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COMUNITA’ PER LA VIA DELLA CONOSCENZA
                   Voce nell’ impermanenza

 L’azione senza pensiero: aderire al ciò che è
   Soggetto: Se l'uomo arriva al punto nel quale abdica alla mente,
ciò che egli esprime è un'azione senza pensiero. Ma l’azione senza
pensiero entra in contraddizione con tutta la vostra struttura logica,
perché per voi ogni azione è segnata almeno dall'emozione e più
spesso dal pensiero che si nasconde dietro l'emozione o che è
esplicitamente espresso e conduce ad una certa azione. Eppure
l'uomo sperimenta attimi in cui gli sembra di non pensare affatto e
di agire come dietro un'onda: sono questi i momenti nei quali
l'uomo dimentica di protendersi verso l'esterno e si rifugia nel
proprio interno. In alcuni di questi momenti l'uomo agisce senza
pensare, semplicemente assecondando qualcosa che sorge dentro
di lui e che si esprime in un certo modo, tant'è vero che in questi
casi l'uomo poi si domanda: "Ma che cosa ho fatto? Perché e come
ho fatto ad agire così?". Si tratta solo di attimi in cui l'uomo
sperimenta l'adesione immediata alla sua profondità, che si
esprime in questa per voi strana forma nella quale lui agisce e non
pensa, agisce e non sente, agisce e si ritrova poi a chiedersi perché
abbia agito. Sono molto rari questi momenti, ma ciascuno di voi,
se sta attento alla propria quotidianità, scopre che di quando in
quando appaiono. Sono flash, soltanto dei flash, eppure ci sono. Si
tratta di trasformare questi flash nella struttura profonda che deve
governare ciò che voi non siete.
   Se tutti voi foste posti di fronte alla necessità di aiutare un
morente o di lasciarlo morire lì, perché un'onda della Coscienza
arriva e vi dice di lasciarlo morire, cosa farebbe ciascuno di voi,
così come oggi si ritrova, e quindi adoperando ancora la vostra
mente?
   Partecipante (1): E' difficile in questo caso aderire all'onda.
   Soggetto: Finché si ha la mente è quasi impossibile aderire
all'onda, perché quando si ha la mente che funziona - non rispetto
                                                                    1
al quotidiano ma rispetto all’aiutare o non aiutare -
immediatamente voi ponete un segno sull'aiutare e un altro segno
sul non aiutare. Per voi è difficile scindervi da questo giudizio e
spesso è sul giudizio che voi vi fermate, non sul risultato, ed è
proprio sul giudizio che si fonda il senso di colpa che può
derivarvi dal fatto di non aiutare. Invece, se per caso prevalesse
l'amore in termini di totale altruismo, non ci sarebbe più la
questione dell'aiutare o non aiutare, ma si presenterebbe un'unica
alternativa: l'aiutare, nient'altro che l'aiutare. E non sarebbe più
l'aiutare, ma semplicemente essere lì, in quel momento, in quell'ora
o in quell'istante: soltanto lì si può essere e soltanto lì si può stare e
soltanto lì si può vivere. Mentre, quando voi vi ponete
nell'alternativa fra fare e non fare, aiutare e non aiutare, diffondere
o non diffondere immediatamente vi riconducete al vostro io, a ciò
che gli altri possono pensare, a ciò che la vostra interiorità può dire
ed a ciò che è stato detto, come giudizio, per il passato. Scindersi
dal giudizio significa avventurarsi in una strada dove altri possono
anche condannarvi o possono giudicarvi o possono dire che voi
siete pazzi o che magari state violando il codice fondamentale di
comportamento altruistico. Nel pronunciare queste parole non vi
sto certo dicendo di non aiutate, sto invece cercando di farvi
ragionare su un’assurdità. Per voi si chiama altruismo se qualcuno
di voi si trova nella situazione di porgere l'aiuto e qualcosa dentro
di lui gli dice: “non porgerlo!”, e tuttavia egli lo porge spinto da un
senso di colpa?
   Come chiamate l’avviare in voi il processo di stare lì perché altro
vi conduce e quasi vi obbliga ad essere lì in modo tale da mostrare
a voi stessi ciò che non siete ed agli altri ciò che non sono? Questo
è l'ego, questo è l'io, questo è il rafforzamento dell'io! Questo è il
giudizio accettato come parte integrante della propria esistenza;
questo è prestare attenzione a ciò che altri dicono, a ciò che le
leggi dicono o a ciò che il duale propugna. Ma ascoltare ciò non
significa affatto rompere i legami con il duale o rompere i legami
della divisione fra bene e male, significa invece approfondirli.


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Lottare contro il male, propagare il bene o essere altruisti sotto la
spinta di giudizi morali non è andare verso la non-mente.
   E quindi la non-mente non è altro che aderire a ciò che accade!
