SlideShare ist ein Scribd-Unternehmen logo
1 von 7
Downloaden Sie, um offline zu lesen
Amadeus 
Periodico di cultura musicale edito da Paragon edizioni 
Anno XXVI numero 7 (296) luglio 2014 
Direttore responsabile Gaetano Santangelo 
In copertina, Domenico Mason, Lea Birringer, 
Laura Bortolotto (Foto di Renato Bianchini) 
Karajan-Kleiber: doppio 
anniversario per due 
40 
direttori d'orchestra entrati nel mito. 
Entrambi austriaci, personalità 
e scelte professionali opposte 
Christoph Willibald Gluck: 
con il temperamento 
46 
“selvaggio” delle sue opere 
il compositore di “Orfeo ed Euridice” 
scardinò le regole del melodramma 
Paolo Fresu: incontro con 
il celebre jazzista italiano, 
50 
il cui percorso si avvicina sempre più 
spesso a formazioni e autori "classici” 
da Monteverdi a Richard Strauss 
> Amadeus è su internet www.amadeusonline.net 
Rubriche 
7 agorà 
di Luca Cerchiari 
9 in scena 
a cura di Nicoletta Lucatelli 
19 calendario 
25 fondazione amadeus 
26 appunti 
74 note di viaggio 
a cura di Nicoletta Lucatelli 
78 musicaoggi 
80 antica 
a cura di Massimo Rolando Zegna 
81 jazz 
a cura di Franco Fayenz 
82 fuoritema 
a cura di Riccardo Santangelo 
83 scaffale 
a cura di Paola Molfino 
84 libri 
89 cd e video 
a cura di Massimo Rolando Zegna 
Servizi 
30 cd 1 
Federigo Fiorillo 
di Davide Pitis 
33 cd 1 
Domenico Mason 
di Claudia Abbiati 
37 cd 2 
Marco Sollini 
di Claudia Abbiati 
40 Karajan-Kleiber 
di Valerio Cappelli 
e Giovanni Gavazzeni 
46 Anniversari: Gluck 
di Paolo Gallarati 
50 Paolo Fresu 
di Andrea Milanesi 
53 Laurent Pelly 
di Guy Cherqui 
56 Festival Spoleto-Fendi 
di Nicoletta Lucatelli 
59 Miloš Karadaglič 
di Maurizio Corbella 
62 Piet Mondrian 
di Paolo Bolpagni 
66 Strumenti alternativi 
di Giuseppe Scuri 
70 Brunello Rondi 
di Marco Ranaldi 
cd 1 Federigo Fiorillo 
Concerti e Sinfonie concertanti 
Lea Birringer e Laura Bortolotto, violini 
Luca Vignali e Stefano Rava, oboi 
Accademia d'Archi Arrigoni 
Domenico Mason, direttore 
guida all’ascolto di Davide Pitis 
Sommario 
cd 2 download digitale 
I Valzer di Chopin 
Marco Sollini, pianoforte 
codice SW296BR14 
(a pag. 39 le modalità per scaricare il cd 2) 
P_1274_205x32_Amadeus_piede_Bolle_Cane2righe.indd 1
karajan (1908 -1989) – Kleiber (1930 - 2004) 
Il fattore K 
Karajan Paumgartner, ebbe parola su tutto, creandosi un suo mono-festival 
Con la nomina a direttore a vita dei Berliner 
40 
Philharmoniker (1955-89), alla morte del suo più 
acerrimo detrattore, Wilhelm Furtwängler, il 
regno di Herbert von Karajan si estese alle più importanti 
capitali musicali d’Europa: Vienna, direttore musicale e 
galvanizzatore dei Wiener Symphoniker; Londra, direttore 
musicale della Philharmonia Orchestra, compagine 
formidabile per intonazione e qualità che Walter Legge 
gli costruì su misura; Milano, presenza fissa e trionfatore 
non solo per le opere tedesche al Teatro alla Scala; 
Lucerna, dominus del Festival per trent’anni. Con l’ultimo 
gioiello berlinese la corona di Heribert Ritter von Karajan 
(scomparso il 16 luglio di 25 anni fa) divenne quella di 
un monarca assoluto, che si arricchì di ulteriori gemme: 
la Wiener Staatsoper (1957-64) e il Festival di Salisburgo 
(1956-89), nel cui ambito, dopo essersi disfatto del direttorio 
presieduto dal suo maestro di composizione, Bernhard 
Doppio anniversario per due 
direttori d’orchestra entrati 
nel mito. Austriaci entrambi, 
personalità e scelte professionali 
completamente diverse: i volti 
opposti di una stessa medaglia 
di GIOVANNI GAVAZZENI 
nel periodo di Pasqua, quasi una anti-Bayreuth, per 
realizzare il “suo” mirabile Wagner. 
Niente male per un artista che alla fine della Seconda 
guerra mondiale era dovuto riparare nell’anonimato a Milano 
e a Trieste in casa di amici fidati (il conte Attilio Smecchia 
e la famiglia del barone Goffredo De Banfield), per subire 
poi in patria un non lieve processo di denazificazione (con 
incluso divieto di dirigere in pubblico fino al ’48). La sua 
fedina era segnata dall’iscrizione al Partito nazionalsocialista, 
“tessera” presa ben prima dell’Anschluss (poco importa se 
nel ’33 o nel ’35, e, come affermano gli agiografi, non per fede 
ideologica ma per calcolo o necessità carrieristica). Sono anni 
in cui il talento di Karajan esplode: nel ’34, a soli 26 anni, è il 
più giovane Generalmusikdirektor del Terzo Reich ad Aachen 
(Aquisgrana), dove una sua Elektra destò l’ammirazione 
dell’autore presente, Richard Strauss. Per un eclatante Tristan 
und Isolde che gli apre le porte della Staatsoper di Berlino 
(teatro che era sotto l’egida diretta del Maresciallo Göring), 
la stampa conia l’epiteto di Miracolo Karajan (Wunder 
Karajan): da allora quel giovanotto di origini greco-armene 
sarà per Furtwängler la sua ombra di Banquo. Per farsi largo 
a quei tempi non bastavano tessere, relazioni altolocate o 
scaltrezza manovriera, come rampognava Furtwängler, 
ci voleva anche una dotazione naturale e Karajan era un
41 
fuoriclasse. Basti pensare che in Germania, partiti per le 
inique sanzioni razziali grandi direttori come Blech, Busch, 
Erich Kleiber, Klemperer, Walter, rimanevano sempre 
in posti chiave Böhm, Jochum, Knappertsbusch, Krauss, 
Rosbaud e Schuricht, per rimanere solo alla prima fila. 
L’uomo della provvidenza per Karajan fu il Direttore 
Artistico della Voce del Padrone, Legge. Questi piombò 
subito nella Vienna occupata dagli Alleati (quella del Terzo 
uomo di Graham Greene), incidendo con Karajan, i Wiener 
e i migliori cantanti rimasti (Maria Cebotari, Erich Kunz, 
Elizabeth Schwarzkopf), aggirando così il bando che vietava 
agli inquisiti di dirigere in pubblico. Alla revoca, Karajan 
era pronto per macinare concerti e registrazioni a ritmi 
forsennati. Dall’intesa con Legge e la Emi nasceranno 
dischi che hanno fatto storia (soprattutto nelle opere di 
Mozart e Richard Strauss). L’asse Vienna-Londra si ruppe 
nel ’60, quando Karajan diventò artista esclusivo Deutsche 
Grammophon e i suoi interessi lo portarono ad abbandonare 
sans souci il Mentore d’un tempo. Sugli anni di guerra e 
sui pellegrinaggi postbellici l’interessato stese un velo di 
reticenze e omissioni, allontanando in un alone di mistero 
ogni domanda imbarazzante. Circolarono però notizie 
utili: una disgrazia presso il Führer, causa un’esecuzione 
dei Meistersinger in cui un vuoto di memoria determinò 
un’ignominiosa interruzione dello spettacolo. Alla difesa 
non fu estranea la seconda moglie, Anita Gütermann, figlia 
di un facoltoso industriale con molte aderenze ed ebrea per 
un quarto secondo le aberranti classificazioni razziali (da 
cui divorziò, a bufera conclusa, nel ’58). Dal ’48 al ’55 un solo 
teatro non si piegò al Wunder Herbert: Bayreuth. Già nel ’50 
Wieland Wagner lo aveva invitato a dirigere il Tristan. Le 
frizioni non mancarono, da subito, e per i motivi più svariati: 
la pretesa di avere un bagno privato, quella di alzare il livello 
dell’orchestra o di provare con i cantanti usando registrazioni 
e di correggerli senza aspettare la conclusione della frase o 
del periodo, e soprattutto di avere il primato sulle decisioni 
in materia di cast. «Non potevamo affidare una segreteria 
a lui solo», ricorda nelle sue memorie Wolfgang Wagner, 
«così usava di soppiatto la carta intestata del Festival di 
Bayreuth inserendo la parola “Direzione” in testa». Non 
fu una buona idea quella di far condividere la guida del 
Ring a due personalità così diverse come Karajan e Hans 
Knappertsbusch, che non perdeva occasione per bersagliare 
il giovane collega con il suo sarcasmo mordace. Alla fine di 
una prova, dove Karajan suonava il pianoforte (e lo suonava 
magnificamente) e “Kna” dirigeva, «circostanza per se stessa 
eccezionale, stante la sua avversione al provare, il maestro 
scese verso il terzo livello della nostra buca. Karajan con 
una mano sul pianoforte, guardava in alto verso il suo 
confrère considerabilmente più alto nell’attesa di sentire
un apprezzamento». “Kna”, assestandogli una pacca sulla 
spalla, lo freddò: «Se da qualche parte si elemosina un posto 
da ripetitore, metterò una buona parola per te»”. Quando il 
rampante collega dirigeva a memoria, il decano commentava: 
«Io posso leggere la musica». 
Nel corso degli anni ’60 (secolo scorso) Karajan definì 
in maniera capillare la sua immagine. Fotografie patinate, 
capelli con i riflessi azzurrati, pose plastiche, occhi chiusi 
in mistico contatto con gli autori, abiti di grande eleganza. 
