalista ad una temibile condanna, è stata coniata solo di recente e neppure da un medico, ma da una scrittrice. Gli anni ’90 segnano inoltre l’inizio dell’utilizzo della chirurgia estetica su grande scala: praticamente ogni donna che sente di avere una qualche imperfezione, penserà, almeno una volta nella vita, di risolvere definitivamente il problema per mezzo di un intervento chirurgico. Alcune vi si sottoporranno, le altre potranno sempre contare su un’infinità di creme e prodotti vari che promettono tutti la stessa cosa: eliminare la cellulite e rimodellare il corpo. E’ indubbiamente un grande business, se si tiene conto di quante donne presentano in qualche parte del corpo la temuta cellulite: 50 G.Greer, La donna intera, Milano, Arnoldo Mondadori Editori, 2001, pp. 21-22. Quante donne moderne hanno osservato attentamente i nudi di “Le grandi bagnanti”di Renoirs, augurandosi che quei ginocchi carnosi e quelle cosce increspate venissero così soavemente immortalate anche oggi?In questi giorni, quelle bagnanti sarebbero descritte come mostranti una “pelle a buccia d’arancia o “l’ effetto materasso”. O probabilmente subirebbero quella spaventosa condanna di una sola parola, coniata nel 1973 dalla scrittrice di estetica Nicole Ronsard: “cellulite”. Oggi , le bellezze di Renoirs probabilmente starebbero facendo ginnastica, eviterebbero tutti ci cibi grassi e si informerebbero sulla chirurgia plastica. (N. Darnton, The battle of the Bulges, “Newsweek”, 9 marzo 1992). 51 37