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“E il nostro campione, per il quindicesimo anno consecutivo, è … MICHEEEEL DE
GERRAAAAA!!!!”
Era ormai abitudine per me sentire quella frase, accompagnata dal triplice squillo della campanella
e dalla folla esultante che mi chiamava. Ero il loro idolo, il loro eroe, il loro divertimento. A chi non
piacerebbe la mia vita? Soldi a palate, divertimento, in cambio di qualche frattura, naso sanguinante
e visite mediche molto frequenti. Non c’è che dire la vita del pugile professionista, o meglio del
campione del mondo di pugilato, è assolutamente magnifica. Eppure sentivo qualcosa che non
c’era: un vuoto nel centro del petto, un desiderio non realizzato. Durante gli incontri non ci
pensavo, l’unica preoccupazione era quella di darle e non prenderle, ma sotto la doccia, a tavola, nel
letto, nei sogni un fantasma mi segue e rende inquieto. È una sensazione terribile l’incompletezza, ti
logora dentro finché non sei vuoto e vuoi scappare da tutto. Questa parte di me non potevo
mostrarla nella vita pubblica. I tifosi vogliono vedere un leone pronto ad annientare la preda, non
una pecora insicura e sentimentalista.


Quella sera fu data una festa per la mia vittoria all’attico dove alloggiavo per il campionato. Come
ogni festa che si rispetti c’era champagne, squisitezze e tutti coloro che si definivano amici miei: il
mio allenatore, il mio medico e almeno 200 miei tifosi. Sembrava che fossi l’unico a non divertirmi.
“Avanti Michel, unisciti alla tua festa!” mi dicevano in molti, ma l’unico mio desiderio era quello di
andare a letto e dormire, almeno non avrei pensato al mio fantasma. Erano le 10 quando rientrai e la
festa continuava ininterrotta, sarebbe continuata per almeno 5 ore per quanto ricordi. Salutai il mio
allenatore che stava allegramente discutendo con un bicchiere di vino per festeggiare e allora mi
strinse il pugno e mi chiese tutto eccitato: “Pronto per la seconda gloria?”
Io gli risposi: “È davvero necessario?”
“Certo! Sei il campione del mondo per il 15° anno di seguito! Devi esserne orgoglioso.”
“Sono orgoglioso, ma…”
“Niente ma! Ora assapora la gloria!” Si volto verso la folla ed esclamò loro: “Signore e signori, un
attimo di attenzione. Siamo qui questa sera per festeggiare il compleanno di un grande campione.
Festeggiamo oggi il sesto compleanno di Michelle de Gerra, campione del mondo”. Alzò il mio
pugno in aria e gridò: “AUGURI, MICHELLE!!” Tutti esultarono ed urlarono pronunciando in coro
il mio nome. La gloria era molta, ma mi sembrava di non avere niente. Volevo andarmene allora
tentai di congedarmi nella mia stanza con un semplice: “Scusate, ma lo scontro è stato molto duro e
vorrei andare a dormire”. L’allenatore mi era ancora accanto e mi trattenne rispondendomi:
“Certamente, anche un campione merita di riposare, ma non prima di aver tagliato la tua torta di
compleanno”. E in quel preciso istante entrò in sala un grande torta rettangolare con scritto sopra
“15° campionato del mondo. Michelle de Gerra. Auguri!”. Quando la vidi entrare non vidi più e la
rovesciai in preda alla rabbia. La musica si fermò di scatto, tutti si girarono per guardarmi, e mi
ritirai in camera. Chiusa la porta a chiave mi stesi sul letto e dopo qualche minuto la musica ripartì,
come se non fosse successo niente. Mi addormentai in un lampo.


Il mattino seguente mi svegliai grazie alla luce del sole che filtrava dalle finestre. Era una bellissima
giornata di primavera, in questo periodo in una città grande come questa le giornate sono tutte
uguali. Durante la notte avevo fatto un sogno particolare: sognavo un voce che mi diceva nella
nebbia: “Viaggia … viaggia, trova la tua liberazione … trova … la felicità”. Io tentavo di
rispondergli, ma ripeteva sempre la stessa frase come in una filastrocca. Cercavo intorno a me la
fonte di quella voce, ma vedevo solo nebbia in ogni direzione. Eppure sentivo che avrei dovuto
seguire il suo suggerimento e viaggiare dove per il mondo alla ricerca di qualcosa che avrebbe
occupato il mio vuoto.
