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Comunità per la via
             della Conoscenza
           Voce nell’ impermanenza
             vocedellaquiete@virgilio.it
_______________________________________________




 L’esistenza della mente crea i
problemi e le definizioni che
fanno sorgere i problemi




1
_______________________________________
     Questo testo è distribuito con licenza
       Creative Commons BY-NC-ND

                                              1
Soggetto: Se l'uomo arriva al punto da ac-
cettare di fluire continuamente non vive al-
cun problema. Ma quando l'uomo si impat-
ta sui problemi e si lascia trascinare dai
problemi e si lascia invischiare nei proble-
mi, significa che non fluisce e che è lì, anchi-
losato, stretto e coartato dentro una situa-
zione interpretativa che lui continua a dare
di se stesso.
  Qual è il giudizio che un uomo dà di se
stesso nel momento in cui vuole risolvere
un problema che gli sta a cuore? L'interpre-
tazione che egli si dà è che l'uomo non è che
un essere problematico, non è che un essere
che si libera a poco a poco dai problemi per
affrontare la vita sempre più liberamente. E
quanto più risolve i problemi, tanto più di-
venta sereno, e quanto più diventa sereno,
tanto più ha la capacità di affrontare ulte-
riori problemi, trascinato soltanto dal fatto
                                              2
che non ha più quei legami che aveva pre-
cedentemente. Nel momento in cui si sente
trascinato dal fatto di non avere più i legami
che aveva precedentemente, l'uomo si sente
più entusiasta lungo la via che sta percor-
rendo e si apre alla via che sta percorrendo
con molta più alacrità, con molto più desi-
derio di raggiungere una meta, con molta
più ansia di arrivare a una meta. Quindi,
più l'uomo vuole risolvere i problemi e più
si invischia nei problemi.
  Non è che non serva affrontare i problemi,
serve, ma da un'ottica totalmente diversa
rispetto a quella che un uomo deve comun-
que mettere in atto nel momento in cui si
risveglia interiormente. Nel momento in cui
si risveglia l'uomo deve per forza di cose
chiedersi: "Quali sono i miei problemi? Perché
vivo? Perché muoio? Perché esisto?", e poi de-
ve anche darsi una qualche risposta. Ma nel
momento in cui l'uomo ha compreso che
                                            3
qualsiasi risposta egli si dia è sempre limita-
ta, è sempre parziale e non è mai la verità
profonda, ecco che quest'uomo si apre ad
un'altra prospettiva: la prospettiva di chi
sempre meno sente il bisogno di risolvere i
problemi e sempre più sente il bisogno di
lasciare andare anche i problemi. Quindi, in
un primo momento, e per un buon tratto di
strada, l'uomo deve porsi i problemi, deve
interrogarsi, deve risolvere i problemi, deve
togliersi i limiti di dosso. Ma poi il nodo di-
venta un altro, cioè il nodo diventa che non
ci sono problemi, se non quando li pone la
sua mente. Su questo voglio farvi riflettere
perché, nel momento in cui i problemi sono
posti dalla vostra mente, significa che quei
problemi non esistono veramente, ma esi-
stono soltanto per la vostra mente.
  Ma qui sorge l'interrogativo di che cos'è la
mente, poiché, se la mente è realmente esi-
stente, anche quei problemi sono realmente
                                             4
esistenti, se non altro perché sono vissuti
dalla mente di ognuno di voi. Ma se la men-
te non è veramente esistente, e se è soltanto
un modo da parte dell'uomo per definire
ciò che non è definibile, allora anche i pro-
blemi non sono mai veramente esistenti.
Pur tuttavia l'uomo, magari anche per lun-
go tempo, ha bisogno di dirsi: "I problemi ci
sono. I problemi vanno affrontati, i problemi
vanno approfonditi, vanno magari classificati e
poi i problemi vanno sradicati per poter vedere
sempre più chiaro, per poter comprendere sem-
pre meglio chi si è, dove si va e per quale motivo
mai si è arrivati fino a qui, in questa dimensio-
ne".
  Proviamo a partire da un principio per voi
molto strano, ovverosia che ciò che esiste
per la mente è comunque reale, ma se la
mente non esiste neppure i problemi esisto-
no. Quindi partiamo da questa affermazio-
ne per vedere l'assurdità e la profonda veri-
                                                5
tà di questa affermazione. Dire che la mente
non esiste non significa affermare che voi
non siete intelligenti, che non avete la pos-
sibilità di riflettere su voi stessi o che non
siete distinti da chi non ha la possibilità di
riflettere su se stesso; questo dal vostro
punto di vista è vero, ovverosia l'uomo ha
un intelletto ed ha l90
  a possibilità di interpretare, ma, detto
questo, bisogna subito sottolineare tutta la
limitazione di questa affermazione. Soste-
nere che l'uomo ha una mente significa
semplicemente sostenere che l'uomo ha una
forma che implica la dualità consapevole, e
nient'altro, nient'altro, nient'altro, però la
dualità consapevole non è altro che ingan-
no. Provate a pensarci. La mente si fonda
sul fatto che c'è qualcuno che parla dicendo
"io" e che distingue tra sé e l'altro - su questo
si fonda la mente – e quindi, la riflessività
della mente si fonda sul fatto che c'è qual-
                                               6
cuno che può definirsi tale, che riflette su se
stesso e che, riflettendo su se stesso, può di-
stinguersi dagli altri. Solo per questo si può
dire che dal vostro punto di vista esiste la
mente, dato che ciascuno di voi ha bisogno,
proprio perché riflette su se stesso, di dirsi:
"Io sono io. Io sono distinto da Tizio, da Caio e
da Sempronio", altrimenti non si potrebbe
parlare di mente.
  Ma se questo è vero, allora è vero anche
che ognuno di voi, chinandosi su se stesso,
pronuncia la propria condanna, cioè la con-
danna alla dualità, almeno fino a quando
non s'accorge di questa condanna. Ciò si-
gnifica anche che finché l'uomo riflette su se
stesso e rimane chiuso dentro se stesso, mai
e poi mai si rende conto che la mente è sol-
tanto una parola che l'uomo pone per occul-
tare il fatto che egli vuole continuamente
distinguersi e che vuole continuamente
primeggiare; e non è interessante definire se
                                               7
l'uomo in realtà primeggia, poiché in realtà
egli primeggia dal punto di vista dell'uomo.
Ma nel momento in cui l'uomo può esercita-
re una riflessione su di sé, egli scopre che
esistono altri che lo limitano, altri che gli
pongono delle condizioni, altri che lo pro-
vocano, altri che lo amano o altri che lo imi-
tano. Esistono altri, esistono altri, esistono
altri! E, nel momento in cui esistono gli altri,
esistete anche voi, infatti, se non esistessero
gli altri, non esistereste neppure voi, perché
non avreste alcuna possibilità di definirvi
rispetto a qualcosa.
  Quindi, quando esistono gli altri, esistete
voi; e, se esistete voi, esistete soltanto per-
ché, riflettendo su voi stessi, scoprite che in
qualche maniera siete distinti da altri. Per-
ciò che cos'è la mente, se non una pratica di
distinzione? E più la mente dell’uomo prati-
ca questa distinzione, più l'individuo è po-
sto in una specie di gabbia dentro la quale
                                              8
continua ad avvoltolarsi, a soffrire, o maga-
ri anche a godere della propria individuali-
tà, cercando in continuazione di captare da-
gli altri qualcosa, di stringere a sé gli altri,
di volerli quasi asservire a se stesso o co-
munque di ridurli in qualche maniera a sé.
E più la mente rimane chiusa in se stessa,
più l'individuo continuerà a valutare, in
modo via, via più accentuato, tutto ciò che
egli produce, tutto ciò che fa, tutto ciò che
conquista e tutto ciò che egli sente, poiché a
quel punto anche le emozioni acquistano un
significato particolare.
  Le emozioni, per quest'uomo, non sono
qualcosa che arriva e va, ma sono quel
qualcosa che si pianta dentro di lui, che lo
stringe, che lo fa felice o lo fa infelice, che lo
provoca, rendendolo sempre meno consa-
pevole che l'emozione è soltanto vento che
va. E in questa maniera l'emozione confer-
ma la vostra mente, facendovi dire: "Questo
                                                9
sono io: sono io quest'essere che è felice, che è in-
felice, che si arrabbia, che prova invidia, che pro-
va gelosia, che prova aggressività, che prova tut-
ti i sentimenti di meschinità". E, come vedete,
mente ed emozione vanno a braccetto: l'una
si pianta sull'altra, anche se mai, mai e poi
mai l'emozione è protagonista dell'afferma-
zione della mente, poiché, se non aveste la
capacità di riflettere su voi stessi e quindi di
distinguervi dagli altri, le emozioni non sa-
rebbero mai ciò che sono per voi.
  Quindi la vostra mente non è altro che
una pratica continua di distinzione, eppure
è proprio attraverso questa pratica che
l'uomo ad un certo punto può scoprire che
quella mente è una gabbia. E che cosa attua
la pratica che vi disgabbia dalla vostra men-
te? Non esalta certo la mente nella sua real-
tà, ma punta il dito sulla mente e sulla veri-
tà della mente, e comincia a dubitare che la
mente possa davvero parlare in modo veri-
                                                  10
tiero. Comincia a dubitare, ed allora l'uomo
incomincia a sospettare che tutti i problemi
che gli arrivano siano veritieri, cioè siano
reali o veramente importanti o decisivi.