Ed aderire a ciò che accade non vuol dire non essere lì dove c'è la
sofferenza o dove c'è il dolore o dove c'è la difficoltà o dove c'è il
male; no, non significa non essere lì, anzi significa proprio che lì ci
si situa, che lì ci si colloca, che lì si è ciò che si è, ovverosia non
duale, rappresentando agli altri la propria non dualità, sfidando
magari anche il giudizio degli altri, ma assorbendo dentro di sé
tutto ciò che gli altri dicono, senza che si depositi, e invece
rappresentando agli altri un modo diverso lo stare accanto a chi
soffre, a chi prova dolore o a chi è in difficoltà, e non perché questi
siano gli unici uomini a cui si porge la mano, ma perché è lì che ci
si situa nel momento in cui ciò accade. E se si incontra un ricco o
se si incontra qualcuno che festeggia l'abbondanza, lì ci si situa e
non si va lontano da lui in nome e per conto di chi soffre, ma ci si
situa lì e si testimonia anche lì che l'abbondanza può essere
povertà, che la povertà può essere abbondanza, che nulla distingue
la Coscienza, che nulla può essere separato dalla Coscienza e che
il ricco è pur anch’egli Coscienza. E si poseranno i propri occhi, si
agiteranno le proprie mani e si userà la propria parola nel modo
consono e non si valuterà questo modo che sorgerà spontaneo e
che arriverà all’altro a rappresentargli la non dualità, magari
provocandolo, magari facendolo adirare o magari invece
accarezzandolo. Non si saprà quale sarà il risultato della propria
azione e non si saprà neppure quale azione si fa, essendo solo lì,
nel momento. E non si prepara il momento e non si fanno piani di
azione e non si coltivano strategie e non ci si arrabatta - come
spesso fate voi - a chiedersi: “Che cosa dirò, come agirò, quali
saranno le parole che io dovrò porgere perché lui capisca?”,
poiché l’altro non ha da capire, ha soltanto da riconoscere in se
stesso ciò che è. Dunque, si porge questa opportunità e nient'altro,
poiché non sarà un qualcuno a porgere, ma sarà la Coscienza che
porgerà attraverso la bocca di quel qualcuno incontrando l'azione


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che l’altro farà, e da essa maturerà qualcosa di cui non ci si deve
occupare.
   Certamente qualcuno di voi potrebbe obiettare: "Ma, come, io
non devo occuparmi del risultato o dell'effetto?". Proprio così,
l'effetto non riguarda la non-mente, almeno fino a quando non si
ripresenterà a lui come sofferenza o come letizia o come serenità o
come inquietudine, cioè fino a quando non si ripresenterà a lui
richiedendogli di essere lì. Ed allora di nuovo si sarà lì, senza la
propria mente che giudica e quindi senza domandarsi: "Perché non
ha capito? Guarda dove è arrivato per non avermi voluto
ascoltare!". Si starà lì, si sarà in quel momento, e ancora si porgerà
ciò che la Coscienza dirà in quel momento e non si rimprovererà,
se non spinti dalla Coscienza, che non rifarà però l'esame di ciò
che l’altro non ha fatto, almeno per quanto riguarda quello
specifico aspetto su cui gli si sarà parlato, perché questo
significherebbe suscitare nell'altro l'idea che è stato colpito poiché
non ha rispettato, mentre ciò non deve affatto avvenire, dato che
sarebbe rafforzare l'idea che ciò che gli accade davanti, compreso
l'incontro con chi è non-mente, è qualcosa che deve essere preso
come parametro per giudicare se stesso. Ed invece questo non deve
avvenire. Si deve porgere e lasciare che accada, porgere e lasciare
che accada, magari rimproverare se il porgere richiede il
rimproverare, ma non per quanto l’altro non ha ascoltato di ciò che
gli è stato detto, ma per quanto lui non ha inteso se stesso.
   Ma se ciascuno di voi fosse messo di fronte alla situazione di
impedire un omicidio e in quel momento una voce dentro dicesse:
“Tu non lo devi impedire!”, ciascuno di voi non soltanto lo
impedirebbe, ma cercherebbe in tutti i modi di far sì che
l'individuo assassino - o possibile assassino - possa essere catturato
o magari braccato. E questo voi lo reputate comportamento da
uomini saggi? Ma che cos'è, figli cari, se non un modo di intendere
ciò che è bene e ciò che è male? E’ un modo per dire l'uno all'altro:
"Io non voglio che tu ti comporti in un certo modo”.
   Eppure, allora, che senso ha parlare di Coscienza se è la
Coscienza che mette il pugnale nelle mani di quell'uomo ed è la
                                                                    4
Coscienza che fa sì che un altro si offra, nel senso che magari si
trova sulla sua strada e, di fatto, diventa una specie di agnello
immolato? E' sempre la Coscienza. Ma che senso ha, figli cari, dire
che è la Coscienza che mette il pugnale e che è la Coscienza che
impedisce che l'altro sfugga? Non è questo forse l'espressione del
non-amore?
   Partecipante (2): Perché c'è il libero arbitrio.
   Soggetto: E che cos'è il libero arbitrio, se tutto è?
   Partecipante (2): Ma non nel duale.
   Soggetto: Però il duale è un modo dell'uomo di vedere ciò che
invece è già.
   Partecipante (2): Sì, ma l'uomo non lo vede come ciò che è già.
   Soggetto: Se l'uomo non lo vede, non significa che non lo sia.
Ma, se è vero che l'essenza di ogni cosa è la Coscienza, e che
quindi il limitato è pervaso dall'essenza, allora veramente la
Coscienza è assassina; allora veramente la Coscienza produce
l'omicidio; allora veramente la Coscienza produce le guerre; allora
veramente la Coscienza distrugge ciò che crea.
   Dove sta il limite di tutte queste espressioni? Sto osando tanto
per farvi intendere come ogni volta in cui ci si avventura sul
terreno della non-mente ci si trova di fronte all'impossibilità di
usare le categorie che voi usate. Ed è per questo che ho condotto
fino a questo punto il discorso, poiché ciò che vale per la
Coscienza non vale per la mente, mentre voi tendete in
continuazione a trasportare i concetti che la mente utilizza
nell'ambito della Coscienza. Per noi è molto complesso parlare di
Coscienza senza usare quei concetti che voi stessi usate, ed è per
questo che spesso noi violentiamo questi concetti che non servono
più di tanto e che, per quel tanto che servono, devono però essere
riadattati.
   Allora, se la Coscienza è assassina, dove sta il libero arbitrio?