Sopraggiunse il mio allenatore con la classica domanda pre-confezionata: “Buongiorno Michel,
dormito bene?”. Lo guardai un istante e voltai la testa fissando il vuoto. “So come ti senti. Avrai
anche raggiunto la cima, ma ti manca qualcosa. Vero?” Mi aveva letto nel pensiero. Non credevo a
ciò che avevo sentito. Erano le parole più amiche che avesse mai detto. D'altronde è questo il suo
lavoro: immedesimarsi nel suo allievo e tirarlo su ad ogni segno di cedimento. Così mi voltai, lo
guardai e lo ringraziai profondamente.
“Bene. Allora preparati che andiamo a colazione con alcuni tuoi importanti ammiratori.”
“No.” Replicai seccamente.
“Perché no? È meglio che persone così facoltose conoscano di persona il loro idolo.”
“Allora gli ammiratori che guardano i miei incontri al bar sottocasa non sono degni di
conoscermi?!”
“Non è quel che intendevo, ma hanno aspettato così a lungo per poterti conoscere dal vivo che
dovremmo ripagare la loro attesa.”
“Giusto, ma loro ammirano quel che pensano che io sia, non quello che sono. E il mio io è là fuori,
da qualche parte e voglio trovarlo!”
Il mio allenatore era sconvolto. Non avrebbe mai creduto che io potessi dire parole così forti. E
continuai: “Hai cresciuto me negli ultimi 16 anni come una macchina della vittoria, ma ora questa
macchina vuole trovare l’ingranaggio che gli manca che non è qui.”
“Così è questo quello che vuoi? Abbandonare tutto per trovare il tuo ingranaggio?” - rispose come
arrabbiato – “Hai ragione. Negli ultimi tempi ti vedevo sempre distratto e assente e se questo tuo
viaggio ti aiuterà a trovare te stesso io sono con te”
Ora che avevo anche il sostegno dell’uomo più importante di questa mia fase della vita mi sentivo
pronto per trovare quello che cercavo.


Ma c’era ancora un piccolo ostacolo sulla nostra strada: la stampa. Come avrebbe reagito l’organo
più importante dello sport sapendo che il suo “articolo” preferito partiva? Non sarebbe stato facile
annunciarlo, ma era la cosa giusta da fare e la mattina seguente Syrus Robinson, il mio allenatore,
convocò tutte le maggiori testate giornalistiche nazionali diffondendo la notizia che avrebbe
annunciato qualcosa di sconvolgente. Ed era così. Insieme annunciammo che mi sarei preso un
periodo di pausa dal pugilato per viaggiare. Incontenibile fu il loro stupore. Decine di domande al
secondo, ma non rivelammo altro. Quella giornata come per il resto della settimana l’ingresso
dell’albergo fu assediato da giornalisti e i titoli dei giornali diffondevano il mio momentaneo
abbandono.
Syrus mi guardò ed ammise la sua preoccupazione, ma aggiunse: “Mi fido di te!”.




“Allora Michel. Qual è la nostra prima tappa?” Con l’entusiasmo di un vero amico mi chiese Syrus.
“Sai non saprei. Che dici, dove porta il vento?”
“Sarebbe una decisione da film, ma per un viaggio alla ricerca se stessi penso sia il modo
migliore!”.
“Bene. Allora - umidificai l’indice – il vento soffia verso Oriente, andiamo in Cina.”
Fu così che partimmo con lo zaino in spalla come gli esploratori del passato: il modo migliore per
un viaggio di questo genere è viaggiare con le proprie forze).
Non organizzammo assolutamente niente se non gli zaini: tutto sarebbe stato affidato al caso, il caso
avrebbe deciso quando e se avrei incontrato il motivo del mio vuoto, sarebbero potuti passare anche
50 anni: io non mi sarei mai arreso.


Prima tappa del nostro viaggio fu il Tibet, imponente altopiano da cui svettano i pilastri che
reggono il cielo e da millenni osservano l’evoluzione dell’uomo e della Terra. Nessuno è capace, la
prima volta che lo visita, di esplorarlo in minima parte, per questo affittammo una guida. Si
chiamava Ngari Leh e da come parlava sembrava che fosse un tutt’uno con la massiccia pietra,
raccontava di sentire “la voce della montagna”. Non era molto chiaro cosa intendesse, ma forse
aveva a che fare con il rispetto religioso che il buddhismo ha per la natura e quindi la necessità di
rispettare il mondo che lo circondava. Era il perfetto stereotipo dell’uomo tibetano: vestiti pesanti,
occhi a mandorla, capelli rasati a zero e vedendo gli altri abitanti di queste terre ghiacciate mi
sembravano tutti uguali.
