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Sin city è un film del 2005 diretto da
Robert Rodriguez e da Frank Miller (e
special guest Quentin Tarantino).Tratto
dall’omonima serie di Graphic Novel dello
stesso Frank Miller che, nata nel 1991 e
arrivata nel corso degli anni a contare 7
volumi, edita dalla Dark House Comics è
divenuta un vero e proprio fenomeno cult.
Miller, rimasto affascinato dal progetto
del regista ha collaborato come co-
sceneggiatore e co-regista. Quello di
portare al cinema Sin City era un vecchio
sogno di Rodriguez, sogno visionario che
ha realizzato nella maniera più completa
che si potesse pensare grazie alle
tecnologie digitali, girando tutto il film con
attori in carne ed ossa su un set fatto
interamente in green screen.
La pellicola è divisa in tre episodi, che
raccontano tre storie dell’opera originale
di Miller: un duro addio, Quel bastardo
giallo e Un’abbuffata di morte. All’inizio e
alla fine del film viene accennata la parte
che nel fumetto corrisponde a Il cliente ha
sempre ragione.
La prima storia appare originariamente
sulle pagine di Dark House Presents,
la rivista della Dark House Comica tra
l’aprile 1992 e il giugno 1992, con il
semplice titolo di Sin City, realizzato in
2 parti. Dato l’immediato successo, il
racconto è stato rapidamente
ristampato nel gennaio ’93 con il titolo
Sin City (The hard goodbye). Sin City,
si presenta come un fumetto d’autore
a tutti gli effetti, al di fuori della
produzione mainstream americana, ed
è per lo più suddiviso in tre storie
singole o mini-serie, comunque non
inquadrate in una collana editoriale
regolare.
Il fumetto, caratterizzato
da atmosfere in bilico tra
un violento stile dark e un
raffinato stile noir, e che
prende spunto dalla
letteratura hard-boiled, da
prodotto di nicchia è
riuscito ad affermarsi tra
un vasto pubblico.
Il film di Rodriguez porta, trasporta fedelmente le
tavole di Miller, il suo stile, le sue atmosfere, i
suoi dialoghi, i suoi personaggi e i loro costumi
dalla carta stampata al grande schermo. Non
adatta, non traduce, non traspone: sposta,
cambia il medium senza cambiare il messaggio
né tanto meno il suo contenuto.
Miller non aveva nessuna intenzione di piegare il
fumetto alle esigenze cinematografiche, non ha
voluto rendere la storia più fluida, umanizzare
ulteriormente i personaggi, conquistare lo
spettatore. È come se Sin City non fosse un film,
ma è il fumetto che invece di leggerlo tenendolo
in mano, sfogliamo sul grande schermo.
Le storie sono state un po’
stringate e alleggerite, ad
esempio la caratterizzazione di
Marv (come il fatto che venga dai
quartieri popolari si Sin City, i
Projects) e il rapporto con la
madre e la sua pistola, è un
tantino frettolosa e tralasciata, e
questo un po’ per tutta la durata
del film, cosa che può anche
disorientare chi non abbia
precedentemente letto la graphic
novel.
I ritmi narrativi dei volumi di Sin City
fanno sì che l’iperviolenza e le
immagini splatter siano ben
contestualizzate, ma nel film sono più
vicine per questioni di tempi
narrativi/cinematografici, sono molto
meno diluite nella storia,
appesantendo la componente della
violenza. Questo la dice lunga su
come possa cambiare la percezione di
una storia e dei suoi contenuti a
seconda del mezzo narrativo che si
utilizza per raccontarla.
Allo stile di Rodriguez si potrebbe benissimo affibbiare l’aggettivo
“fumettistico” e l’utilizzo che fa della macchina da presa è notevolmente
radicato in una rappresentazione che trova molti tratti in comune con le
tavole dei comics (le inquadrature dei personaggi, per fare un esempio,
oppure certe riprese delle sequenze d’azione).
Se c’è un aspetto in cui Sin City rasenta la perfezione è proprio l’impatto
visivo. Caratterizzato da dinamiche da noir, visionarietà barocca e indubbia
perizia tecnica, ci si possono ritrovare tutte le idee grafiche che hanno reso
grande il fumetto, a partire dall’utilizzo del bianco “ a contrasto” e dalla rare
esplosioni di colore, fino ad arrivare ai primi piani ossessivi e ai fondali scuri
e magnetici, che avvolgono l’immagine di una cupezza esasperata quanto
ricercata.