Quando si insinua questo dubbio, la realtà
della vostra mente comincia a vacillare e si
comincia a profilare un'altra realtà che è l'i-
nesistenza della mente, che non significa
che voi non siate esseri intelligenti, ma essa
vi mostra come l'intelligenza sia continua-
mente asservita al dualismo. Ma, poiché
l'intelligenza ha la prerogativa di riflettere
su se stessa, ecco che il rischio immediato,
concreto ed evidente è sempre quello di e-
saltare in qualche maniera voi stessi sia nel
denigrarvi che nell’approvarvi.
   L'inganno in voi sta proprio nel pensare
che il fatto di poter riflettere su voi stessi vi
porti a identificarvi, ed è un inganno attra-
verso cui l'uomo deve passare, attraverso
cui l'uomo deve certamente anche matura-
                                              11
re; e, badate bene, matura proprio perché
attraverso questo inganno la sofferenza par-
la, parla, parla! E spesso vi fa maturare la
sofferenza che proviene dal vostro essere
distinto, separato e contrapposto, e non cer-
to dal fatto di vedervi niente e poi niente.
Nel vedervi niente e poi niente i problemi
svaniscono, non avete pretese, non avete
aspettative e nulla vi appartiene. Ma nel
momento in cui la vostra mente riflette su
di sé, immediatamente vuole qualcosa, im-
mediatamente si aspetta qualcosa ed imme-
diatamente straparla rispetto a se stessa.
   Ed allora, figli cari, affermare che la mente
non esiste significa soltanto puntare il dito
sull'inganno che è la mente, cioè sul vostro
auto-inganno, perché alla fin fine non esiste
un inganno della mente, ma esiste soltanto
il vostro auto-inganno. Anche se potrei dire
che non esiste neppure quello, perché, tan-
to, voi non siete. Ma, per poter ragionare
                                             12
con voi in un certo modo, io debbo assolu-
tamente sostenere che siete voi che vi auto-
ingannate, e non tanto la vostra mente. La
mente è la mente, ovverosia inganno per
definizione, ovverosia sottile inganno per
definizione e sempre più sottile inganno
man mano che vi evolvete.
   Ed allora dirvi che la mente non esiste ha
il solo senso di riconsegnarvi ad una verità
che dice che il vostro continuo riflettere su
voi stessi non fa che esaltare voi stessi, Ogni
volta che riflettete su voi stessi, esaltate voi
stessi, e, se non arrivate a mettere in crisi
anche questo vostro modo di approcciarvi
alla realtà profonda, non riuscirete mai, mai
e poi mai a togliervi fino in fondo dalla sof-
ferenza. E, dicendo "sofferenza", non inten-
do soltanto quella che acquista un sapore
molto amaro, ma anche quella più sottile, e
cioè l'inquietudine, l'insoddisfazione, il non
essere mai contenti di niente, mai veramen-
                                             13
te in pace, mai veramente consegnati al mi-
stero, mai veramente consacrati al mistero,
mai veramente totalmente dediti al mistero,
ma sempre, sempre, sempre legati a ciò che
vi dice la mente. E quindi ben venga l'af-
fermazione che la mente non esiste, intesa
in questo modo; la mente è la vostra tomba
ma è anche lo strumento attraverso il quale
potete fare esplodere questa gabbia, questa
tomba, questo anchilosamento, per arrivare
là dove tutto va, va e va.
  Proviamo ora a vedere i problemi da que-
sto punto di vista. L'uomo ha problemi, e
difatti chi di voi potrebbe mai negare questa
affermazione, basandosi sulla propria espe-
rienza? Dubito che qualcuno potrebbe mai
affermare che l'uomo non ha problemi se
parte dalla propria esperienza. Ma se parte
dalla non-esperienza, ovverosia dal fatto
che tutto quello che definite problema è
semplicemente frutto di quanto siete attac-
                                          14
cati al vostro io, allora si può dire che i pro-
blemi non esistono. Il problema c'è perché
l'uomo, nel momento in cui riflette su di sé
o nel momento in cui viene investito da
qualcosa, si ritrova messo nell'angolo. E non
importa se questo qualcosa parte da dentro
o parte da fuori - in una certa accezione –
dato che è sempre qualcosa che mette l'uo-
mo, improvvisamente o meno, di fronte ad
una realtà che egli non riesce a dipanare.
Ma proprio perché non riesce a dipanarla,
immediatamente il suo io si impunta, il suo
io si ribella, il suo io protesta, il suo io si rat-
trista, il suo io si intristisce, il suo io parla,
parla e parla! E, nel momento in cui parla,
ciò che è un fatto diventa per lui veramente
un problema. Prima è un fatto che può esse-
re affrontabile, non affrontabile o più gran-
de di voi, ma è un fatto, avviene, accade, ac-
cade e accade. Ma quando voi ci mettete
sopra la mente, quel fatto non è più un fat-
                                                 15
to, ma è un'interpretazione. Nel momento
in cui è un’inter-pretazione, per voi diventa
un limite: si esprime in un vostro limite ed
immediatamente la vostra mente che l'ha
classificato, che l'ha individuato, che l'ha
definito vi presenta quello stesso fatto come
problema. Non ci sarebbero problemi se voi
foste totalmente consegnati al mistero; non
è che non ci sarebbero dei vincoli, ma i vin-
coli non sarebbero per voi un problema.
Anche quelli accadono.
    E, più voi sottolineate che ciò che vi ac-
cade è invece carico di significati, più vi e-
sponete all'inganno della mente. Certamen-
te per voi è vero che ciò che vi accade è cari-
co di significati, e lo è talmente che spesso
non vi capite più e non sapete scegliere tra
un significato e un altro significato, e chie-
dete consiglio e domandate aiuto, o vi rin-
serrate, desiderando, desiderando, deside-
rando qualcuno che venga a soccorrervi,
                                            16
che venga - come voi dite - a darvi una ma-
no per interpretare, per capire, per com-
prendere ciò che vi sta succedendo. E più
praticate questo modo di guardare ai fatti,
più assottigliate la mente e più indorate la
gabbia. Ben venga questo indorare la gab-
bia, perché serve, ma ora stiamo parlando
di un'altra ottica molto più radicale che vi
dice: affrontate i problemi, ma ricordatevi
che ogni volta che definite qualcosa come
problema ponete in campo la vostra mente,
e quindi qualsiasi risposta diate a quel pro-
blema porterà sempre il marchio della vo-
stra mente, cioè sempre il marchio del vo-
stro io.
  Certo, a voi serve affrontare i fatti e inter-
rogarvi sul significato che date ai fatti, ma
se andate un po' più in là, serve di più esse-
re consapevoli che ogni soluzione che date a
quello che definite problema è semplice-
mente conseguenza del modo con cui la vo-
                                             17
stra mente opera. Nient'altro, nient'altro e
nient'altro. E, se è conseguenza di come o-
pera la vostra mente, allora esso porta il ca-
rico del limite della vostra mente; e, siccome
voi nel definirlo scegliete una prospettiva,
la conseguenza sarà che, anche se arrivate
ad una soluzione, la soluzione avrà su di sé
il carico di quella prospettiva e quindi il li-
mite di quella prospettiva e quindi magari
la fascinazione di quella prospettiva oppure
l'insufficienza di quella prospettiva. Ma
prima o dopo quella prospettiva vi porterà
di nuovo di fronte ad altri problemi.
   Quindi il problema scaturisce dal fatto che
voi ponete in campo la vostra mente, e per-
ciò la vostra mente è l'autrice dei vostri
problemi. Quindi i vincoli non sono pro-
blemi e quindi l’autrice di tutte le vostre
sofferenze e di tutte le vostre cosiddette vit-
torie o sconfitte, è sempre la mente. Ma poi-
ché la mente è il sottile inganno dell'io che
                                            18
riflette su se stesso, ecco che il problema
non è altro che l'esplicitazione del vostro io
che parla, che parla, che parla perché l’io è
la mente. C'è una leggera distinzione tra di-
re che l'io parla attraverso la mente o che l'io
è la mente, ed è vera l'una e l'altra cosa: dire
che l'io parla attraverso la mente è una pro-
spettiva parziale; dire che l'io è la mente è
una prospettiva più completa, ma ancora
parziale. Quindi i problemi sorgono dall'i-
nesistenza della mente: la mente non esiste,
è soltanto un inganno, ed i problemi nasco-
no dall'inganno. Ma dire che i problemi na-
scono dall'inganno non vuol dire che non vi
riguardano o non vuol dire che per voi non
sono reali, ma vuol dire che, finché vi affi-
date alla vostra mente, siete totalmente den-
tro l'inganno. E non importa che vi rendiate
conto che è la mente, dato che, se non co-
minciate a dubitare che la mente sia qualco-


                                             19
sa di vero e di reale, siete totalmente dentro
la prospettiva della mente
  Se è vero che i problemi nascono dal fatto
che voi pensate a voi stessi e vi sentite colpi-
ti da altri o da fatti che sembrano condan-
narvi a qualcosa o che sembrano imprigio-
narvi dentro qualcosa, allora è vero anche
che voi potete uscire da questo meccanismo,
cioè dal fatto che la vostra mente crea i pro-
blemi, solo cominciando a chiedervi dove
stanno veramente i problemi e da dove ha
origine un vostro problema. Un problema
ha origine nel momento in cui qualcosa di
voi si sente offeso; non importa da che cosa,
ma si sente offeso. Può essere anche un e-
vento naturale, può essere un comporta-
mento altrui, può essere una cosiddetta in-
sufficienza propria, può essere un'incom-
prensione maturata anche da una persona
molto lontana da voi, ed in quel momento
sorge il problema, non prima. Il problema
                                             20
non sorge quando l'io non si sente offeso,
ma soltanto quando l'io si sente offeso, cioè
delimitato da qualcosa, compresso da qual-
cosa, sminuito da qualcosa o insidiato in
qualcosa; soltanto in quel momento sorge il
problema, prima può essere un fatto, un ac-
cadimento, un atto, un gesto o un fatto na-
turale che non acquista valenza alcuna, o
che potete definire come splendido, ma na-
turalmente in questo caso ha colpito il vo-
stro io in altri termini.