“Accidenti! Come fanno a vivere in un posto così freddo, io sto congelando Michel!” Esclamò
Syrus battendo i denti. Notai che erano le 2 di pomeriggio e c’erano all’incirca 4 gradi sotto zero.
Non potei che confermare il suo lamento, ma ribattei sicuro di me: “Farà anche freddo, ma la
curiosità e la scoperta hanno bisogno di altro per fermarsi!”.


“Il sole sta tramontando. Ci accamperemo sul prossimo altopiano che incontreremo.”Ci disse Ngari
con lo stretto accento del suo villaggio di nascita. Quella notte fu molto particolare. Feci un sogno
tra i più importanti della mia vita. Nel sogno mi svegliai ed ero all’accampamento allestito per la
notte. Chiamavo a squarciagola Syrus e Ngari, ma non rispondevano, si erano volatilizzati, c’era un
vento tanto forte che non riuscivo a tenere gli occhi aperti e allora misi gli occhiali. D’avanti a me,
sulle pietra c’era una figura incappucciata con un telo di stracci che mi fissava da sotto il cappuccio.
Con la testa mi indicò di seguirmi e di colpo mi ritrovai nella casa, quando ero bambino. Non c’era
nessuno e niente nella stanza, le finestre erano chiuse e sigillate con assi di legno e sembrava che
nessuno ci mettesse piede da anni. Passava solo un sottile fascio di luce che illuminava un diario. La
figura mi indicò di aprirlo e lessi una delle ultime annotazioni: “15 Marzo 1898. Anche oggi
mamma e papà sono andati via lasciandomi con la tata. Non dico che non mi diverta, ma vorrei che
un giorno fossero loro a giocare con me.” Seguiva la pagina di 2 settimane dopo. “29 Marzo 1898.
Sono 2 settimane che mamma e papà non tornano, dissero “torniamo presto”. Speriamo che sia
vero”. Lascai il diario e continuai a seguire la figura. Passando da una porta entrammo nel collegio
maschile che frequentai da ragazzo. Era nella stessa situazione della mia stanza con alcuni fogli
adattati a diario. Il primo foglio diceva questo “15 Settembre 1903. È il mio primo giorno qui, mi
chiedo perché non posso più frequentare la mia vecchia scuola. Qui non mi piace. I miei compagni
sono cattivi con me e sto imparando a difendermi anche con i pugni”. Un altro foglio risaliva al
Febbraio dell’anno successivo: “7 Febbraio 1904. Ho scoperto che i miei genitori sono scomparsi 6
anni fa durante un viaggio in Amazzonia. Spero solo che stiano bene.”
Per la terza volta cambiai scenario con la figura che mi portò in un vicolo buio con qualche
lampione ad olio. La figura rivelò sui muri lettere alla rinfusa che con un suo gesto della mano si
ordinarono e rivelarono questo testo. “23 Luglio 1910. Sono passati 2 anni da quando sono uscito
da quell’inferno di collegio. Ora lavoro presso un falegname e mentre stavo facendo compere per
lui mi imbattei in un gruppo di criminali in un vicolo buio. Mi ordinarono di consegnare loro tutto
quello che avevo, ma non avevo niente. Loro insistettero e mi attaccarono. Io mi difesi come potevo
con un serie di pugni ben piazzati e mi liberai di loro. Passava di là un uomo vestito elegante che si
congratulò con me per come mi sono difeso. Risposi che era solo per le mie esperienze e lui mi
diede un biglietto con un indirizzo e un nome: Syrus Robinson.”
“Ora capisco. Mi stai facendo rivivere il mio passato per farmi capire cosa mi manca. Giusto?”
chiesi alla figura che impassibile svoltò l’angolo. Ci ritrovammo su un ring vuoto con 2 guantoni a
terra e con sopra un foglio. “11 ottobre 1916. Il mio primo incontro ufficiale. È andato molto bene,
l’avversario non era molto forte ed ho passato il turno”. Dopo uno spazio continuava “24 Novembre
1916. Ho vinto il mio primo titolo nazionale. È una sensazione magnifica, ma mi sembra che
manchi qualcosa: non sento solo felicità”. Un altro spazio e ancora: “24 Novembre 1932. Ho vinto
il mio quindicesimo campionato mondiale, ma il vuoto continua a crescere. Non lo sopporto più.