Come il fumetto, la pellicola è come già
detto interamente in bianco e nero, con
alcuni sprazzi di colore improvvisi per
accentuare dei particolari importanti e
simbolici, una tecnica simile a quella
usata da Steven Spielberg in Schindler’s
List. Le sequenza a “colori” rispettano
quelle del fumetto originale, che
anch’esso presenta alcune vignette con
aggiunte cromatiche per evidenziare
alcune caratteristiche sia emotive che
fisionomiche. Talvolta appaiono il colore
rosso, il colore giallo e il colore azzurro
degli occhi di Alexis Bledel.
Dotata di ritmi narrativi piuttosto
sostenuti, la narrazione fa un grande
utilizzo della voce interiore che da peso
al racconto ma anticipa spesso i colpi di
scena.
Tutte le storie si svolgono a Basin City, una città basata sul vizio che si è
guadagnata il soprannome di Sin City, quintessenza del marcio, della
corruzione, della violenza e delle depravazioni che caratterizzano le
società metropolitane. Vediamo le vie buie e piovose, i vicoli lerci, i locali
d’infimo ordine, gli squallidi appartamenti; mentre arroccati nelle loro
fortezze i potenti senza scrupolo che la governano li osservano da lontano
(Consueti riferimenti anticlericali, con un cardinale con un debole per le
prostitute e un figlio torturatore).
Sin City è un luogo oscuro in cui bene e male si fondono e si combattono,
un far-west postmoderno abitato da poliziotti corrotti, bellissime prostitute
agguerrite, malavitosi, ed eroi dal grilletto facile e dagli ideali puri e
irrealizzabili. Le atmosfere ricreate sono dirette discendenti dal noir degli
anni ‘40, così come i personaggi estremi e di grande impatto, le cui
interpretazioni sono curate da un cast d’eccezione.
Quello di Sin City un luogo senza tempo, dove le strade bagnate e i
dialoghi fatti di frasi smozziconate riportano agli anni ’50, ma
l’abbigliamento è moderno e le auto spaziano dagli anni ’30 alle Ferrari.
Non serve eccessiva introspezione psicologica (peraltro superficiale anche
nell’opera di Miller) per infondere carisma e istantaneo affiatamento nella
percezione dei personaggi che appartengono ad un mondo più distante di
quanto si creda da quello cinematografico.
Il volto limaccioso di Marv, la sua violenza che esplode inaspettatamente, la
voce così roca e vissuta, sono estremamente fedeli al fumetto.
I personaggi, trascinati da passioni violente, sacrifici estremi e che
condiscono il tutto con ironia e violenza, lasciano trapelare forti passioni e
pare non nascondano nulla di buono, ma in realtà conoscono alla perfezione
il limite tra il bene e il male. Le donne mozzafiato sono prostitute armate, che
si aggirano per le strade difendendo il loro territorio, la loro indipendenza
dalla mala, dai poliziotti corrotti. Difendendo una sorta di patto in cui
basterebbe un torto fatto a questi ultimi per scatenare la guerra.
Nonostante il film sia suddiviso in tre storie, i personaggi sono ricorrenti e ci
sono frequenti intrecci tra storie pur indipendenti tra loro. Nello stesso locale
in cui va a bere Marv, troviamo la cameriera Shelly, Dwight, Nancy e
Hartigan, e lo spettatore ne prende familiarità.
Sin City si aggiudica svariati premi,
tra qui quello del miglior cast, vista
la presenza di star del calibro di
Mickey Rourke, Bruce Willis,
Jessica Alba, Brittany Murphy,
Benicio del Toro, Rosario Dawson,
Elijah Wood e Josh Harnett.
Il film è completamente girato in digitale, e ha un’ambientazione quasi
completamente virtuale (le sole tre scenografie realizzate realmente sono
quelle del bad di Sin City, della casa di Shelly e dell’ospedale). Gli attori
hanno recitato davanti al green screen, utilizzando la tecnica del Chroma
Key con la quale è possibile aggiungere successivamente la scenografia,
che in questo caso è realizzata completamente in digitale.
È stato scelto di non virtualizzare i
protagonisti, affidandosi al ben più
tradizionale trucco in caso di necessità (vedi
il caso di Marv e del Bastardo Giallo). I
protagonisti di Sin City, con il loro
debordante carico di umanità, non
avrebbero potuto essere nemmeno
parzialmente virtuali. Rodriguez ha capito
quindi sia le potenzialità del digitale che i
suoi migliori campi di utilizzo, senza mai
dimenticare la centralità dell’elemento
umano nell’atto attoriale.