Scatti presi nei luoghi del jet-set: al timone del mega yacht 
42 
a Saint-Tropez, sulle nevi di Sankt Moritz, a bordo del 
jet privato pilotato personalmente. Nulla era lasciato al 
caso. E il culto della personalità accompagnò la vendita 
di centinaia di milioni di copie di dischi. Karajan ha 
eternato se stesso attraverso le incisioni e le riprese video 
(di cui fu pioniere e, manco a dirlo, esperto straordinario), 
perseguendo quello scopo con crescente determinazione, 
quasi un’ossessione, incidendo più volte gli stessi pezzi (non 
sempre migliorandone l’interpretazione). Ne sanno qualcosa 
i formidabili tecnici della Deutsche Grammophon svegliati 
ad alta notte dalla voce chioccia e inflessibile del Maestro che 
impartiva correzioni millimetriche e modifiche al balance. 
Sul versante operistico Karajan colse successi 
memorabili anche nel repertorio italiano: dalla Lucia 
scaligera con la Callas ai sontuosi Puccini (La bohème 
e Tosca), all’amato Verdi (Il trovatore, Don Carlo, Aida, 
Otello). Assunse anche l’onere della regia dei suoi 
spettacoli a Vienna e Salisburgo (quasi sempre oggetto di 
non poche critiche, stante anche il gusto non lieve del suo 
scenografo di fiducia, Günther Schneider-Siemssen). 
Il General Manager del Met, Rudolf Bing, colui il quale 
vinse le non poche riserve degli americani per l’ex tesserato 
Nasdap Karajan, riuscì a scritturarlo per il Ring a New 
York (non completato causa un clamoroso sciopero). Bing 
narra, con umorismo mitteleuropeo, le innumerevoli 
problematiche sorte già in fase preliminare con una varietà di 
intermediari: «Il manager personale e segretario, André von 
Mattoni, l’incaricato d’affari per i contratti, dottor Steffan; 
il suo agente artistico a Parigi, Michel Glotz, e il curatore 
delle faccende americane, Mister Peter Wilford». Difficile 
anche la trattativa diretta. «Lui è timido, come sono io: gli 
si offre una sigaretta, risponde che non fuma; gli si offre da 
Karajan da ascoltare 
In occasione del venticinquennale della morte, Warner 
Classics ha iniziato la pubblicazione in 12 cofanetti del-l’integrale 
(Official Remastered Edition) di tutte le regi-strazioni 
effettuate da Karajan per la Voce del Padrone - 
Emi, da quelle viennesi post-belliche (336180) alle famose 
Nove sinfonie di Beethoven di Londra (3373454), alle prime 
con i Berliner fino al 1960 (336234). Musica sinfonica e cora-le, 
escluse soltanto le opere complete. Soprattutto nel primo 
ventennio si trovano le registrazioni più preziose dal punto 
di vista interpretativo (i Valzer degli Strauss, le arie e i brani 
operistici). Deutsche Grammophon ha congiunto il ricor-do 
di Karajan con la ricorrenza dei 150 anni dalla nascita di 
Richard Strauss con un cofanetto Karajan-Strauss: 11 cd e 
un blu ray (4792686). In luglio arriva anche il primo ciclo 
beethoveniano con i Berliner, quello del 1963 (4793442), 
mentre è già disponibile una non meno monumentale Sym-phony 
Edition in 38 cd (4778005). g.g.
43 
bere, e non beve, “facciamo colazione insieme”, e lui non 
mangia mai a mezzogiorno». Questioni spinose saltano fuori 
come funghi: il Maestro scrittura un costumista (Georges 
Wakhévitch) senza preavvertire; contatta altri soprani per 
la “parte” di Brünnhilde irritando la regina del Met, Birgit 
Nisson, che già non ama lavorare con un uomo «privo di 
senso dell’umorismo»; esige un doppio cast completo. Però 
«quando vuole segue i cantanti in modo sublime, e in genere 
lo vuole», c’è sempre la fissazione “luci”. Karajan ordina al suo 
assistente Nikolaus Lehnhoff: «Luce su Wotan!». Il comando 
da questi passa al responsabile luci del Met, Rudy Kuntner, 
che lo trasmette in cabina-luci. Quando l’uomo in cabina 
domanda: «Chi è Wotan?», Bing fugge dalla sala. 
I detrattori di Karajan non mancavano di sottolineare la 
spregiudicatezza di scegliere voci troppo liriche per ruoli 
drammatici (ad esempio, Christa Ludwig come Kundry), 
dimenticando come questa scelta si inserisse in un disegno di 
alleggerimento delle opere di Wagner e Strauss (si pensi alla 
ricchezza di sfumature della Brünnhilde di Regine Crespin), 
il cui modello era stato il suo maestro, Clemens Krauss. 
E non bisogna dimenticare l’aiuto e la fiducia data a giovani 
solisti (Cristian Ferras e Anne-Sophie Mutter, Yo-Yo Ma, 
Antonio Meneses), accanto a storici sodalizi con Denis 
Brain, Gieseking, Gould, Lipatti, Fournier, Rostropovič e 
Weissenberg. La supposta scarsa attenzione alla musica 
contemporanea, a parte le mirabili incisioni dei più noti 
brani sinfonici di Schönberg, Berg e Webern, si smentisce 
scorrendo attentamente il suo repertorio utile anche 
per capire i gusti: non solo autori tedeschi – Hindemith, 
Orff, Blacher, Fortner, Einem – ma anche con frequenza, 
Bartók, Stravinskij (Sacre, Apollon e Sinfonia di salmi), 
Honegger; e negli anni della Philharmonie “prime” di Britten 
(War Requiem), Ligeti, Henze, Martin, Messiaen, Nono, 
Penderecki. Nel repertorio sinfonico sono storicizzati il “suo” 
Mozart, il titanico Beethoven, la famiglia Strauss, Brahms 
e Bruckner, Richard Strauss e Sibelius (e mirabili sortite nel 
decadentismo mahleriano). Più complesso il rapporto con il 
primo romanticismo (Schubert, Schumann e Mendelssohn). 
Comunque, si voglia o non si voglia, possiamo definire 
Karajan un re Mida dell’esecuzione musicale: nelle sue mani 
tutto diventava oro lucente. 
Kleiber 
di VALERIO CAPPELLI 
Chi era Carlos Kleiber e perché molti tra i maggiori 
direttori d’orchestra del mondo lo considerano come 
il più grande di tutti? Nel mondo della musica, tra gli 
anni ’70 e ’80, è diventato una leggenda. Quando a Berlino 
è uscito il documentario Traces to nowhere, che raccoglie 
le testimonianze di chi ci ha lavorato e lo ha conosciuto, 
l’intera vetrina del negozio Dussmann a Friedrichstraße 
(punto di riferimento discografico della città), ne dava conto. 
Ad alimentare la leggenda concorse la sporadicità dei suoi 
concerti e impegni operistici: l’assenza, si sa, aumenta la 
fama. Ma questo non basta a spiegare il “caso” Kleiber. 
Carlos Kleiber, di cui il 13 luglio ricorrono i dieci anni 
dalla morte (era nato nel 1930, ancora a luglio, il 3), ha 
diretto appena tredici opere: tre sono di Verdi, La traviata, 
Otello e Falstaff; poi Carmen di Bizet, Elektra di Richard 
Strauss, Die Fledermaus di Johann Strauss, Der Freischütz 
di Weber, Adriana Lecouvreur di Cilea, Wozzeck di Berg, 
Tristan und Isolde di Wagner. Poi due titoli di Puccini, La 
bohème e Madama Butterfly (che non volle più dirigere 
dopo il 1968 a Monaco) e Der Rosenkavalier di Strauss che 
fu il suo marchio di fabbrica e di cui si sono contate ben 120 
recite sotto la sua guida. Kleiber era affascinato da un’idea 
di Vienna che scaturisce dal Rosenkavalier, come un mondo 
scomparso che riemerge dalla nebbia. Strauss adopera 
elementi del lessico musicale del ’700, cita addirittura 
un tema della Zauberflöte ma poi li combina col valzer 
creando una cornice strumentale che forse soltanto nel ’900 
era possibile concepire. Insomma, inventa un linguaggio 
completamente artificiale, tutto centrato sul tema del tempo 
che scorre inavvertitamente ma inesorabilmente. L’ultima 
fiammata della tradizione musicale tedesca che rivive 
attraverso una elaborazione intellettuale raffinatissima, 
consapevole della crisi del linguaggio e dell’imminenza della 
fine che accompagnarono il ’900. 
Alla Scala fu protagonista, all’interno di questo stretto 
recinto di titoli in cui si esercitò nevroticamente, di alcune 
prime memorabili: 1975,Der Rosenkavalier; 1976, Otello; 
1970, Tristan und Isolde; 1979, La bohème. Quello che 
secondo i suoi stessi colleghi viene ritenuto il più grande
talento direttoriale del ’900 musicale non ha mai toccato il 
teatro musicale di Mozart né la Nona sinfonia di Beethoven. 
Franco Zeffirelli, con cui Kleiber ha collaborato in ben 
quattro produzioni (La traviata, La bohème, Carmen, Otello) 
cercò invano di convincerlo a dirigere il Don Giovanni, 
Kleiber gli rispose che di quell’opera sono belli solo l’inizio 
e la fine. Il regista tornò alla carica per Il trovatore, ma non 
ci fu nulla da fare. Ci riprovò con un titolo con cui si era già 
misurato, Falstaff. Gli rispose che non trovava di buon gusto 
la battuta finale, «tutto nel mondo è burla». «Ma è l’addio di 
Verdi al mondo», obiettò Zeffirelli. Kleiber: «Non è spiritoso, 
un artista che rappresenta se stesso non è corretto». 
Questa parsimonia, per usare un eufemismo, è vera fino a 