  Se questo è vero, allora nella visione che
voi instaurate sul problema c'è la carica di
un io offeso, e non è mai, mai e poi mai una
visione veritiera. Quindi, il primo momento
di riflessione che vi dovrebbe guidare di
fronte all'insorgere di questa affermazione
da parte dell'io: “C'è un problema”, dovrebbe
essere quello di dire: "Che cosa del mio io è
stato offeso? Che cosa sta cantando l'io di sé?".
Perché, se lo individuate, allora riuscite
                                              21
immediatamente a comprendere ciò che so-
vraccaricate sul fatto. Certo, non riuscirete
immediatamente a disinnescare ciò che sta-
te caricando sul fatto, ma vi renderete più
consapevoli che la definizione del problema
passa attraverso l’offesa dell'io e che, a se-
conda di come l'io viene offeso, si realizza
una certa impostazione piuttosto che un'al-
tra nell'interpretare il problema, il che signi-
fica che quel problema verrà definito in un
modo piuttosto che in un altro a seconda
del tipo di offesa che viene arrecata al vo-
stro io. Questo significa che tutto ciò che voi
caricate sopra il fatto ha attinenza soltanto
con ciò che viene colpito nel vostro io. E non
importa ciò che proviene dall'altro, non im-
porta ciò che sorge dentro di voi come - voi
lo definite - errore, non importa; importa
qual è l'offesa che il vostro io sente dentro se
stesso.


                                             22
Se questo è vero, quando allora parlate di
problemi, ricordatevi che parlate delle offe-
se "sentite" dal vostro io. E quindi, quando
parlate del modo con cui risolvere i pro-
blemi, in realtà fate spesso una gran confu-
sione, perché pensate che sia possibile to-
gliere l'offesa al vostro io trovando quella
chiave di volta che allontana quel fatto o
che comunque rende quel fatto meno pe-
sante per voi o che comunque impedirà a
quel fatto di ripresentarsi in quel modo o
che comunque impedirà che voi reagiate a
quel fatto in una certa maniera. Questo però
non è il modo di affrontare la questione del
problema dal punto di vista della via della
Conoscenza.
  Quando l'uomo, di fronte al problema,
comincia a capire che la stessa definizione
di problema ed il modo con cui esso appare
sono frutto dell'offesa che sente l'io, allora
lui incomincia a spostare la sua attenzione
                                           23
non più sul problema ma sull'io offeso. E
spostare l'attenzione sull'io offeso significa
porre attenzione all'inganno della mente,
infatti, non riuscirete mai a spostare l'atten-
zione sull'io offeso se non comincerete a du-
bitare di quello che in quel momento vi dice
la vostra mente. Poiché la vostra mente vi
dirà che il problema non sta lì ma sta da
un'altra parte: sta nell'altro, sta nel vostro
comportamento, sta nei vostri errori passati,
sta in ciò che gli altri pensano di voi, in ciò
che gli altri vi hanno detto, in ciò che è suc-
cesso e che vi ha limitato. Se ascoltate la vo-
stra mente, saranno queste le risposte, ma se
andate al di là di ciò che dice la vostra men-
te e ponete l'attenzione su quell’io che parla,
voi potrete allora accostarvi un pochino di
più alla realtà dell'inesistenza della mente.
Cerco di essere un po' più chiaro. Se si co-
mincia ad indagare su quale è stata la ferita
dell'io e su che cosa si sta ingabbiando l'io
                                            24
nel momento stesso in cui esprime la parola
"problema", si può incominciare a individu-
are che l'unico vero problema è l’incapacità
di lasciare andare: lasciare andare le offese, le
incomprensioni, i limiti degli altri, i vostri
limiti, le vostre incomprensioni di voi stessi,
i vostri atteggiamenti, i vostri comporta-
menti, i vostri pensieri, gli altrui pensieri,
quelli che vengono espressi o magari quelli
che si sospettano. Lasciare andare!
  Vedete, il problema può essere anche ri-
solto in una certa forma, ma non vi fa fare
troppi passi avanti; certamente vi orienta
verso l'indagine – questo sì - ma se si vuole
radicalizzare l'indagine, il problema è sol-
tanto uno: comprendere le offese che l'io su-
bisce o che si attribuisce, e comprendere an-
cora di più che l'unico modo è lasciare an-
dare. Uno però potrebbe obiettarmi: "Ma se
lascio andare senza comprendere, non risolvo i
problemi". Obiezione legittima, ma noi qui
                                              25
stiamo parlando a persone che hanno fatto
un tragitto, almeno concettuale, e che sanno
che in primis bisogna svegliarsi, che in pri-
mis bisogna interrogarsi, che in primis bi-
sogna porsi il problema di chi si è, però poi,
ad un certo punto, tutto questo diventa au-
to-giustificatorio se non si fa un salto, un
salto logico, per così dire. E il salto logico
sta proprio nel fatto di non attribuire più
valore all'indagine che utilizza la mente
senza però dubitare della mente, e si stabili-
sce un altro processo: il processo di chi con-
tinua ad indagare ma si affida meno a ciò
che dice la propria mente, anche quando la
propria mente si raffina, ed allora comincia
a comprendere che ogni offesa all'io si tra-
sforma in problema.
  Questo è il nodo. E voi mi direte: "Ma uno
può sentirsi offeso e non avere problemi". Que-
sto non è vero, infatti, se c'è una percezione
dell'offesa, c'è immediatamente un proble-
                                            26
ma. Per non avere problemi, bisogna non
percepire l'offesa in quanto non c'è niente
che venga offeso, perché non c'è più l'io o
perché l'io è talmente ridotto che, anche se
ancora qualcosa si sente colpito come offe-
sa, si sorride immediatamente, e allora quel
sentimento, quell'emozione, quel pensiero
dileguano, vanno, vanno, vanno. Ecco per-
ché la via della Conoscenza continua a so-
stenere il concetto del lasciare andare: è sol-
tanto lasciando andare che i problemi pos-
sono dissolversi, avendoli però prima inda-
gati. E l'espressione massima dell'amore è il
lasciar andare che contiene in sé anche i
momenti di non-amore. Si lasciano andare
sia i momenti di amore sia quelli di non-
amore, e questo lasciare andare è il vero
amore: un non portare rancore, un non por-
tare niente, niente e niente addosso di tutto
ciò che la vostra mente carica. Questo è l'a-
more, compreso tutto ciò che la vostra men-
                                            27
te vi carica addosso ogniqualvolta pensa di
voi che siete poco evoluti, che non siete suf-
ficientemente evoluti o che continuate a fare
gli stessi errori; anche quello viene lasciato
andare. L'amore è proprio il togliersi di
dosso tutto ciò che l'io vi accumula sopra.
Questo è l'amore: l'amore che va oltre il
non-amore, che va oltre le forme d'amore,
che sta al di là delle forme, che sta al di là
del blaterare del vostro io, che sta al di là di
ogni pretesa di voler cambiare, di volersi
trasformare, che va al di là di tutte queste
pretese. E ben vengano queste pretese, ser-
vono, servono e servono!
  Però qui sto parlando a delle menti che
sono state già provocate, anche se ancora
non troppo, e quindi posso osare, ed allora
io oggi oso fino in fondo, almeno per quan-
to riguarda questo aspetto, e vi dico che i
vostri problemi ve li risolvete soltanto nella
misura in cui irridete l'io e lo lasciate anda-
                                             28
re, anch'esso, in tutte le sue manifestazioni:
quelle positive e quelle negative, quelle
dell'amore e quelle del non-amore. Ma chi
siete voi per stringervi sempre addosso ad
una specie di continua contorsione dentro
voi stessi per definire quanto siete riusciti e
quanto non siete riusciti, che cosa gli altri vi
hanno dato, che cosa gli altri non v'hanno
dato, che cosa avete dato o che cosa non a-
vete dato, dove siete arrivati e perché siete
arrivati? Quale pretesa è mai questa! Quan-
ta mente! Quanto inganno! Quanta, sì, in-
sufficienza, ma soltanto perché c'è la vostra
mente! Ed invece, nel momento in cui voi
iniziate ad aprirvi alla cosiddetta non-mente
- e anche questa è solo una parola per indi-
care uno stato - cogliete che niente conta se
non stare lì immobili lasciando andare.
  E non importa se in questo momento mol-
te delle vostre menti blaterano dicendo: "Ma
io sono appena capace di affrontare problemi!
                                             29
Figuriamoci mai se riesco a lasciare andare to-
talmente!". Parole al vento, è la vostra mente
che parla! Se voi cominciate semplicemente
a prestare orecchio ed a prestare attenzione
a tutte le volte che il vostro io vi ingabbia
con la solita frase "Questo è un problema", ed
a sorridere a ciò che dice il vostro io e poi
certamente a chiedervi da che cosa è stato
ferito, vedrete improvvisamente davanti a
voi un'altra realtà, che non è la realtà del
problema, ma che è tutta la miseria del vo-
stro io. Ma anche questa è una frase limitata
perché la miseria è soltanto ancora dell'io
che definisce se stesso come insufficiente. E
se andate al di là di questo, niente più parla
di miseria ma soltanto di splendore: anche
la miseria diventa splendore nel momento
in cui non la caricate più di niente, di niente
e di niente.