Dove sta la possibilità di scelta?
   Partecipante (2): La scelta sta tra l'amore e il non-amore.
   Soggetto: Ma chi sceglie, se è la Coscienza che pone il coltello
nelle mani dell'assassino e che impedisce all'altro di sfuggire?
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Partecipante (2): Ti pone due strade, sei tu che scegli quale. Nel
duale le due strade sono: di ascoltare più il cuore o di ascoltare più
l'ego.
   Soggetto: Ma che tu abbandoni il coltello o che tu colpisca,
entrambe le strade hanno radice nella Coscienza, perché senza la
Coscienza tu non potresti né abbandonare il coltello né colpire. E
allora, nella sua essenza, la Coscienza è responsabile dell'uno e
dell'altro e quindi, è anche assassina; è santa ed assassina. Ma voi
insorgete, perché per voi non è possibile mettere insieme il santo e
l'assassino, in quanto il santo è il bene, l'assassino è il male. Invece
per la Coscienza essere santa ed essere assassina è una profonda
realtà.
   Partecipante (2): E quando voi dite che la Coscienza è amore, in
questo amore ci sono queste due facce?
   Soggetto: Nell'amore c'è soltanto l'amore; non c'è né santità né
crudeltà; nell'amore c'è solo l'amore e basta. Ma se si utilizzano gli
occhi e le categorie umane, si arriva a concludere che la Coscienza
è santa ed è assassina. Però, per la Coscienza, l'essere santa e
l'essere assassina non significa nulla; è soltanto una
concettualizzazione umana a cui si arriva radicalizzando i concetti
che voi applicate nel duale. E poiché questi concetti non trovano
spazio nel mondo della Coscienza, tutto questo ragionamento serve
per sfatare un mito, ed il mito è che l'amore non comprende anche
l'odio. L'amore non comprende anche il non-amore, cioè l'amore
non è anche quello che voi chiamate non-amore, ed è per questo
che qui diciamo e ripetiamo che la Coscienza è santa ed è
assassina, certamente, però non nel modo con cui voi lo intendete,
ma nel modo di chi è andato al di là della mente.
   Partecipante (1): Prima si diceva che uno sente come deve agire,
ma come si fa a distinguere se quel sentire nasce dalla Coscienza o
da quella che a noi hanno insegnato essere la "nostra" coscienza?
   Soggetto: Rispondere vuol dire parlarvi di quali sono i segni che
appaiono nel momento in cui la non-mente si afferma. Qui posso
solo anticipare sinteticamente che, quando la non-mente si
afferma, l’individuo non ha più attaccamenti, non lo colpisce
                                                                      6
un'offesa, non lo colpisce chi non lo considera, non lo colpisce chi
lo disprezza, non lo colpisce se una sua idea viene presa e viene
trasformata come propria e presentata agli altri come propria e non
lo colpisce se qualcuno parla di lui in modo piuttosto brutale.
Questo, per esempio, è un segno per capire di essere giunti alla
non-mente, e tutto il resto parla sempre secondo la modalità del
duale che, in quanto tale, non è da disprezzare o non è da negare,
ma è comunque appartenente al mondo del duale, cioè a quello del
passo dopo passo.
  E, quindi, ciò che in quel momento tu consideri espressione del
tuo livello di consapevolezza, accettalo, accettalo, magari non è
questo, ma attraverso l'esperienza tu impari anche quando ciò che
consideri frutto della tua consapevolezza è in realtà frutto di
qualcos'altro. Non importa, tu impari anche attraverso questo.
Invece, l'azione senza pensiero parte da un'altra premessa nella
quale uno non è più ed ogni offesa non tocca nulla di lui, visto che
lui non è più nulla. Questo è il segno per cui la non-mente lo
riguarda come realtà.
  Ora provo ad andare avanti e vi provocherò un altro poco, perché
dobbiamo arrivare ad un punto nel quale tutte le vostre strutture
concettuali devono naufragare. Ma se la Coscienza mette il
pugnale ed fa anche sì che il braccato non possa sfuggire, allora la
Coscienza recita una parte e contemporaneamente recita un'altra
parte: quindi è la Coscienza che gioca le parti, e quindi voi non
siete. Ma qualcuno potrebbe domandare: “Perché recita le parti?".
E’ questo il mistero! Sì, recita le parti, e ogni cosa che voi fate è un
copione recitato dalla Coscienza, e colui che offendete è sempre la
Coscienza, e l'azione dell'offesa è sempre la Coscienza, e il ritorno
dell'offesa è sempre la Coscienza. E se voi invece accettate l'offesa
è sempre la Coscienza, e se voi invece ritorcete contro altri l'offesa
subita è ancora sempre la Coscienza che si riveste di tante parti e
che recita questo strano poema che è la tragica storia o la felice
storia - dipende dai punti di vista - dell'umanità.
  Ma allora perché mai vi parliamo di voi come esseri che devono
trasformarsi, modificarsi e alfine fare il salto se tutto è Coscienza e
                                                                      7
se ogni gesto è Coscienza e se ogni azione è Coscienza e se ogni
pensiero è Coscienza e se tutto questo dramma non è altro che
tante parti recitate dalla Coscienza? Ora provo a dirvelo in modo
provocatorio: ma chi siete voi che pretendete di essere soggetti
assolutamente legati alla propria individualità? Ma chi pretendete
di essere? Eppure voi volete che la spiegazione torni a voi secondo
i vostri concetti e secondo i vostri schemi in modo da poter
continuare a dire: "Ma io sono! Io sono colui che è protagonista".