Lascio il pugilato!”
“Grazie. Ho capito cosa mi manca.” Detto questo la figura scomparve nella nebbia. Fui preso da
una stanchezza e mi svegliai nell’accampamento il mattino seguente. Ngari e Syrus stavano
sistemando tutto e appena svegliato mi dissero che la montagna non era più scalabile per la neve
troppo soffice e pericolosa. Replicai: “Bene allora torniamo a casa, perché ho trovato quello che mi
serviva.”
Syrus tutto stupito mi chiese: “Davvero? Speriamo che sia così perché non ne posso più di questo
freddo!”
Allora sistemammo i bagagli, scendemmo il versante della montagna e …
“E cosa, nonno?”
“E poi sono tornato a casa, ho incontrato tua nonna, ci siamo sposati e abbiamo avuto tuo padre.
Quando incontrai tua nonna lavorava al bar dell’albergo dove alloggiavo per il torneo, una parola
tira l’altra e ci fidanzammo. Da allora gli incontri che disputai furono molto più “energetici” i miei
pugni erano molto più “esplosivi” perché avevo un motivo per combattere, lei.”
“Beeeeello!! Quindi avevi colmato il tuo vuoto?”
“Si, credo proprio di si” risposi a mio nipote Michel Jr. guardando Elena, mia moglie, che stava
arrivando a portare la merenda a Michel e il tè per noi.


Finalmente avevo trovato quello che chiudeva il vuoto nel mio cuore, ho capito che quel vuoto era
qualcuno con cui condividere la gloria di essere arrivato in cima e qualcuno con cui invecchiare
ripensando ai bei momenti passati insieme. L’amore è un valore che nessun uomo, donna o
bambino deve dimenticare. È quella fiamma eternamente accesa che dà senso alla vita. Certo, dopo
la mia 20° vittoria al campionato mondiale a Syrus dispiacque che mi ritirassi, ma era anche
contento nel vedermi felice con Elena, pensando al nostro futuro insieme. Grazie Syrus. Grazie
Elena.

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Racconto concorso maggio

  • 1. “E il nostro campione, per il quindicesimo anno consecutivo, è … MICHEEEEL DE GERRAAAAA!!!!” Era ormai abitudine per me sentire quella frase, accompagnata dal triplice squillo della campanella e dalla folla esultante che mi chiamava. Ero il loro idolo, il loro eroe, il loro divertimento. A chi non piacerebbe la mia vita? Soldi a palate, divertimento, in cambio di qualche frattura, naso sanguinante e visite mediche molto frequenti. Non c’è che dire la vita del pugile professionista, o meglio del campione del mondo di pugilato, è assolutamente magnifica. Eppure sentivo qualcosa che non c’era: un vuoto nel centro del petto, un desiderio non realizzato. Durante gli incontri non ci pensavo, l’unica preoccupazione era quella di darle e non prenderle, ma sotto la doccia, a tavola, nel letto, nei sogni un fantasma mi segue e rende inquieto. È una sensazione terribile l’incompletezza, ti logora dentro finché non sei vuoto e vuoi scappare da tutto. Questa parte di me non potevo mostrarla nella vita pubblica. I tifosi vogliono vedere un leone pronto ad annientare la preda, non una pecora insicura e sentimentalista. Quella sera fu data una festa per la mia vittoria all’attico dove alloggiavo per il campionato. Come ogni festa che si rispetti c’era champagne, squisitezze e tutti coloro che si definivano amici miei: il mio allenatore, il mio medico e almeno 200 miei tifosi. Sembrava che fossi l’unico a non divertirmi. “Avanti Michel, unisciti alla tua festa!” mi dicevano in molti, ma l’unico mio desiderio era quello di andare a letto e dormire, almeno non avrei pensato al mio fantasma. Erano le 10 quando rientrai e la festa continuava ininterrotta, sarebbe continuata per almeno 5 ore per quanto ricordi. Salutai il mio allenatore che stava allegramente discutendo con un bicchiere di vino per festeggiare e allora mi strinse il pugno e mi chiese tutto eccitato: “Pronto per la seconda gloria?” Io gli risposi: “È davvero necessario?” “Certo! Sei il campione del mondo per il 15° anno di seguito! Devi esserne orgoglioso.” “Sono