un certo punto. Da giovane, quando si faceva chiamare con 
lo pseudonimo di Carl Keller, Carlos non si risparmiò. Dopo 
un piccolo concerto a Montevideo, il vero debutto avvenne 
a Potsdam il 12 febbraio 1955, a 25 anni, nell’operetta 
Gasparòne di Karl Millöcker. A Düsseldorf (una delle due 
città tedesche in cui si formò, insieme con Stoccarda, dove 
acconsentì per la prima e unica volta in modo compiuto, 
nel 1970, a filmare le prove di un suo concerto) condusse 
un gran numero di lavori: I due Foscari e Rigoletto, Hänsel 
und Gretel e La vedova allegra; per non parlare dei balletti, 
Coppélia, Abraxas… Dunque, finito l’apprendistato, quando 
Kleiber “divenne” Kleiber, decise di dedicarsi a pochi 
titoli, sempre quelli. Sua sorella, Veronica (che Amadeus 
intervistò in esclusiva nel luglio 2010, n.d.r.), ha raccontato 
che Carlos dirigeva quando il frigo era vuoto, o c’erano bei 
panorami nelle città che lo invitavano. Accettò una sola 
volta un incarico stabile, come direttore principale, nel 
1965 a Wurttemberg. Qualche anno prima, nel 1959, in un 
teatro della provincia salisburghese, affrontò la sua prima 
opera, La sposa venduta di Smetana. In quell’anno, dopo 
una recita della Bohème, decise che era venuto il momento di 
rinunciare allo pseudonimo di Karl Keller e di farsi chiamare 
col suo vero nome. Lo annunciò nella sola breve intervista 
da lui concessa nella sua vita, alla radio, durante l’intervallo 
di un concerto ad Amburgo (aveva trent’anni); confessò che 
l’idea del soprannome era di suo padre, lui la trovava «una 
mascherata senza senso» a cui voleva mettere fine, «tanto il 
pubblico prima o poi avrebbe scoperto la mia vera identità». 
Carlos Kleiber aveva una devozione per il padre, il 
celebre direttore d’orchestra Erich Kleiber, ma del padre-padre 
44 
non parlava mai. L’amico e medico Otto Staindl ha 
raccontato che «dovetti spiegargli a lungo dove l’avesse 
superato, comunque non riuscii a convincerlo. Eppure 
sapeva, o perlomeno immaginava, che sul podio lui poteva 
fare fondamentalmente tutto». Questo farebbe pensare a 
un’insicurezza di fondo, ma secondo Riccardo Muti questa 
è una prospettiva sbagliata: «Carlos seguiva di nascosto le 
prove di alcuni colleghi, cercava di scoprire se c’era qualcosa 
di nuovo, di sconosciuto. Non chiedeva consigli, poneva 
domande. Non era insicurezza: era curiosità. 
Le sue domande erano una verifica. Aveva una sicurezza 
ferrea delle sue idee».La sorella Veronica in un bel ciclo 
di trasmissioni radiofoniche raccontò che quando erano 
adolescenti il padre era solito portare la famiglia a Lugano. 
Nel salotto troneggiava un pianoforte. Carlo e Veronica 
vedendo un pianoforte vi si avventarono d’istinto. Il padre 
vide la scena con la coda dell’occhio e si precipitò a chiudere 
la tastiera. Prese la chiave e la scaraventò nel lago dicendo: 
«In questa famiglia un solo Kleiber». Non voleva che Carlos 
si mettesse sulla sua scia, era un modo per proteggerlo da 
una carriera così aleatoria, era il suo modo di volergli bene. 
Gli impose di iscriversi alla facoltà di Chimica a Zurigo, 
esperienza che abbandonò presto. Il padre condizionò il 
suo modo di vivere la musica. Erich apparteneva alla scuola 
antica, era un direttore col dominio completo dell’orchestra, 
arrivando alle prove della Nona sinfonia, prima di afferrare 
la bacchetta, si limitava a esclamare: «Beethoven». Carlos 
Kleiber era l’esatto opposto. Su Amadeus abbiamo 
raccontato nel giugno 2012 di quel filmato delle prove da 
Stoccarda in cui gli orchestrali lo guardavano come un 
uomo della luna, perché Kleiber si affidava a metafore 
e paradossi extramusicali, interrompendo di continuo 
l’orchestra. Egli non si attardava mai su spiegazioni tecniche. 
Ma investiva i musicisti con la sua energia creativa, con i suoi 
tempi brucianti (non sempre lo erano), con quelle che sono 
state definite delle improvvise folate di vento. Nel filmato 
da Stoccarda si vede che gli anziani professori d’orchestra, 
abituati ai ritmi massacranti e alla routine tedesca, all’inizio 
lo guardarono con aria di diffidenza. Ma, essendo musicisti, 
presto cambiarono idea, si resero conto che stavano vivendo 
un’esperienza unica, irripetibile. 
Aveva un gesto largo, elegante, morbido, fluttuava le 
braccia nell’aria, sembrava danzare. Dirigeva ogni concerto 
come se fosse l’ultimo della sua vita. Era capace di studiare 
l’attacco della Quarta sinfonia di Brahms (una delle due del 
suo “sacro recinto”, insieme con la Seconda) per sei mesi. 
La fama internazionale, Carlos la raggiunse dirigendo nel 
1974 Tristan und Isolde a Bayreuth. Il grande pianista russo 
Sviatoslav Richter, che era presente in sala, nel suo diario 
scrisse che Kleiber era il più grande direttore d’orchestra del 
mondo. Entrando in camerino, trovò Kleiber depresso, era 
in uno stato di apatia e malinconia; Richter gli disse quello
45 
Metti Kleiber a teatro 
Firma del Corriere della Sera e storico collaboratore di 
Amadeus, Valerio Cappelli – autore di questo articolo – 
su Carlos Kleiber ha scritto a quattro mani con il critico 
cinematografico Mario Sesti la pièce Carlos Kleiber. 
Il titano insicuro, spettacolo teatrale con la regia di Pier 
Luigi Pizzi andato in scena nel 2013 al Festival di Spoleto 
e all’Opera di Roma nell’ambito della stagione alle Terme 
di Caracalla. Una conversazione immaginaria 
accompagnata da musica e proiezioni video di immagini 
rare, che ha dato voce al mito Kleiber, interpretata da 
Remo Girone e Anita Bertolucci. 
che pensava di lui, e Carlos ebbe una reazione di improvvisa 
felicità quasi fanciullesca. Quella sera Richter lo definì 
«Il titano insicuro». Aveva un rapporto filiale con Herbert 
von Karajan, anche se questi non riuscì mai a convincerlo 
a dirigere nel suo regno, il Festival di Salisburgo (Kleiber 
detestava lo star system). In comune avevano la passione 
per le auto sportive. È celebre la sua lettera a Celibidache, 
il quale con fare sprezzante (pesò anche la sua mancata 
nomina alla guida dei Berliner) aveva liquidato Karajan 
come «uno che piaceva alle masse come la Coca Cola», 
e definì Karl Böhm «un sacco di patate». Kleiber finse di 
essere Toscanini ormai in cielo, insieme con i grandi del 
passato, e scrisse a Celibidache: «Caro Sergiu, rompi le 
scatole ma ti perdoniamo. Wilhelm Furtwängler ha detto 
di non aver mai sentito il tuo nome. Papa Joseph, Wolfgang 
Amadeus, Ludwig, Johannes e Anton volevano farti sapere 
che i tuoi tempi sono tutti sbagliati. Bruno Walter a leggere 
i tuoi rilievi si è quasi ammazzato dal ridere. Perché non 
In queste pagine, Herbert von Karajan e Carlos Kleiber: il gesto, 
il volto; sopra, Kleiber in concerto al Ravenna Festival nel 1997 
offendi un po’ anche lui? Spiacente, devo comunicarti che 
quassù tutti, di Herbert, vanno pazzi. Continua a divertirti. 
Ti saluto con tutto il mio affetto. Arturo». Era molto 
sensibile al fascino femminile e aveva un grande senso 
dell’umorismo, mandava ai suoi amici decine di cartoline 
firmandosi, in italiano, «il tuo vecchio minestrone»; durante 
un concerto assunse le sembianze del connazionale tennista 
Boris Becker, la racchetta al posto della bacchetta. Kleiber 
aveva una personalità misteriosa, indecifrabile. Aveva una 
passione per le poesie di Emily Dickinson e per molto tempo 
fu convinto di essere la reincarnazione del suo cane. Che 
cosa rimane oggi di Carlos Kleiber? A parte la preziose 
testimonianza discografiche (Deutsche Grammophon sua 
casa d’elezione e Sony con i due Concerti di Capodanno, 
1989 e 1992) Maurizio Pollini (il quale era amico di Kleiber 
e gli chiese qualche consiglio per la sua unica esperienza 
sul podio al Rossini Opera Festival in La donna del lago, 
ricavandone pochissimo) efficacemente osserva che «aveva 
la capacità di comprendere la musica all’istante, se ne faceva 
un’idea e l’espressione si risolveva in un gesto appropriato. Un 
approccio alla musica del tutto personale, in parte mutuato 
dall’esperienza di antichi maestri quali Furtwängler, 
Toscanini, Bruno Walter. Un approccio che sta scomparendo, 
il grande rigore, lo studio di ogni minimo dettaglio». Ecco, la 
prima cosa che rimane di Kleiber, insieme con l’abbagliante 
bellezza dei suoi concerti, quasi delle esperienze mistiche, è 
il suo approccio etico. 
Era un artista che non conosceva compromessi o la routine. 
Poi c’è il rimpianto per non averlo mai sentito dirigere tanti 
capolavori. Gli proposero Parsifal, lui rispose che non 
aveva le braccia abbastanza lunghe. w