Perché mai avete bisogno che io confermi le vostre ipotesi sul
funzionamento del cosmo e sul funzionamento dell'umanità,
questo vostro bisogno che chiede a me di dirvi: “oh figli cari,
quanto siete protagonisti e quanto siete determinanti nel processo
evolutivo!”? Ma quale processo evolutivo? Ma quale
protagonismo? Tutto è Coscienza e quindi voi non siete, ed è su
questo che continueremo a puntare il dito per ripetervi che ciò che
accade non accade, ciò che voi siete non è, ma tutto è Coscienza,
basta aprire gli occhi e levarsi l'idea che voi siate qualcosa.

 Domanda:

   Partecipante (3): Che cosa succede quando un fatto si impone a
noi nella sua veste di destino? Per noi esiste un destino e dentro il
destino non c'è scappatoia.
   Soggetto: L'obiezione più comune, quando si parla di destino, è
quella di portare in campo l'esperienza che ognuno fa, che è quella
che in ogni istante o in molti istanti della propria vita voi scegliete
questo piuttosto che quello, attuate una cosa piuttosto che un'altra,
vi radicate in certe convinzioni piuttosto che in altre, andate da una
parte piuttosto che da un'altra, cominciate un lavoro o
l'abbandonate, scegliete di stare in un certo luogo oppure andate in
un altro. Però non è interessante stabilire se queste sono tappe
forzate o se queste corrispondono a delle possibilità che ha un
uomo. Si può arrivare ad ammettere che un uomo può cogliere
degli elementi di libertà nel suo agire quotidiano, mentre non si

                                                                     8
può ammettere che il percorso evolutivo dell'uomo presenti delle
libertà quando finalmente in lui si abdica alla mente. In quel
momento non c'è libertà, perché quell’individuo non aderisce a
nulla, non sceglie nulla ed in lui si esprime soltanto la Coscienza.
Dove sta la vostra libertà, che per noi è invece la vostra rinuncia ad
essere liberi? Ciò che voi chiamate libertà sta proprio in quel
dualismo che vi spinge in continuazione a dire: "Io scelgo” oppure
“Io rinuncio a qualcosa e sviluppo altro", mentre questa è la
negazione della libertà.
  La vera libertà sta proprio dove non c'è più identificazione ed in
quel momento non ci si attacca a nulla, non si è presi dagli
avvenimenti, non si è coinvolti dalle emozioni, non si è trascinati
da una parte e dall'altra dicendo a se stessi che si sceglie. No, non
si sceglie, e in ciò sta la grande libertà; non si sceglie e in questo è
la realizzazione del destino, che non è destino ma che è l'essere in
quanto tale.
  La vera libertà sta nella rinuncia ad essere ciò che ci si
immagina, e non perché ci si rinunci ma perché accade che non ci
si attacchi più. Ed accade certamente anche perché si è accettato
per un pezzo del proprio cammino di praticare forme e modi che
portano a distaccarsi. Ma quando poi si realizza il salto, non c'è più
forma, non ci sono più modi, è soltanto la Coscienza che agisce e
che non sceglie perché non può scegliere. Ed allora tutto ciò che a
voi oggi appare come avvenimento diventa soltanto un aspetto che
può essere e che può non essere, dipende! Invece, per l'uomo che
ha la mente, ciò che egli fa esprime talvolta il suo grado di libertà e
talvolta il suo grado di dipendenza. Non è vero che l'uomo, quando
sceglie, è libero. Molte volte, anche nella dualità, egli è preda di
emozioni, egli è preda di pensieri, egli è preda dell'azione degli
altri, egli è preda dei pensieri degli altri oppure è preda delle
proprie aspettative. Quindi, non è vero che l'uomo è libero, ma se
lo racconta, Benché sia vero che in taluni casi l'uomo esprime
anche la libertà, perché nel duale c'è libertà e c'è non libertà: l'uno
e l'altro. Però più spesso l'uomo non è libero, neanche nel duale,
proprio perché ciò che immagina come libertà è invece il risultato
                                                                      9
di processi che egli non considera e di avvenimenti a cui egli
soggiace.
  La vera libertà - per l'uomo che sta nel relativo e che non è
giunto alla non-mente - è accettare che la propria libertà venga
sfatta, e quindi accettare pian piano di conoscere i propri limiti e di
vedere le proprie scelte come profondamente vincolate o come
profondamente condizionate da ciò che egli è, cioè da ciò che egli
ha maturato fino a quel momento. E quindi le sue scelte saranno
sicuramente legate alle proprie imperfezioni, alle proprie
insufficienze ed alle proprie limitazioni, ed in questo non è libero,
e tuttavia egli si può pensare come libero se sposta lo sguardo sui
fatti e dimentica chi è, e dimentica i suoi limiti, e dimentica il suo
avvinghiarsi. Ma quando l'uomo scopre il proprio avvinghiarsi,
allora desidera abbandonarlo, e in questo desiderio di
abbandonarlo comincia a sorgere la vera libertà, perché la libertà
sta nell'abbandonare il suo avvinghiarsi e nel cedere alla
Coscienza. Lì sta la vera libertà, tutto il resto è condizionamento.
  Figli cari, come vedete, ciò che l'uomo definisce libertà nella
maggior parte dei casi è condizionamento ai propri istinti, alle
proprie pulsioni, alle proprie sensazioni, ai propri pensieri, alle
leggi della società, alle leggi che un gruppo si è dato o alle
aspettative degli altri; per cui ciò che per l’uomo è libertà è invece
la sua paura: la paura di perdere, di perdere se stesso. Perché la
vera libertà nasce nel momento in cui uno decide che non vuole
più identificarsi con se stesso, con le proprie pulsioni, con i propri
desideri o con le proprie aspettative. E a quel punto il destino si
rivela in tutta la sua bellezza ed in tutta la sua magnificenza e
diventa ciò che lo solleva dal peso del proprio io. Allora, in quel
momento, l’uomo non può più identificare la Coscienza come
parzialità, non può più identificare la Coscienza come assassina o
come santa, ma la Coscienza è ciò a cui quell’uomo appartiene nel
proprio dissolversi. Ed allora santità o criminalità non diventano
più parole che contano, poiché nel realizzarsi della Coscienza tutto
è!