L’innovazione e l’originalità risiedono non
tanto nell’esteso utilizzo del green screen e
di effetti di computer graphics, ormai
elementi basilari nella maggior parti delle
grandi produzioni hollywoodiane, quanto
nella resa grafica, o piuttosto nell’intero
impianto visivo, che è stato realizzato in
fase di post-produzione.
L’apporto di Miller risulta fondamentale persino nei
dettagli, nelle luci che scheggiano la città come
lampi immobili, nei colori degli occhi evidenziati
all’estremo, nelle rappresentazioni surreali delle
uccisioni. Ogni fotogramma è una vera e propria
tavola disegnata, in cui le evidenze realistiche delle
classiche immagini cinematografiche vengono
soppresse a favore delle tonalità cromatiche e
dell’utilizzo smodato di luci e ombre.
Nel suo essere digitali, digitalmente disegnata, la
Sin City cinematografica è infatti ancora più vicina
come essenza e filosofia a quella disegnata con
matite e chine; in questo modo l’impalpabilità e
l’illusorietà del virtuale cinematografico si sposano
con quelle del fumetto.
Il film è dunque un’opera che nel suo forte ma mai
eccessivo utilizzo delle tecnologie digitali è un
ottimo esempio, quasi sperimentale, delle
prospettive e delle possibilità del cinema del futuro.
L’operazione del film, se da un lato denota
un rispetto incredibile per l’originale
stabilendo una nuova, pesantissima pietra di
paragone per i rapporti tra cinema e fumetto,
dall’altro si rivela anche coraggiosa. Così
facendo il regista texano ha lasciato il fianco
scoperto alla più facile delle critiche, quella di
non aver fatto il minimo sforzo per
cinematizzare l’opera di Miller. Una critica alla
quale intelligentemente Rodriguez si è
esposto senza timore, forte della convinzione
che nulla dell’opera di partenza poteva essere
migliorato o reso più adatto per il grande
schermo. Opera già cinematografica di per
sé, con il suo evocare, esaltare ed
estremizzare l’estetica e l’ideologia del noir
hollywoodiano, ogni possibile variazione di
Rodriguez rispetto all’originale sarebbe stata
superflua, criticabile e perfino dannosa.

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  • 1.
  • 2. Sin city è un film del 2005 diretto da Robert Rodriguez e da Frank Miller (e special guest Quentin Tarantino).Tratto dall’omonima serie di Graphic Novel dello stesso Frank Miller che, nata nel 1991 e arrivata nel corso degli anni a contare 7 volumi, edita dalla Dark House Comics è divenuta un vero e proprio fenomeno cult. Miller, rimasto affascinato dal progetto del regista ha collaborato come co- sceneggiatore e co-regista. Quello di portare al cinema Sin City era un vecchio sogno di Rodriguez, sogno visionario che ha realizzato nella maniera più completa che si potesse pensare grazie alle tecnologie digitali, girando tutto il film con attori in carne ed ossa su un set fatto interamente in green screen. La pellicola è divisa in tre episodi, che raccontano tre storie dell’opera originale di Miller: un duro addio, Quel bastardo giallo e Un’abbuffata di morte. All’inizio e alla fine del film viene accennata la parte che nel fumetto corrisponde a Il cliente ha sempre ragione.
  • 3. La prima storia appare originariamente sulle pagine di Dark House Presents, la rivista della Dark House Comica tra l’aprile 1992 e il giugno 1992, con il semplice titolo di Sin City, realizzato in 2 parti. Dato l’immediato successo, il racconto è stato rapidamente ristampato nel gennaio ’93 con il titolo Sin City (The hard goodbye). Sin City, si presenta come un fumetto d’autore a tutti gli effetti, al di fuori della produzione mainstream americana, ed è per lo più suddiviso in tre storie singole o mini-serie, comunque non inquadrate in una collana editoriale regolare.
  • 4. Il fumetto, caratterizzato da atmosfere in bilico tra un violento stile dark e un raffinato stile noir, e che prende spunto dalla letteratura hard-boiled, da prodotto di nicchia è riuscito ad affermarsi tra un vasto pubblico.