  Partecipante: Credo di aver capito quello
che hai detto fino ad adesso, però mi riesce
                                            30
difficile riuscire a lasciare andare e alle volte
mi sfugge la differenza tra lasciare andare e
il disinteressarsi completamente di un pro-
blema.
  Soggetto: E’ solo questione di mente. Nel
momento in cui, di fronte ad un problema,
voi dite che non vi interessa, siamo proprio
nel regno della mente, dato che tutti i pro-
blemi vi appartengono proprio perché per
voi sono problemi, mentre invece sono fatti.
Quindi, quando voi dite che c’è qualcosa
che non vi appartiene, questa è sempre la
vostra mente. E quando poi dite che una co-
sa talmente vi appartiene che vi porta ad es-
sere insufficienti o che vi porta a darvi
completamente, siamo sempre nel regno
della mente. Ciò significa che quando af-
fermate: “Questo è un problema”, avete già
insinuato la mente, ma quando affermate:
“Questo è un fatto”, allora potete o non pote-
te aver insinuato la vostra mente.
                                              31
Partiamo da un altro elemento per chia-
rirvi meglio. Vedendo qualcuno che soffre,
se dite: “Non mi appartiene”, lì avete insinua-
to la vostra mente, poiché tutti coloro che
soffrono vi appartengono a tal punto da es-
sere voi stessi. E se dite: “C’è qualcuno che
soffre e io debbo a tutti i costi darmi da fare per
aiutarlo in tutti i modi possibili”, siete ancora
dentro il regno della vostra mente, diverso,
nella forma, da quello di prima ma sempre
nel regno della vostra mente; difatti, se siete
voi che volete portare qualcosa a lui, porte-
rete, sì, qualcosa, ma carico dei vostri limiti.
Se invece, di fronte a chi soffre, si guarda
alla sofferenza e si sta lì presenti con tutto
se stessi, non importa con quanti limiti, e
fino al punto in cui si è capaci, allora lì, sì,
comincia ad esserci qualcosa che non è to-
talmente mente. E’ ancora mente, ma non
totalmente. Chi non ha più la mente non di-
ce che c’è uno che soffre e gli crea problema,
                                                32
ma dice semplicemente: “Accade che uno
soffre e io sono lì perché questo è quanto
deve accadere”, nient’altro, e sta lì con tutto
quello che è. E, dato che è non-mente, sta lì
con l’amore universale; questa è la differen-
za.
  Quindi, quando voi declinate con le vostre
parole ciò che dice la via della Conoscenza
sul lasciare andare, spesso e volentieri lo ca-
ricate della vostra mente. E questo noi lo
sappiamo, ma non importa, non importa,
purché qualcosa avvenga.
  Ed adesso io aspetto da voi un problema,
ma qui nessuno ha problemi. Improvvisa-
mente il cielo della vostra vita ha spazzato
via tutte le nubi e voi sorridete beati di fron-
te a questa serenità che parte dal profondo e
vi fa dire: “Io sono e nient’altro”. Non è così
forse?



                                             33
Partecipante(1): Il problema maggiore della
mia vita è quello che io ho sempre fatto fati-
ca su qualsiasi cosa.
  Soggetto: Proviamo a partire da questa af-
fermazione, quanto minimo curiosa. Un es-
sere umano dice: “Il mio problema è fare fatica
a fare le cose, indipendentemente da che cosa”.
Assumiamolo come fatto generale, anche se
nel tuo caso non è un fatto generale, ma ri-
guarda alcune cose. Dunque, quell’umano
dice che tutto questo è per lui un problema.
Secondo voi, dove si deve spostare l’ottica
per capire che cosa sta dicendo questo u-
mano e dove si deve puntare l’attenzione?
Su qualcosa che sta lì e lo obbliga quasi a
soffrire, perché non riesce a fare le cose con
facilità, oppure su qualcos’altro?
  Partecipante (1): La fatica sta anche
nell’ottenere le cose, non solo nel fare. E’
sempre stato tutto difficoltoso.


                                            34
Soggetto: Fare e ottenere, ma anche il fare.
E quindi?
  Partecipante (2): Però si diceva che se lei lo
definisce un problema, vuol dire che il suo
io si sente offeso in qualcosa.
  Soggetto: Brava, e quindi qual è la do-
manda che ci si dovrebbe porre per com-
prendere ciò che lei sta dicendo, al di là dei
soliti criteri?
  Partecipante (2): Che cosa viene offeso in se
stessa dal fatto che non riesce a fare le cose.
  Soggetto: Bene, oppure si potrebbe porle
una domanda: nel momento in cui senti che
fai difficoltà a fare e ad ottenere, che cosa in
te si ribella?
  Partecipante(1): Si ribella il mio io.
  Soggetto: Ma che cosa del tuo io si ribella?
Che cosa viene colpito da questa considera-
zione? Quindi, non da questi fatti, ma da
questa considerazione su questi fatti. Il tuo
io non viene colpito indistintamente in tutte
                                             35
le sue espressioni, ma in una certa qual e-
spressione.
  Partecipante(1): Nelle sue aspettative
  Soggetto: Questo è troppo generale. Qui
tu proponi una questione: “Io faccio, faccio,
faccio e ottengo poco o niente; ma faccio fatica
anche a fare e quindi la mia vita è tutta una fati-
ca con le ricompense che sono date con il conta-
gocce”. Se è così, quale parte del tuo io si
sente offesa?
  Partecipante(1): La parte che desidera otte-
nere le cose.
  Soggetto: E qual è? Vedete com’è difficile
dare delle risposte se non vi abituate a pun-
tare lo sguardo su questo.
  Partecipante (2): Potremmo chiamarlo a-
mor proprio?
  Soggetto: Troppo generico: tutto, per certi
aspetti, può essere amor proprio. Qui c’è
qualcosa che viene sollecitato, qualcosa di
veramente tuo - nel senso del tuo io - che
                                                36
non è necessariamente uguale a qualcosa
che ha un altro, ed è lì che bisogna indaga-
re. Domanda: perché mai tu dovresti avere
dei risultati eclatanti e con pochi sforzi?
  Partecipante (3): Questo accade perché lei
si paragona con altri attorno e quindi fa una
valutazione.
  Soggetto: Sì, ma questo vi mostra che il
suo io dove si sta giocando? E quindi che il
suo io come si sta esprimendo? E quindi che
cosa sta provando lei, rispetto a come il suo
io si sta giocando? Non voglio parlare di te,
oggi, ma semplicemente dare una dimo-
strazione pratica di che cosa parla la via del-
la Conoscenza. Se uno comincia ad interro-
garsi su quale parte dell’io viene colpita dal-
la frase che hai detto, è costretto a dirsi an-
che dove e su che cosa si gioca il proprio io.
E più l’offesa è forte, più è lì che si gioca e
più è lì che si attacca il proprio io. “Si attac-
ca”, ti dice qualcosa questa parola? A che
                                              37
cosa si attacca in questo caso l’io, badando
alle parole che tu hai espresso e che io non
voglio però approfondire troppo?
  Partecipante (1): Al volere ottenere.
  Soggetto: Sì, ma il volere ottenere che cosa
comporta dal punto di vista dell’io?
  Partecipante (4): Una gratificazione.
  Soggetto: Non soltanto.
  Partecipante (2): Sembrerebbe un confronto
sul rapporto dare e avere che hanno gli al-
tri.
  Soggetto: Anche, ma non solo, perché l’io
viene, sì, offeso dal paragone ma dato che
porta in sé alcune scommesse.
  Partecipante (3): Un’eccessiva considera-
zione di se stesso.
  Soggetto:      Io     dico:    un’immagine,
un’immagine e un’immagine! Ti richiama
niente? Qual è l’immagine che può stare
dietro a queste tue parole? Uno che dice che
fatica tanto e riesce poco, quale immagine
                                           38
ha di sé?. E’ un’immagine che riguarda lei,
non in relazione agli altri, ma lei con se stes-
sa.
  Partecipante (1): Di sconfitta.
  Soggetto: Non direi, questa può essere
una conseguenza. Ma se uno ha la convin-
zione che nella sua vita c’è più fatica che ri-
sultato e che comunque tutto è fatica, quale
immagine può avere di sé, nascosta dietro
queste parole?
  Partecipante (4): Una forma di pessimismo.
  Soggetto: Ci avviciniamo, ma non è esat-
tamente questo. Mi fermo qui perché non
voglio parlare di lei in modo approfondito,
poiché vorrebbe dire entrare in profondità
nell’animo di uno di voi. Come vedete, pe-
rò, interrogarsi su quale parte viene offesa
dell’io non è così semplice, perché siete
sempre stati abituati a guardare alle cause
dell’insorgere dei vostri problemi, magari
interne o esterne. Invece, spostare
                                             39
l’attenzione su quale parte dell’io è colpita
significa affinare la vostra mente sulle plu-
rime sfaccettature attraverso cui si presenta
il vostro io. E quindi farvi molto e molto abi-
li nel percepire gli inganni della vostra men-
te.