Weitere ähnliche Inhalte

Was ist angesagt?

Appunti su Urbino. Per una storia del carnevale 1444-1631
Appunti su Urbino. Per una storia del carnevale 1444-1631Appunti su Urbino. Per una storia del carnevale 1444-1631
Appunti su Urbino. Per una storia del carnevale 1444-1631Matteo Aluigi
 
Recensioni de "Le meccaniche del quinto"
Recensioni de "Le meccaniche del quinto"Recensioni de "Le meccaniche del quinto"
Recensioni de "Le meccaniche del quinto"Dario Sangiorgi
 
Lorenzo perosi e gli anni della riforma della musica sacra
Lorenzo perosi e gli anni della riforma della musica sacraLorenzo perosi e gli anni della riforma della musica sacra
Lorenzo perosi e gli anni della riforma della musica sacraEnrico Vercesi
 

Was ist angesagt? (6)

Robert schumann
Robert schumannRobert schumann
Robert schumann
 
Poster Primavera di Praga, di Ouamba
Poster Primavera di Praga, di OuambaPoster Primavera di Praga, di Ouamba
Poster Primavera di Praga, di Ouamba
 
Appunti su Urbino. Per una storia del carnevale 1444-1631
Appunti su Urbino. Per una storia del carnevale 1444-1631Appunti su Urbino. Per una storia del carnevale 1444-1631
Appunti su Urbino. Per una storia del carnevale 1444-1631
 
Haydn + classicismo
 Haydn + classicismo Haydn + classicismo
Haydn + classicismo
 
Recensioni de "Le meccaniche del quinto"
Recensioni de "Le meccaniche del quinto"Recensioni de "Le meccaniche del quinto"
Recensioni de "Le meccaniche del quinto"
 
Lorenzo perosi e gli anni della riforma della musica sacra
Lorenzo perosi e gli anni della riforma della musica sacraLorenzo perosi e gli anni della riforma della musica sacra
Lorenzo perosi e gli anni della riforma della musica sacra
 

Ähnlich wie «Il fattore K» by Valerio Cappelli and Giovanni Gavazzeni - Amadeus, no. 296 [July 2014]

Antonio salieri (Elisa)
Antonio salieri (Elisa)Antonio salieri (Elisa)
Antonio salieri (Elisa)26digitali
 
Jazz e radio
Jazz e radioJazz e radio
Jazz e radioProf1220
 
Da vivaldi a tiziano ferro vb2
Da vivaldi a tiziano ferro vb2Da vivaldi a tiziano ferro vb2
Da vivaldi a tiziano ferro vb2giomatta
 
Kandinskij der blaue reiter
Kandinskij   der blaue reiterKandinskij   der blaue reiter
Kandinskij der blaue reiterIlaria Iannuzzi
 
Bruno Maderna e il jazz
Bruno Maderna e il jazzBruno Maderna e il jazz
Bruno Maderna e il jazzProf1220
 
Pieghevole Melodia del Vino 2014
Pieghevole Melodia del Vino 2014Pieghevole Melodia del Vino 2014
Pieghevole Melodia del Vino 2014Olivia Faggi
 