orgoglioso, ma…” “Niente ma! Ora assapora la gloria!” Si volto verso la folla ed esclamò loro: “Signore e signori, un attimo di attenzione. Siamo qui questa sera per festeggiare il compleanno di un grande campione. Festeggiamo oggi il sesto compleanno di Michelle de Gerra, campione del mondo”. Alzò il mio pugno in aria e gridò: “AUGURI, MICHELLE!!” Tutti esultarono ed urlarono pronunciando in coro il mio nome. La gloria era molta, ma mi sembrava di non avere niente. Volevo andarmene allora tentai di congedarmi nella mia stanza con un semplice: “Scusate, ma lo scontro è stato molto duro e vorrei andare a dormire”. L’allenatore mi era ancora accanto e mi trattenne rispondendomi: “Certamente, anche un campione merita di riposare, ma non prima di aver tagliato la tua torta di compleanno”. E in quel preciso istante entrò in sala un grande torta rettangolare con scritto sopra
  • 2. “15° campionato del mondo. Michelle de Gerra. Auguri!”. Quando la vidi entrare non vidi più e la rovesciai in preda alla rabbia. La musica si fermò di scatto, tutti si girarono per guardarmi, e mi ritirai in camera. Chiusa la porta a chiave mi stesi sul letto e dopo qualche minuto la musica ripartì, come se non fosse successo niente. Mi addormentai in un lampo. Il mattino seguente mi svegliai grazie alla luce del sole che filtrava dalle finestre. Era una bellissima giornata di primavera, in questo periodo in una città grande come questa le giornate sono tutte uguali. Durante la notte avevo fatto un sogno particolare: sognavo un voce che mi diceva nella nebbia: “Viaggia … viaggia, trova la tua liberazione … trova … la felicità”. Io tentavo di rispondergli, ma ripeteva sempre la stessa frase come in una filastrocca. Cercavo intorno a me la fonte di quella voce, ma vedevo solo nebbia in ogni direzione. Eppure sentivo che avrei dovuto seguire il suo suggerimento e viaggiare dove per il mondo alla ricerca di qualcosa che avrebbe occupato il mio vuoto. Sopraggiunse il mio allenatore con la classica domanda pre-confezionata: “Buongiorno Michel, dormito bene?”. Lo guardai un istante e voltai la testa fissando il vuoto. “So come ti senti. Avrai anche raggiunto la cima, ma ti manca qualcosa. Vero?” Mi aveva letto nel pensiero. Non credevo a ciò che avevo sentito. Erano le parole più amiche che avesse mai detto. D'altronde è questo il suo lavoro: immedesimarsi nel suo allievo e tirarlo su ad ogni segno di cedimento. Così mi voltai, lo guardai e lo ringraziai profondamente. “Bene. Allora preparati che andiamo a colazione con alcuni tuoi importanti ammiratori.” “No.” Replicai seccamente. “Perché no? È meglio che persone così facoltose conoscano di persona il loro idolo.” “Allora gli ammiratori che guardano i miei incontri al bar sottocasa non sono degni di conoscermi?!” “Non è quel che intendevo, ma hanno aspettato così a lungo per poterti conoscere dal vivo che dovremmo ripagare la loro attesa.” “Giusto, ma loro ammirano quel che pensano che io sia, non quello che sono. E il mio io è là fuori, da qualche parte e voglio trovarlo!” Il mio allenatore era sconvolto. Non avrebbe mai creduto che io potessi dire parole così forti. E continuai: “Hai cresciuto me negli ultimi 16 anni come una macchina della vittoria, ma ora questa macchina vuole trovare l’ingranaggio che gli manca che non è qui.” “Così è questo quello che vuoi? Abbandonare tutto per trovare il tuo ingranaggio?” - rispose come arrabbiato – “Hai ragione. Negli ultimi tempi ti vedevo sempre distratto e assente e se questo tuo viaggio ti aiuterà a trovare te stesso io sono con te”