   Difatti, in tutte le risposte che avete dato
c’è un sottile inganno della mente. Ben ven-
gano queste risposte, sono approssimazioni,
ma nessuna di esse coglie il nodo che sta
dentro di lei e che naturalmente solo lei può
cogliere. Nessuna! E neppure lei, in questo
momento, riesce a coglierlo, perché abituata
a costatare i problemi, a chiedersi come su-
perare questo problema o come cambiare se
stessa in relazione a questo problema, e non
invece ad ascoltare il proprio io che parla.
Non è abituata ad ascoltare il proprio io che
parla, ma è abituata ad ascoltare la propria
mente che parla, la propria mente che dice
ora questo ed ora quello, ma non s’è ancora
                                            40
convertita ad un diverso modo di guardare
se stessa, e cioè come mente che si auto-
inganna, come io che parla, come io percos-
so, come io messo in scacco.
  Bene, concludiamo così.




                                        41
Edizione curata da:




         il Sentiero contemplativo




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1-La mente crea i problemi, Soggetto, La via della Conoscenza

  • 1. Comunità per la via della Conoscenza Voce nell’ impermanenza vocedellaquiete@virgilio.it _______________________________________________ L’esistenza della mente crea i problemi e le definizioni che fanno sorgere i problemi 1 _______________________________________ Questo testo è distribuito con licenza Creative Commons BY-NC-ND 1
  • 2. Soggetto: Se l'uomo arriva al punto da ac- cettare di fluire continuamente non vive al- cun problema. Ma quando l'uomo si impat- ta sui problemi e si lascia trascinare dai problemi e si lascia invischiare nei proble- mi, significa che non fluisce e che è lì, anchi- losato, stretto e coartato dentro una situa- zione interpretativa che lui continua a dare di se stesso. Qual è il giudizio che un uomo dà di se stesso nel momento in cui vuole risolvere un problema che gli sta a cuore? L'interpre- tazione che egli si dà è che l'uomo non è che un essere problematico, non è che un essere che si libera a poco a poco dai problemi per affrontare la vita sempre più liberamente. E quanto più risolve i problemi, tanto più di- venta sereno, e quanto più diventa sereno, tanto più ha la capacità di affrontare ulte- riori problemi, trascinato soltanto dal fatto 2
  • 3. che non ha più quei legami che aveva pre- cedentemente. Nel momento in cui si sente trascinato dal fatto di non avere più i legami che aveva precedentemente, l'uomo si sente più entusiasta lungo la via che sta percor- rendo e si apre alla via che sta percorrendo con molta più alacrità, con molto più desi- derio di raggiungere una meta, con molta più ansia di arrivare a una meta. Quindi, più l'uomo vuole risolvere i problemi e più si invischia nei problemi. Non è che non serva affrontare i problemi, serve, ma da un'ottica totalmente diversa rispetto a quella che un uomo deve comun- que mettere in atto nel momento in cui si risveglia interiormente. Nel momento in cui si risveglia l'uomo deve per forza di cose chiedersi: "Quali sono i miei problemi? Perché vivo? Perché muoio? Perché esisto?", e poi de- ve anche darsi una qualche risposta. Ma nel momento in cui l'uomo ha compreso che 3
  • 4. qualsiasi risposta egli si dia è sempre limita- ta, è sempre parziale e non è mai la verità profonda, ecco che quest'uomo si apre ad un'altra prospettiva: la prospettiva di chi sempre meno sente il bisogno di risolvere i problemi e sempre più sente il bisogno di lasciare andare anche i problemi. Quindi, in un primo momento, e per un buon tratto di strada, l'uomo deve porsi i problemi, deve interrogarsi, deve risolvere i problemi, deve togliersi i limiti di dosso. Ma poi il nodo di- venta un altro, cioè il nodo diventa che non ci sono problemi, se non quando li pone la sua mente. Su questo voglio farvi riflettere perché, nel momento in cui i problemi sono posti dalla vostra mente, significa che quei problemi non esistono veramente, ma esi- stono soltanto per la vostra mente. Ma qui sorge l'interrogativo di che cos'è la mente, poiché, se la mente è realmente esi- stente, anche quei problemi sono realmente 4
  • 5. esistenti, se non altro perché sono vissuti dalla mente di ognuno di voi. Ma se la men- te non è veramente esistente, e se è soltanto un modo da parte dell'uomo per definire ciò che non è definibile, allora anche i pro- blemi non sono mai veramente esistenti. Pur tuttavia l'uomo, magari anche per lun- go tempo, ha bisogno di dirsi: "I problemi ci sono. I problemi vanno affrontati, i problemi vanno approfonditi, vanno magari classificati e poi i problemi vanno sradicati per poter vedere sempre più chiaro, per poter comprendere sem- pre meglio chi si è, dove si va e per quale motivo mai si è arrivati fino a qui, in questa dimensio- ne". Proviamo a partire da un principio per voi molto strano, ovverosia che ciò che esiste per la mente è comunque reale, ma se la mente non esiste neppure i problemi esisto- no. Quindi partiamo da questa affermazio- ne per vedere l'assurdità e la profonda veri- 5
  • 6. tà di questa affermazione. Dire che la mente non esiste non significa affermare che voi non siete intelligenti, che non avete la pos- sibilità di riflettere su voi stessi o che non siete distinti da chi non ha la possibilità di riflettere su se stesso; questo dal vostro punto di vista è vero, ovverosia l'uomo ha un intelletto ed ha l90 a possibilità di interpretare, ma, detto questo, bisogna subito sottolineare tutta la limitazione di questa affermazione. Soste- nere che l'uomo ha una mente significa semplicemente sostenere che l'uomo ha una forma che implica la dualità consapevole, e nient'altro, nient'altro, nient'altro, però la dualità consapevole non è altro che ingan- no. Provate a pensarci. La mente si fonda sul fatto che c'è qualcuno che parla dicendo "io" e che distingue tra sé e l'altro - su questo si fonda la mente – e quindi, la riflessività della mente si fonda sul fatto che c'è qual- 6
  • 7. cuno che può definirsi tale, che riflette su se stesso e che, riflettendo su se stesso, può di- stinguersi dagli altri. Solo per questo si può dire che dal vostro punto di vista esiste la mente, dato che ciascuno di voi ha bisogno, proprio perché riflette su se stesso, di dirsi: "Io sono io. Io sono distinto da Tizio, da Caio e da Sempronio", altrimenti non si potrebbe parlare di mente. Ma se questo è vero, allora è vero anche che ognuno di voi, chinandosi su se stesso, pronuncia la propria condanna, cioè la con- danna alla dualità, almeno fino a quando non s'accorge di questa condanna. Ciò si- gnifica anche che finché l'uomo riflette su se stesso e rimane chiuso dentro se stesso, mai e poi mai si rende conto che la mente è sol- tanto una parola che l'uomo pone per occul- tare il fatto che egli vuole continuamente distinguersi e che vuole continuamente primeggiare; e non è interessante definire se 7
  • 8. l'uomo in realtà primeggia, poiché in realtà egli primeggia dal punto di vista dell'uomo. Ma nel momento in cui l'uomo può esercita- re una riflessione su di sé, egli scopre che esistono altri che lo limitano, altri che gli pongono delle condizioni, altri che lo pro- vocano, altri che lo amano o altri che lo imi- tano. Esistono altri, esistono altri, esistono altri! E, nel momento in cui esistono gli altri, esistete anche voi, infatti, se non esistessero gli altri, non esistereste neppure voi, perché non avreste alcuna possibilità di definirvi rispetto a qualcosa. Quindi, quando esistono gli altri, esistete voi; e, se esistete voi, esistete soltanto per- ché, riflettendo su voi stessi, scoprite che in qualche maniera siete distinti da altri. Per- ciò che cos'è la mente, se non una pratica di distinzione? E più la mente dell’uomo prati- ca questa distinzione, più l'individuo è po- sto in una specie di gabbia dentro la quale 8
  • 9. continua ad avvoltolarsi, a soffrire, o maga- ri anche a godere della propria individuali- tà, cercando in continuazione di captare da- gli altri qualcosa, di stringere a sé gli altri, di volerli quasi asservire a se stesso o co- munque di ridurli in qualche maniera a sé. E più la mente rimane chiusa in se stessa, più l'individuo continuerà a valutare, in modo via, via più accentuato, tutto ciò che egli produce, tutto ciò che fa, tutto ciò che conquista e tutto ciò che egli sente, poiché a quel punto anche le emozioni acquistano un significato particolare. Le emozioni, per quest'uomo, non sono qualcosa che arriva e va, ma sono quel qualcosa che si pianta dentro di lui, che lo stringe, che lo fa felice o lo fa infelice, che lo provoca, rendendolo sempre meno consa- pevole che l'emozione è soltanto vento che va. E in questa maniera l'emozione confer- ma la vostra mente, facendovi dire: "Questo 9