Wagner
Wagner Wagner
Wagner Sorha
 
Chopin e Pascoli: la nota della vita e il libro del mistero (3 marzo 2009)
Chopin e Pascoli: la nota della vita e il libro del mistero (3 marzo 2009)Chopin e Pascoli: la nota della vita e il libro del mistero (3 marzo 2009)
Chopin e Pascoli: la nota della vita e il libro del mistero (3 marzo 2009)Riccardo Guidetti
 
Bibliografia della serata 09 11 2011
Bibliografia della serata 09 11 2011Bibliografia della serata 09 11 2011
Bibliografia della serata 09 11 2011BibliotecaQC
 
La musica nel Barocco (Alex)
La musica nel Barocco (Alex)La musica nel Barocco (Alex)
La musica nel Barocco (Alex)26digitali
 
A'cartulina e'Napule - Gilda Mignonette e Mario Gioia. A cura di Aldo De Gioia
A'cartulina e'Napule - Gilda Mignonette e Mario Gioia. A cura di Aldo De GioiaA'cartulina e'Napule - Gilda Mignonette e Mario Gioia. A cura di Aldo De Gioia
A'cartulina e'Napule - Gilda Mignonette e Mario Gioia. A cura di Aldo De GioiaScoop Travel Service Srl
 
Silvana Amato per LetsPublish
Silvana Amato per LetsPublishSilvana Amato per LetsPublish
Silvana Amato per LetsPublishSPAZIO314
 
Aldo De Gioia presenta "Il cafè chantant"
Aldo De Gioia presenta "Il cafè chantant"Aldo De Gioia presenta "Il cafè chantant"
Aldo De Gioia presenta "Il cafè chantant"Scoop Travel Service Srl
 
SAVERIO MERCADANTE
SAVERIO MERCADANTESAVERIO MERCADANTE
SAVERIO MERCADANTEAlessia Viti
 

Ähnlich wie «Il fattore K» by Valerio Cappelli and Giovanni Gavazzeni - Amadeus, no. 296 [July 2014] (20)

Antonio salieri (Elisa)
Antonio salieri (Elisa)Antonio salieri (Elisa)
Antonio salieri (Elisa)
 
Romanticismo
RomanticismoRomanticismo
Romanticismo
 
Jazz e radio
Jazz e radioJazz e radio
Jazz e radio
 
Da vivaldi a tiziano ferro vb2
Da vivaldi a tiziano ferro vb2Da vivaldi a tiziano ferro vb2
Da vivaldi a tiziano ferro vb2
 
Kandinskij der blaue reiter
Kandinskij   der blaue reiterKandinskij   der blaue reiter
Kandinskij der blaue reiter
 
Bruno Maderna e il jazz
Bruno Maderna e il jazzBruno Maderna e il jazz
Bruno Maderna e il jazz
 
Pieghevole Melodia del Vino 2014
Pieghevole Melodia del Vino 2014Pieghevole Melodia del Vino 2014
Pieghevole Melodia del Vino 2014
 
Tesina matematica je
Tesina matematica jeTesina matematica je
Tesina matematica je
 
Wagner
Wagner Wagner
Wagner
 
Adriana lecouvreur
Adriana lecouvreurAdriana lecouvreur
Adriana lecouvreur
 
Chopin e Pascoli: la nota della vita e il libro del mistero (3 marzo 2009)
Chopin e Pascoli: la nota della vita e il libro del mistero (3 marzo 2009)Chopin e Pascoli: la nota della vita e il libro del mistero (3 marzo 2009)
Chopin e Pascoli: la nota della vita e il libro del mistero (3 marzo 2009)
 
Bibliografia della serata 09 11 2011
Bibliografia della serata 09 11 2011Bibliografia della serata 09 11 2011
Bibliografia della serata 09 11 2011
 
Ldb_Letspublish_04
Ldb_Letspublish_04Ldb_Letspublish_04
Ldb_Letspublish_04
 
La musica nel Barocco (Alex)
La musica nel Barocco (Alex)La musica nel Barocco (Alex)
La musica nel Barocco (Alex)
 
A'cartulina e'Napule - Gilda Mignonette e Mario Gioia. A cura di Aldo De Gioia
A'cartulina e'Napule - Gilda Mignonette e Mario Gioia. A cura di Aldo De GioiaA'cartulina e'Napule - Gilda Mignonette e Mario Gioia. A cura di Aldo De Gioia
A'cartulina e'Napule - Gilda Mignonette e Mario Gioia. A cura di Aldo De Gioia
 
Silvana Amato per LetsPublish
Silvana Amato per LetsPublishSilvana Amato per LetsPublish
Silvana Amato per LetsPublish
 
150 anni
150 anni150 anni
150 anni
 
Festival Espressionismo 2019
Festival Espressionismo 2019Festival Espressionismo 2019
Festival Espressionismo 2019
 
Aldo De Gioia presenta "Il cafè chantant"
Aldo De Gioia presenta "Il cafè chantant"Aldo De Gioia presenta "Il cafè chantant"
Aldo De Gioia presenta "Il cafè chantant"
 
SAVERIO MERCADANTE
SAVERIO MERCADANTESAVERIO MERCADANTE
SAVERIO MERCADANTE
 

«Il fattore K» by Valerio Cappelli and Giovanni Gavazzeni - Amadeus, no. 296 [July 2014]