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  • 1. COMUNITA’ PER LA VIA DELLA CONOSCENZA Voce nell’ impermanenza L’azione senza pensiero: aderire al ciò che è Soggetto: Se l'uomo arriva al punto nel quale abdica alla mente, ciò che egli esprime è un'azione senza pensiero. Ma l’azione senza pensiero entra in contraddizione con tutta la vostra struttura logica, perché per voi ogni azione è segnata almeno dall'emozione e più spesso dal pensiero che si nasconde dietro l'emozione o che è esplicitamente espresso e conduce ad una certa azione. Eppure l'uomo sperimenta attimi in cui gli sembra di non pensare affatto e di agire come dietro un'onda: sono questi i momenti nei quali l'uomo dimentica di protendersi verso l'esterno e si rifugia nel proprio interno. In alcuni di questi momenti l'uomo agisce senza pensare, semplicemente assecondando qualcosa che sorge dentro di lui e che si esprime in un certo modo, tant'è vero che in questi casi l'uomo poi si domanda: "Ma che cosa ho fatto? Perché e come ho fatto ad agire così?". Si tratta solo di attimi in cui l'uomo sperimenta l'adesione immediata alla sua profondità, che si esprime in questa per voi strana forma nella quale lui agisce e non pensa, agisce e non sente, agisce e si ritrova poi a chiedersi perché abbia agito. Sono molto rari questi momenti, ma ciascuno di voi, se sta attento alla propria quotidianità, scopre che di quando in quando appaiono. Sono flash, soltanto dei flash, eppure ci sono. Si tratta di trasformare questi flash nella struttura profonda che deve governare ciò che voi non siete. Se tutti voi foste posti di fronte alla necessità di aiutare un morente o di lasciarlo morire lì, perché un'onda della Coscienza arriva e vi dice di lasciarlo morire, cosa farebbe ciascuno di voi, così come oggi si ritrova, e quindi adoperando ancora la vostra mente? Partecipante (1): E' difficile in questo caso aderire all'onda. Soggetto: Finché si ha la mente è quasi impossibile aderire all'onda, perché quando si ha la mente che funziona - non rispetto 1
  • 2. al quotidiano ma rispetto all’aiutare o non aiutare - immediatamente voi ponete un segno sull'aiutare e un altro segno sul non aiutare. Per voi è difficile scindervi da questo giudizio e spesso è sul giudizio che voi vi fermate, non sul risultato, ed è proprio sul giudizio che si fonda il senso di colpa che può derivarvi dal fatto di non aiutare. Invece, se per caso prevalesse l'amore in termini di totale altruismo, non ci sarebbe più la questione dell'aiutare o non aiutare, ma si presenterebbe un'unica alternativa: l'aiutare, nient'altro che l'aiutare. E non sarebbe più l'aiutare, ma semplicemente essere lì, in quel momento, in quell'ora o in quell'istante: soltanto lì si può essere e soltanto lì si può stare e soltanto lì si può vivere. Mentre, quando voi vi ponete nell'alternativa fra fare e non fare, aiutare e non aiutare, diffondere o non diffondere immediatamente vi riconducete al vostro io, a ciò che gli altri possono pensare, a ciò che la vostra interiorità può dire ed a ciò che è stato detto, come giudizio, per il passato. Scindersi dal giudizio significa avventurarsi in una strada dove altri possono anche condannarvi o possono giudicarvi o possono dire che voi siete pazzi o che magari state violando il codice fondamentale di comportamento altruistico. Nel pronunciare queste parole non vi sto certo dicendo di non aiutate, sto invece cercando di farvi ragionare su un’assurdità. Per voi si chiama altruismo se qualcuno di voi si trova nella situazione di porgere l'aiuto e qualcosa dentro di lui gli dice: “non porgerlo!”, e tuttavia egli lo porge spinto da un senso di colpa? Come chiamate l’avviare in voi il processo di stare lì perché altro vi conduce e quasi vi obbliga ad essere lì in modo tale da mostrare a voi stessi ciò che non siete ed agli altri ciò che non sono? Questo è l'ego, questo è l'io, questo è il rafforzamento dell'io! Questo è il giudizio accettato come parte integrante della propria esistenza; questo è prestare attenzione a ciò che altri dicono, a ciò che le leggi dicono o a ciò che il duale propugna. Ma ascoltare ciò non significa affatto rompere i legami con il duale o rompere i legami della divisione fra bene e male, significa invece approfondirli. 2
  • 3. Lottare contro il male, propagare il bene o essere altruisti sotto la spinta di giudizi morali non è andare verso la non-mente. E quindi la non-mente non è altro che aderire a ciò che accade! Ed aderire a ciò che accade non vuol dire non essere lì dove c'è la sofferenza o dove c'è il dolore o dove c'è la difficoltà o dove c'è il male; no, non significa non essere lì, anzi significa proprio che lì ci si situa, che lì ci si colloca, che lì si è ciò che si è, ovverosia non duale, rappresentando agli altri la propria non dualità, sfidando magari anche il giudizio degli altri, ma assorbendo dentro di sé tutto ciò che gli altri dicono, senza che si depositi, e invece rappresentando agli altri un modo diverso lo stare accanto a chi soffre, a chi prova dolore o a chi è in difficoltà, e non perché questi siano gli unici uomini a cui si porge la mano, ma perché è lì che ci si situa nel momento in cui ciò accade. E se si incontra un ricco o se si incontra qualcuno che festeggia l'abbondanza, lì ci si situa e non si va lontano da lui in nome e per conto di chi soffre, ma ci si situa lì