  • 10. sono io: sono io quest'essere che è felice, che è in- felice, che si arrabbia, che prova invidia, che pro- va gelosia, che prova aggressività, che prova tut- ti i sentimenti di meschinità". E, come vedete, mente ed emozione vanno a braccetto: l'una si pianta sull'altra, anche se mai, mai e poi mai l'emozione è protagonista dell'afferma- zione della mente, poiché, se non aveste la capacità di riflettere su voi stessi e quindi di distinguervi dagli altri, le emozioni non sa- rebbero mai ciò che sono per voi. Quindi la vostra mente non è altro che una pratica continua di distinzione, eppure è proprio attraverso questa pratica che l'uomo ad un certo punto può scoprire che quella mente è una gabbia. E che cosa attua la pratica che vi disgabbia dalla vostra men- te? Non esalta certo la mente nella sua real- tà, ma punta il dito sulla mente e sulla veri- tà della mente, e comincia a dubitare che la mente possa davvero parlare in modo veri- 10
  • 11. tiero. Comincia a dubitare, ed allora l'uomo incomincia a sospettare che tutti i problemi che gli arrivano siano veritieri, cioè siano reali o veramente importanti o decisivi. Quando si insinua questo dubbio, la realtà della vostra mente comincia a vacillare e si comincia a profilare un'altra realtà che è l'i- nesistenza della mente, che non significa che voi non siate esseri intelligenti, ma essa vi mostra come l'intelligenza sia continua- mente asservita al dualismo. Ma, poiché l'intelligenza ha la prerogativa di riflettere su se stessa, ecco che il rischio immediato, concreto ed evidente è sempre quello di e- saltare in qualche maniera voi stessi sia nel denigrarvi che nell’approvarvi. L'inganno in voi sta proprio nel pensare che il fatto di poter riflettere su voi stessi vi porti a identificarvi, ed è un inganno attra- verso cui l'uomo deve passare, attraverso cui l'uomo deve certamente anche matura- 11
  • 12. re; e, badate bene, matura proprio perché attraverso questo inganno la sofferenza par- la, parla, parla! E spesso vi fa maturare la sofferenza che proviene dal vostro essere distinto, separato e contrapposto, e non cer- to dal fatto di vedervi niente e poi niente. Nel vedervi niente e poi niente i problemi svaniscono, non avete pretese, non avete aspettative e nulla vi appartiene. Ma nel momento in cui la vostra mente riflette su di sé, immediatamente vuole qualcosa, im- mediatamente si aspetta qualcosa ed imme- diatamente straparla rispetto a se stessa. Ed allora, figli cari, affermare che la mente non esiste significa soltanto puntare il dito sull'inganno che è la mente, cioè sul vostro auto-inganno, perché alla fin fine non esiste un inganno della mente, ma esiste soltanto il vostro auto-inganno. Anche se potrei dire che non esiste neppure quello, perché, tan- to, voi non siete. Ma, per poter ragionare 12
  • 13. con voi in un certo modo, io debbo assolu- tamente sostenere che siete voi che vi auto- ingannate, e non tanto la vostra mente. La mente è la mente, ovverosia inganno per definizione, ovverosia sottile inganno per definizione e sempre più sottile inganno man mano che vi evolvete. Ed allora dirvi che la mente non esiste ha il solo senso di riconsegnarvi ad una verità che dice che il vostro continuo riflettere su voi stessi non fa che esaltare voi stessi, Ogni volta che riflettete su voi stessi, esaltate voi stessi, e, se non arrivate a mettere in crisi anche questo vostro modo di approcciarvi alla realtà profonda, non riuscirete mai, mai e poi mai a togliervi fino in fondo dalla sof- ferenza. E, dicendo "sofferenza", non inten- do soltanto quella che acquista un sapore molto amaro, ma anche quella più sottile, e cioè l'inquietudine, l'insoddisfazione, il non essere mai contenti di niente, mai veramen- 13
  • 14. te in pace, mai veramente consegnati al mi- stero, mai veramente consacrati al mistero, mai veramente totalmente dediti al mistero, ma sempre, sempre, sempre legati a ciò che vi dice la mente. E quindi ben venga l'af- fermazione che la mente non esiste, intesa in questo modo; la mente è la vostra tomba ma è anche lo strumento attraverso il quale potete fare esplodere questa gabbia, questa tomba, questo anchilosamento, per arrivare là dove tutto va, va e va. Proviamo ora a vedere i problemi da que- sto punto di vista. L'uomo ha problemi, e difatti chi di voi potrebbe mai negare questa affermazione, basandosi sulla propria espe- rienza? Dubito che qualcuno potrebbe mai affermare che l'uomo non ha problemi se parte dalla propria esperienza. Ma se parte dalla non-esperienza, ovverosia dal fatto che tutto quello che definite problema è semplicemente frutto di quanto siete attac- 14
  • 15. cati al vostro io, allora si può dire che i pro- blemi non esistono. Il problema c'è perché l'uomo, nel momento in cui riflette su di sé o nel momento in cui viene investito da qualcosa, si ritrova messo nell'angolo. E non importa se questo qualcosa parte da dentro o parte da fuori - in una certa accezione – dato che è sempre qualcosa che mette l'uo- mo, improvvisamente o meno, di fronte ad una realtà che egli non riesce a dipanare. Ma proprio perché non riesce a dipanarla, immediatamente il suo io si impunta, il suo io si ribella, il suo io protesta, il suo io si rat- trista, il suo io si intristisce, il suo io parla, parla e parla! E, nel momento in cui parla, ciò che è un fatto diventa per lui veramente un problema. Prima è un fatto che può esse- re affrontabile, non affrontabile o più gran- de di voi, ma è un fatto, avviene, accade, ac- cade e accade. Ma quando voi ci mettete sopra la mente, quel fatto non è più un fat- 15
  • 16. to, ma è un'interpretazione. Nel momento in cui è un’inter-pretazione, per voi diventa un limite: si esprime in un vostro limite ed immediatamente la vostra mente che l'ha classificato, che l'ha individuato, che l'ha definito vi presenta quello stesso fatto come problema. Non ci sarebbero problemi se voi foste totalmente consegnati al mistero; non è che non ci sarebbero dei vincoli, ma i vin- coli non sarebbero per voi un problema. Anche quelli accadono. E, più voi sottolineate che ciò che vi ac- cade è invece carico di significati, più vi e- sponete all'inganno della mente. Certamen- te per voi è vero che ciò che vi accade è cari- co di significati, e lo è talmente che spesso non vi capite più e non sapete scegliere tra un significato e un altro significato, e chie- dete consiglio e domandate aiuto, o vi rin- serrate, desiderando, desiderando, deside- rando qualcuno che venga a soccorrervi, 16
  • 17. che venga - come voi dite - a darvi una ma- no per interpretare, per capire, per com- prendere ciò che vi sta succedendo. E più praticate questo modo di guardare ai fatti, più assottigliate la mente e più indorate la gabbia. Ben venga questo indorare la gab- bia, perché serve, ma ora stiamo parlando di un'altra ottica molto più radicale che vi dice: affrontate i problemi, ma ricordatevi che ogni volta che definite qualcosa come problema ponete in campo la vostra mente, e quindi qualsiasi risposta diate a quel pro- blema porterà sempre il marchio della vo- stra mente, cioè sempre il marchio del vo- stro io. Certo, a voi serve affrontare i fatti e inter- rogarvi sul significato che date ai fatti, ma se andate un po' più in là, serve di più esse- re consapevoli che ogni soluzione che date a quello che definite problema è semplice- mente conseguenza del modo con cui la vo- 17
  • 18. stra mente opera. Nient'altro, nient'altro e nient'altro. E, se è conseguenza di come o- pera la vostra mente, allora esso porta il ca- rico del limite della vostra mente; e, siccome voi nel definirlo scegliete una prospettiva, la conseguenza sarà che, anche se arrivate ad una soluzione, la soluzione avrà su di sé il carico di quella prospettiva e quindi il li- mite di quella prospettiva e quindi magari la fascinazione di quella prospettiva oppure l'insufficienza di quella prospettiva. Ma prima o dopo quella prospettiva vi porterà di nuovo di fronte ad altri problemi. Quindi il problema scaturisce dal fatto che voi ponete in campo la vostra mente, e per- ciò la vostra mente è l'autrice dei vostri problemi. Quindi i vincoli non sono pro- blemi e quindi l’autrice di tutte le vostre sofferenze e di tutte le vostre cosiddette vit- torie o sconfitte, è sempre la mente. Ma poi- ché la mente è il sottile inganno dell'io che 18
  • 19. riflette su se stesso, ecco che il problema non è altro che l'esplicitazione del vostro io che parla, che parla, che parla perché l’io è la mente. C'è una leggera distinzione tra di- re che l'io parla attraverso la mente o che l'io è la mente, ed è vera l'una e l'altra cosa: dire che l'io parla attraverso la mente è una pro- spettiva parziale; dire che l'io è la mente è una prospettiva più completa, ma ancora parziale. Quindi i problemi sorgono dall'i- nesistenza della mente: la mente non esiste, è soltanto un inganno, ed i problemi nasco- no dall'inganno. Ma dire che i problemi na- scono dall'inganno non vuol dire che non vi riguardano o non vuol dire che per voi non sono reali, ma vuol dire che, finché vi affi- date alla vostra mente, siete totalmente den- tro l'inganno. E non importa che vi rendiate conto che è la mente, dato che, se non co- minciate a dubitare che la mente sia qualco- 19
  • 20. sa di vero e di reale, siete totalmente dentro la prospettiva della mente Se è vero che i problemi nascono dal fatto che voi pensate a voi stessi e vi sentite colpi- ti da altri o da fatti che sembrano condan- narvi a qualcosa o che sembrano imprigio- narvi dentro qualcosa, allora è vero anche che voi potete uscire da questo meccanismo, cioè dal fatto che la vostra mente crea i pro- blemi, solo cominciando a chiedervi dove stanno veramente i problemi e da dove ha origine un vostro problema. Un problema ha origine nel momento in cui qualcosa di voi si sente offeso; non importa da che cosa, ma si sente offeso. Può essere anche un e- vento naturale, può essere un comporta- mento altrui, può essere una cosiddetta in- sufficienza propria, può essere un'incom- prensione maturata anche da una persona molto lontana da voi, ed in quel momento sorge il problema, non prima. Il problema 20