  • 1. Amadeus Periodico di cultura musicale edito da Paragon edizioni Anno XXVI numero 7 (296) luglio 2014 Direttore responsabile Gaetano Santangelo In copertina, Domenico Mason, Lea Birringer, Laura Bortolotto (Foto di Renato Bianchini) Karajan-Kleiber: doppio anniversario per due 40 direttori d'orchestra entrati nel mito. Entrambi austriaci, personalità e scelte professionali opposte Christoph Willibald Gluck: con il temperamento 46 “selvaggio” delle sue opere il compositore di “Orfeo ed Euridice” scardinò le regole del melodramma Paolo Fresu: incontro con il celebre jazzista italiano, 50 il cui percorso si avvicina sempre più spesso a formazioni e autori "classici” da Monteverdi a Richard Strauss > Amadeus è su internet www.amadeusonline.net Rubriche 7 agorà di Luca Cerchiari 9 in scena a cura di Nicoletta Lucatelli 19 calendario 25 fondazione amadeus 26 appunti 74 note di viaggio a cura di Nicoletta Lucatelli 78 musicaoggi 80 antica a cura di Massimo Rolando Zegna 81 jazz a cura di Franco Fayenz 82 fuoritema a cura di Riccardo Santangelo 83 scaffale a cura di Paola Molfino 84 libri 89 cd e video a cura di Massimo Rolando Zegna Servizi 30 cd 1 Federigo Fiorillo di Davide Pitis 33 cd 1 Domenico Mason di Claudia Abbiati 37 cd 2 Marco Sollini di Claudia Abbiati 40 Karajan-Kleiber di Valerio Cappelli e Giovanni Gavazzeni 46 Anniversari: Gluck di Paolo Gallarati 50 Paolo Fresu di Andrea Milanesi 53 Laurent Pelly di Guy Cherqui 56 Festival Spoleto-Fendi di Nicoletta Lucatelli 59 Miloš Karadaglič di Maurizio Corbella 62 Piet Mondrian di Paolo Bolpagni 66 Strumenti alternativi di Giuseppe Scuri 70 Brunello Rondi di Marco Ranaldi cd 1 Federigo Fiorillo Concerti e Sinfonie concertanti Lea Birringer e Laura Bortolotto, violini Luca Vignali e Stefano Rava, oboi Accademia d'Archi Arrigoni Domenico Mason, direttore guida all’ascolto di Davide Pitis Sommario cd 2 download digitale I Valzer di Chopin Marco Sollini, pianoforte codice SW296BR14 (a pag. 39 le modalità per scaricare il cd 2) P_1274_205x32_Amadeus_piede_Bolle_Cane2righe.indd 1
  • 2. karajan (1908 -1989) – Kleiber (1930 - 2004) Il fattore K Karajan Paumgartner, ebbe parola su tutto, creandosi un suo mono-festival Con la nomina a direttore a vita dei Berliner 40 Philharmoniker (1955-89), alla morte del suo più acerrimo detrattore, Wilhelm Furtwängler, il regno di Herbert von Karajan si estese alle più importanti capitali musicali d’Europa: Vienna, direttore musicale e galvanizzatore dei Wiener Symphoniker; Londra, direttore musicale della Philharmonia Orchestra, compagine formidabile per intonazione e qualità che Walter Legge gli costruì su misura; Milano, presenza fissa e trionfatore non solo per le opere tedesche al Teatro alla Scala; Lucerna, dominus del Festival per trent’anni. Con l’ultimo gioiello berlinese la corona di Heribert Ritter von Karajan (scomparso il 16 luglio di 25 anni fa) divenne quella di un monarca assoluto, che si arricchì di ulteriori gemme: la Wiener Staatsoper (1957-64) e il Festival di Salisburgo (1956-89), nel cui ambito, dopo essersi disfatto del direttorio presieduto dal suo maestro di composizione, Bernhard Doppio anniversario per due direttori d’orchestra entrati nel mito. Austriaci entrambi, personalità e scelte professionali completamente diverse: i volti opposti di una stessa medaglia di GIOVANNI GAVAZZENI nel periodo di Pasqua, quasi una anti-Bayreuth, per realizzare il “suo” mirabile Wagner. Niente male per un artista che alla fine della Seconda guerra mondiale era dovuto riparare nell’anonimato a Milano e a Trieste in casa di amici fidati (il conte Attilio Smecchia e la famiglia del barone Goffredo De Banfield), per subire poi in patria un non lieve processo di denazificazione (con incluso divieto di dirigere in pubblico fino al ’48). La sua fedina era segnata dall’iscrizione al Partito nazionalsocialista, “tessera” presa ben prima dell’Anschluss (poco importa se nel ’33 o nel ’35, e, come affermano gli agiografi, non per fede ideologica ma per calcolo o necessità carrieristica). Sono anni in cui il talento di Karajan esplode: nel ’34, a soli 26 anni, è il più giovane Generalmusikdirektor del Terzo Reich ad Aachen (Aquisgrana), dove una sua Elektra destò l’ammirazione dell’autore presente, Richard Strauss. Per un eclatante Tristan und Isolde che gli apre le porte della Staatsoper di Berlino (teatro che era sotto l’egida diretta del Maresciallo Göring), la stampa conia l’epiteto di Miracolo Karajan (Wunder Karajan): da allora quel giovanotto di origini greco-armene sarà per Furtwängler la sua ombra di Banquo. Per farsi largo a quei tempi non bastavano tessere, relazioni altolocate o scaltrezza manovriera, come rampognava Furtwängler, ci voleva anche una dotazione naturale e Karajan era un
  • 3. 41 fuoriclasse. Basti pensare che in Germania, partiti per le inique sanzioni razziali grandi direttori come Blech, Busch, Erich Kleiber, Klemperer, Walter, rimanevano sempre in posti chiave Böhm, Jochum, Knappertsbusch, Krauss, Rosbaud e Schuricht, per rimanere solo alla prima fila. L’uomo della provvidenza per Karajan fu il Direttore Artistico della Voce del Padrone, Legge. Questi piombò subito nella Vienna occupata dagli Alleati (quella del Terzo uomo di Graham Greene), incidendo con Karajan, i Wiener e i migliori cantanti rimasti (Maria Cebotari, Erich Kunz, Elizabeth Schwarzkopf), aggirando così il bando che vietava agli inquisiti di dirigere in pubblico. Alla revoca, Karajan era pronto per macinare concerti e registrazioni a ritmi forsennati. Dall’intesa con Legge e la Emi nasceranno dischi che hanno fatto storia (soprattutto nelle opere di Mozart e Richard Strauss). L’asse Vienna-Londra si ruppe nel ’60, quando Karajan diventò artista esclusivo Deutsche Grammophon e i suoi interessi lo portarono ad abbandonare sans souci il Mentore d’un tempo. Sugli anni di guerra e sui pellegrinaggi postbellici l’interessato stese un velo di reticenze e omissioni, allontanando in un alone di mistero ogni domanda imbarazzante. Circolarono però notizie utili: una disgrazia presso il Führer, causa un’esecuzione dei Meistersinger in cui un vuoto di memoria determinò un’ignominiosa interruzione dello spettacolo. Alla difesa non fu estranea la seconda moglie, Anita Gütermann, figlia di un facoltoso industriale con molte aderenze ed ebrea per un quarto secondo le aberranti classificazioni razziali (da cui divorziò, a bufera conclusa, nel ’58). Dal ’48 al ’55 un solo teatro non si piegò al Wunder Herbert: Bayreuth. Già nel ’50 Wieland Wagner lo aveva invitato a dirigere il Tristan. Le frizioni non mancarono, da subito, e per i motivi più svariati: la pretesa di avere un bagno privato, quella di alzare il livello dell’orchestra o di provare con i cantanti usando registrazioni e di correggerli senza aspettare la conclusione della frase o del periodo, e soprattutto di avere il primato sulle decisioni in materia di cast. «Non potevamo affidare una segreteria a lui solo», ricorda nelle sue memorie Wolfgang Wagner, «così usava di soppiatto la carta intestata del Festival di Bayreuth inserendo la parola “Direzione” in testa». Non fu una buona idea quella di far condividere la guida del Ring a due personalità così diverse come Karajan e Hans Knappertsbusch, che non perdeva occasione per bersagliare il giovane collega con il suo sarcasmo mordace. Alla fine di una prova, dove Karajan suonava il pianoforte (e lo suonava magnificamente) e “Kna” dirigeva, «circostanza per se stessa eccezionale, stante la sua avversione al provare, il maestro scese verso il terzo livello della nostra buca. Karajan con una mano sul pianoforte, guardava in alto verso il suo confrère considerabilmente più alto nell’attesa di sentire