  • 5. Il film di Rodriguez porta, trasporta fedelmente le tavole di Miller, il suo stile, le sue atmosfere, i suoi dialoghi, i suoi personaggi e i loro costumi dalla carta stampata al grande schermo. Non adatta, non traduce, non traspone: sposta, cambia il medium senza cambiare il messaggio né tanto meno il suo contenuto. Miller non aveva nessuna intenzione di piegare il fumetto alle esigenze cinematografiche, non ha voluto rendere la storia più fluida, umanizzare ulteriormente i personaggi, conquistare lo spettatore. È come se Sin City non fosse un film, ma è il fumetto che invece di leggerlo tenendolo in mano, sfogliamo sul grande schermo.
  • 6. Le storie sono state un po’ stringate e alleggerite, ad esempio la caratterizzazione di Marv (come il fatto che venga dai quartieri popolari si Sin City, i Projects) e il rapporto con la madre e la sua pistola, è un tantino frettolosa e tralasciata, e questo un po’ per tutta la durata del film, cosa che può anche disorientare chi non abbia precedentemente letto la graphic novel.
  • 7. I ritmi narrativi dei volumi di Sin City fanno sì che l’iperviolenza e le immagini splatter siano ben contestualizzate, ma nel film sono più vicine per questioni di tempi narrativi/cinematografici, sono molto meno diluite nella storia, appesantendo la componente della violenza. Questo la dice lunga su come possa cambiare la percezione di una storia e dei suoi contenuti a seconda del mezzo narrativo che si utilizza per raccontarla.
  • 8. Allo stile di Rodriguez si potrebbe benissimo affibbiare l’aggettivo “fumettistico” e l’utilizzo che fa della macchina da presa è notevolmente radicato in una rappresentazione che trova molti tratti in comune con le tavole dei comics (le inquadrature dei personaggi, per fare un esempio, oppure certe riprese delle sequenze d’azione).
  • 9. Se c’è un aspetto in cui Sin City rasenta la perfezione è proprio l’impatto visivo. Caratterizzato da dinamiche da noir, visionarietà barocca e indubbia perizia tecnica, ci si possono ritrovare tutte le idee grafiche che hanno reso grande il fumetto, a partire dall’utilizzo del bianco “ a contrasto” e dalla rare esplosioni di colore, fino ad arrivare ai primi piani ossessivi e ai fondali scuri e magnetici, che avvolgono l’immagine di una cupezza esasperata quanto ricercata.
  • 10. Come il fumetto, la pellicola è come già detto interamente in bianco e nero, con alcuni sprazzi di colore improvvisi per accentuare dei particolari importanti e simbolici, una tecnica simile a quella usata da Steven Spielberg in Schindler’s List. Le sequenza a “colori” rispettano quelle del fumetto originale, che anch’esso presenta alcune vignette con aggiunte cromatiche per evidenziare alcune caratteristiche sia emotive che fisionomiche. Talvolta appaiono il colore rosso, il colore giallo e il colore azzurro degli occhi di Alexis Bledel. Dotata di ritmi narrativi piuttosto sostenuti, la narrazione fa un grande utilizzo della voce interiore che da peso al racconto ma anticipa spesso i colpi di scena.
  • 11. Tutte le storie si svolgono a Basin City, una città basata sul vizio che si è guadagnata il soprannome di Sin City, quintessenza del marcio, della corruzione, della violenza e delle depravazioni che caratterizzano le società metropolitane. Vediamo le vie buie e piovose, i vicoli lerci, i locali d’infimo ordine, gli squallidi appartamenti; mentre arroccati nelle loro fortezze i potenti senza scrupolo che la governano li osservano da lontano (Consueti riferimenti anticlericali, con un cardinale con un debole per le prostitute e un figlio torturatore). Sin City è un luogo oscuro in cui bene e male si fondono e si combattono, un far-west postmoderno abitato da poliziotti corrotti, bellissime prostitute agguerrite, malavitosi, ed eroi dal grilletto facile e dagli ideali puri e irrealizzabili. Le atmosfere ricreate sono dirette discendenti dal noir degli anni ‘40, così come i personaggi estremi e di grande impatto, le cui interpretazioni sono curate da un cast d’eccezione. Quello di Sin City un luogo senza tempo, dove le strade bagnate e i dialoghi fatti di frasi smozziconate riportano agli anni ’50, ma l’abbigliamento è moderno e le auto spaziano dagli anni ’30 alle Ferrari.