  • 3. Ora che avevo anche il sostegno dell’uomo più importante di questa mia fase della vita mi sentivo pronto per trovare quello che cercavo. Ma c’era ancora un piccolo ostacolo sulla nostra strada: la stampa. Come avrebbe reagito l’organo più importante dello sport sapendo che il suo “articolo” preferito partiva? Non sarebbe stato facile annunciarlo, ma era la cosa giusta da fare e la mattina seguente Syrus Robinson, il mio allenatore, convocò tutte le maggiori testate giornalistiche nazionali diffondendo la notizia che avrebbe annunciato qualcosa di sconvolgente. Ed era così. Insieme annunciammo che mi sarei preso un periodo di pausa dal pugilato per viaggiare. Incontenibile fu il loro stupore. Decine di domande al secondo, ma non rivelammo altro. Quella giornata come per il resto della settimana l’ingresso dell’albergo fu assediato da giornalisti e i titoli dei giornali diffondevano il mio momentaneo abbandono. Syrus mi guardò ed ammise la sua preoccupazione, ma aggiunse: “Mi fido di te!”. “Allora Michel. Qual è la nostra prima tappa?” Con l’entusiasmo di un vero amico mi chiese Syrus. “Sai non saprei. Che dici, dove porta il vento?” “Sarebbe una decisione da film, ma per un viaggio alla ricerca se stessi penso sia il modo migliore!”. “Bene. Allora - umidificai l’indice – il vento soffia verso Oriente, andiamo in Cina.” Fu così che partimmo con lo zaino in spalla come gli esploratori del passato: il modo migliore per un viaggio di questo genere è viaggiare con le proprie forze). Non organizzammo assolutamente niente se non gli zaini: tutto sarebbe stato affidato al caso, il caso avrebbe deciso quando e se avrei incontrato il motivo del mio vuoto, sarebbero potuti passare anche 50 anni: io non mi sarei mai arreso. Prima tappa del nostro viaggio fu il Tibet, imponente altopiano da cui svettano i pilastri che reggono il cielo e da millenni osservano l’evoluzione dell’uomo e della Terra. Nessuno è capace, la prima volta che lo visita, di esplorarlo in minima parte, per questo affittammo una guida. Si chiamava Ngari Leh e da come parlava sembrava che fosse un tutt’uno con la massiccia pietra, raccontava di sentire “la voce della montagna”. Non era molto chiaro cosa intendesse, ma forse aveva a che fare con il rispetto religioso che il buddhismo ha per la natura e quindi la necessità di rispettare il mondo che lo circondava. Era il perfetto stereotipo dell’uomo tibetano: vestiti pesanti,
  • 4. occhi a mandorla, capelli rasati a zero e vedendo gli altri abitanti di queste terre ghiacciate mi sembravano tutti uguali. “Accidenti! Come fanno a vivere in un posto così freddo, io sto congelando Michel!” Esclamò Syrus battendo i denti. Notai che erano le 2 di pomeriggio e c’erano all’incirca 4 gradi sotto zero. Non potei che confermare il suo lamento, ma ribattei sicuro di me: “Farà anche freddo, ma la curiosità e la scoperta hanno bisogno di altro per fermarsi!”. “Il sole sta tramontando. Ci accamperemo sul prossimo altopiano che incontreremo.”Ci disse Ngari con lo stretto accento del suo villaggio di nascita. Quella notte fu molto particolare. Feci un sogno tra i più importanti della mia vita. Nel sogno mi svegliai ed ero all’accampamento allestito per la notte. Chiamavo a squarciagola Syrus e Ngari, ma non rispondevano, si erano volatilizzati, c’era un vento tanto forte che non riuscivo a tenere gli occhi aperti e allora misi gli occhiali. D’avanti a me, sulle pietra c’era una figura incappucciata con un telo di stracci che mi fissava da sotto il cappuccio. Con la testa mi indicò di seguirmi e di colpo mi ritrovai nella casa, quando ero bambino. Non c’era nessuno e niente nella stanza, le finestre erano chiuse e sigillate con assi di legno e sembrava che nessuno ci mettesse piede da anni. Passava solo un sottile fascio di luce che illuminava un diario. La figura mi indicò di aprirlo e lessi una delle ultime annotazioni: “15 Marzo 1898. Anche oggi mamma e papà sono andati via lasciandomi con la tata. Non dico che non mi diverta, ma vorrei che un giorno fossero loro a giocare con me.” Seguiva la pagina di 2 settimane dopo. “29 Marzo 1898. Sono 2 settimane che mamma e papà non tornano, dissero “torniamo presto”. Speriamo che sia vero”. Lascai il diario e continuai a seguire la