  • 4. un apprezzamento». “Kna”, assestandogli una pacca sulla spalla, lo freddò: «Se da qualche parte si elemosina un posto da ripetitore, metterò una buona parola per te»”. Quando il rampante collega dirigeva a memoria, il decano commentava: «Io posso leggere la musica». Nel corso degli anni ’60 (secolo scorso) Karajan definì in maniera capillare la sua immagine. Fotografie patinate, capelli con i riflessi azzurrati, pose plastiche, occhi chiusi in mistico contatto con gli autori, abiti di grande eleganza. Scatti presi nei luoghi del jet-set: al timone del mega yacht 42 a Saint-Tropez, sulle nevi di Sankt Moritz, a bordo del jet privato pilotato personalmente. Nulla era lasciato al caso. E il culto della personalità accompagnò la vendita di centinaia di milioni di copie di dischi. Karajan ha eternato se stesso attraverso le incisioni e le riprese video (di cui fu pioniere e, manco a dirlo, esperto straordinario), perseguendo quello scopo con crescente determinazione, quasi un’ossessione, incidendo più volte gli stessi pezzi (non sempre migliorandone l’interpretazione). Ne sanno qualcosa i formidabili tecnici della Deutsche Grammophon svegliati ad alta notte dalla voce chioccia e inflessibile del Maestro che impartiva correzioni millimetriche e modifiche al balance. Sul versante operistico Karajan colse successi memorabili anche nel repertorio italiano: dalla Lucia scaligera con la Callas ai sontuosi Puccini (La bohème e Tosca), all’amato Verdi (Il trovatore, Don Carlo, Aida, Otello). Assunse anche l’onere della regia dei suoi spettacoli a Vienna e Salisburgo (quasi sempre oggetto di non poche critiche, stante anche il gusto non lieve del suo scenografo di fiducia, Günther Schneider-Siemssen). Il General Manager del Met, Rudolf Bing, colui il quale vinse le non poche riserve degli americani per l’ex tesserato Nasdap Karajan, riuscì a scritturarlo per il Ring a New York (non completato causa un clamoroso sciopero). Bing narra, con umorismo mitteleuropeo, le innumerevoli problematiche sorte già in fase preliminare con una varietà di intermediari: «Il manager personale e segretario, André von Mattoni, l’incaricato d’affari per i contratti, dottor Steffan; il suo agente artistico a Parigi, Michel Glotz, e il curatore delle faccende americane, Mister Peter Wilford». Difficile anche la trattativa diretta. «Lui è timido, come sono io: gli si offre una sigaretta, risponde che non fuma; gli si offre da Karajan da ascoltare In occasione del venticinquennale della morte, Warner Classics ha iniziato la pubblicazione in 12 cofanetti del-l’integrale (Official Remastered Edition) di tutte le regi-strazioni effettuate da Karajan per la Voce del Padrone - Emi, da quelle viennesi post-belliche (336180) alle famose Nove sinfonie di Beethoven di Londra (3373454), alle prime con i Berliner fino al 1960 (336234). Musica sinfonica e cora-le, escluse soltanto le opere complete. Soprattutto nel primo ventennio si trovano le registrazioni più preziose dal punto di vista interpretativo (i Valzer degli Strauss, le arie e i brani operistici). Deutsche Grammophon ha congiunto il ricor-do di Karajan con la ricorrenza dei 150 anni dalla nascita di Richard Strauss con un cofanetto Karajan-Strauss: 11 cd e un blu ray (4792686). In luglio arriva anche il primo ciclo beethoveniano con i Berliner, quello del 1963 (4793442), mentre è già disponibile una non meno monumentale Sym-phony Edition in 38 cd (4778005). g.g.
  • 5. 43 bere, e non beve, “facciamo colazione insieme”, e lui non mangia mai a mezzogiorno». Questioni spinose saltano fuori come funghi: il Maestro scrittura un costumista (Georges Wakhévitch) senza preavvertire; contatta altri soprani per la “parte” di Brünnhilde irritando la regina del Met, Birgit Nisson, che già non ama lavorare con un uomo «privo di senso dell’umorismo»; esige un doppio cast completo. Però «quando vuole segue i cantanti in modo sublime, e in genere lo vuole», c’è sempre la fissazione “luci”. Karajan ordina al suo assistente Nikolaus Lehnhoff: «Luce su Wotan!». Il comando da questi passa al responsabile luci del Met, Rudy Kuntner, che lo trasmette in cabina-luci. Quando l’uomo in cabina domanda: «Chi è Wotan?», Bing fugge dalla sala. I detrattori di Karajan non mancavano di sottolineare la spregiudicatezza di scegliere voci troppo liriche per ruoli drammatici (ad esempio, Christa Ludwig come Kundry), dimenticando come questa scelta si inserisse in un disegno di alleggerimento delle opere di Wagner e Strauss (si pensi alla ricchezza di sfumature della Brünnhilde di Regine Crespin), il cui modello era stato il suo maestro, Clemens Krauss. E non bisogna dimenticare l’aiuto e la fiducia data a giovani solisti (Cristian Ferras e Anne-Sophie Mutter, Yo-Yo Ma, Antonio Meneses), accanto a storici sodalizi con Denis Brain, Gieseking, Gould, Lipatti, Fournier, Rostropovič e Weissenberg. La supposta scarsa attenzione alla musica contemporanea, a parte le mirabili incisioni dei più noti brani sinfonici di Schönberg, Berg e Webern, si smentisce scorrendo attentamente il suo repertorio utile anche per capire i gusti: non solo autori tedeschi – Hindemith, Orff, Blacher, Fortner, Einem – ma anche con frequenza, Bartók, Stravinskij (Sacre, Apollon e Sinfonia di salmi), Honegger; e negli anni della Philharmonie “prime” di Britten (War Requiem), Ligeti, Henze, Martin, Messiaen, Nono, Penderecki. Nel repertorio sinfonico sono storicizzati il “suo” Mozart, il titanico Beethoven, la famiglia Strauss, Brahms e Bruckner, Richard Strauss e Sibelius (e mirabili sortite nel decadentismo mahleriano). Più complesso il rapporto con il primo romanticismo (Schubert, Schumann e Mendelssohn). Comunque, si voglia o non si voglia, possiamo definire Karajan un re Mida dell’esecuzione musicale: nelle sue mani tutto diventava oro lucente. Kleiber di VALERIO CAPPELLI Chi era Carlos Kleiber e perché molti tra i maggiori direttori d’orchestra del mondo lo considerano come il più grande di tutti? Nel mondo della musica, tra gli anni ’70 e ’80, è diventato una leggenda. Quando a Berlino è uscito il documentario Traces to nowhere, che raccoglie le testimonianze di chi ci ha lavorato e lo ha conosciuto, l’intera vetrina del negozio Dussmann a Friedrichstraße (punto di riferimento discografico della città), ne dava conto. Ad alimentare la leggenda concorse la sporadicità dei suoi concerti e impegni operistici: l’assenza, si sa, aumenta la fama. Ma questo non basta a spiegare il “caso” Kleiber. Carlos Kleiber, di cui il 13 luglio ricorrono i dieci anni dalla morte (era nato nel 1930, ancora a luglio, il 3), ha diretto appena tredici opere: tre sono di Verdi, La traviata, Otello e Falstaff; poi Carmen di Bizet, Elektra di Richard Strauss, Die Fledermaus di Johann Strauss, Der Freischütz di Weber, Adriana Lecouvreur di Cilea, Wozzeck di Berg, Tristan und Isolde di Wagner. Poi due titoli di Puccini, La bohème e Madama Butterfly (che non volle più dirigere dopo il 1968 a Monaco) e Der Rosenkavalier di Strauss che fu il suo marchio di fabbrica e di cui si sono contate ben 120 recite sotto la sua guida. Kleiber era affascinato da un’idea di Vienna che scaturisce dal Rosenkavalier, come un mondo scomparso che riemerge dalla nebbia. Strauss adopera elementi del lessico musicale del ’700, cita addirittura un tema della Zauberflöte ma poi li combina col valzer creando una cornice strumentale che forse soltanto nel ’900 era possibile concepire. Insomma, inventa un linguaggio completamente artificiale, tutto centrato sul tema del tempo che scorre inavvertitamente ma inesorabilmente. L’ultima fiammata della tradizione musicale tedesca che rivive attraverso una elaborazione intellettuale raffinatissima, consapevole della crisi del linguaggio e dell’imminenza della fine che accompagnarono il ’900. Alla Scala fu protagonista, all’interno di questo stretto recinto di titoli in cui si esercitò nevroticamente, di alcune prime memorabili: 1975,Der Rosenkavalier; 1976, Otello; 1970, Tristan und Isolde; 1979, La bohème. Quello che secondo i suoi stessi colleghi viene ritenuto il più grande