e si testimonia anche lì che l'abbondanza può essere povertà, che la povertà può essere abbondanza, che nulla distingue la Coscienza, che nulla può essere separato dalla Coscienza e che il ricco è pur anch’egli Coscienza. E si poseranno i propri occhi, si agiteranno le proprie mani e si userà la propria parola nel modo consono e non si valuterà questo modo che sorgerà spontaneo e che arriverà all’altro a rappresentargli la non dualità, magari provocandolo, magari facendolo adirare o magari invece accarezzandolo. Non si saprà quale sarà il risultato della propria azione e non si saprà neppure quale azione si fa, essendo solo lì, nel momento. E non si prepara il momento e non si fanno piani di azione e non si coltivano strategie e non ci si arrabatta - come spesso fate voi - a chiedersi: “Che cosa dirò, come agirò, quali saranno le parole che io dovrò porgere perché lui capisca?”, poiché l’altro non ha da capire, ha soltanto da riconoscere in se stesso ciò che è. Dunque, si porge questa opportunità e nient'altro, poiché non sarà un qualcuno a porgere, ma sarà la Coscienza che porgerà attraverso la bocca di quel qualcuno incontrando l'azione 3
  • 4. che l’altro farà, e da essa maturerà qualcosa di cui non ci si deve occupare. Certamente qualcuno di voi potrebbe obiettare: "Ma, come, io non devo occuparmi del risultato o dell'effetto?". Proprio così, l'effetto non riguarda la non-mente, almeno fino a quando non si ripresenterà a lui come sofferenza o come letizia o come serenità o come inquietudine, cioè fino a quando non si ripresenterà a lui richiedendogli di essere lì. Ed allora di nuovo si sarà lì, senza la propria mente che giudica e quindi senza domandarsi: "Perché non ha capito? Guarda dove è arrivato per non avermi voluto ascoltare!". Si starà lì, si sarà in quel momento, e ancora si porgerà ciò che la Coscienza dirà in quel momento e non si rimprovererà, se non spinti dalla Coscienza, che non rifarà però l'esame di ciò che l’altro non ha fatto, almeno per quanto riguarda quello specifico aspetto su cui gli si sarà parlato, perché questo significherebbe suscitare nell'altro l'idea che è stato colpito poiché non ha rispettato, mentre ciò non deve affatto avvenire, dato che sarebbe rafforzare l'idea che ciò che gli accade davanti, compreso l'incontro con chi è non-mente, è qualcosa che deve essere preso come parametro per giudicare se stesso. Ed invece questo non deve avvenire. Si deve porgere e lasciare che accada, porgere e lasciare che accada, magari rimproverare se il porgere richiede il rimproverare, ma non per quanto l’altro non ha ascoltato di ciò che gli è stato detto, ma per quanto lui non ha inteso se stesso. Ma se ciascuno di voi fosse messo di fronte alla situazione di impedire un omicidio e in quel momento una voce dentro dicesse: “Tu non lo devi impedire!”, ciascuno di voi non soltanto lo impedirebbe, ma cercherebbe in tutti i modi di far sì che l'individuo assassino - o possibile assassino - possa essere catturato o magari braccato. E questo voi lo reputate comportamento da uomini saggi? Ma che cos'è, figli cari, se non un modo di intendere ciò che è bene e ciò che è male? E’ un modo per dire l'uno all'altro: "Io non voglio che tu ti comporti in un certo modo”. Eppure, allora, che senso ha parlare di Coscienza se è la Coscienza che mette il pugnale nelle mani di quell'uomo ed è la 4
  • 5. Coscienza che fa sì che un altro si offra, nel senso che magari si trova sulla sua strada e, di fatto, diventa una specie di agnello immolato? E' sempre la Coscienza. Ma che senso ha, figli cari, dire che è la Coscienza che mette il pugnale e che è la Coscienza che impedisce che l'altro sfugga? Non è questo forse l'espressione del non-amore? Partecipante (2): Perché c'è il libero arbitrio. Soggetto: E che cos'è il libero arbitrio, se tutto è? Partecipante (2): Ma non nel duale. Soggetto: Però il duale è un modo dell'uomo di vedere ciò che invece è già. Partecipante (2): Sì, ma l'uomo non lo vede come ciò che è già. Soggetto: Se l'uomo non lo vede, non significa che non lo sia. Ma, se è vero che l'essenza di ogni cosa è la Coscienza, e che quindi il limitato è pervaso dall'essenza, allora veramente la Coscienza è assassina; allora veramente la Coscienza produce l'omicidio; allora veramente la Coscienza produce le guerre; allora veramente la Coscienza distrugge ciò che crea. Dove sta il limite di tutte queste espressioni? Sto osando tanto per farvi intendere come ogni volta in cui ci si avventura sul terreno della non-mente ci si trova di fronte all'impossibilità di usare le categorie che voi usate. Ed è per questo che ho condotto fino a questo punto il discorso, poiché ciò che vale per la Coscienza non vale per la mente, mentre voi tendete in continuazione a trasportare i concetti che la mente utilizza nell'ambito della Coscienza. Per noi è molto complesso parlare di Coscienza senza usare quei concetti che voi stessi usate, ed è per questo che spesso noi violentiamo questi concetti che non servono più di tanto e che, per quel tanto che servono, devono però essere riadattati. Allora, se la Coscienza è assassina, dove sta il libero arbitrio? Dove sta la possibilità di scelta? Partecipante (2): La scelta sta tra l'amore e il non-amore. Soggetto: Ma chi sceglie, se è la Coscienza che pone il coltello nelle mani dell'assassino e che impedisce all'altro di sfuggire? 5