  • 21. non sorge quando l'io non si sente offeso, ma soltanto quando l'io si sente offeso, cioè delimitato da qualcosa, compresso da qual- cosa, sminuito da qualcosa o insidiato in qualcosa; soltanto in quel momento sorge il problema, prima può essere un fatto, un ac- cadimento, un atto, un gesto o un fatto na- turale che non acquista valenza alcuna, o che potete definire come splendido, ma na- turalmente in questo caso ha colpito il vo- stro io in altri termini. Se questo è vero, allora nella visione che voi instaurate sul problema c'è la carica di un io offeso, e non è mai, mai e poi mai una visione veritiera. Quindi, il primo momento di riflessione che vi dovrebbe guidare di fronte all'insorgere di questa affermazione da parte dell'io: “C'è un problema”, dovrebbe essere quello di dire: "Che cosa del mio io è stato offeso? Che cosa sta cantando l'io di sé?". Perché, se lo individuate, allora riuscite 21
  • 22. immediatamente a comprendere ciò che so- vraccaricate sul fatto. Certo, non riuscirete immediatamente a disinnescare ciò che sta- te caricando sul fatto, ma vi renderete più consapevoli che la definizione del problema passa attraverso l’offesa dell'io e che, a se- conda di come l'io viene offeso, si realizza una certa impostazione piuttosto che un'al- tra nell'interpretare il problema, il che signi- fica che quel problema verrà definito in un modo piuttosto che in un altro a seconda del tipo di offesa che viene arrecata al vo- stro io. Questo significa che tutto ciò che voi caricate sopra il fatto ha attinenza soltanto con ciò che viene colpito nel vostro io. E non importa ciò che proviene dall'altro, non im- porta ciò che sorge dentro di voi come - voi lo definite - errore, non importa; importa qual è l'offesa che il vostro io sente dentro se stesso. 22
  • 23. Se questo è vero, quando allora parlate di problemi, ricordatevi che parlate delle offe- se "sentite" dal vostro io. E quindi, quando parlate del modo con cui risolvere i pro- blemi, in realtà fate spesso una gran confu- sione, perché pensate che sia possibile to- gliere l'offesa al vostro io trovando quella chiave di volta che allontana quel fatto o che comunque rende quel fatto meno pe- sante per voi o che comunque impedirà a quel fatto di ripresentarsi in quel modo o che comunque impedirà che voi reagiate a quel fatto in una certa maniera. Questo però non è il modo di affrontare la questione del problema dal punto di vista della via della Conoscenza. Quando l'uomo, di fronte al problema, comincia a capire che la stessa definizione di problema ed il modo con cui esso appare sono frutto dell'offesa che sente l'io, allora lui incomincia a spostare la sua attenzione 23
  • 24. non più sul problema ma sull'io offeso. E spostare l'attenzione sull'io offeso significa porre attenzione all'inganno della mente, infatti, non riuscirete mai a spostare l'atten- zione sull'io offeso se non comincerete a du- bitare di quello che in quel momento vi dice la vostra mente. Poiché la vostra mente vi dirà che il problema non sta lì ma sta da un'altra parte: sta nell'altro, sta nel vostro comportamento, sta nei vostri errori passati, sta in ciò che gli altri pensano di voi, in ciò che gli altri vi hanno detto, in ciò che è suc- cesso e che vi ha limitato. Se ascoltate la vo- stra mente, saranno queste le risposte, ma se andate al di là di ciò che dice la vostra men- te e ponete l'attenzione su quell’io che parla, voi potrete allora accostarvi un pochino di più alla realtà dell'inesistenza della mente. Cerco di essere un po' più chiaro. Se si co- mincia ad indagare su quale è stata la ferita dell'io e su che cosa si sta ingabbiando l'io 24
  • 25. nel momento stesso in cui esprime la parola "problema", si può incominciare a individu- are che l'unico vero problema è l’incapacità di lasciare andare: lasciare andare le offese, le incomprensioni, i limiti degli altri, i vostri limiti, le vostre incomprensioni di voi stessi, i vostri atteggiamenti, i vostri comporta- menti, i vostri pensieri, gli altrui pensieri, quelli che vengono espressi o magari quelli che si sospettano. Lasciare andare! Vedete, il problema può essere anche ri- solto in una certa forma, ma non vi fa fare troppi passi avanti; certamente vi orienta verso l'indagine – questo sì - ma se si vuole radicalizzare l'indagine, il problema è sol- tanto uno: comprendere le offese che l'io su- bisce o che si attribuisce, e comprendere an- cora di più che l'unico modo è lasciare an- dare. Uno però potrebbe obiettarmi: "Ma se lascio andare senza comprendere, non risolvo i problemi". Obiezione legittima, ma noi qui 25
  • 26. stiamo parlando a persone che hanno fatto un tragitto, almeno concettuale, e che sanno che in primis bisogna svegliarsi, che in pri- mis bisogna interrogarsi, che in primis bi- sogna porsi il problema di chi si è, però poi, ad un certo punto, tutto questo diventa au- to-giustificatorio se non si fa un salto, un salto logico, per così dire. E il salto logico sta proprio nel fatto di non attribuire più valore all'indagine che utilizza la mente senza però dubitare della mente, e si stabili- sce un altro processo: il processo di chi con- tinua ad indagare ma si affida meno a ciò che dice la propria mente, anche quando la propria mente si raffina, ed allora comincia a comprendere che ogni offesa all'io si tra- sforma in problema. Questo è il nodo. E voi mi direte: "Ma uno può sentirsi offeso e non avere problemi". Que- sto non è vero, infatti, se c'è una percezione dell'offesa, c'è immediatamente un proble- 26
  • 27. ma. Per non avere problemi, bisogna non percepire l'offesa in quanto non c'è niente che venga offeso, perché non c'è più l'io o perché l'io è talmente ridotto che, anche se ancora qualcosa si sente colpito come offe- sa, si sorride immediatamente, e allora quel sentimento, quell'emozione, quel pensiero dileguano, vanno, vanno, vanno. Ecco per- ché la via della Conoscenza continua a so- stenere il concetto del lasciare andare: è sol- tanto lasciando andare che i problemi pos- sono dissolversi, avendoli però prima inda- gati. E l'espressione massima dell'amore è il lasciar andare che contiene in sé anche i momenti di non-amore. Si lasciano andare sia i momenti di amore sia quelli di non- amore, e questo lasciare andare è il vero amore: un non portare rancore, un non por- tare niente, niente e niente addosso di tutto ciò che la vostra mente carica. Questo è l'a- more, compreso tutto ciò che la vostra men- 27
  • 28. te vi carica addosso ogniqualvolta pensa di voi che siete poco evoluti, che non siete suf- ficientemente evoluti o che continuate a fare gli stessi errori; anche quello viene lasciato andare. L'amore è proprio il togliersi di dosso tutto ciò che l'io vi accumula sopra. Questo è l'amore: l'amore che va oltre il non-amore, che va oltre le forme d'amore, che sta al di là delle forme, che sta al di là del blaterare del vostro io, che sta al di là di ogni pretesa di voler cambiare, di volersi trasformare, che va al di là di tutte queste pretese. E ben vengano queste pretese, ser- vono, servono e servono! Però qui sto parlando a delle menti che sono state già provocate, anche se ancora non troppo, e quindi posso osare, ed allora io oggi oso fino in fondo, almeno per quan- to riguarda questo aspetto, e vi dico che i vostri problemi ve li risolvete soltanto nella misura in cui irridete l'io e lo lasciate anda- 28
  • 29. re, anch'esso, in tutte le sue manifestazioni: quelle positive e quelle negative, quelle dell'amore e quelle del non-amore. Ma chi siete voi per stringervi sempre addosso ad una specie di continua contorsione dentro voi stessi per definire quanto siete riusciti e quanto non siete riusciti, che cosa gli altri vi hanno dato, che cosa gli altri non v'hanno dato, che cosa avete dato o che cosa non a- vete dato, dove siete arrivati e perché siete arrivati? Quale pretesa è mai questa! Quan- ta mente! Quanto inganno! Quanta, sì, in- sufficienza, ma soltanto perché c'è la vostra mente! Ed invece, nel momento in cui voi iniziate ad aprirvi alla cosiddetta non-mente - e anche questa è solo una parola per indi- care uno stato - cogliete che niente conta se non stare lì immobili lasciando andare. E non importa se in questo momento mol- te delle vostre menti blaterano dicendo: "Ma io sono appena capace di affrontare problemi! 29
  • 30. Figuriamoci mai se riesco a lasciare andare to- talmente!". Parole al vento, è la vostra mente che parla! Se voi cominciate semplicemente a prestare orecchio ed a prestare attenzione a tutte le volte che il vostro io vi ingabbia con la solita frase "Questo è un problema", ed a sorridere a ciò che dice il vostro io e poi certamente a chiedervi da che cosa è stato ferito, vedrete improvvisamente davanti a voi un'altra realtà, che non è la realtà del problema, ma che è tutta la miseria del vo- stro io. Ma anche questa è una frase limitata perché la miseria è soltanto ancora dell'io che definisce se stesso come insufficiente. E se andate al di là di questo, niente più parla di miseria ma soltanto di splendore: anche la miseria diventa splendore nel momento in cui non la caricate più di niente, di niente e di niente. Partecipante: Credo di aver capito quello che hai detto fino ad adesso, però mi riesce 30