  • 6. talento direttoriale del ’900 musicale non ha mai toccato il teatro musicale di Mozart né la Nona sinfonia di Beethoven. Franco Zeffirelli, con cui Kleiber ha collaborato in ben quattro produzioni (La traviata, La bohème, Carmen, Otello) cercò invano di convincerlo a dirigere il Don Giovanni, Kleiber gli rispose che di quell’opera sono belli solo l’inizio e la fine. Il regista tornò alla carica per Il trovatore, ma non ci fu nulla da fare. Ci riprovò con un titolo con cui si era già misurato, Falstaff. Gli rispose che non trovava di buon gusto la battuta finale, «tutto nel mondo è burla». «Ma è l’addio di Verdi al mondo», obiettò Zeffirelli. Kleiber: «Non è spiritoso, un artista che rappresenta se stesso non è corretto». Questa parsimonia, per usare un eufemismo, è vera fino a un certo punto. Da giovane, quando si faceva chiamare con lo pseudonimo di Carl Keller, Carlos non si risparmiò. Dopo un piccolo concerto a Montevideo, il vero debutto avvenne a Potsdam il 12 febbraio 1955, a 25 anni, nell’operetta Gasparòne di Karl Millöcker. A Düsseldorf (una delle due città tedesche in cui si formò, insieme con Stoccarda, dove acconsentì per la prima e unica volta in modo compiuto, nel 1970, a filmare le prove di un suo concerto) condusse un gran numero di lavori: I due Foscari e Rigoletto, Hänsel und Gretel e La vedova allegra; per non parlare dei balletti, Coppélia, Abraxas… Dunque, finito l’apprendistato, quando Kleiber “divenne” Kleiber, decise di dedicarsi a pochi titoli, sempre quelli. Sua sorella, Veronica (che Amadeus intervistò in esclusiva nel luglio 2010, n.d.r.), ha raccontato che Carlos dirigeva quando il frigo era vuoto, o c’erano bei panorami nelle città che lo invitavano. Accettò una sola volta un incarico stabile, come direttore principale, nel 1965 a Wurttemberg. Qualche anno prima, nel 1959, in un teatro della provincia salisburghese, affrontò la sua prima opera, La sposa venduta di Smetana. In quell’anno, dopo una recita della Bohème, decise che era venuto il momento di rinunciare allo pseudonimo di Karl Keller e di farsi chiamare col suo vero nome. Lo annunciò nella sola breve intervista da lui concessa nella sua vita, alla radio, durante l’intervallo di un concerto ad Amburgo (aveva trent’anni); confessò che l’idea del soprannome era di suo padre, lui la trovava «una mascherata senza senso» a cui voleva mettere fine, «tanto il pubblico prima o poi avrebbe scoperto la mia vera identità». Carlos Kleiber aveva una devozione per il padre, il celebre direttore d’orchestra Erich Kleiber, ma del padre-padre 44 non parlava mai. L’amico e medico Otto Staindl ha raccontato che «dovetti spiegargli a lungo dove l’avesse superato, comunque non riuscii a convincerlo. Eppure sapeva, o perlomeno immaginava, che sul podio lui poteva fare fondamentalmente tutto». Questo farebbe pensare a un’insicurezza di fondo, ma secondo Riccardo Muti questa è una prospettiva sbagliata: «Carlos seguiva di nascosto le prove di alcuni colleghi, cercava di scoprire se c’era qualcosa di nuovo, di sconosciuto. Non chiedeva consigli, poneva domande. Non era insicurezza: era curiosità. Le sue domande erano una verifica. Aveva una sicurezza ferrea delle sue idee».La sorella Veronica in un bel ciclo di trasmissioni radiofoniche raccontò che quando erano adolescenti il padre era solito portare la famiglia a Lugano. Nel salotto troneggiava un pianoforte. Carlo e Veronica vedendo un pianoforte vi si avventarono d’istinto. Il padre vide la scena con la coda dell’occhio e si precipitò a chiudere la tastiera. Prese la chiave e la scaraventò nel lago dicendo: «In questa famiglia un solo Kleiber». Non voleva che Carlos si mettesse sulla sua scia, era un modo per proteggerlo da una carriera così aleatoria, era il suo modo di volergli bene. Gli impose di iscriversi alla facoltà di Chimica a Zurigo, esperienza che abbandonò presto. Il padre condizionò il suo modo di vivere la musica. Erich apparteneva alla scuola antica, era un direttore col dominio completo dell’orchestra, arrivando alle prove della Nona sinfonia, prima di afferrare la bacchetta, si limitava a esclamare: «Beethoven». Carlos Kleiber era l’esatto opposto. Su Amadeus abbiamo raccontato nel giugno 2012 di quel filmato delle prove da Stoccarda in cui gli orchestrali lo guardavano come un uomo della luna, perché Kleiber si affidava a metafore e paradossi extramusicali, interrompendo di continuo l’orchestra. Egli non si attardava mai su spiegazioni tecniche. Ma investiva i musicisti con la sua energia creativa, con i suoi tempi brucianti (non sempre lo erano), con quelle che sono state definite delle improvvise folate di vento. Nel filmato da Stoccarda si vede che gli anziani professori d’orchestra, abituati ai ritmi massacranti e alla routine tedesca, all’inizio lo guardarono con aria di diffidenza. Ma, essendo musicisti, presto cambiarono idea, si resero conto che stavano vivendo un’esperienza unica, irripetibile. Aveva un gesto largo, elegante, morbido, fluttuava le braccia nell’aria, sembrava danzare. Dirigeva ogni concerto come se fosse l’ultimo della sua vita. Era capace di studiare l’attacco della Quarta sinfonia di Brahms (una delle due del suo “sacro recinto”, insieme con la Seconda) per sei mesi. La fama internazionale, Carlos la raggiunse dirigendo nel 1974 Tristan und Isolde a Bayreuth. Il grande pianista russo Sviatoslav Richter, che era presente in sala, nel suo diario scrisse che Kleiber era il più grande direttore d’orchestra del mondo. Entrando in camerino, trovò Kleiber depresso, era in uno stato di apatia e malinconia; Richter gli disse quello
  • 7. 45 Metti Kleiber a teatro Firma del Corriere della Sera e storico collaboratore di Amadeus, Valerio Cappelli – autore di questo articolo – su Carlos Kleiber ha scritto a quattro mani con il critico cinematografico Mario Sesti la pièce Carlos Kleiber. Il titano insicuro, spettacolo teatrale con la regia di Pier Luigi Pizzi andato in scena nel 2013 al Festival di Spoleto e all’Opera di Roma nell’ambito della stagione alle Terme di Caracalla. Una conversazione immaginaria accompagnata da musica e proiezioni video di immagini rare, che ha dato voce al mito Kleiber, interpretata da Remo Girone e Anita Bertolucci. che pensava di lui, e Carlos ebbe una reazione di improvvisa felicità quasi fanciullesca. Quella sera Richter lo definì «Il titano insicuro». Aveva un rapporto filiale con Herbert von Karajan, anche se questi non riuscì mai a convincerlo a dirigere nel suo regno, il Festival di Salisburgo (Kleiber detestava lo star system). In comune avevano la passione per le auto sportive. È celebre la sua lettera a Celibidache, il quale con fare sprezzante (pesò anche la sua mancata nomina alla guida dei Berliner) aveva liquidato Karajan come «uno che piaceva alle masse come la Coca Cola», e definì Karl Böhm «un sacco di patate». Kleiber finse di essere Toscanini ormai in cielo, insieme con i grandi del passato, e scrisse a Celibidache: «Caro Sergiu, rompi le scatole ma ti perdoniamo. Wilhelm Furtwängler ha detto di non aver mai sentito il tuo nome. Papa Joseph, Wolfgang Amadeus, Ludwig, Johannes e Anton volevano farti sapere che i tuoi tempi sono tutti sbagliati. Bruno Walter a leggere i tuoi rilievi si è quasi ammazzato dal ridere. Perché non In queste pagine, Herbert von Karajan e Carlos Kleiber: il gesto, il volto; sopra, Kleiber in concerto al Ravenna Festival nel 1997 offendi un po’ anche lui? Spiacente, devo comunicarti che quassù tutti, di Herbert, vanno pazzi. Continua a divertirti. Ti saluto con tutto il mio affetto. Arturo». Era molto sensibile al fascino femminile e aveva un grande senso dell’umorismo, mandava ai suoi amici decine di cartoline firmandosi, in italiano, «il tuo vecchio minestrone»; durante un concerto assunse le sembianze del connazionale tennista Boris Becker, la racchetta al posto della bacchetta. Kleiber aveva una personalità misteriosa, indecifrabile. Aveva una passione per le poesie di Emily Dickinson e per molto tempo fu convinto di essere la reincarnazione del suo cane. Che cosa rimane oggi di Carlos Kleiber? A parte la preziose testimonianza discografiche (Deutsche Grammophon sua casa d’elezione e Sony con i due Concerti di Capodanno, 1989 e 1992) Maurizio Pollini (il quale era amico di Kleiber e gli chiese qualche consiglio per la sua unica esperienza sul podio al Rossini Opera Festival in La donna del lago, ricavandone pochissimo) efficacemente osserva che «aveva la capacità di comprendere la musica all’istante, se ne faceva un’idea e l’espressione si risolveva in un gesto appropriato. Un approccio alla musica del tutto personale, in parte mutuato dall’esperienza di antichi maestri quali Furtwängler, Toscanini, Bruno Walter. Un approccio che sta scomparendo, il grande rigore, lo studio di ogni minimo dettaglio». Ecco, la prima cosa che rimane di Kleiber, insieme con l’abbagliante bellezza dei suoi concerti, quasi delle esperienze mistiche, è il suo approccio etico. Era un artista che non conosceva compromessi o la routine. Poi c’è il rimpianto per non averlo mai sentito dirigere tanti capolavori. Gli proposero Parsifal, lui rispose che non aveva le braccia abbastanza lunghe. w