  • 6. Partecipante (2): Ti pone due strade, sei tu che scegli quale. Nel duale le due strade sono: di ascoltare più il cuore o di ascoltare più l'ego. Soggetto: Ma che tu abbandoni il coltello o che tu colpisca, entrambe le strade hanno radice nella Coscienza, perché senza la Coscienza tu non potresti né abbandonare il coltello né colpire. E allora, nella sua essenza, la Coscienza è responsabile dell'uno e dell'altro e quindi, è anche assassina; è santa ed assassina. Ma voi insorgete, perché per voi non è possibile mettere insieme il santo e l'assassino, in quanto il santo è il bene, l'assassino è il male. Invece per la Coscienza essere santa ed essere assassina è una profonda realtà. Partecipante (2): E quando voi dite che la Coscienza è amore, in questo amore ci sono queste due facce? Soggetto: Nell'amore c'è soltanto l'amore; non c'è né santità né crudeltà; nell'amore c'è solo l'amore e basta. Ma se si utilizzano gli occhi e le categorie umane, si arriva a concludere che la Coscienza è santa ed è assassina. Però, per la Coscienza, l'essere santa e l'essere assassina non significa nulla; è soltanto una concettualizzazione umana a cui si arriva radicalizzando i concetti che voi applicate nel duale. E poiché questi concetti non trovano spazio nel mondo della Coscienza, tutto questo ragionamento serve per sfatare un mito, ed il mito è che l'amore non comprende anche l'odio. L'amore non comprende anche il non-amore, cioè l'amore non è anche quello che voi chiamate non-amore, ed è per questo che qui diciamo e ripetiamo che la Coscienza è santa ed è assassina, certamente, però non nel modo con cui voi lo intendete, ma nel modo di chi è andato al di là della mente. Partecipante (1): Prima si diceva che uno sente come deve agire, ma come si fa a distinguere se quel sentire nasce dalla Coscienza o da quella che a noi hanno insegnato essere la "nostra" coscienza? Soggetto: Rispondere vuol dire parlarvi di quali sono i segni che appaiono nel momento in cui la non-mente si afferma. Qui posso solo anticipare sinteticamente che, quando la non-mente si afferma, l’individuo non ha più attaccamenti, non lo colpisce 6
  • 7. un'offesa, non lo colpisce chi non lo considera, non lo colpisce chi lo disprezza, non lo colpisce se una sua idea viene presa e viene trasformata come propria e presentata agli altri come propria e non lo colpisce se qualcuno parla di lui in modo piuttosto brutale. Questo, per esempio, è un segno per capire di essere giunti alla non-mente, e tutto il resto parla sempre secondo la modalità del duale che, in quanto tale, non è da disprezzare o non è da negare, ma è comunque appartenente al mondo del duale, cioè a quello del passo dopo passo. E, quindi, ciò che in quel momento tu consideri espressione del tuo livello di consapevolezza, accettalo, accettalo, magari non è questo, ma attraverso l'esperienza tu impari anche quando ciò che consideri frutto della tua consapevolezza è in realtà frutto di qualcos'altro. Non importa, tu impari anche attraverso questo. Invece, l'azione senza pensiero parte da un'altra premessa nella quale uno non è più ed ogni offesa non tocca nulla di lui, visto che lui non è più nulla. Questo è il segno per cui la non-mente lo riguarda come realtà. Ora provo ad andare avanti e vi provocherò un altro poco, perché dobbiamo arrivare ad un punto nel quale tutte le vostre strutture concettuali devono naufragare. Ma se la Coscienza mette il pugnale ed fa anche sì che il braccato non possa sfuggire, allora la Coscienza recita una parte e contemporaneamente recita un'altra parte: quindi è la Coscienza che gioca le parti, e quindi voi non siete. Ma qualcuno potrebbe domandare: “Perché recita le parti?". E’ questo il mistero! Sì, recita le parti, e ogni cosa che voi fate è un copione recitato dalla Coscienza, e colui che offendete è sempre la Coscienza, e l'azione dell'offesa è sempre la Coscienza, e il ritorno dell'offesa è sempre la Coscienza. E se voi invece accettate l'offesa è sempre la Coscienza, e se voi invece ritorcete contro altri l'offesa subita è ancora sempre la Coscienza che si riveste di tante parti e che recita questo strano poema che è la tragica storia o la felice storia - dipende dai punti di vista - dell'umanità. Ma allora perché mai vi parliamo di voi come esseri che devono trasformarsi, modificarsi e alfine fare il salto se tutto è Coscienza e 7
  • 8. se ogni gesto è Coscienza e se ogni azione è Coscienza e se ogni pensiero è Coscienza e se tutto questo dramma non è altro che tante parti recitate dalla Coscienza? Ora provo a dirvelo in modo provocatorio: ma chi siete voi che pretendete di essere soggetti assolutamente legati alla propria individualità? Ma chi pretendete di essere? Eppure voi volete che la spiegazione torni a voi secondo i vostri concetti e secondo i vostri schemi in modo da poter continuare a dire: "Ma io sono! Io sono colui che è protagonista". Perché mai avete bisogno che io confermi le vostre ipotesi sul funzionamento del cosmo e sul funzionamento dell'umanità, questo vostro bisogno che chiede a me di dirvi: “oh figli cari, quanto siete protagonisti e quanto siete determinanti nel processo evolutivo!”