  • 12. Non serve eccessiva introspezione psicologica (peraltro superficiale anche nell’opera di Miller) per infondere carisma e istantaneo affiatamento nella percezione dei personaggi che appartengono ad un mondo più distante di quanto si creda da quello cinematografico. Il volto limaccioso di Marv, la sua violenza che esplode inaspettatamente, la voce così roca e vissuta, sono estremamente fedeli al fumetto. I personaggi, trascinati da passioni violente, sacrifici estremi e che condiscono il tutto con ironia e violenza, lasciano trapelare forti passioni e pare non nascondano nulla di buono, ma in realtà conoscono alla perfezione il limite tra il bene e il male. Le donne mozzafiato sono prostitute armate, che si aggirano per le strade difendendo il loro territorio, la loro indipendenza dalla mala, dai poliziotti corrotti. Difendendo una sorta di patto in cui basterebbe un torto fatto a questi ultimi per scatenare la guerra. Nonostante il film sia suddiviso in tre storie, i personaggi sono ricorrenti e ci sono frequenti intrecci tra storie pur indipendenti tra loro. Nello stesso locale in cui va a bere Marv, troviamo la cameriera Shelly, Dwight, Nancy e Hartigan, e lo spettatore ne prende familiarità.
  • 13. Sin City si aggiudica svariati premi, tra qui quello del miglior cast, vista la presenza di star del calibro di Mickey Rourke, Bruce Willis, Jessica Alba, Brittany Murphy, Benicio del Toro, Rosario Dawson, Elijah Wood e Josh Harnett.
  • 14. Il film è completamente girato in digitale, e ha un’ambientazione quasi completamente virtuale (le sole tre scenografie realizzate realmente sono quelle del bad di Sin City, della casa di Shelly e dell’ospedale). Gli attori hanno recitato davanti al green screen, utilizzando la tecnica del Chroma Key con la quale è possibile aggiungere successivamente la scenografia, che in questo caso è realizzata completamente in digitale.
  • 15. È stato scelto di non virtualizzare i protagonisti, affidandosi al ben più tradizionale trucco in caso di necessità (vedi il caso di Marv e del Bastardo Giallo). I protagonisti di Sin City, con il loro debordante carico di umanità, non avrebbero potuto essere nemmeno parzialmente virtuali. Rodriguez ha capito quindi sia le potenzialità del digitale che i suoi migliori campi di utilizzo, senza mai dimenticare la centralità dell’elemento umano nell’atto attoriale. L’innovazione e l’originalità risiedono non tanto nell’esteso utilizzo del green screen e di effetti di computer graphics, ormai elementi basilari nella maggior parti delle grandi produzioni hollywoodiane, quanto nella resa grafica, o piuttosto nell’intero impianto visivo, che è stato realizzato in fase di post-produzione.
  • 16. L’apporto di Miller risulta fondamentale persino nei dettagli, nelle luci che scheggiano la città come lampi immobili, nei colori degli occhi evidenziati all’estremo, nelle rappresentazioni surreali delle uccisioni. Ogni fotogramma è una vera e propria tavola disegnata, in cui le evidenze realistiche delle classiche immagini cinematografiche vengono soppresse a favore delle tonalità cromatiche e dell’utilizzo smodato di luci e ombre. Nel suo essere digitali, digitalmente disegnata, la Sin City cinematografica è infatti ancora più vicina come essenza e filosofia a quella disegnata con matite e chine; in questo modo l’impalpabilità e l’illusorietà del virtuale cinematografico si sposano con quelle del fumetto. Il film è dunque un’opera che nel suo forte ma mai eccessivo utilizzo delle tecnologie digitali è un ottimo esempio, quasi sperimentale, delle prospettive e delle possibilità del cinema del futuro.
  • 17. L’operazione del film, se da un lato denota un rispetto incredibile per l’originale stabilendo una nuova, pesantissima pietra di paragone per i rapporti tra cinema e fumetto, dall’altro si rivela anche coraggiosa. Così facendo il regista texano ha lasciato il fianco scoperto alla più facile delle critiche, quella di non aver fatto il minimo sforzo per cinematizzare l’opera di Miller. Una critica alla quale intelligentemente Rodriguez si è esposto senza timore, forte della convinzione che nulla dell’opera di partenza poteva essere migliorato o reso più adatto per il grande schermo. Opera già cinematografica di per sé, con il suo evocare, esaltare ed estremizzare l’estetica e l’ideologia del noir hollywoodiano, ogni possibile variazione di Rodriguez rispetto all’originale sarebbe stata superflua, criticabile e perfino dannosa.