figura. Passando da una porta entrammo nel collegio maschile che frequentai da ragazzo. Era nella stessa situazione della mia stanza con alcuni fogli adattati a diario. Il primo foglio diceva questo “15 Settembre 1903. È il mio primo giorno qui, mi chiedo perché non posso più frequentare la mia vecchia scuola. Qui non mi piace. I miei compagni sono cattivi con me e sto imparando a difendermi anche con i pugni”. Un altro foglio risaliva al Febbraio dell’anno successivo: “7 Febbraio 1904. Ho scoperto che i miei genitori sono scomparsi 6 anni fa durante un viaggio in Amazzonia. Spero solo che stiano bene.” Per la terza volta cambiai scenario con la figura che mi portò in un vicolo buio con qualche lampione ad olio. La figura rivelò sui muri lettere alla rinfusa che con un suo gesto della mano si ordinarono e rivelarono questo testo. “23 Luglio 1910. Sono passati 2 anni da quando sono uscito da quell’inferno di collegio. Ora lavoro presso un falegname e mentre stavo facendo compere per lui mi imbattei in un gruppo di criminali in un vicolo buio. Mi ordinarono di consegnare loro tutto quello che avevo, ma non avevo niente. Loro insistettero e mi attaccarono. Io mi difesi come potevo con un serie di pugni ben piazzati e mi liberai di loro. Passava di là un uomo vestito elegante che si
  • 5. congratulò con me per come mi sono difeso. Risposi che era solo per le mie esperienze e lui mi diede un biglietto con un indirizzo e un nome: Syrus Robinson.” “Ora capisco. Mi stai facendo rivivere il mio passato per farmi capire cosa mi manca. Giusto?” chiesi alla figura che impassibile svoltò l’angolo. Ci ritrovammo su un ring vuoto con 2 guantoni a terra e con sopra un foglio. “11 ottobre 1916. Il mio primo incontro ufficiale. È andato molto bene, l’avversario non era molto forte ed ho passato il turno”. Dopo uno spazio continuava “24 Novembre 1916. Ho vinto il mio primo titolo nazionale. È una sensazione magnifica, ma mi sembra che manchi qualcosa: non sento solo felicità”. Un altro spazio e ancora: “24 Novembre 1932. Ho vinto il mio quindicesimo campionato mondiale, ma il vuoto continua a crescere. Non lo sopporto più. Lascio il pugilato!” “Grazie. Ho capito cosa mi manca.” Detto questo la figura scomparve nella nebbia. Fui preso da una stanchezza e mi svegliai nell’accampamento il mattino seguente. Ngari e Syrus stavano sistemando tutto e appena svegliato mi dissero che la montagna non era più scalabile per la neve troppo soffice e pericolosa. Replicai: “Bene allora torniamo a casa, perché ho trovato quello che mi serviva.” Syrus tutto stupito mi chiese: “Davvero? Speriamo che sia così perché non ne posso più di questo freddo!” Allora sistemammo i bagagli, scendemmo il versante della montagna e … “E cosa, nonno?” “E poi sono tornato a casa, ho incontrato tua nonna, ci siamo sposati e abbiamo avuto tuo padre. Quando incontrai tua nonna lavorava al bar dell’albergo dove alloggiavo per il torneo, una parola tira l’altra e ci fidanzammo. Da allora gli incontri che disputai furono molto più “energetici” i miei pugni erano molto più “esplosivi” perché avevo un motivo per combattere, lei.” “Beeeeello!! Quindi avevi colmato il tuo vuoto?” “Si, credo proprio di si” risposi a mio nipote Michel Jr. guardando Elena, mia moglie, che stava arrivando a portare la merenda a Michel e il tè per noi. Finalmente avevo trovato quello che chiudeva il vuoto nel mio cuore, ho capito che quel vuoto era qualcuno con cui condividere la gloria di essere arrivato in cima e qualcuno con cui invecchiare ripensando ai bei momenti passati insieme. L’amore è un valore che nessun uomo, donna o bambino deve dimenticare. È quella fiamma eternamente accesa che dà senso alla vita. Certo, dopo la mia 20° vittoria al campionato mondiale a Syrus dispiacque che mi ritirassi, ma era anche contento nel vedermi felice con Elena, pensando al nostro futuro insieme. Grazie Syrus. Grazie Elena.