? Ma quale processo evolutivo? Ma quale protagonismo? Tutto è Coscienza e quindi voi non siete, ed è su questo che continueremo a puntare il dito per ripetervi che ciò che accade non accade, ciò che voi siete non è, ma tutto è Coscienza, basta aprire gli occhi e levarsi l'idea che voi siate qualcosa. Domanda: Partecipante (3): Che cosa succede quando un fatto si impone a noi nella sua veste di destino? Per noi esiste un destino e dentro il destino non c'è scappatoia. Soggetto: L'obiezione più comune, quando si parla di destino, è quella di portare in campo l'esperienza che ognuno fa, che è quella che in ogni istante o in molti istanti della propria vita voi scegliete questo piuttosto che quello, attuate una cosa piuttosto che un'altra, vi radicate in certe convinzioni piuttosto che in altre, andate da una parte piuttosto che da un'altra, cominciate un lavoro o l'abbandonate, scegliete di stare in un certo luogo oppure andate in un altro. Però non è interessante stabilire se queste sono tappe forzate o se queste corrispondono a delle possibilità che ha un uomo. Si può arrivare ad ammettere che un uomo può cogliere degli elementi di libertà nel suo agire quotidiano, mentre non si 8
  • 9. può ammettere che il percorso evolutivo dell'uomo presenti delle libertà quando finalmente in lui si abdica alla mente. In quel momento non c'è libertà, perché quell’individuo non aderisce a nulla, non sceglie nulla ed in lui si esprime soltanto la Coscienza. Dove sta la vostra libertà, che per noi è invece la vostra rinuncia ad essere liberi? Ciò che voi chiamate libertà sta proprio in quel dualismo che vi spinge in continuazione a dire: "Io scelgo” oppure “Io rinuncio a qualcosa e sviluppo altro", mentre questa è la negazione della libertà. La vera libertà sta proprio dove non c'è più identificazione ed in quel momento non ci si attacca a nulla, non si è presi dagli avvenimenti, non si è coinvolti dalle emozioni, non si è trascinati da una parte e dall'altra dicendo a se stessi che si sceglie. No, non si sceglie, e in ciò sta la grande libertà; non si sceglie e in questo è la realizzazione del destino, che non è destino ma che è l'essere in quanto tale. La vera libertà sta nella rinuncia ad essere ciò che ci si immagina, e non perché ci si rinunci ma perché accade che non ci si attacchi più. Ed accade certamente anche perché si è accettato per un pezzo del proprio cammino di praticare forme e modi che portano a distaccarsi. Ma quando poi si realizza il salto, non c'è più forma, non ci sono più modi, è soltanto la Coscienza che agisce e che non sceglie perché non può scegliere. Ed allora tutto ciò che a voi oggi appare come avvenimento diventa soltanto un aspetto che può essere e che può non essere, dipende! Invece, per l'uomo che ha la mente, ciò che egli fa esprime talvolta il suo grado di libertà e talvolta il suo grado di dipendenza. Non è vero che l'uomo, quando sceglie, è libero. Molte volte, anche nella dualità, egli è preda di emozioni, egli è preda di pensieri, egli è preda dell'azione degli altri, egli è preda dei pensieri degli altri oppure è preda delle proprie aspettative. Quindi, non è vero che l'uomo è libero, ma se lo racconta, Benché sia vero che in taluni casi l'uomo esprime anche la libertà, perché nel duale c'è libertà e c'è non libertà: l'uno e l'altro. Però più spesso l'uomo non è libero, neanche nel duale, proprio perché ciò che immagina come libertà è invece il risultato 9
  • 10. di processi che egli non considera e di avvenimenti a cui egli soggiace. La vera libertà - per l'uomo che sta nel relativo e che non è giunto alla non-mente - è accettare che la propria libertà venga sfatta, e quindi accettare pian piano di conoscere i propri limiti e di vedere le proprie scelte come profondamente vincolate o come profondamente condizionate da ciò che egli è, cioè da ciò che egli ha maturato fino a quel momento. E quindi le sue scelte saranno sicuramente legate alle proprie imperfezioni, alle proprie insufficienze ed alle proprie limitazioni, ed in questo non è libero, e tuttavia egli si può pensare come libero se sposta lo sguardo sui fatti e dimentica chi è, e dimentica i suoi limiti, e dimentica il suo avvinghiarsi. Ma quando l'uomo scopre il proprio avvinghiarsi, allora desidera abbandonarlo, e in questo desiderio di abbandonarlo comincia a sorgere la vera libertà, perché la libertà sta nell'abbandonare il suo avvinghiarsi e nel cedere alla Coscienza. Lì sta la vera libertà, tutto il resto è condizionamento. Figli cari, come vedete, ciò che l'uomo definisce libertà nella maggior parte dei casi è condizionamento ai propri istinti, alle proprie pulsioni, alle proprie sensazioni, ai propri pensieri, alle leggi della società, alle leggi che un gruppo si è dato o alle aspettative degli altri; per cui ciò che per l’uomo è libertà è invece la sua paura: la paura di perdere, di perdere se stesso. Perché la vera libertà nasce nel momento in cui uno decide che non vuole più identificarsi con se stesso, con le proprie pulsioni, con i propri desideri o con le proprie aspettative. E a quel punto il destino si rivela in tutta la sua bellezza ed in tutta la sua magnificenza e diventa ciò che lo solleva dal peso del proprio io. Allora, in quel momento, l’uomo non può più identificare la Coscienza come parzialità, non può più identificare la Coscienza come assassina o come santa, ma la Coscienza è ciò a cui quell’uomo appartiene nel proprio dissolversi. Ed allora santità o criminalità non diventano più parole che contano, poiché nel realizzarsi della Coscienza tutto è! 10