  • 31. difficile riuscire a lasciare andare e alle volte mi sfugge la differenza tra lasciare andare e il disinteressarsi completamente di un pro- blema. Soggetto: E’ solo questione di mente. Nel momento in cui, di fronte ad un problema, voi dite che non vi interessa, siamo proprio nel regno della mente, dato che tutti i pro- blemi vi appartengono proprio perché per voi sono problemi, mentre invece sono fatti. Quindi, quando voi dite che c’è qualcosa che non vi appartiene, questa è sempre la vostra mente. E quando poi dite che una co- sa talmente vi appartiene che vi porta ad es- sere insufficienti o che vi porta a darvi completamente, siamo sempre nel regno della mente. Ciò significa che quando af- fermate: “Questo è un problema”, avete già insinuato la mente, ma quando affermate: “Questo è un fatto”, allora potete o non pote- te aver insinuato la vostra mente. 31
  • 32. Partiamo da un altro elemento per chia- rirvi meglio. Vedendo qualcuno che soffre, se dite: “Non mi appartiene”, lì avete insinua- to la vostra mente, poiché tutti coloro che soffrono vi appartengono a tal punto da es- sere voi stessi. E se dite: “C’è qualcuno che soffre e io debbo a tutti i costi darmi da fare per aiutarlo in tutti i modi possibili”, siete ancora dentro il regno della vostra mente, diverso, nella forma, da quello di prima ma sempre nel regno della vostra mente; difatti, se siete voi che volete portare qualcosa a lui, porte- rete, sì, qualcosa, ma carico dei vostri limiti. Se invece, di fronte a chi soffre, si guarda alla sofferenza e si sta lì presenti con tutto se stessi, non importa con quanti limiti, e fino al punto in cui si è capaci, allora lì, sì, comincia ad esserci qualcosa che non è to- talmente mente. E’ ancora mente, ma non totalmente. Chi non ha più la mente non di- ce che c’è uno che soffre e gli crea problema, 32
  • 33. ma dice semplicemente: “Accade che uno soffre e io sono lì perché questo è quanto deve accadere”, nient’altro, e sta lì con tutto quello che è. E, dato che è non-mente, sta lì con l’amore universale; questa è la differen- za. Quindi, quando voi declinate con le vostre parole ciò che dice la via della Conoscenza sul lasciare andare, spesso e volentieri lo ca- ricate della vostra mente. E questo noi lo sappiamo, ma non importa, non importa, purché qualcosa avvenga. Ed adesso io aspetto da voi un problema, ma qui nessuno ha problemi. Improvvisa- mente il cielo della vostra vita ha spazzato via tutte le nubi e voi sorridete beati di fron- te a questa serenità che parte dal profondo e vi fa dire: “Io sono e nient’altro”. Non è così forse? 33
  • 34. Partecipante(1): Il problema maggiore della mia vita è quello che io ho sempre fatto fati- ca su qualsiasi cosa. Soggetto: Proviamo a partire da questa af- fermazione, quanto minimo curiosa. Un es- sere umano dice: “Il mio problema è fare fatica a fare le cose, indipendentemente da che cosa”. Assumiamolo come fatto generale, anche se nel tuo caso non è un fatto generale, ma ri- guarda alcune cose. Dunque, quell’umano dice che tutto questo è per lui un problema. Secondo voi, dove si deve spostare l’ottica per capire che cosa sta dicendo questo u- mano e dove si deve puntare l’attenzione? Su qualcosa che sta lì e lo obbliga quasi a soffrire, perché non riesce a fare le cose con facilità, oppure su qualcos’altro? Partecipante (1): La fatica sta anche nell’ottenere le cose, non solo nel fare. E’ sempre stato tutto difficoltoso. 34
  • 35. Soggetto: Fare e ottenere, ma anche il fare. E quindi? Partecipante (2): Però si diceva che se lei lo definisce un problema, vuol dire che il suo io si sente offeso in qualcosa. Soggetto: Brava, e quindi qual è la do- manda che ci si dovrebbe porre per com- prendere ciò che lei sta dicendo, al di là dei soliti criteri? Partecipante (2): Che cosa viene offeso in se stessa dal fatto che non riesce a fare le cose. Soggetto: Bene, oppure si potrebbe porle una domanda: nel momento in cui senti che fai difficoltà a fare e ad ottenere, che cosa in te si ribella? Partecipante(1): Si ribella il mio io. Soggetto: Ma che cosa del tuo io si ribella? Che cosa viene colpito da questa considera- zione? Quindi, non da questi fatti, ma da questa considerazione su questi fatti. Il tuo io non viene colpito indistintamente in tutte 35
  • 36. le sue espressioni, ma in una certa qual e- spressione. Partecipante(1): Nelle sue aspettative Soggetto: Questo è troppo generale. Qui tu proponi una questione: “Io faccio, faccio, faccio e ottengo poco o niente; ma faccio fatica anche a fare e quindi la mia vita è tutta una fati- ca con le ricompense che sono date con il conta- gocce”. Se è così, quale parte del tuo io si sente offesa? Partecipante(1): La parte che desidera otte- nere le cose. Soggetto: E qual è? Vedete com’è difficile dare delle risposte se non vi abituate a pun- tare lo sguardo su questo. Partecipante (2): Potremmo chiamarlo a- mor proprio? Soggetto: Troppo generico: tutto, per certi aspetti, può essere amor proprio. Qui c’è qualcosa che viene sollecitato, qualcosa di veramente tuo - nel senso del tuo io - che 36
  • 37. non è necessariamente uguale a qualcosa che ha un altro, ed è lì che bisogna indaga- re. Domanda: perché mai tu dovresti avere dei risultati eclatanti e con pochi sforzi? Partecipante (3): Questo accade perché lei si paragona con altri attorno e quindi fa una valutazione. Soggetto: Sì, ma questo vi mostra che il suo io dove si sta giocando? E quindi che il suo io come si sta esprimendo? E quindi che cosa sta provando lei, rispetto a come il suo io si sta giocando? Non voglio parlare di te, oggi, ma semplicemente dare una dimo- strazione pratica di che cosa parla la via del- la Conoscenza. Se uno comincia ad interro- garsi su quale parte dell’io viene colpita dal- la frase che hai detto, è costretto a dirsi an- che dove e su che cosa si gioca il proprio io. E più l’offesa è forte, più è lì che si gioca e più è lì che si attacca il proprio io. “Si attac- ca”, ti dice qualcosa questa parola? A che 37
  • 38. cosa si attacca in questo caso l’io, badando alle parole che tu hai espresso e che io non voglio però approfondire troppo? Partecipante (1): Al volere ottenere. Soggetto: Sì, ma il volere ottenere che cosa comporta dal punto di vista dell’io? Partecipante (4): Una gratificazione. Soggetto: Non soltanto. Partecipante (2): Sembrerebbe un confronto sul rapporto dare e avere che hanno gli al- tri. Soggetto: Anche, ma non solo, perché l’io viene, sì, offeso dal paragone ma dato che porta in sé alcune scommesse. Partecipante (3): Un’eccessiva considera- zione di se stesso. Soggetto: Io dico: un’immagine, un’immagine e un’immagine! Ti richiama niente? Qual è l’immagine che può stare dietro a queste tue parole? Uno che dice che fatica tanto e riesce poco, quale immagine 38
  • 39. ha di sé?. E’ un’immagine che riguarda lei, non in relazione agli altri, ma lei con se stes- sa. Partecipante (1): Di sconfitta. Soggetto: Non direi, questa può essere una conseguenza. Ma se uno ha la convin- zione che nella sua vita c’è più fatica che ri- sultato e che comunque tutto è fatica, quale immagine può avere di sé, nascosta dietro queste parole? Partecipante (4): Una forma di pessimismo. Soggetto: Ci avviciniamo, ma non è esat- tamente questo. Mi fermo qui perché non voglio parlare di lei in modo approfondito, poiché vorrebbe dire entrare in profondità nell’animo di uno di voi. Come vedete, pe- rò, interrogarsi su quale parte viene offesa dell’io non è così semplice, perché siete sempre stati abituati a guardare alle cause dell’insorgere dei vostri problemi, magari interne o esterne. Invece, spostare 39
  • 40. l’attenzione su quale parte dell’io è colpita significa affinare la vostra mente sulle plu- rime sfaccettature attraverso cui si presenta il vostro io. E quindi farvi molto e molto abi- li nel percepire gli inganni della vostra men- te. Difatti, in tutte le risposte che avete dato c’è un sottile inganno della mente. Ben ven- gano queste risposte, sono approssimazioni, ma nessuna di esse coglie il nodo che sta dentro di lei e che naturalmente solo lei può cogliere. Nessuna! E neppure lei, in questo momento, riesce a coglierlo, perché abituata a costatare i problemi, a chiedersi come su- perare questo problema o come cambiare se stessa in relazione a questo problema, e non invece ad ascoltare il proprio io che parla. Non è abituata ad ascoltare il proprio io che parla, ma è abituata ad ascoltare la propria mente che parla, la propria mente che dice ora questo ed ora quello, ma non s’è ancora 40
  • 41. convertita ad un diverso modo di guardare se stessa, e cioè come mente che si auto- inganna, come io che parla, come io percos- so, come io messo in scacco. Bene, concludiamo così. 41
  • 42. Edizione curata da: il Sentiero contemplativo 42